Alcuni lettori del pablog mi hanno fatto notare che sto facendo delle robe che non si capisce, pubblico articoli vecchi di millenni e loro si convincono che siamo di nuovo nel 2006 e si comportano di conseguenza, e allora chi si separa dalla moglie e torna con l’ex fidanzata, chi abbandona anche la prole perché a quei tempi non aveva eredi tranne il gatto, chi va a disseppellire il gatto perché nel frattempo è morto. Una mia amica si è licenziata da un lavoro strapagato per tornare a fare la precaria a seicento euri al mese, e poi mi ha scritto lamentandosi della sua pessima situazione lavorativa. Un’altra che da anni non dava sue notizie mi ha telefonato per chiedermi se ci vediamo domani sera.

Il fatto è che in un periodo imprecisato fra ottobre e dicembre del 2006 avevo deciso di cancellare il vecchio blog, svuotarlo dei contenuti e ripartire da capo, assecondando la tendenza di quel periodo della mia vita, in cui mi pareva di avere intrapreso un percorso importante e definitivo. Quello che l’aveva preceduto erano discorsi vuoti, tristezze e perdite di tempo che non meritavano di essere ricordate, pensavo allora, e così un bel giorno via tutto, ricominciamo da capo.

Oggi sono un po’ meno drastico e più disposto al dialogo, o almeno mi illudo di esserlo, e certi errori penso che siano comunque necessari, e in ogni caso è meglio superarli che sotterrarli, e allora mi è venuta voglia di riprendere in mano le vecchie cose e ripostarle un po’ alla volta, partendo dall’ultima prima della rasa e risalendo fino all’apertura del pablog.

Non so se alla fine pubblicherò tutto tutto, certe cose sarebbe stato meglio tenerle per me già allora, e nel frattempo sono diventato un minimo più discreto sulle questioni personali. Giusto un minimo, certo, i contenuti di inizio anno sono lì a dimostrare che certe lezioni sono ancora lontano dall’impararle, ma diciamo che sto per la strada.

Per questo, cari lettori che mi leggete sui feed, non allarmatevi, non vi si è rotto l’internet e non sto facendo casino.

A presto,

P.

old bailey

Salve cara signora, bella serata, vero? Mi perdoni l’impertinenza, forse intendeva fare due passi, oppure si stava godendo il panorama. In ogni caso mi sembrava ora che lei e io scambiassimo due parole.

Ah dimenticavo.. non ci siamo presentati. Non ho un nome, può chiamarmi V.

Signora Giustizia.. V.
V.. La Signora Giustizia.
Salve Signora Giustizia.
“Buonasera, V.”

Ecco, ora ci conosciamo. Per la verità l’ho ammirata a lungo. Oh, lo so cosa starà pensando.. “Questo povero ragazzo si è preso una cotta da adolescente per me.” Mi scusi signora, ma le cose stanno diversamente.
Si, l’ho ammirata a lungo, anche se solo da lontano.. Quand’ero bambino la guardavo dalla strada di sotto.
“Chi è quella signora?”, dicevo a mio padre. E lui: “E’ la Signora Giustizia”. E io: “Com’è bella!”

La prego, non creda che sia solo un fatto fisico, lo so che lei non è quel tipo di ragazza. No, l’amavo come persona, come ideale.

Ne è passato di tempo, e purtroppo ora ce n’è un’altra.
“Cosa? Vergogna V, mi hai tradito per una sgualdrinella, una gattina vanitosa con le labbra dipinte e un sorriso sfacciato!”

Io, signora? Mi consenta di contraddirla, è stata la sua infedeltà a gettarmi fra le sue braccia!
Sorpresa, eh? Credeva che non sapessi della sua tresca, vero? E invece lo so, so tutto.
Francamente quando l’ho scoperto non mi ha sorpreso, lei ha sempre avuto un debole per le uniformi.

“Uniformi? Non so di cosa stai parlando! Per me sei sempre stato il solo, V..”

Bugiarda! Puttana! Osi negare di esserti data a lui, coi suoi gagliardetti e i suoi stivali?
Che c’è, non parli? Lo sapevo..

Bene, ora sei finalmente smascherata. Non sei più la mia giustizia, sei la sua giustizia. Hai cambiato amante. Ma sappi che anch’io ho fatto lo stesso.

“Sob! Sniff! Chi.. chi è, V? Come si chiama?”

Si chiama Anarchia, e come amante mi ha insegnato ben più di te! Lei mi ha insegnato che la giustizia non ha senso senza la libertà. Lei è onesta. Non promette e non delude.. A differenza di te, fedifraga! Un tempo mi domandavo perché non mi guardassi mai negli occhi. Adesso lo so.

E dunque addio, cara signora. Ancor oggi il nostro commiato mi peserebbe, se tu fossi ancora la donna che amavo.

farewell

zuccheE’ che quest’anno Halloween mi ha coinvolto, non come al solito che ci passo sopra e non me lo cago, anzi, lo vivo pure con un certo fastidio, che il consumismo, e la festa americana che non c’entra un cazzo, e dobbiamo sempre farci insegnare tutto.. Vuoi perché andando a leggere ho saputo che i veri impostori sono, e ti pareva, i cristiani, o vuoi perché i cazzo di focolarini hanno lanciato la loro iniziativa contro le celebrazioni pagane, e per me questi ultras della chiesa sono come chiudersi le balle in un cassetto, una cosa da evitare a tutti i costi. Non escludo che sia perché ho il frigo pieno di zucca a tocchetti e la mangio in tutte le salse, compresa nella torta, che di là c’è qualcuno che spignatta mentre io cazzeggio, e lo stomaco per me ragiona più della testa. Oppure, più semplicemente, perché stasera comincia la serie tratta da quello che al momento è il mio fumetto preferito e ho una scimmia sulla spalla che ha assunto le dimensioni di un macaco.

the walking dead

Roma. Una stazione della metropolitana. Ci sono due persone che litigano, una scena abbastanza frequente in luoghi così affollati, magari una ha cercato di passare davanti all’altra, o l’ha scontrata sulle scale mobili, non ha importanza. Solo che ad un certo punto cominciano a mettersi le mani addosso, e una delle due persone, una donna, cade a terra. La soccorrono, la portano in ospedale, ma non c’è niente da fare, la donna muore.

Mobilitazione generale, televisione, giornali, tassisti, tutti a parlare di questo episodio e a chiedere l’arresto immediato dell’aggressore, un ventenne romano con precedenti penali. Già nei palazzi della politica si parla di “emergenza romani”, c’è chi chiede di schedare tutti gli abitanti del quartiere Tuscolano, il TG5 martella i suoi telespettatori con edizioni speciali sulla sicurezza nella capitale e lancia il sondaggio “Voi fareste sposare vostra figlia con un tifoso della Lazio?”.

Tutti ricordano l’episodio analogo di tre anni fa, quando una ragazza rumena colpì una coetanea italiana con un ombrello e le sfondò l’occhio, uccidendola. Prese 16 anni per omicidio preterintenzionale, il giudice non considerò rilevanti i risultati dell’autopsia sul corpo di Vanessa Russo, la vittima, che dimostravano che al momento della colluttazione fosse sotto l’effetto di droghe. Tutti lo ricordano e tutti chiedono a gran voce lo stesso trattamento; “la legge è uguale per tutti”, ha dichiarato il Ministro dell’Interno, smentendo chi lo accusava di voler minimizzare l’accaduto, “Siamo sicuri che anche stavolta verrà fatta giustizia . Il nostro governo non può adottare pesi diversi nel giudicare il medesimo reato, che a compierlo sia un italiano o uno straniero. Non siamo mica razzisti!”.


Riassunto delle puntate precedenti:
A parte che se volete sapere cos’è successo ve lo leggete, che basta scorrere col mouse verso il basso, non è difficile neanche per dei ritardati come voi, ma ho deciso di mettere un riassunto perché avevo lasciato la storia a metà di un punto in cui era facile perdersi per chiunque, figurarsi per dei decerebrati come i miei lettori. Non vi ci abituate, la prossima volta invece del riassunto capace che ci metto un quiz a domanda multipla, giusto per vedere se siete stati attenti. Siete delle bestie.Dicevo il riassunto: Preso il porto di Porto andiamo in stazione a vedere due orari, che c’è da partire, e già che ci siamo cerchiamo una bottiglia di roba bevibile, che quella che abbiamo nel sacchetto è una sbobbazza da turisti.L’imponente edificio si trova dietro Praça da Libertade, in una zona bombardata dalla crisi e da quella misteriosa voglia di scappare che ha contagiato la città: tutti i negozi chiusi, tutti i palazzi vuoti. Di fronte all’ingresso un leone di pietra sbadiglia di noia a dover sorvegliare una facciata piena di finestre sfondate. Un po’ più in là un palazzo suggerisce di recarsi da lui per comprare bene e a poco prezzo, ma sbirciando le vetrine al pianterreno ti accorgi che dentro non c’è nient’altro che polvere e ragnatele.Il piazzale della stazione è delimitato da un corrimano in pietra, su cui un distinto signore si appoggia per osservare il viavai dei tram. Ha lo sguardo severo, forse giudica frettoloso quest’abbandono del quartiere, ogni tanto si infila in bocca uno spicchio d’arancia per meglio sopportare la solitudine.
Quando gli passo vicino rigurgita una pallina di bolo arancione giù dal muretto e si mette a sputazzare semi e sugo con un rumore liquido. Entro velocemente in stazione.L’atrio è sontuoso, tutto ricoperto di azulejos, decorazioni liberty, un bell’orologio in ferro battuto, i barboni se lo devono proprio godere un posto così.
Troviamo l’ufficio informazioni e ne chiediamo alcune per il nostro viaggio dell’indomani a Viana Do Castelo, dove si tiene una delle feste più importanti del Paese.
L’impiegato deve aver passato la giornata ripetendo sempre quello, perché appena gli siamo davanti ci mette in mano un foglio con tutti gli orari utili e inutili, prima ancora che apriamo bocca.
Bene! Lodi sperticate all’efficienza portoghese, che non paga sugli autobus ma ci fa prendere il treno! Andiamo a cercare una bottiglieria!

Dalla stazione giriamo di là, poi andiamo in su verso una strada che non conoscevamo, poi di nuovo in là, e di colpo ci troviamo in un viale pedonale pieno di gente, baretti, negozi di marca, ristoranti, cinema.. La via dello struscio! Ecco perché Porto è sempre deserta, vengono tutti qui!

Ormai è ora di chiusura e metà dei negozi hanno le serrande abbassate, ma c’è ancora molto viavai, la strada è lunghissima, ci vuole un po’ perché si svuoti. Maledizione, abbiamo scoperto l’isola del tesoro a libro ormai concluso, questa volta Jim Hawkins dovrà tornare a mani vuote dalla sua povera mamma. Domani andremo via senza aver fatto neanche un giro in questa parte di città così spendereccia. La lista delle cose da fare nella prossima visita in Portogallo si sta allungando.

Prendiamo una via laterale e arriviamo di fronte al Mercado do Bolhão, e proprio lì accanto notiamo una vetrina piena di leccornie, formaggi di capra, prosciutti affumicati e bottiglie di porto.
Il gestore è un signore molto disponibile che ci fa assaggiare un mucchio di roba mentre la commessa impacchetta la bottiglia di Ramos Pinto che cercavamo. Ecco un altro negozio da tornare a visitare in futuro.

Si è fatta l’ora di cena, contattiamo i nostri amici per darci appuntamento in piazza e andiamo prepararci.
Poco dopo siamo di fronte al McDonalds Imperial di Porto a guardare Alessandro con facce interrogative.

“Come sarebbe che sta male? Cosa le è successo?”
“Abbiamo passato la giornata a visitare cantine, ci saremo scolati tre bottiglie di porto in due. La poverina non regge l’alcool.”
“Ha vomitato?”
“Tantissimo. E faceva dei versi orrendi tipo BUAARGH! SBLEEEEUGH!”
“Ma che schifo!”
“E questo è niente! Quando ha cercato di tenere la bocca chiusa per limitare il rumore sono venuti fuori dei sibili gorgoglianti che mi hanno fatto temere di essermi fidanzato con una creatura inventata da Lovecraft, roba tipo HSSGLGLGLSSSRRRGHSSSGLGLRGH! Senza contare che per la pressione ha spruzzato tutto attraverso i denti, imbrattando le pareti del bagno in un modo che solo a pensarci mi viene voglia di andare a dormire da un’altra parte! Persino il barbone che dorme con noi si è lamentato, ed è uno abituato a vivere duramente.”
“Ma se sapeva di non reggere l’alcool perché ha bevuto così tanto?”
“Ma ha bevuto pochissimo, giusto mezzo bicchiere, il resto me lo sono calato io. Eppure è bastato quello per farla uscire di testa, prima si è messa a ridere e a cantare stornelli in romanesco in mezzo alla cantina, non vi dico la figura, poi ha insultato il cameriere perché insieme al vino ci voleva anche i popcorn. Figuratevi questo, nella cantina più esclusiva della città una romana ubriaca gli chiede i popcorn, come pensate che possa aver reagito?”
“Le ha ricordato chi è il suo presidente del consiglio, suppongo.”
“No, ha fatto finta di non vederla. Si è messo a fissare un punto del locale e ci ha ignorati per il resto della degustazione.”
“Tipico dei camerieri portoghesi. E poi?”
“E poi basta, quando sono riuscito a schiodarla da lì l’ho trascinata fuori.”
“Ha dato ancora in ecandescenze?”
“No, poi le è venuta la ciucca triste e si è messa a piangere, ha detto che nessuno la capisce, che non ha più l’età per fare la scema, che vuole adottare un gattino e Lazio merda.”
“Scusa ancora una cosa, Alessandro..”
“Dimmi pure”
“Perché sei tutto sporco di sangue?”

Dopo un paio di giri a vuoto optiamo per un ristorante dietro la piazza, un posto mediocre che sta accanto a uno superlussuoso e a una bettola ignobile. Il cameriere è fin troppo gentile, quasi servile nei suoi modi, probabilmente ci odia, anche perché Alessandro gli sta gocciolando sangue sul pavimento da quando siamo entrati.

20/8

Dacci oggi la nostra agonia quotidiana

È il giorno della gita fuori porta, appuntamento in stazione per andare a Viana Do Castelo, dove si tiene la festa annuale di Nossa Senhora De Agonia. Si tratta di una processione, un pellegrinaggio o romaria, come lo chiamano qui. Ci sono donne col foulard in testa e la vetrina dell’orefice appesa al collo, ci sono dei tizi mascherati da giganti, ci sono le bancarelle che vendono prosciutto affumicato, ma soprattutto ci sono i tamburi. A decine, a centinaia, i tamburi sono ovunque, e li senti da lontano col loro incalzare minaccioso, come un battaglione di Uruk-Hai.

La nostra mattina invece comincia col suono più amichevole della macchinetta del caffè del bar in faccia alla stazione. È buono il caffè in Portogallo, non so se l’ho già detto. Il mio preferito è il Delta. Il barista è organizzatissimo, ha coperto il banco di tazzine, ognuna col suo cucchiaino e la sua bustina di zucchero, solo che Marzia vuole due bustine, e ne prende una da un piattino vuoto. A quel punto il barista, che nota l’incongruenza nel programma, si gratta la testa perplesso, quindi sposta una bustina da un altro piatto, ma non risolve il problema. Ne prende una da un terzo piattino e la pone al posto di quella che ha tolto, ma ancora non va. Non si capacita di come possano esserci tanti piattini, tante tazzine, tanti cucchiaini e una bustina di zucchero in meno. Alla fine decide di tirar via tutto dal banco e ricominciare da capo, ma a quel punto noi siamo già andati via.

Arriva della musica dalla stazione, e che sarà? È anche venerdì mattina, non il momento migliore per mettersi ad ascoltare la radio a quel volume che distorce tutto.
Avvicinandoci realizziamo che non viene dalla stazione, ma da un pulmino parcheggiato davanti pieno di bandiere rosse al vento: sono i comunisti portoghesi che distribuiscono volantini. Nella mia vita ho già avuto a che fare coi socialisti di Velletri, ora mi mancano solo i democristiani del Punjab.

Alessandro e Lucilla ci aspettano davanti alla biglietteria, anche loro col volantino rosso in mano. Non c’è niente da fare, per un italiano incontrare un comunista è come trovarsi di fronte un panda nano, lo tratta con ogni riguardo per paura che gli si estingua davanti.

C’è ancora un po’ di tempo prima del treno, giusto quello che occorre per una bella colazione a base di.. “quel tortino lì che mi sembra tanto gustoso”.
Gustoso lo è, niente da dire, ma la carne tritata alle sette e mezza è un ostacolo un po’ difficile da superare.

Il treno portoghese è diverso da quelli italiani, intanto per cominciare funziona, tutto, non una carrozza si e due no, e poi ha le porte che si aprono, i sedili interi, e nonostante questi bonus riesce anche a rispettare gli orari.

Durante il viaggio, che dura un’ora e mezza, si riempie all’inverosimile, tanto che ad un certo punto il controllore deve aprire uno spazio extra in testa al convoglio, dove di solito si tengono le merci ingombranti, tipo le biciclette, o le bare, nel caso di funerale in treno locale, che ultimamente va un casino, ne hanno parlato anche su una di quelle riviste di trend, che è il termine con cui si definisce una moda legata alle ferrovie, trend.

Fra i vari personaggi che vanno alla romaria di Viana notiamo una signora col testone vestita da materasso e la ragazza di Pippo, che è una che conosco io che sta con uno del mio paese, perciò la cosa andrebbe classificata come gossip locale, ma trovandoci su un treno che fa tutte le fermate ci sta.

“Senti un po’..”, mi dice Marzia ad un certo punto, distogliendomi dall’osservazione dei passeggeri,
“Non ti sembra che Lucilla abbia qualcosa di strano?”

La guardo perplesso, poi guardo Lucilla, che è seduta un po’ più in là e dorme col cappuccio della felpa tirato su, poi riguardo Marzia.

“Si, ora che me lo fai notare quel cappuccio la fa sembrare uno degli avvoltoi di guardia al castello del Principe Giovanni, nel Robin Hood della Disney.”
“Ma no, guarda meglio!”

Riguardo meglio, ma continuo a non vedere niente di strano.

“Ha il push-up?”, azzardo.
“Secondo me non è lei.”
“Come non è lei? E chi dovrebbe essere?”
“Ieri sera Alessandro è venuto al ristorante da solo, dicendo che lei stava male, ed era tutto sporco di sangue.”
“Si, ha detto che si è ferito radendosi.”
“Ma non si era fatto la barba! Non ti sembra una cosa strana?”
“No, anch’io di solito mi ferisco radendomi e poi non mi faccio la barba, perdo tanto tempo a ricucirmi le ferite che non me ne resta più per fare altro.”
“Io credo invece che l’abbia uccisa e poi sostituita con un sosia!”
“Quando torniamo a casa ti tolgo la televisione, vedi troppo Chilavisto!”

Al momento di scendere passiamo per il compartimento extra di cui sopra, che alla fine del viaggio ospitava fra le settanta e le ottocentoventi persone, ha raggiunto una temperatura e un tasso di umidità che neanche in India e quando si aprono le porte ed entra l’aria più fredda dell’esterno comincia a piovere.

In Italia siamo 60 milioni di persone. Di queste meno della metà (23 milioni) ha accesso a internet. Di queste solo 2.5 milioni legge articoli di informazione non provenienti dalle grosse testate, si fa un’idea più libera dai condizionamenti (sarà poi vero?). 2.5 su 60 milioni. Dove vogliamo andare?
È bello mettersi lì e condividere l’articolo del “giornalista indipendente che dice la verità”, ci fa sentire parte di un movimento di risveglio collettivo del Paese, ma la verità è che siamo quattro poveretti, che leggono, si incazzano e condividono sempre fra loro quattro. Una piccola comunità di rancorosi che si fa le seghe sognando la rivoluzione. Perché gli italiani sopportano tutto senza lamentarsi? Come fanno a non rendersi conto che la merda li ha sommersi? Come respirano? La repubblica è diventata un’oligarchia, un sistema feudale in tutto simile a quello di mille anni fa, col signore che comanda i vassalli, che dai loro ministeri e commissioni gestiscono la selva di valvassori, portaborse, che dirigono aziende in cui assumono con contratto a lacrime i servi della gleba.
Ma va tutto bene, siamo in fondo alla piramide, abbiamo la libertà di spostarci per il Paese e mugugnare quanto ci pare, perciò siamo liberi. Non importa che ci sia stata tolta la possibilità di essere rappresentati in politica, di avere dei diritti come lavoratori, di nascere, di non nascere, di morire quando ci pare, di curarci come vogliamo, di pregare chi vogliamo o di non pregare affatto, di migliorarci, di sentirci uguali ai nostri vicini europei se non di quell’uguaglianza verso il basso.
Va tutto bene, dedichiamo a chi si lamenta un’occhiata infastidita, come al bambino capriccioso sull’autobus, e continuiamo a giocare col nuovo telefonino senza tasti che con meno di un euro ti fa anche da navigatore, con meno di un altro euro fa le foto vintage, con meno di un altro euro ti fa vedere gli highlights della partita, tutte spese ridicole che ci fanno sentire parte di una grande comunità felice. Poi in macchina ringhiamo a chiunque ci attraversi la visuale, a quello che sorpassa e dove cazzo avrà da correre, a quello che rallenta e allora fermati già che ci sei, a quello che svolta e la freccia te l’hanno insegnato a cosa serve o no, a quello che posteggia in doppia fila e ci vorrebbe un vigile, al vigile che proprio te doveva fermare perché non se ne stava al bar come tutti i suoi colleghi.
Siamo un popolo strano noi italiani, e a quanto pare ci va bene così, ne siamo anche fieri, tanto che quando andiamo all’estero ci offendiamo se qualcuno ci tratta meno che da popolo eletto e libero di schiamazzare sporcare pretendere obbedienza, però quando incontriamo degli altri italiani fingiamo di non conoscerli, scuotiamo la testa e rispondiamo in un’altra lingua quando ci chiedono dov’è un bar che trasmetta la partita della Nazionale.
E a quelli cui non va bene così? Alla segretaria che si chiede perché il suo stipendio sia la metà di quello di un’inglese, perché il treno che la porta in ufficio debba avere sempre un quarto d’ora di ritardo, perché bisogna prendersi mezza giornata di ferie per rinnovare la carta d’identità, perché bisogna sempre accontentarsi del poco perché “vai a vedere come stanno in Cina prima di dire che stai male”. Ma che c’è solo l’Italia e la Cina? Perché non ci confrontiamo un po’ con l’Olanda, per dire?Gli scontenti se ne stanno seduti a leggere, non si accontentano della visione ottimistica della televisione, e credono che si possa migliorare, e che le cose come stanno non stanno bene, e si rodono e si pongono le stesse domande che mi sono posto io oggi. E come me non si rispondono, si limitano a far girare l’articolo del giornalista controcorrente che dice che sarebbe ora di ribellarsi, dicono che si, sarebbe ora di ribellarsi cazzo, scrivono anche due pagine piene di livore sul loro blog dove ripetono che oh, ma ci vogliamo svegliare cazzo, e..

..

..

..e basta. E non succede altro. Loro continuano a stare incazzati a leggere i blog dei loro simili, e il resto degli italiani, il 97.5% che non si pone questi problemi fa altro, va al mare, pulisce casa, guarda la tele, si prepara per uscire con gli amici, prenota al ristorante. È felice, in genere, e gli va bene così, fintanto che il suo stipendio gli permette di organizzarsi le ferie e cambiare macchina se ce n’è bisogno.

Ochei, ho buttato delle percentuali a cazzo, ma non credo di allontanarmi tanto dalla realtà, e comunque non mi interessa quanti, ma chi, e soprattutto come, vorrei capire come si può uscire da questo torpore, da questa dimissione civica, come l’ha chiamata Saramago, possibilmente senza armare un esercito o andare a mettere bombe sui treni.

Ho pensato che bisognerebbe stampare le cose che leggiamo, gli articoli che ci fanno incazzare, quelli che consideriamo utili a una causa, quelli che raccontano le cose come stanno, bisognerebbe stamparli e fotocopiarli e abbandonarli in giro sui treni sugli autobus nelle stazioni, appenderli alle vetrine, prendere l’abitudine di tirar fuori dalla rete i pensieri importanti e portarli a chi la rete non la usa. Magari uno se li legge intanto che va a lavorare, magari si fa qualche domanda, chissà che uno non lo convinci a mangiarselo il prosciutto, invece di stenderselo sulla faccia.

Perché secondo me la maggior parte delle persone non è stupida o cattiva o egoista, è solo troppo pigra per rimettersi a ragionare, e lascia che siano altri a dir loro cosa fare, a chi dare fiducia e chi considerare una minaccia. Le persone sono troppo prese a fare troppe altre cose per cercare la verità dietro le parole scritte grosse, per leggere anche quello sotto il titolo, andiamo avanti a comprare mucche su facebook, a condividere appelli per la bambina malata di leucemia che ci fa sentire tanto buoni senza perdere più di un minuto, e peccato che sia una cazzata che gira da quindici anni, e che sarebbe bastato perdere un altro minuto per verificarlo, non ce l’abbiamo anche il tempo per quello. Una zingara ha cercato di rapire una bambina? Zingari di merda. Era una palla, ma non importa, intanto zingari di merda resta. Le moschee sono pericolose per i cittadini, gli immigrati sono pericolosi per i cittadini, l’influenza suina, i comunisti, la magistratura, da chi dobbiamo guardarci fra una partita di calcio e l’altra? La maggior parte delle persone è questo che fa, segue la regola alla base dell’economia, il massimo risultato col minimo sforzo (cerebrale).

Svegliateli. Ma non su internet, là fuori, dove le pecore vivono e mangiano e si incontrano. Scrollateli, mostrate loro dove stiamo andando, obbligateli a guardare nel buco dove vivono, spingeteli ad alzare la testa, convinceteli che si può.

E già che ci siete rigategli il suv.

E di nuovo scrivo questo post, che quando in casa ci sono due computer accesi il router va in crisi e perde la connessione ad ogni alito di vento. Forse dovrei pensare a comprarmi un'antenna da piantare sopra la porta d'ingresso, così da diffondere il segnale in tutto l'edificio, oppure quattro piccole antennine da piazzare sulla schiena degli animali domestici, così i vicini pensano che ho quattro cyborg e la puzza di merda che sentono è solo frutto della loro immaginazione.

Ciò che mi premeva comunicare al mondo è che ci sono voci che splinder stia chiudendo, o che non indicizzi più i blog sui motori di ricerca, o qualche altra magagna tecnica che non lo so se è vera e se è grave, ma io era da un po' che ne avevo le balle piene di questa piattaforma, e così mi sono aperto un blog su wordpress.
Non ci ho trasferito tutta la roba che ho postato qui, non ne ho voglia, non ne sono capace e neanche mi interessa poi tanto, ne ho fatto una copia su un file word e mi è sufficiente a non perderla, poi quella che rimane qui è giusto che qui stia, di là voglio ricominciare da capo per la terza volta, in preda a quella voglia di cambiamento che mi sta tirando per i piedi da qualche giorno.
Col tempo magari apporterò le varie modifiche che adesso mi sembrano allucinanti, tipo cambiare il font (!!) o comprarmi un dominio, ma non è escluso che finisca per cambiare un'altra volta indirizzo se dovessi scoprire che quello su wordpress fa cagare.

Per il momento me ne sto lì, mi allargo, semino la mia roba in giro, compresi i calzini usati, sbriciolo sul divano, rendo l'ambiente più simile a me e vedo come mi trovo. Se passate da quelle parti il mio indirizzo è 
 

http://lepablog.wordpress.com

 

Uno dice che non c’è due senza tre, e dovrei anche starlo a sentire uno che dice una cosa così, perché deriva dal greco nonceduesenzatreeus che vuol dire saggezza. E uno che dice una cosa così va ascoltato, che chissà quanti saggi consigli mi potrebbe dare, tipo che se cambi piattaforma per il tuo blog è opportuno cercarne una che ti permetta di fare un po’ quel che ti pare senza dover per forza comprarti un dominio, un carattere, un editor, una pizza, un set di pentole, HAAANFF! questa bellissima parùr di smeraldi rubini e pongo comprendente HAAANFF! unanello unacollana unbraccialetto unacavigliera dueorecchini uncollareperilcane unmanubriodibici unamanigliamanonsodichecosa HAAANFF! e ve la do per dite voi quanto! Mille miliardi di euri? NOOH! Quattrocentomilionidieuri? NOOH! Quarantasettecentesimi!! Non esiste!! È l’offerta dell’anno!!

Comunque wordpress dev’essere una piattaforma parecchio figa e sono sicuro che a trovare uno che mi aggiusti il template a capire come funziona mi toglierò delle belle soddisfazioni, ma per ora ci sono solo rimasto malissimo che non ho potuto utilizzare il mio bel tahoma a cui sono abituato fin dal lontano novembre duemilaettrè, quando ho aperto il primo pablog su splindermerd.

A proposito, perché mi sono trasferito? Credo di doverlo spiegare a coloro che non hanno seguito i passaggi precedenti e sono finiti qui solo perché attratti dalla pubblicità in televisione.

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI:Continua a leggere

21/03/2011, a dirla tutta un lunedì mattina, quindi un post breve, che il lunedì mattina si va a lavorare incarogniti, e forse è questa la ragione per cui mi sento come un appartamento vuoto, col cartello affittasi appeso alla fronte e tutte le persiane chiuse a rimbombare il silenzio. Si, probabilmente è quello, e non l’effetto della prolungata esposizione a me stesso senza gli scudi termici e i deflettori da astrocaccia che la presenza di Marzia mi garantisce. Perché quando sono da solo mi trasformo in una specie di riassunto dei Fantastici Quattro, divento invisibile anche ai vicini, mi allungo a prendere la parte di casa che ho a portata di braccio senza alzarmi dalla sedia, mi si infiammano gli occhi per le eterne sessioni di videogiochi e a non lavarmi la pelle si ricopre di un roccioso strato di sporcizia.

Al di là delle considerazioni fumettistiche, oggi dovrebbe essere una bella giornata, che quando tornerò a casa la troverò abitata da creature con cui posso parlare. No, meglio, da cui posso aspettarmi una risposta. E pazienza se mi aspetterà una scudisciata per aver lasciato la casa in condizioni tali da far ribrezzo a un libico di ritorno dal Giappone, sarà bello riaverla in giro a lamentarsi. Un po’ meno sarà dover preparare cene socialmente accettabili a orari prestabiliti, che l’unico vantaggio del vivere soli è il panino improponibile delle cinquemmezza, che ti fa un po’ da pranzo e un po’ da cena.

21/03/2011, a dirla tutta un lunedì mattina, quindi un post breve, che il lunedì mattina si va a lavorare incarogniti, e forse è questa la ragione per cui mi sento come un appartamento vuoto, col cartello affittasi appeso alla fronte e tutte le persiane chiuse a rimbombare il silenzio. Si, probabilmente è quello, e non l’effetto della prolungata esposizione a me stesso senza gli scudi termici e i deflettori da astrocaccia che la presenza di Marzia mi garantisce. Perché quando sono da solo mi trasformo in una specie di riassunto dei Fantastici Quattro, divento invisibile anche ai vicini, mi allungo a prendere la parte di casa che ho a portata di braccio senza alzarmi dalla sedia, mi si infiammano gli occhi per le eterne sessioni di videogiochi e a non lavarmi la pelle si ricopre di un roccioso strato di sporcizia.

Al di là delle considerazioni fumettistiche, oggi dovrebbe essere una bella giornata, che quando tornerò a casa la troverò abitata da creature con cui posso parlare. No, meglio, da cui posso aspettarmi una risposta. E pazienza se mi aspetterà una scudisciata per aver lasciato la casa in condizioni tali da far ribrezzo a un libico di ritorno dal Giappone, sarà bello riaverla in giro a lamentarsi. Un po’ meno sarà dover preparare cene socialmente accettabili a orari prestabiliti, che l’unico vantaggio del vivere soli è il panino improponibile delle cinquemmezza, che ti fa un po’ da pranzo e un po’ da cena.