come le riempiremo queste giornate di pioggia?

Che poi se lo chiedi a qualcuno con dei figli piccoli che ieri magari ha passato la notte a tenergli la fronte perché vomitavano a turno che sembrava una scena tagliata dell’Esorcista e stamattina ha dovuto alzarsi due ore prima per prepararli e portarli all’asilo prima di andare a lavorare, ti sentirai rispondere che due mesi a casa da solo sono un dono del cielo e che certe volte si ritrova a progettare di sterminare la famiglia a colpi d’ascia e poi andare a costituirsi così trent’anni di tranquillità in una cella non glieli leva nessuno, ma a me che figli non ne ho questi due mesi in cui l’altra metà della famiglia dovrà trascorrere dall’altra parte del mondo non sono sembrati tanto un dono quanto un impegno da prendermi con quelle piccole cose di cui di solito si occupa chi passa più tempo a casa, che di solito non sono io.

Tipo dare la pastiglia alla gatta, che abbiamo una gatta epilettica, cioè, non l’abbiamo presa così, ci è diventata dopo, vai a sapere perché, ma adesso due volte al giorno dobbiamo darle dei barbiturici per evitare che le vengano delle crisi e abbia una vita normale. Grazie a questa cura quotidiana sta bene, piccina, tranne quelle due volte al giorno in cui devo cacciarle un dito in gola, ma l’alternativa era accompagnarla alla chitarra e fondare i Joy Division. Devo averla già usata questa battuta, ma mi fa sempre ridere.

Oppure tipo prendermi cura di João, per cui la fetta più grossa dell’impegno richiesto viene via a cercare di non ucciderlo per tutta una serie di ragioni che non sto a elencare perché magari qualcuno mi sta leggendo durante i pasti.

O sostituire le cose che decidono di rompersi appena mi ritrovo da solo in casa e provo a sedermi sul divano, o rimettere in ordine, insomma, quella roba che conoscete bene se non abitate su un marciapiede.

Non avendo una vita particolarmente complicata, ritrovarmi da solo mi ha esposto a quella parte di doveri a cui riuscivo a sottrarmi, negandomi nel contempo il piacere di avere qualcuno accanto, che da sempre mi rende più sopportabile adempiere a tali doveri. Questo viaggio in Cina di 沙沙 non mi sembrava un affarone, era più uno schema Ponzi in cui io dovevo sbolognare tutti i miei impegni a qualcun altro per recuperare del tempo libero, tipo il cane a mio padre, pranzi e cene da mia madre, le pulizie di casa a un esorcista e la pastiglia della gatta a mia sorella. E io non lo conosco un esorcista, e mia madre cucina di merda.

Per fortuna, dopo due settimane, gli impegni casalinghi si sono rivelati più lievi del previsto. Quando torno a casa dal lavoro non c’è nessuno che mi dice che dobbiamo assolutamente andare a fare la spesa a diecimila chilometri di distanza perché è finito il concentrato di yak che vendono solo al supermercato di Lhasa e senza quello stasera salta la cena e ci tocca ordinare di nuovo la pizza di gomma, e il sabato posso passarlo finalmente a casa e non in giro perché mentre io uscivo tutti i giorni per andare a lavorare c’era qualcuno che aspettava proprio quel giorno per prendersi una boccata d’aria.

Adesso quando torno a casa ho un giardino di opportunità che mi sbocciano davanti, e devo solo decidere quale cogliere, e sono tutte così promettenti, così gonfie di divertimento per non essere state adeguatamente sfruttate nei mesi passati, da riempirmi non solo la giornata in corso, ma in prospettiva tutte le altre che dovrò ancora trascorrere a casa da solo.

Insomma, 沙沙 non mi manca affatto, se mi dicesse che deve fermarsi altri sei mesi perché quel coglione del suo presidente con la faccia da meme ha deciso di impedire a tutti i cinesi di espatriare per raddrizzare il PIL, le risponderei che mi dispiace, ma sotto sotto mi farei una risata, pensando a tutti i giochi e ai libri e ai film e ai fumetti che potrò consumare in pace in quel tempo regalato.

Poi però mi appare la sua faccia nel telefono che mi dice che le manco, e mi sorride perché è felice di vedermi, e io mi ricordo all’improvviso perché un giorno ho accettato di rinunciare a tutto il mio tempo libero per dedicarlo a una ragazza cinese con la faccia rotonda e gli occhi piatti, e quando chiudiamo la chiamata e lo schermo si ferma un secondo sul suo viso immobile e sorridente, io immagino il me stesso ventenne che se gli avessero mostrato quella faccia lì e gli avessero detto che un giorno del futuro quella faccia lì sarebbe stata sua moglie e lo avrebbe reso felice, io credo che il me stesso ventenne avrebbe trascorso gli anni successivi a sbattersene le balle di tutte le storie del cazzo che gli si sarebbero presentate davanti, avrebbe sorriso fino a farsi venire i crampi alla mascella e avrebbe dormito meglio, quindi oggi avrebbe meno rughe e meno capelli bianchi, e forse quella ragazza cinese lo amerebbe anche un po’ di più. Ma forse non esiste un di più, e questo è un bel pensiero con cui far passare due mesi, anche meglio di Fifa 23.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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