Centotre-e-tre N.32: non c’è trip-hop per gatti

Riassunto delle puntate precedenti:

Introduzione
Bruno Lauzi – Garibaldi Blues
Peggy Lee – Why Don’t You Do Right?
Tony Bennett & Lady Gaga – The Lady Is A Tramp
Joni Mitchell – Chelsea Morning
Neil Young – Cortez The Killer
Banda El Recodo – El Corrido De Matazlan
Los Cuates de Sinaloa – Negro Y Azul: The Ballad Of Heisenberg
Los Tucanes de Tijuana – El Chapo Guzman
Cholo Valderrama – Llanero si soy llanero
Celia Cruz – La Vida Es Un Carnaval
Duke Ellington – The Mooche
Renato Rascel – Romantica
Igor Stravinskij – Pulcinella Orchestral Suite – Part I/III
David Bowie – Pablo Picasso
Prince – Cream
Wu-Tang Clan – C.R.E.A.M.
Frances Yip – Green Is The Mountain
VIXX – Error
Ili Ili Tulong Anay – Mvibe
Mahani Teave & Viviana Guzman – Flight Of The Bumblebee
Martina Trchová – U Baru
ZAZ – Qué Vendrá
Incubus – Megalomaniac
Cartola – Alvorada
Yes – The Revealing Science of God (Dance of the Dawn)
No – Meet Me After Dark
Moby – My Weakness
Waka Flocka Flame feat. Drake – Round Of Applause
Sugarcubes – Hit
Kassav’ – Zouk-la sé sel médikaman nou ni
Gary Numan – Unreleased 7Up TV commercial music
Radio Tehran – Tamume chiza

Nella scorsa puntata abbiamo ascoltato un pezzo dei Radio Tehran, una band iraniana di cui non so niente, tranne quelle poche informazioni che forniscono le piattaforme di streaming: formati nel 2009, hanno pubblicato un disco, 88, e l’anno dopo si sono sciolti. Il cantante si chiama Ali Azimi e ha proseguito la sua carriera da solista, è ancora in giro e ha pubblicato altri album, perlopiù in lingua farsi, da cui il detto “farsi da solo”.

Poi magari invece è famosissimo, sono io che non approfondisco la conoscenza degli artisti di cui parlo e sto ignorando un fenomeno che tutta la critica musicale considera il nuovo dio della musica, la persona che sta rivoluzionando la cultura iraniana grazie alle sue canzoni, il manifesto politico di una generazione, nonché l’autore della colonna sonora del prossimo film di James Bond che avrà per protagonista un attore arabo, che non è l’Iran ma per i produttori di Hollywood sticazzi è un po’ tutta la stessa roba.
Se le cose stanno effettivamente così mi spiace, ma deve procurarsi un social media manager migliore.

Non avendo altro da raccontare sui Radio Tehran direi di passare subito al prossimo gruppo, tramite il collegamento “artisti che si chiamano come una città”. Avrei potuto sfruttare la parola “radio” nel nome e collegarmi al primo gruppo di Manu Chao, ma la pachanka è quel genere musicale che i primi trenta secondi ti fa venire una voglia pazzesca di ballare, e subito dopo di sparare al giradischi. Avrei potuto scegliere fra gli artisti che la parola l’hanno inserita nel titolo di una loro canzone, e così al volo mi vengono in mente i Queen, i Clash e Roger Waters.

Ho pensato invece di appoggiarmi alla città, perché mi offriva un’occasione troppo ghiotta per parlare dei Portishead.

Loro non so se li conoscete, ma sono sicuro che avete ascoltato almeno un paio dei loro pezzi più famosi:
Numb è la canzone in sottofondo a un vecchio spot della Nissan Primera (peraltro girato a Genova);
Glory Box faceva da colonna sonora alla pubblicità di un profumo con Sophie Marceau e a quella di un paio di jeans con un bambino che ha delle fantasie su una signora.

I Portishead negli anni ’90 sono stati un gruppo così importante da essere diventati leggendari con due soli album, prodotti con molta calma molto tempo fa. Per dare una misura della loro grandezza: quando pubblicarono il terzo album, Third, a distanza di undici anni dal precedente, la piattaforma di streaming che lo riproduceva registrò 327.000 ascolti nelle prime 24 ore; oggi sono numeri che probabilmente direbbero poco, Harry Styles con l’uscita di As it was (2022) ne ha totalizzati 8 milioni e 300mila il primo giorno, ma nel 2008 la musica in streaming era solo all’inizio (Spotify sarebbe nata pochi mesi dopo l’uscita di Third).

Diffusione della musica in streaming nel Regno Unito dal 2008 al 2016

Quella musica lì erano in pochi a praticarla, i pionieri erano stati quei mostri dei Massive Attack, cui prima o poi dovrò dedicare una puntata perché sono dei mostri, poi erano venuti i Morcheeba e i Portishead. In Italia ci avevano provato i Casino Royale con un album a cui sono affezionato per averli visti in tournée per la prima volta proprio in quell’anno. Qualcuno lo chiamava Bristol sound, per essere nato da quelle parti, tutti gli altri trip-hop. I Portishead non volevano essere etichettati in quel modo, e con Third avevano provato altri suoni; sono sempre stati degli outsiders, e non credo sia un caso se da quell’album sono passati ormai quindici anni; eppure nessuno si azzarda a dire che il gruppo si sia sciolto: ancora l’anno scorso si sono esibiti in un concerto benefico per l’Ucraina, e siamo ancora tutti qui ad aspettare l’annuncio di un disco nuovo, sicuri che prima o poi arriverà.

Io per primo mi sto facendo dei film sul Primavera Sound di Barcellona del 2024, di cui ho già il biglietto in tasca, e sogno di trovarmi sotto il palco durante un memorabile concerto reunion dei Portishead, o perlomeno se proprio tutto il gruppo non si potesse, della loro straordinaria vocalist, Beth Gibbons, una delle voci più strane, delicate e lunari che potete ascoltare in giro. Dopo i Portishead cercate Out of season, il suo disco solista: contiene meraviglie.

Ma Portishead è anche il nome di una città inglese, dicevamo. Si trova nel Somerset, a una quindicina di km da Bristol, tanto per dare un riferimento geografico a chi non conosce a memoria ogni cittadina britannica. Pare essere collegata alla band di cui sopra per essere stata la città dove si trasferì Geoff Barrow, il dj dei Portishead, quando i suoi genitori si separarono. È la classica città inglese che se la vai a visitare su google ha un cielo nuvoloso e le case basse e il porto che si affaccia sulle coste gallesi e quell’aria così tipicamente deprimente che la tua mano se ne va a cercare la boccetta degli psicofarmaci.
Ehi, quante vibrazioni positive in questa puntata!

Dal 1928 al 2000 la città ospitò la più grande e più trafficata stazione radio per comunicazioni ad alta frequenza (HF) al mondo, che credo significhi che c’erano queste grosse antenne che vedete nella foto, e permettevano all’Inghilterra di scambiarsi messaggi radio via mare con qualcuno che stava in Australia.

Durante la Seconda Guerra Mondiale la radio permise di comunicare con la flotta mercantile e con gli aerei che pattugliavano l’Atlantico, e la sua utilità ne garantì la sopravvivenza almeno fino all’avvento delle comunicazioni satellitari, dopodiché venne gradualmente smantellata. Oggi al suo posto sorgono dei quartieri residenziali.

I membri della band omonima l’hanno descritta “dreary”, triste, e non si può dire che abbiano esagerato: guardando un po’ sulla mappa si nota la scarsità di esercizi commerciali e luoghi di divertimento. Però c’è un bar che sfoggia dei bicchieri con scritto Portishead brewery, indispensabili per un fan che non vuole rinunciare ai suoi feticci. E immagina che figo invitare a casa gli amici e offrire loro una birra in un bicchiere stiloso, mentre la voce suadente e malinconica di Beth Gibbons si diffonde dagli altoparlanti, accompagnata dagli archi di un’orchestra. Nota buffa: il disco live con orchestra è accreditato alla New York Philarmonic Orchestra, ma nessuno dei suoi membri compare nel disco.

(continua)

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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