Mi sono fatto il mese gratuito di abbonamento premium su Spotify, volevo capire se c’è una differenza fra ascoltare la musica a babbo gratis e ascoltarla a babbo a dieci euro al mese. E poi volevo capire un po’ come funziona il suo servizio di messaggistica, che una volta ho ricevuto un messaggio e ho risposto, ma quando ho provato a scriverne uno io è rimasto lettera morta, come si dice in questi casi, che però non lo so se si dice anche in questi casi, tecnicamente non è neanche una lettera, forse dovrei chiedere all’Accademia della Crusca, se solo riuscissi a trovare il tasto invio.

seh magari

Che sarebbe anche una bella idea, se si capisse come funzionano queste robe di messaggistica musicale, io non l’ho mica capito, uno penserebbe a qualcosa di fighissimo tipo una radio personalizzata col servizio dediche come ai tempi delle radio private che di solito erano private della professionalità e sentivi certi speaker, che allora si chiamavano speaker, mica digèi, che parlavano come se avessero appena scoperto che quel signore all’ospedale che gli ha detto cancro non era un astrologo, e invece qui funziona che scrivi una roba a una persona e ti compare subito la scritta che l’utente in questione non ha ancora ascoltato quel brano che gli hai spedito, e quella scritta rimane tipo per sempre, forse è una scritta standard che compare appena pigi invio e non se ne va più perché quelli che hanno programmato questo servizio di messaggistica si sono dimenticati di scrivere anche il messaggio di conferma, magari erano stagisti, li pagavano in consigli, ed essendo una piattaforma di musica i consigli erano tutti sul genere oh tipo ascoltati questo gruppo cioè troppo figo, che bella soddisfazione, oramai i direttori sulla piattaforma hanno tutti venticinque anni laureati in dodici università prestigiosissime e hanno passato l’adolescenza a sbranare i concorrenti per poter arrivare dove sono adesso, e gli stagisti sono dei poveracci quarantenni riciclati dall’azienda che li ha messi in cassa integrazione, e a quarant’anni ne hai per il cazzo di farti consigliare musica da un ragazzino che ascolta roba che ai tuoi tempi quelli che ascoltavano quella roba lì li emarginavi in una grossa scatola di cemento persa da qualche parte nella nebbia bassopiemontese, e loro erano ben contenti di farcisi emarginare, c’era tutto il mondo lì dentro, si beccava un sacco di figa, mentre fuori, fra quelli che se ne capiscono, c’erano i soliti quattro tizi seduti su una panchina a menarselo con l’ultimo dei Nirvana.

Eppure io mi considero abbastanza al passo con la tecnologia, voglio dire, ho diversi lettori mp3 di cui solo la settimana scorsa ho scoperto la funzione di ricerca per cartella, cosa che ha migliorato enormemente il mio viaggio al lavoro; ho un tablet comprato su amazon per poterci leggere i fumetti scaricati, che è così lento, ma così lento, che quando sei riuscito ad aprire il fumetto che ti interessa è già uscito il numero successivo; ho una chitarra analogica, con le corde vere, il manico di legno e infatti non la so suonare, mi scappa il plettro dalle dita, ci cade dentro, smadonno ore per farlo uscire. Sono figlio di questi tempi digitali, e stamattina ho comprato la mia prima inserzione su facebook per promuovere il pablog.

E sì perché il pablog ha una pagina facebook che si chiama Pablog, da cui ricevo praticamente tutte le visite e su cui qualcuno mi commenta pure, mica come qua che i commenti non sai mai se funzionano, se ti devi iscrivere, se voglio anche dei soldi, e chi sei e chi ti ci ha mandato, ma abbiate pazienza, non è che sono diffidente, è che ricevevo un centinaio di messaggi al giorno da sovrani kenioti che mi volevano fare offerte pazzesche e ragazze russe che volevano comprarsi una stufa e aziende all’avanguardia nel prolungamento dei peni e farmaceutiche disposte a cedermi la loro produzione annuale di pastiglie azzurre, ho dovuto mettere un filtro, se non riuscite a dirmi quanto vi piaccio e se per favore vi mando delle mie foto nudo potete farlo su facebook, alla pagina del pablog. Però magari chiedetemelo in privato, se si scopre che diffondo mie foto nudo poi devo mettere un filtro anche lì e non so come si fa, ho scoperto di aver bloccato mia mamma per sbaglio una volta che ho cercato di nascondere un suo post di quelli che lo sapete, quelli che postano le mamme su facebook.

l’annosa piaga delle mamme su facebook

Tutte le mamme su facebook postano tutte le stesse cose, forse le trovano su Reddit alla pagina r/mammedifacebook, c’è un megagigantesco database pieno di cazzate che non fanno né ridere né indignare né commuovere a meno che tu non sia un tredicenne o una mamma, e le poche cose divertenti che ogni tanto si trovano sono roba che girava dieci anni fa.

Oh, scherzo eh? Non è vero che mia mamma l’ho bloccata per sbaglio.

Così ho creato quest’inserzione, non ne avevo mai fatte, non ci ho messo neanche una foto, dico una foto ce la vorrai mettere? No, c’è una descrizione breve, il link messo lì, è più triste di quella pubblicità dell’ascensore per anziani che non riescono a fare le scale, quello dove c’è la vecchietta che sorride felice perché finalmente potrà tornare al piano di sopra, dove saranno dieci anni che non riesce più ad andare, da quando le è venuta l’artrite, chissà se il gatto è ancora chiuso in camera.
Vabbè, è il primo, per il prossimo chiamo Oliviero Toscani e mi faccio fotografare mentre bacio una suora, ci vuole un bel coraggio a baciare una suora, metti che ci sta, come vi vedete poi? Devi farti frate? Devi fingerti l’idraulico che va a riparare lo scarico del convento per introdurti di soppiatto nella sua cameretta? E se voleste rendere pubblica la vostra relazione come funziona? Esiste un servizio di desuorizzazione? Il Papa di queste cose non ne parla mai, tranne il caso dell’arcivescovo di Costantinopoli su cui si è scritto molto non credo neanche che esista una manualistica adeguata. Forse dovrei smettere di scrivere racconti e mettermi a produrre guide pratiche per riempire i buchi informativi come questo: Capire le canzoni di Vasco Brondi in 24 ore, Tecniche per saltare la fila in posta, guide turistiche di posti dove vanno tutti per altre ragioni, tipo per lavoro o a fare la spesa.

Comunque via, l’inserzione è online, la pagina facebook è disponibile, ogni tanto ci scrivo qualcosa che poi non metto qui, perciò se siete alla ricerca di materiale inedito da far diventare preziosissimo quando non ci sarò più perché quel tizio che mi ha parlato all’ospedale ho scoperto che non era mica un astrologo, cominciate a seguirla e fatevi un sacco di screenshot col telefono, voi che sapete come si fa, che io l’ultima volta che ci ho provato ho bloccato mia mamma.

Non so come facevano i nostri genitori a superare queste crisi ai loro tempi, quando non disponevano della tecnologia odierna. Come la pipetta di ventolin per un asmatico io non esco mai di casa senza il mio blister di ansie tascabili, la mia pastiglia di veleno per le emergenze. Mi sono infilato in un vicolo e, al riparo da occhi indiscreti, ho preso il cellulare e mi sono fatto una pera di facebook. Ognuno ha i suoi metodi preferiti, c’è chi prima scalda il cucchiaino con qualche commento salace e chi si infila diretto nel calderone dell’odio politico. Io cercavo dolore, è quella la mia droga. Più efficace, pulita e nobile dell’odio. Quello casomai viene dopo, per rifare la punta al paletto che mi pianto nel cuore.
Ho aperto la bacheca e li ho letti tutti, i vostri messaggi. Quelli dove siete in vacanza e non vorreste tornare più. Quelli dove scrivete RIP per commentare la morte di un personaggio famoso. Quelli dove avete ragione voi, che sono la maggior parte, avete sempre ragione voi su qualunque cosa, la ragazzina violentata e il cane abbandonato e la dieta salutista e i migranti e il referendum.
Avete. Sempre. Ragione. E questa cosa mi fa sentire solo, perché io ragione non ce l’ho mai, neanche quando vi vengo davanti e urlo, quando vi pugnalo al buio, quando vi ignoro, dentro di me lo so che sto sbagliando, e vorrei sedermi e chiedere scusa per tutte le volte che non sono stato all’altezza delle vostre aspettative, ma ho un orgoglio così duro e radicato che non lo sposto più, e l’unica cosa che posso fare è fingere. E intanto dentro si spande un’altra mano di catrame sul giardino dei miei buoni sentimenti.

Sono uscito dal vicolo che tremavo, ma mi sentivo meglio, più stabile. Sarei riuscito a tornare a casa.
Una signora con un cagnolino al guinzaglio mi ha chiesto se avevo bisogno d’aiuto, dovevo avere un aspetto orrendo. L’ho guardata, avrà avuto cinquant’anni, bionda, elegante. All’altra estremità del nastro colorato una specie di topo dal muso piatto mi fissava coi suoi occhi a palla.
In un’altra occasione avrei provato un sentimento di amore sincero per quella donna, ma ero in pieno rush vittimista, li volevo solo tutti morti. Ho dato una pedata al cane e me ne sono andato via, lasciando la donna a strillare “Gaetano! Gaetano!”. Dopo un momento è arrivato uno spilungone, evidentemente Gaetano, che mi ha inseguito e mi ha preso per un braccio.

“Perché hai picchiato Gaetano?”
“Eh non ho capito un cazzo”, ho risposto, divincolandomi e riprendendo a camminare.
“Sei un uomo di merda!”, ha insistito quello che a quanto pare non era Gaetano.

Ho sentito un istinto fortissimo a dipingermi un teschio sulla maglietta, imbracciare un Zastava M70 e dispensare giustizia dal marcato accento balcanico.
In tasca avevo solo le chiavi di casa, le ho strette nel pugno e ho colpito il tizio al volto, con tutta la forza di cui ero capace. Mi sono fatto malissimo. Lui no, non ha battuto ciglio e mi ha preso a scappellotti fino a farsi venire il fiatone. Non era molto in forma, sennò stavamo lì ancora adesso.

Mi sono riavviato verso casa con uno zigomo gonfio, la camicia stropicciata, gli occhiali storti. Dentro stavo messo peggio, che non lo sapevo come stavo dentro. Avevo voglia di piangere, ma mi sentivo stranamente reattivo, come se le botte fossero state quello che segretamente anelavo di ricevere da tempo. Una punizione per le mie brutture, una ragione per il mio perenne senso di colpa, mi sentivo come se avessi trovato finalmente il mio posto nel mondo. Ce ne volevano di più.

Ho chiamato un numero a caso della rubrica e ho insultato la persona che stava di là, così, gratis. Poi l’ho fatto col numero successivo e con quello dopo ancora. A quelli che non rispondevano spedivo un messaggio vocale su whatsapp in cui offendevo i loro genitori. Era pazzesco come mi facesse sentire libero! Fra una telefonata e l’altra mostravo il medio agli automobilisti, ma non si è fermato nessuno e finalmente ho raggiunto il portone di casa, miracolosamente vivo.

Ho scoperto di non avere più le chiavi: me le aveva strappate di mano il padrone di Gaetano e le aveva tirate oltre un muro, ma al momento ero troppo indaffarato a guardare l’altra sua mano che mi si schiantava in faccia. Dopo la colluttazione mi ero dimenticato di andarle a riprendere. Avrei dovuto farlo adesso.
Il mio corpo mi diceva di no, tutta l’adrenalina era stata riassorbita, lasciandomi esausto, e così le sostanze di cui andavo ghiotto. Mi sentivo svuotato e privo di scopi. La vita mi faceva di nuovo schifo. Di colpo l’eventualità di prendere altre botte mi faceva stare male, chissà perché.
E se fossi tornato indietro avrei rischiato di incontrare alcune delle persone cui avevo fatto gestacci, c’era la possibilità di rendere lo schifo attuale il gradino più alto di un disfacimento pericoloso.

Non riuscivo a trovare un equilibrio, mi sentivo sballottato su questo tagadà emotivo senza maniglie né orario di chiusura. Avevo paura che sarebbe durato per sempre, con me al centro a cercare di tenermi in equilibrio e a sbattere continuamente contro le persone che mi stavano intorno, fino alla totale distruzione. Era inevitabile che sarei morto, prima o poi, ma avevo sempre nutrito la speranza di arrivarci vivo.

È stato allora che ho deciso di uccidermi.

Perché se il destino di chiunque è morire bisogna cercare di rendere l’attesa un percorso piacevole, sfruttare quel poco che si ha nella maniera migliore, allontanare i guai, tenersi vicine le cose belle quando le si incontra, imparare e crescere e affastellare ricordi come fotografie su una parete, una addosso all’altra, una migliore dell’altra, tanto da spendere il proprio ozio a non saper decidere quale riguardare prima.
Ma se ogni passo verso l’inevitabile traguardo è in sottrazione, se quando guardi la tua parete la trovi spoglia e ogni foto che riprendi in mano, per ingiallita che sia, è migliore di quello che le sta di fronte, se la cosa più bella che hai è un letto dove spegnere la luce e il dolore ogni sera un po’ prima, se non trovi niente, non vedi niente, non senti di avere niente per cui andare avanti, allora non è più vita, è stare in coda ad aspettare il tuo turno per restituire questa roba che ti hanno prestato, e che non sei mai stato capace di far funzionare.
E allora meglio prima che poi. Meglio subito.

In casa avevo coltelli in quantità, prese elettriche, finestre abbastanza alte, corde.. Ero sicuro che il materiale non mi sarebbe mancato..
Ma come è meglio uccidersi? Perché questa cosa va pianificata, non è un gesto che si può improvvisare. Se poi non funziona rischi di ritrovarti disabile, in una condizione peggiore di quella di prima, e senza alcuna possibilità di porvi rimedio. Allora sì che diventa davvero aspettare di andarsene.
No, dovevo farlo per bene.
Il dolore non mi spaventava, ma avevo capito che mi faceva sentire meglio, e non c’è come sentirsi meglio appena prima di ammazzarsi per vanificare il gesto. Avrei dovuto trovare un modo indolore di togliermi di mezzo.
I sonniferi mi sembravano una soluzione perfetta: te ne cali trenta quaranta pastiglie, ti viene sonno, non ti svegli più. Pulita, sicura, senza sangue che fa brutto da trovare e se uno volesse riciclare il mobilio avrebbe dei problemi.
In casa non avevo sonniferi, come ho detto le mie droghe sono tutte endogene, e nessuna farmacia me le avrebbe vendute senza la ricetta. Avrei dovuto consultare un medico.

Fu così che mi decisi a farmi seguire da uno psicanalista.

(continua)

Una domenica apro internet e leggo che Gesù è tornato sulla Terra e va in giro per Torino.

Sarà un amico della ballerina Anna, penso, e passo oltre, che a me dei matti frega solo quando me li trovo davanti armati. Solo che questo non è matto, è Gesù, e per dimostrarlo si mette subito a fare proselitismo per strada, ma nessuno lo caga, tranne la polizia che lo porta in questura per accertamenti. È senza documenti, lo mettono in cella, ma il giorno dopo lo rilasciano, dopotutto non ha fatto niente di male, se vuole andare in giro vestito con un lenzuolo sono cazzi suoi.

Così Gesù torna in strada, e dopo qualche giorno che se ne va in giro evitato da tutti si avvicina una ragazza e gli chiede se possono farsi una foto insieme da mettere su facebook.

“Cos’è facebook?”, chiede Gesù.

“Minchia raga, questo non conosce facebook!”

In un attimo tutti vogliono incontrare Gesù, parlare con lui e farsi la foto insieme a quella bestia strana che non ha mai visto facebook. Il giorno dopo lo conoscono tutti come “l’uomo che non è su facebook”, e i giornali cominciano a parlare di lui. Adesso che è diventato famoso bisogna aprirgli una pagina facebook, che viene chiamata “la pagina facebook dell’uomo che non è su facebook”, ma siccome è un po’ troppo complicato lui suggerisce di chiamarla semplicemente Gesù.

Sembra funzionare tutto per il meglio, in un attimo si fa dodici amici coi quali condivide parabole brevi ed efficaci che diventano subito virali. Il suo video in cui cammina sulle acque fa il botto su youtube, Fazio lo invita in trasmissione, l’hashtag #messia è il più utilizzato ovunque. Impennata di conversioni, la popolarità della chiesa è alle stelle. Gesù ci prende gusto, si apre un blog, passa le giornate su twitter, sulla sua pagina instagram le foto di pane e pesce si moltiplicano.

Finché.

Una mattina, sul blog www.iocristo.it, compare un articolo contro i mercanti farisei, che hanno adibito il tempio cittadino a luogo dove concludere i propri commerci. Gesù sostiene che il comune dovrebbe fornire loro un edificio più consono, e restituire la chiesa alla propria funzione, che non è di certo quella di maneggiare denaro.

La reazione è immediata: per primi si alzano i sindacati di categoria, stanchi di fare da capro espiatorio, già ci fate pagare le tasse, cos’altro volete da noi, piuttosto convincete i turisti a girare nei giorni feriali, che la domenica siamo chiusi e non possiamo guadagnare.

Poi viene il comitato di quartiere: se ci mettete il mercato vicino a casa non sappiamo più dove parcheggiare, e i camion tutta la notte, qui siamo gente per bene che si alza presto.

Poi il centro islamico che reclama un luogo di culto per sé, ce lo siamo pagato, lasciatecelo costruire dove ci pare.

Poi di nuovo quelli del quartiere, che gli islamici no allora meglio il mercato.

Poi Salvini che le chiese ve le fate a casa vostra, ma non si capisce più a quale si riferisca, fra l’altro anche Gesù è arabo, tanto per aumentare la confusione.

L’unico che si tiene fuori dalla polemica è Gasparri, che quando ha visto la foto di Gesù su internet ha commentato “Avete rotto il cazzo con sto Jim Morrison”.

Gesù prova a difendersi: lo hanno già crocifisso una volta, non rifarà gli stessi errori. Scrive sulla sua pagina facebook un messaggio ai fedeli in cui li esorta al perdono e alla comprensione, ma ricorda loro che ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione in tutta libertà, e che il confronto civile è alla base della democrazia e stimola la crescita intellettuale.

Le risposte più garbate gli augurano di morire gonfio, c’è chi gli insulta la madre e chi mette in dubbio la sua discendenza divina. Danno del cornuto a San Giuseppe, alludono a un’amicizia particolare fra la Madonna e l’asinello, gli suggeriscono che se non vuole più risalire al cielo può ricreare la comunione celeste ficcandosi la cometa nel culo.

I filoisraeliani lo odiano in quanto palestinese, ma lo aggredisce anche la sinistra radicale perché comunque resta un ebreo.

Circolano delle immagini animate in cui John Travolta mostra la sua merce nel tempio e Gesù gli tira una scarpa.

La Chiesa, che prima lo aveva supportato con calore, gli volta le spalle: papa Francesco in un’omelia invita i fedeli a diffidare dei falsi profeti.

È un inferno, la popolarità di Gesù è ai minimi termini, il governo gli affida una scorta quando gli recapitano una busta con dentro un proiettile; la gente per strada lo ignora, poi in rete gli augura la peste nera.

Poi qualcuno gli tende una mano, inaspettatamente: Gianni Morandi gli scrive una lettera e la pubblica su facebook, visibile a tutti. Il cantante gli suggerisce di modificare la propria condotta: “se vuoi avere successo devi mostrarti amico di tutti! Spendi sempre una buona parola per i più deboli e soprattutto non criticare mai!”. Dice che non deve perdersi d’animo, che ha fatto del bene a tutti e che è certo, tutti se ne ricorderanno e gli perdoneranno una piccola svista. In fondo nessuno è perfetto, ed è giusto che non lo sia neanche lui, perché è un uomo come noi, coi suoi difetti e le sue debolezze, ed è proprio per questo che gli vogliamo tutti bene. Un abbraccio.

Tutte le critiche cessano, le cattiverie vengono spazzate via. Dall’oggi al domani tutti vogliono essere amici di Gesù e fanno a gara a chi gli mostra più comprensione. Gli stessi che davano della donna facile a Maddalena ora mostrano il petto in difesa del pover’uomo così ingiustamente bistrattato. Anche Gianni Morandi viene osannato, ma quello succedeva anche prima.

Dopo qualche giorno i due si fanno fotografare insieme mentre vanno al cinema a vedere l’ultimo Guerre Stellari.

Gianni Morandi gli suggerisce di scrivere qualcosa a riguardo, ma di non prendere posizioni, che i fans sono piuttosto suscettibili su quell’argomento.

“Scrivi un commento che metta d’accordo tutti, non ti sbilanciare troppo”.

Gesù pubblica un tweet: “Gran bel film! Peccato che non sia stato tenuto il miglior personaggio della saga, quel simpatico alieno con le orecchie da cocker!”.

Il giorno dopo internet esplode.

Senti, io ci ho provato a scrivere qualcosa di pancia, ma le disgrazie mi fanno tacere, e dopo dieci minuti salta fuori qualcuno più bravo che dice le cose veramente profonde e mi passa la voglia di aggiungere la mia voce alle sei o sette (cento (mila)) che intanto hanno trovato la foto della Tour Eiffel o si sono messe il tricolore sulla foto profilo, e io cos’altro posso aggiungere, che mi sono mangiato una baguette?
Sarebbe il caso di scrivere qualcosa di diverso perché la vita va avanti nonostante le tragedie, e anzi, soprattutto, che a piantarsi lì come chiodi si finisce per ribadire concetti certe volte pure sbagliati, che basta un attimo che salta fuori lo scaltro opportunista capace di dire la cosa di pancia che ci vuole in quel momento, e certe volte il guadagno si esprime in like, altre in voti, e intanto di qua è un florilegio di frasi e pensieri ed emozioni che ti fanno capire quanto sia inutile odiare il tuo prossimo, siamo davvero tutti uguali, basta guardare la bacheca di facebook.
Guarda, io ci ho provato, ho scritto una roba che mi è uscita così, di pancia, ma a metà ho fatto la cazzata di andare a vedere cosa succedeva in giro, e mi sono trovato quello che soffre ascoltando Aznavour, quello che empatizza alla mostra di fotografia su Parigi, quello che sei mesi fa era proprio lì e ti mostra la foto del biglietto del Louvre, madonna quante lacrime, e io scusa, ma le cose che mi fanno male non sono capace di condividerle, e infatti qui non voglio farti sapere come mi ha fatto sentire la notizia, vorrei solo ricordarti che non sei un esperto di politica estera, non sei un sociologo, e neanche un poeta, scusa, davvero, evita di andare a capo a cazzo quando condividi il tuo dolore, va bene lo stesso, ci crediamo. Però meno, per favore. Soffri un po’ meno.

Va bene che facebook è fatto per scambiarsi pensieri semplici, ma quando venti persone in bacheca sentono il bisogno di far sapere al mondo che “fa caldo!” anche la poca fantasia smette di essere una scusa e mi viene il dubbio di avere a che fare con dei decerebrati. Per forza che “fa caldo!”, siamo d’estate, cosa deve fare, freddo? E quando facesse freddo cosa dovrei leggere se non i vostri commenti sul fatto che “fa freddo!”? Ma davvero non avete altro da dire a riguardo?

Ecco perché ho pensato di venirvi incontro redigendo cinque (non dieci, cinque) possibili aggiornamenti del profilo di facebook in cui si dice che fa caldo, ma si parla anche d’altro, come dovrebbe essere fra persone intelligenti.

  1. Informativo: La temperatura odierna ha stabilito un picco di 38°C nelle principali città italiane che non si registrava dal luglio 1979, a Milano, quando i vigili urbani, per non restare squagliati agli incroci, adottarono come divisa estiva la canottiera nera e il perizoma. L’idea non ebbe il successo sperato: le caserme vennero tempestate di segnalazioni da parte di cittadini terrorizzati, che credevano di essere stati invasi dai pinguini spaziali di Urano, e si dovette tornare alla vecchia divisa.
  2. Nostalgico: Questo caldo mi fa tornare in mente quella volta in cui mio nonno Spaturnio mi portò al mare. Avevo sei anni, passai il pomeriggio sotto il sole a scavare buche nella sabbia con la mia paletta. Il nonno mi guardava da sotto l’ombrellone, sorridendo, poi si appisolò. Dopo tre ore dormiva ancora. Dopo sette ore la spiaggia aveva cominciato a svuotarsi, il bagnino stava ritirando le sdraio, ma mio nonno era sempre lì a ronfare placido. Si scoprì che gli era venuto un colpo, poverino. Lo seppellimmo sotto una cabina e io venni adottato da un ambulante napoletano, con cui trascorsi i successivi dieci anni vendendo cocco bello.
  3. Ludico: Oggi fa caldo come in quel film dove dei tizi cominciano a litigare in una pizzeria, poi la cosa degenera e uno muore strangolato da un poliziotto. Chi sa dirmi il nome del proprietario della pizzeria?
  4. Poetico: Nonostante il caldo opprimente di questi giorni, sto molto fuori.
    So fin troppo bene quanto questa bellezza sia effimera,
    come rapidamente si accomiata ed io sono così bramoso,
    così avido di questa bellezza dell’estate che declina!
    Vorrei vedere tutto, toccare tutto, odorare e assaporare
    tutto ciò che questo rigoglio estivo offre,
    vorrei conservare tutto questo e tenermelo per l’inverno,
    per i giorni e gli anni futuri, per la vecchiaia.
  5. Allarmista: E se la temperatura continua a salire e ad un certo punto i corsi d’acqua evaporano e i mari si prosciugano e la Terra diventa un immenso deserto con le navi arenate sulle dune e tutta l’agricoltura del mondo avvizzisce e i vegetali diventano una merce così rara e preziosa che c’è gente disposta ad uccidere per procacciarsi una piantina qualunque, c’è una vaga possibilità che mia moglie la smetta di cucinarmi bietole per cena?

Lo si legge ovunque, facebook è un sistema subdolo, che ti fa entrare in un attimo, e poi ti impedisce di uscire. Hai, certo, l’illusione di esserti cancellato, ma in realtà il tuo profilo è sempre lì, intatto, e basta ripensarci, inserire nuovamente la password, ed eccoti di nuovo dentro, tutti i tuoi amici presenti, come se non te ne fossi mai andato.
“Bello!”, dirà quello che non se ne vorrebbe mai andare e passa le giornate attaccato a word challenge.
“Bello!”, dirà quello che vorrebbe anche cancellarsi, ma sa che non troverà mai il coraggio sufficiente, e intanto che ci pensa sfonda tutti i record a geo challenge.
“Bello!”, dirà quello che non sa neanche di cosa sto parlando, perché troppo impegnato a perdere diottrie davanti a belincheteneghe challenge.

Ebbene signori, conosco uno che è riuscito a cancellare completamente ogni traccia di sè dagli archivi di quello che in molti definiscono “il diavolo di internet”, e siccome non mi sentivo abbastanza fico, l’ho intervistato.

Abbiamo qui il signor Pablo Renzi, ex utente di facebook. Buongiorno signor Renzi, vuole raccontarci la sua storia?
Certo! Vede, io ero lì che mi stavo spaccando a giocare a Pet Society, quando..

Un attimo, a giocare a cosa?
A Pet Society, un gioco in cui interpreti una specie di pupazzetto, che vive in una casa e ha degli amici.

E che ci fa in quella casa?
Niente, si affama e comincia a puzzare. Però può comprare delle cose, tipo vestiti, arredi, cibo..

Ma è un tamagochi!
Più o meno, però ci giochi coi tuoi amici.

E lei aveva creato questo pupazzetto?
Si, si chiamava Rantolino, viveva in una casetta in centro, col caminetto e la scritta “Rantolino Spacca” appesa sopra. Aveva un sacco di amici, e ogni tanto li andava a trovare.

E puzzava?
Da paura. Però era simpatico.

E poi cos’è successo?
Vede, per potersi comprare le cose bisognava guadagnare del denaro, virtuale ovviamente, solo che nel mondo dei pupazzetti non si può andare a lavorare.

Vendeva droga?
No, neanche quello si può fare. Si guadagnano soldi andando a trovare gli amici. Oppure ci si fa regalare roba e la si rivende.

Vendeva droga!
Macché, non quella roba! Vede, per facilitare la cosa ci si poteva iscrivere con un altro nome e crearsi un altro personaggio, poi si intratteneva un fitto scambio fra i due, e ciò permetteva di guadagnare più velocemente e comprarsi cose molto costose.

Non ho capito, ma mi sembra una stronzata.
Beh si, non ha molto senso.

In pratica cos’è successo?
Eh, che ho creato un nuovo utente di facebook, e gli ho assegnato, per comodità, lo stesso indirizzo che avevo associato al mio profilo reale. Siccome non è possibile condividere lo stesso indirizzo, quando ho confermato il cambio il sito ha sovrapposto il profilo del nuovo utente, ancora vuoto, al mio, di fatto eliminandolo.

Ha cancellato tutto?
Tutto. Contatti, record ai giochi, foto..

Anche il pupazzetto Rantolino, quindi.
Anche lui. Poverino, non aveva nessuna colpa, e si è volatilizzato nel nulla della rete, così, senza alcun preavviso.

Eh già, la vita è talmente fragile..
Ora ci sei, ora non ci sei più.

E’ triste?
All’inizio ci sono stato male, sa, ci ero affezionato a quel mostro, gli avevo appena comprato due tazze rosse e blu da mettere sopra il letto..

Perché sopra il letto?
Metti che di notte gli scappa e non riesce ad arrivare al bagno..

E ora le è passata?
Eh i primi cinque minuti sono stati frastornanti, ma poi è subentrato un sentimento nuovo.

Quale?
Onnipotenza. Ho il potere di vita e di morte su una creatura, seppure virtuale. Si rende conto che figata? Oggi gli dò da mangiare, domani lo schiaccio come un verme! Muah hah hah hah!!

Già.
Argh argh argh!!

Pensa di reiscriversi al network?

E sbattermi a ricrearmi tutti i contatti? No, guardi, se mi scrive facebook e mi dice “Ci siamo accorti che hai fatto un casino, abbiamo rimesso a posto ma la prossima volta stai attento” potrei anche riprendere, ma altrimenti credo che ne approfitterò, e mi dedicherò a passatempi più redditizi. Sa cos’ha facebook? Che ti permette un sacco di cose, ma alla fine non fai niente. Hai la possibilità di entrare in contatto col mondo, ma poi non gli dici niente, al mondo. E’ dispersivo. E perdi un sacco di tempo che potresti dedicare ad altro.Insomma, come impiegherà il tempo libero da facebook? Filantropia?
Siti porno.

Ha intenzione di riprendere in mano il blog?
Credo che abbandonare facebook avrà anche questa conseguenza. In effetti è principalmente questo la ragione per cui ho accettato di farmi intervistare, comunicare agli amici che me ne sono andato da lì e sono tornato qui.

Però qui ci deve anche scrivere, sennò uno come fa a capire che è tornato davvero qui e non si trova invece fra qui e là, in un luogo intermedio che chiameremo, per esempio, last fm?
Last fm è una figata, ma non ha i giochini.

Tanto ai giochini la battevano sempre tutti.
Bastardi, non ci tornerò mai più su quel sito di merda!!!

Non è che la ragione del suo rifiuto improvviso di facebook è in realtà questa?
No no, però sono tutti dei bastardi, soprattutto Lara e Cinelli.

Ebbene si, gente, cancellarsi da facebook è possibile, e non è neanche vero che si muore!
Almeno nei primi dieci minuti.