Venerdì
Il venerdì è un altro giorno di tempo mezzo e mezzo. Il piano è raggiungere l’Isola delle Correnti, il punto più a sud della Sicilia, stare un po’ lì a vedere che succede e poi andare a visitare Scicli, che io ho da cercare una cosa un po’ nerd, solo che alla rotonda sbaglio strada. È una cosa fra me e le rotonde, non riesco mai a imbroccare l’uscita giusta, una volta dovevo andare a Copenhagen per fidanzarmi con una bionda scandinava, e invece sono finito a Praga e ho finito per sposare una mora cinese. Non che mi lamenti eh, se avessi sposato una morra sarei finito nel vortice del gioco d’azzardo scrauso in locali malfamati dove uomini loschi con cicatrici sulla faccia ti puntano addosso pietre, forbici o fogli di carta, e se non sei abbastanza scaltro da prevedere le loro mosse finisci male.
Comunque sbaglio strada, mi infilo in autostrada e l’uscita dopo è a 15 chilometri, e a quel punto cosa fai, torni indietro? Già che siamo andati di qui arriviamo a Scicli e al mare ci andiamo dopo.
Scicli è splendida, una conca di pietra piena di case basse ricoperte di polvere gialla, sembra un villaggio western nascosto in un canyon. Somiglia un po’ a Modica, ma Modica è una versione di Scicli che ha fatto la guerra e poi è stata invasa dalle cavallette e non hanno più avuto tempo di rimettere a posto.
A Scicli c’è la statua dell’uomo vivo, il Cristo a cui Vinicio Capossela ha dedicato una canzone. È quella la cosa nerd che volevo fare, e non ce ne andiamo prima di averlo trovato, dentro una chiesa dove si è appena tenuto, indovina un po’, un matrimonio.
Appagati (io) e soddisfatti (sempre io) veniamo via, e ci concediamo il mare quotidiano. Anche perché nel frattempo il tempo è migliorato molto, e ne vale di nuovo la pena. Ci mettiamo in cammino per l’isola delle Correnti, la punta più a sud dell’isola, e per arrivarci attraversiamo la zona di Pachino, dove si coltiva l’omonimo pomodoro. Serre ovunque ti volti, tutte uguali, teli di plastica opaca da cui si intravedono piante basse, e tutto lungo la strada pubblicità di aziende agricole dai nomi molto vari, come Europomodori, Pomodoroni, Pomodorazzi, Superpomodori, Quiilveropomodoro, Carciofi…No scherzo pomodori.
Ci sistemiamo in uno stabilimento fighetto che non ha molto senso davanti a una spiaggia libera enorme e deserta, ma la presenza dell’unica doccia in zona e dell’unico bar ci sussurra all’orecchio cose malvagie come “Ma tanto siete in vacanza, dai. C’è un Cristo su uno scoglio che ci guarda a braccia aperte e dice “Ma vi pare che dovete pagare in un posto così?”. “Ma tanto siamo in vacanza, dai.”
Il lusso sfrenato di quel posto ci dà alla testa, e l’unico motivo per cui non mi metto a telefonare a mezzo mondo per parlare di lavoro con un forte accento milanese è perché lo sta già facendo il mio vicino di ombrellone e vorrei ucciderlo. Però ordiniamo due insalatone, ben consci del fatto che in Italia l’insalata è soggetta a un misterioso ricarico fiscale, per cui all’esercente costa al massimo un paio di euro, ma tu devi tirarne fuori almeno dieci e ricevere un piatto di lattuga delle buste dell’hard discount, scondita. Dato che ci troviamo nella zona di Pachino ci sono anche dei pomodorini, sconditi, anonimi, una tristezza che mi pervade il cuore e mi fa riflettere sulla caducità della vita.
Raggiungo a nuoto e a piedi l’isola di fronte alla spiaggia, ma più a piedi, che l’acqua in Sicilia è bassa per chilometri, tanto che alle Lipari ci vanno in bici. Poi mi inoltro lentamente sul sentiero che gira intorno al faro, facendo ahi ahi ahiahiahi quando pesto i sassolini, perché non indosso neanche un paio di ciabatte, e ahimadonnabufala quando pesto un cardo, che qui crescono rigogliosi.
E poi sono di là, a osservare il Mediterraneo che diventa Ionio, e ci sono solo io e il mare e il sole e le onde si infrangono pigre sugli scogli, e mi sento così piccolo di fronte a tanta maestosità che mi viene naturale farmi delle domande sulla vita, sull’universo, sulla grandezza del mondo e sulla piccolezza del mio pisello, e chiedermi se ci sono delle correlazioni e se gli allungapene sono davvero efficaci come promettono.
Torno indietro più ricco nello spirito, ma solo lì. Mi fanno male i piedi.
La sera andiamo a cena in uno di quei ristoranti che Hemingway definiva di secondo grado ma mascherati da ristoranti di primo grado, dove la pasta lascia un dito di olio nel piatto, ma la paghi come all’Osteria Francescana di Bottura, che fino a ieri credevo fosse il giornalista e mi domandavo perché avesse un ristorante e perché continuasse a fare il giornalista con quello che guadagna dalla sua seconda attività.
Sabato
Facciamo su armi e bagagli, dove per armi intendo una delle brioches monumentali della pasticceria Mangiafico, e andiamo a Catania. Il piano sarebbe di cazzeggiare fino alle cinque cinquemmezza, riportare la macchina all’autonoleggio e imbarcarci. Facciamo un giro veloce in piazza del Duomo, vediamo il mercato del pesce, ci spingiamo fino al teatro Bellini, ma quando entriamo a visitarlo mi chiama mia sorella e mi racconta che è scappato il cane. Di lì fino al ritorno a casa è solo ansia, ci buttiamo su una panchina a disperarci e facciamo venire l’ora di andare all’aeroporto vagando senza costrutto come zombi. L’unica cosa degna di nota è l’accampamento allestito fuori dall’aeroporto per fare rispettare le norme anti covid: fanno entrare solo nelle due ore precedenti alla partenza, praticamente quando inizia il check-in, così tutti si ammucchiano all’ingresso o sulle poche panchine all’esterno. Peraltro c’è solo un bagno, quello di un bar lì davanti, dove si assiste a scene di lotta degne di un film di gladiatori.
Ed è tutto, se sono qui a scrivere queste note è perché il cane lo abbiamo ritrovato il giorno dopo, sporco e stremato dopo due giorni di corse nei boschi sotto un temporale pazzesco. Passiamo tutti la domenica a dormire senza neanche disfare le valige, a quanto ci siamo divertiti ci penseremo lunedì.