Da mari già si sentunu i riuturi (2 di 4)

Man manu ca passunu i jonna
sta frevi mi trasi ‘nda lI’ossa
‘ccu tuttu ca fora c’è ‘a guerra
mi sentu stranizza d’amuri

Domenica
Noi in realtà saremmo venuti fino in Sicilia per il mare, ma il mare di Palermo non ci sembra questa gran cosa. Forse a Mondello, ma bisogna spostarsi coi mezzi pubblici, e a quanto leggo la spiaggia è piccola, e qualcuno dice pure sporca. L’unica sarebbe allontanarsi dai centri abitati, ma senza una macchina come fai? Insomma, andiamo a Cefalù. Troviamo una spiaggia a 15 euro 2 persone che ci fa abbandonare la politica della spiaggia libera in favore del lettino e dell’ombrellone. La doccia fa cagare come quella della spiaggia libera, in ogni caso. Dopo un’ora di acqua e sole io sarei già a posto e mi infilerei nelle stradine del centro storico a cercare da mangiare, ma Shasha esige il suo tributo di Mediterraneo e tocca restare fino alle 4. Poi raggiungiamo la cattedrale facendo a gomitate coi turisti in una delle uniche due strade percorribili, tutte piene di cazzate fintissime. È il paradosso del turismo, che migliora le condizioni di vita di un luogo grazie al denaro speso dai turisti, ma ne rovina l’aspetto proprio a causa del turismo. Tutte le località turistiche del mondo finiscono per assomigliarsi, con la sola differenza dei cartellini del prezzo sopra l’espositore delle calamite da frigo, scritti in lingue diverse.
Ci prendiamo una granita in piazza, quella buonissima dappertutto, e un aperitivo in un bar ai margini del centro storico, non lontano dalla stazione. Sono le quattro passate, abbiamo perso di poco il treno per il ritorno e per quello successivo bisogna aspettare altre due ore. Dopo mezz’ora non ne possiamo più, siamo in astinenza da cibo di strada e macchine che ti arrotano sulle strisce.
Ma più dal cibo di strada, qui non c’è un cazzo, solo negozi di souvenir e tedeschi che ciondolano.

Ce ne andiamo, ma passiamo tipo un’ora che però sembra una settimana a girare per le strade dove o è tutto chiuso o è un posto che si chiama Sicily Store, e fa un caldo porco e l’umidità è la stessa che nel Borneo e se mi strizzo la maglietta faccio mezzo bicchiere di brodo, e figurati se strizzo le mutande, abbiamo bisogno di una doccia livello quando ti si rompe la tuta spaziale e sei su Marte.

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Lunedì
È il giorno in cui lasciamo Palermo per il remoto sud-est trinacrico. Prendiamo il treno fino all’aeroporto, dove dovremmo ritirare la macchina a noleggio, ma prima facciamo una colazione al bar sotto casa, e decido che non posso più vivere senza quelle grosse brioche fritte ripiene di ricotta e cioccolata, le iris. Le troverò anche in quelle terre così lontane?
Spoiler: sì, ma non così buone.
Spoiler 2: sticazzi, mangerò cose che non me le faranno rimpiangere.

Ci danno la macchina, solo che prima devono portarci fino a Cinisi e poi farci spaventare da un’impiegata con racconti orribili di furti d’auto, incidenti, righe sulle fiancate, per farci fare un’assicurazione extra. Rifiuto, figurati se vado a pagare 120 euri in più perché questa si deve prendere la sua percentuale, e l’impiegata dell’autonoleggio smette di colpo di essere amichevole e mi tratta con una freddezza immotivata che mi regala anche un po’ di soddisfazione. Vaffanculo, stronza, fattelo pagare da qualcun altro il tailleur nuovo.
Comunque partiamo, e finiamo imbottigliati subito dentro Palermo, poi di nuovo a Bagheria, poi in tutto il tragitto fino a Enna. Ogni due tre chilometri la strada si restringe e restiamo imbottigliati. E io che mi lamentavo delle autostrade liguri.
A Enna non ne possiamo più e usciamo a cercare da mangiare. Shasha trova su google un ristorante con buone recensioni, e per raggiungerlo saliamo fino in cima alla città, che sta su un monte, poi scendiamo dalla parte opposta senza vedere niente di questo posto che dev’essere anche interessante, così arroccato, e finiamo nella parte nuova, in basso, in mezzo a un quartiere anonimo che potrebbe stare benissimo in qualunque periferia del mondo.
Il ristorante promettente è una trattoria per operai in pausa pranzo, due primi due secondi caffè e basta. Siamo perplessissimi.


Trattoria Francesca, accà si mangia como na vota, dice il cartello. Una volta dentro scopri che non si riferisce al menù: sono sintonizzati su Radio Margherita, e la cuoca canta tutto il tempo le canzoni di Al Bano e Romina e quelle di Masini, aggiungendo malessere a disagio.
Capisco come devono sentirsi i marziani quando atterrano sul nostro pianeta e cercano di mescolarsi alla popolazione.
Mangiamo due porzioni abbondanti di tagliatelle fatte in casa, e non spendiamo neanche tanto, ma a parte questo non merita di essere ricordato a lungo.

Arriviamo ad Avola senza grossi impicci, tranne un cantiere ogni chilometro, che vorrei tanto uccidere qualcuno e capisco quelli che odiano i Benetton come se fossero loro in persona a sabotare i viadotti autostradali. Io cerco di capire che la realtà è più complicata di così e non si può addossare tutte le responsabilità su una persona, e infatti non vorrei uccidere i Benetton, è eccessivo, ma devo ammettere che prendere a calci una pecora adesso mi farebbe sentire un po’ meglio.
La casa è figa livello due punti esclamativi, e Pino è un simpatico cicciottello paraculo che sa fare bene il suo mestiere, ma merita davvero tutti i complimenti perché si sbatte a renderci il soggiorno il migliore possibile.

La spiaggia di Avola è un po’ un cesso, ci sono cicche ovunque, il degrado spunta dai bordi, neanche l’acqua sembra granché; facciamo un bagno veloce e andiamo a visitare il paese senza passare da casa. Il paese sembra meglio, ma per capirlo dobbiamo spingerci fino al centro, sulla piazza della bella chiesa barocca. Mangiamo tre panini ottimi e ci beviamo due birre a testa da U Putiaru, e spendiamo 20 euri. Torniamo a casa sporchi di sale e soddisfatti.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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