Gli italiani sono un popolo ben strano, gli aumenti le tasse e se ne stanno, gli metti un puttaniere come presidente e se ne stanno, glielo metti pregiudicato, mafioso, lo circondi di nostalgici del regime, piccoli e grandi delinquenti, e questi niente, imperterriti, al limite mugugnano al bar prima di aprire la Gazzetta e vedere se l’Inter si tiene Milito.
Poi scoppia la rivolta in Tunisia, e tutti dicono che eh, ci vorrebbe qui da noi, che questa classe politica sarebbe da mandare via a calci, però alla fine non succede niente. Scoppia la rivolta anche in Egitto, e tutti dai che forse è la volta che ci svegliamo, epperò niente neanche stavolta, l’Inter pare che Milito se lo tenga, vai un po’ a vedere chi compra il Milan.
Un giorno in Spagna, che ha un governo che magari non è il migliore del mondo, ma che qui ce lo sogniamo di notte, decidono che non si sentono abbastanza rappresentati, che la loro non è mica democrazia e scendono in piazza, e sono tanti.
Ora dico, la Spagna non ha un governo ridicolo come lo abbiamo noi, ha perfino un’opposizione reale, e sono tutti per strada a lamentarsi, possibile che noi no? A qualcuno viene su un conato di nazionalismo, che farsi superare dalla Libia ci sta, ma dalla Spagna no, eh?
Si sente in sottofondo l’inno nazionale, che nelle questioni di chi sia più figo fra gli stati europei è quello dei mondiali, e poo poppò poppo poo poo, ci si organizza per andare in piazza anche noi!

Oppure è solo finito il campionato e la sera non si aveva niente di meglio da fare, fatto sta che ci si dà appuntamento mercoledì 25 maggio in piazza De Ferrari.

Non è stato facile convincere le persone ad alzarsi dal divano, e le altre associazioni si sono messe subito di traverso, quelli della Sinistra Porcoddue non si sentono rappresentati dallo slogan e allora bisogna discutere di cosa scrivere sui cartelloni, sennò loro non ci vengono a far figure, e quelli dell’Opposizione Siamo Noi dicono che invece loro non sono d’accordo sul giorno, che il mercoledì hanno la partita a calcetto, poi ci sono quelli di Italia Svegliati che hanno dei dubbi su Piazza De Ferrari e vorrebbero fare il presidio alla stazione, mentre gli incazzati di Contro Tutti non vengono perché ci sono anche gli altri e loro contro-tutti-e-con-nessuno sennò devono cambiarsi il nome e allora bisogna fare una riunione di emergenza e fino alla settimana prossima non hanno tempo.

Insomma, alle nove in piazza ci siamo io, il Subcomandante e due ragazzi di un centro sociale che però hanno già detto di avere degli impegni. E basta.
Marzia parte subito con gli improperi danteschi, ahi genovesi popoli diversi, perché non sono io pel mondo spersa e invece sto qui insieme a voi morti di seghe? Ma io me ne vado a vivere in Olanda e vi frego tutti, merde!
“Guarda che così va a puttane l’endecasillabo”, commento, ma è inutile, quando parte per le sue crociate non ascolta più nessuno. Non mi resta che tirare fuori il picino e mettermi a cercare una rete wi-fi per giocare a elements.

Come tiro fuori il computer comincia ad arrivare gente, erano già tutti lì in attesa di un segno, hanno visto un tizio con gli occhiali e il portatile e si sono avvicinati convinti di essere al cospetto dell’organizzatore occulto.

No, guardi, io sono solo uno, l’organizzatore non so chi sia”, vorrei dire loro, ma Marzia è in piedi sul muretto ad arringare la folla col piglio del leader, la mia presenza è ormai superflua, qui si fa la rivoluzione senza alcuna distinzione e sembra già di sentire la tromba di Roy Paci scandire il ritmo della protesta.

Arriva un gruppetto e ci dice che il vero organizzatore è un ragazzo con la maglia gialla, guardate, è quello laggiù che sta stendendo manifesti. Ci uniamo al gruppo e transumiamo presso la “base”, seguiti da quelli che nel frattempo si sono aggregati.

In un attimo in piazza ci sono un centinaio di persone, hanno slogan sulle lenzuola, manifesti a pennarello, hanno la faccia da studenti, qualcuno ha portato la tenda, altri la birra, tutti quanti la curiosità di vedere cosa succede. Gira un tizio con una telecamera da reporter, intervista l’organizzatore, poi un punk, che fa sempre scena, poi sparisce, ed è l’unico contatto con l’informazione che il presidio ha in tutta la sera.

I ragazzi che hanno organizzato l’incontro tirano fuori due megafoni da bambini e chiedono ai presenti di sedersi, e la maggior parte lo fanno, poi si presentano e leggono il loro volantino, ma non si sente veramente un cazzo di quello che dicono, e la gente comincia a sbuffare.

Interviene qualcuno a lamentarsi della situazione italiana, gli organizzatori dicono che va bene, ma che ci vorrebbero delle idee, sennò stiamo in piazza a fare niente. Un tizio, che credo appartenga a un centro sociale, dice che bisogna fare casino in via XX Settembre, alla Regione, butta là un “saccheggiare” che non viene preso sul serio da nessuno. Ancora gli organizzatori apprezzano, ma non ci sarebbero idee migliori? Tipo come mantenere il presidio più a lungo?
Più che all’avanguardia di una rivoluzione sembra di essere ad un gruppo di autoaiuto, commenta qualcuno.
Una ragazza propone di portare strumenti e suonare, occupare la piazza occupando il tempo.

Poi prende la parola un ragazzo con la barba e i pantaloni col cavallo basso, alla turca, dice di essere appena arrivato e di non sapere cosa succede, però ha capito che a parte l’entusiasmo lì non c’è altro, e tira su un pippone sulla lotta di classe e su come ostacolare il potere colpendolo nel portafoglio. Restano tutti un po’ spiazzati, che ad alzarsi e dire che una manifestazione è male organizzata è capace chiunque, più complesso è suggerire qualcosa di concreto, ma poi viene fuori che il tizio appartiene al gruppo di Quelli Che Lo Hanno Fatto Prima E Meglio; è l’ultimo rappresentante della sinistra che mancava all’appello, ci si chiedeva che fine avesse fatto, qualcuno temeva uno scontro con le forze dell’ordine, che Quelli Che Lo Hanno Fatto Prima E Meglio ci si picchiano sempre con la polizia, fa parte del loro rito di riappropriazione del territorio. In effetti tendono a riappropriarsi sempre del territorio di cui si sta già riappropriando pacificamente qualcun altro, come se fosse l’unico territorio riappropriabile, e di solito finisce che il territorio poi viene riappropriato solo dai lacrimogeni e da qualche cassonetto ribaltato, e non resta che andare a riappropriarsi di un territorio un po’ più in là.
Cavallo Basso elenca i maggiori successi del suo gruppo d’azione, occupazione di scuole, autostrade, stazioni e autogrill, ma non devono essere stati particolarmente efficaci, perché alla fine l’Italia è nella stessa merda in cui si trovava quindici anni fa, grazie tante. Forse sarebbe ora di cambiare strategia.

Fa una comparsata anche Don Gallo, ma resta ai margini dell’assembramento, discute con qualcuno e poi va via senza prendere la parola. Peccato, magari poteva dare un po’ di slancio. Più probabilmente avrebbe tenuto banco fino allo sfinimento (suo o nostro) e si sarebbe dovuto strappargli il microfono a forza.

Verso le undici e mezza decidiamo che va bene così, il megafono passa di mano senza soste, ma nessuno ha ancora buttato giù un piano, anche di breve durata. Si parla di aggiornarsi a sabato sera, in piazza ci sarà anche una festa, si potrebbe cercare di usarla come trampolino. Più che altro si parla, si parla, ma di concreto poco.

E si che c’è appena stata la manifestazione degli operai di Fincantieri, ce ne sarebbe da fare, contattarli, farli venire a parlare, agganciarsi alle altre piazze d’Italia, visto che con le altre associazioni di Genova non c’è dialogo, che sono tutti degli snob di merda.

Speriamo che la notte porti consiglio..

“Sono tornata!”, ha detto il Subcomandante Marzia appena varcata la soglia dell’ECLN.
“Cos’è sto casino??”, ha aggiunto immediatamente dopo.
“Possibile che non vi si possa lasciare una settimana da soli senza che riduciate l’accampamento in un.. la casa in un accampamento? Questo non è al suo posto! Questo è sul divano da quando sono partita! Non hai fatto la lavatrice! Non hai pulito i pavimenti!”

Era partita una settimana prima per andare a insegnare la revoluciòn ai popoli oppressi del Porto Antico, lasciando ai suoi fidati luogotenenti il comando dell’Ejercito Cadigattista, ma al suo ritorno le cose non sembravano soddisfarla.

“E non mi soddisfano no! Questa caffettiera è sporca del caffè che ho preparato io dieci giorni fa! E questi calzini sono buttati lì da almeno otto! E questi pezzi di cylone cosa ci fanno sul mio tappeto? Ti avevo detto di assemblarlo e rispedirlo nello spazio!”

Io non sapevo cosa dire, ho guardato El Bastardo cercando di fargli ricadere la colpa addosso, ma lui ha prontamente indicato One Eyed Jack, che si è voltato a cercare Morelia Toñita De La Selva De Lacandona, che però era in giardino a prendere il sole. È stato inutile, il Subcomandante era infuriato e non sarebbe certo stato con lo scaricabarile che avremmo evitato la condanna.

“Siete tutti sottoposti a embrago, così imparate!”

Embargo? Ci siamo guardati tutti perplessi, l’ECLN non è una nazione dipendente dalle risorse estere, cosa ci avrebbe impedito di portare in casa il nostro jefe?

“El Bastardo e Morelia si vedranno bloccare i croccantini! One Eyed Jack le scatolette al manzo!”
“Quelle al manzo?”, ha protestato il gringo, “Non si potrebbero embargare quelle con la trippa, che mi fanno cagare?”. Anche i due baffudos hanno cercato di convincere il loro Subcomandante che non poteva togliere loro il pasto, e di cosa avrebbero campato? Ma Marzia era inflessibile. “Mangerete quello che saprete procurarvi!”

Ho dedicato ai poveri compañeros un’alzata di spalle, ma la revoluciòn richiede sacrifici. Me ne stavo andando di là a giocare con la pleistescio, quando il tiranno con cui divido la branda mi ha bloccato.

“Tu rinuncerai ai fumetti di Ratman!”
“Coosaa? Masseifuoorii??”
“Niente proteste, ho deciso così e così dev’essere!”
“Ma non posso rinunciare ai fumetti di Ratman! Cosa leggerò?”
“Non mi frega. Arrangiati.”

Ho tentato una mossa di sottile astuzia, chiedendo se potevo almeno continuare a comprare la copia del Ratto per un mio amico che vive all’estero, ma evidentemente il Subcomandante è più astuto di me, perché ha risposto che l’avrebbe presa lei, e se la sarebbe tenuta giù in negozio.

Era una tragedia, già mi vedevo a disegnarmi da solo le tavole di Ratman e poi rileggerle, e scoprire che non mi facevano ridere perché conoscevo già le battute, ma poi che storie avrei saputo inventare? L’unica che mi veniva in mente era quella di Kingpin che scopre l’identità segreta del Ratto e gli fa revocare la licenza di avvocato, ma avevo il sospetto che fosse già stata usata.

“Ti rendi conto che non sopravviveremo, vero?”
“Palle! I cubani ci riescono benissimo da decenni!”
“Ma i cubani stanno a Cuba! Mi ci vedi a suonare i timbales e cantare la bayamesa?”
“I timbales voglio suonarli io!”, ha detto El Bastardo.
“Io la chitarra! Io la chitarra!”, è saltato su One Eyed Jack.

A rimettere le cose a posto è stata, inaspettatamente, Morelia Toñita, rientrata dal giardino, che all’idea di dover cacciare lucertole per pranzo ha acceso la miccia della rivolta.

“Noi non accettiamo gli ordini di un tiranno senza cuore!”
“Io non sono un tiranno! Sono il capo della revoluciòn!”
“E allora viva la revoluciòn della revoluciòn! Libertà! Libertà!”
“Libertà!”, ha gridato subito El Bastardo.
“Libertà!”, mi sono aggiunto io.
“La chitarra!”, ha gridato One Eyed Jack, che come al solito era rimasto indietro.

In men che non si dica abbiamo catturato il Subcomandante e l’abbiamo legato alla sedia, poi Morelia è andata in giardino ad ammainare la bandiera dell’ECLN. Al suo posto avremmo voluto issarne una nuova, che ci rappresentasse, ma nella fretta di sovvertire l’ordine costituito non abbiamo pensato a niente. El Bastardo ha suggerito di disegnare una torre, che desse l’idea del fortino in cui ci siamo arroccati, “La Torre della Giustizia!”, ha esclamato. “La Torre della Libertà!”, ho aggiunto io. “Se non posso suonare la chitarra mi va bene anche il basso!”, ha detto il Guercio.
Sotto il simbolo abbiamo scritto anche un motto, ma non in latino, che poi la gente non lo capisce; abbiamo scelto un grido di battaglia che induca chi lo legge a prendere coscienza della realtà che lo circonda: “Svegliatevi!”

All’ombra della nuova insegna abbiamo letto alla nostra prigioniera una carta dei diritti in dodici articoli:

  1. I membri del rifondato ECLN dichiarano di essere liberi da ogni tipo di schiavitù, gerarchia, potere esterno che non sia la legge di gravità e le fluttuazioni del mercato dei croccantini;

  2. I membri del rifondato ECLN sono liberi di mangiare, bere, dormire sulla roba stirata, puzzare, perdere pelo, giocare ai videogiochi e leggere quanti fumetti vogliono;

  3. E di suonare la chitarra, o al limite il basso;

  4. Chiunque minacci la libertà del nuovo ECLN dovrà dormire sul divano, o non dormirci più, nel caso fosse One Eyed Jack;

  5. I prigionieri politici sono obbligati a lavare i piatti e preparare la cena per tutto l’organico dell’ECLN;

  6. Le scatolette di trippa fanno cagare;

  7. ..

“Oh il sette cosa ci mettiamo?”
“Che vogliamo la stufa accesa anche d’estate!”
“Ho detto di no! D’estate fa caldo!”
“Ma non è vero!”
“Vabbè, di solito fa caldo, e comunque siamo senza legna”
“Mettici che possiamo farci le unghie sulla sponda del divano!”
“Io non me le faccio le unghie!”
“E allora? Io non mangio la trippa, però ce l’abbiamo messo! Metti le unghie sul divano!”

  1. I membri dell’ECLN sono liberi di farsi le unghie sul divano tutte le volte che gli pare.

  2. ..

“Le unghie sul divano!”
“Ce l’ho messe! Guarda! Sono lì!”
“E sulle tende!”
“Cosa?”
“Le unghie! Voglio essere libera di farmi le unghie anche sulle tende!”
“Ma non ti basta il divano?”
“Eeh, ma le tende sono le tende.. Si muovono!”

Prima di arrivare a uno scisma abbiamo sospeso la redazione della carta dei diritti, ma contiamo di profilo feisbucctornarci quanto prima. Nel frattempo abbiamo modificato il profilo di facebook del Subcomandante, per far sapere a tutti che è nostro prigioniero, e poi siamo andati ad aprire la porta, che avevano suonato.

Erano due tizie con un giornale in mano che volevano parlarci della salvezza dello spirito.
Le abbiamo cacciate in malo modo, ma dopo dieci minuti abbiamo sentito suonare un’altra volta.
Erano altre due tizie che ci volevano spiegare come piacere a Dio.
Dopo di loro altri due personaggi ci hanno chiesto se sapevamo come avere una famiglia felice, e dietro si stava già formando una coda che arrivava in strada.
Il giardino si è riempito in un momento di tizi col borsello e un giornale in mano, che hanno preso a battere contro le finestre, a spingere per entrare.

“Macheccaz..”, ha borbottato El Bastardo, poi insieme abbiamo spinto il tavolo contro la porta.
“Devono essere invasori mercenari controrivoluzionari!”
“Neanche il tempo di cominciare che subito arrivano i norteamericanos!”
“Venderemo cara la pelle!”

Mentre scrivo queste note la battaglia infuria fuori dalla finestra. Il nemico è sempre più numeroso, ma lo sparuto manipolo di guerriglieri arroccato nel fortino della libertà non si arrende. Sappiamo che la notte lascerà il posto all’alba, e che col sole ritroveremo anche il coraggio per una sortita.

One Eyed Jack è convinto che domattina troveremo ad aiutarci la Foresta Incantata di Fangorn, ma secondo me ha visto troppa televisione.

Mentre le donne sono impegnate nell’esplorazione dell’ennesimo supermercato io e Andrea ci riposiamo al bar di fronte. Ho con me il picino, così proviamo a collegarci a una rete wi-fi. Secondo lui i locali ne sono tutti forniti, e chiediamo alla cameriera se quel bar è uno dei tanti.
“Mi spiace, non sono di queste parti”, è la risposta.

Senza connessione stiamo a guardare fuori dalla finestra, e vediamo Michela stramazzare in mezzo alla via, vittima del ghiaccio. Scendiamo anche noi, ma senza ammucchiarci, e torniamo a casa, dove terminiamo la serata allietati da un racconto di Andrea a tema medico: quello di oggi si intitola “le meraviglie del riflesso gastrocolico”.

04/01/2010

Mi sveglio in piena notte dentro un buco, il materassino si è sgonfiato e mi ha fagocitato. Non mi metto a rigonfiarlo nel silenzio della casa, anche perché temo sia bucato, lo tolgo e dormo sul pavimento. Sogno di essere calpestato dalla banda dell’esercito compresa la grancassa, e la mattina sono una rosa.

Dopo la colazione scendiamo in giro per Leiden, e la prima tappa la facciamo al bar sotto casa. Io vorrei visitare le meraviglie della città, di cui ho tanto sentito parlare: la bancarella delle aringhe, il negozio di giochi da tavolo e quello di fumetti. Marzia mi porta a vedere dei mulini ghiacciati, dei canali ghiacciati, e quando ci raggiunge sua cugina esploriamo il supermercato Vroom. A fondo. Tipo tre ore più i supplementari, pranzo dentro e altri due tre giri per riambientarci gradualmente al freddo esterno, dove nel frattempo è scoppiata una tormenta di neve.

Io scappo prima, vado da solo a cercarmi i negozi, ma quello di fumetti è chiuso, quello di giochi da tavolo è stato ceduto, e la bancarella delle aringhe ha i sigilli della polizia perché ci è morto dentro qualcuno. Un cartello avvisa che alla riapertura le aringhe saranno vendute col 70% di sconto.

I prezzi olandesi sembrano mediamente più bassi, verrebbe voglia di approfittarne. Mi infilo in un negozio per skaters spacciandomi per giovane, attratto da un paio di cuffiette fighe che vorrei regalare al Subcomandante per fare carriera, ma costano quanto un trapianto di retina al mercato clandestino. Le regalerò un pacchetto di ciungai e camminare.

Non c’è altro da ricordare nella giornata, torniamo a casa stanchissimi e io vengo anche aggredito da Gattino, ma me la cavo con un’escoriazione profonda al piede destro guaribile in un paio di settimane portandomi immediatamente al pronto soccorso e pregando la madonna di Chihuahua, la protettrice delle escoriazioni ai piedi causate dai gatti sanguinari.

05/01/2010

Contrariamente alle nostre abitudini riusciamo a uscire di casa prima di mezzogiorno, e ci concediamo un’appagante colazione al bar sotto casa, un piccolo baretto figo della catena Bagels & Beans. Abitassi qui sarebbe una meta fissa ogni mattina, anche se non ci posso leggere gli articoli di Adamoli su Repubblica.

Prendiamo il treno per Amsterdam, che l’ultimo giorno vogliamo dedicarlo alla città, e come sempre restiamo delusi appena scendiamo dalla stazione: troppe macchine, gente, casino. Come già nella vacanza siciliana, quando lasciammo la tranquillità di Cefalù per la bolgia di Palermo, ci sentiamo spaesati dopo aver vissuto due giorni in una specie di presepe; il primo istinto è di tornare in stazione, fanculo alla missione di reclutamento. Il Subcomandante è mortificato più di me, era partita per mettere su un esercito e si è trovata a girare supermercati e cianfrusaglierie. Che andrebbe anche bene, non sa resistere alle cianfrusaglierie, ma almeno sperava di riuscire ad assoldare almeno un caporale fra un cappellino e una tovaglia.

Facendoci coraggio a vicenda ci inoltriamo nella via dei negozi di fronte alla stazione, percorrendola tutta dovremmo arrivare prima o poi al museo di Van Gogh, che se dobbiamo restare in questo casino di città almeno che ne valga la pena. A dire il vero io sono un bell’ipocrita di merda, che della pittura mi importa una sega, e vorrei vedere le donnine in vetrina, ma il quartiere a luci rosse è da un’altra parte, e devo fare finta di niente. Lungo il cammino però allungo il collo in ogni vicolo, sperando di sbirciare almeno una tetta.

L’odore di erba fa pensare a un pagliaio, ma molto più allegro. Ci sono parecchi italiani, chi con la canna d’ordinanza, chi col cellulare, entrano ed escono dai negozi mescolandosi con la gente del posto. Qui i miei compatrioti si sentono a casa, non perché riescano a comportarsi più civilmente che altrove, ma perché con tutti gli sconvolti che ci sono passano inosservati.

I negozi sono tutti identici, ad Amsterdam come a Leiden, o a Londra, e mi sa anche a Tokio: le stesse insegne campeggiano ovunque, e dentro ci trovi sempre le stesse cose. C’è la catena di articoli di lusso e quella di merce a basso costo, quella di saponi e quella di brioches, i cappelli, le scarpe, i cacciaviti, tutto standardizzato e ripetuto in serie in ogni strada o centro commerciale del mondo. Quello che distingue un po’ Amsterdam dalle altre località è la presenza costante di smart shops, quei negozietti che vendono chilum, ma ancora per poco, ormai stanno aprendo anche loro in altri Paesi, moltiplicandosi come funghi. Allucinogeni.

Il museo di Van Gogh è interessante, ma poco fornito, e le opere più importanti si trovano altrove. Per fortuna le ho già viste quasi tutte qua e là, e i dipinti esposti meritano comunque una visita. Un paio di volte resto lì a bocca spalancata per un quarto d’ora a contare ogni pennellata sulla tela, fino a scivolare dentro il dipinto e immaginarmi di essere in un campo di Arles, alla fine dell’Ottocento.

Invece quando esco dal museo sono ancora ad Amsterdam, e ne ho le balle piene, oltretutto ha cominciato a nevischiare, c’è pieno di ragazzotti in cerca di emozioni lisergiche e figa in serie, il Subcomandante mugugna e dobbiamo ancora fare la spesa. Sulla via per la stazione ci compriamo l’aringa, un trolley, due formaggette e visitiamo un paio di negozi pazzeschi di abbigliamento.

Torniamo a Leiden e facciamo ancora in tempo a visitare il negozio di giochi, dove mi compro Spank The Monkey, un gioco di carte che riempirà le nostre serate all’ECLN. Non ho visto le fighe in vetrina, ma alla fine va bene così.

Michela ha preparato la pastasciutta al sugo di funghi e pancetta, e la nostra vicina ci ha spedito un paio di foto di quei due bastardi di El Bastardo e Morelia Toñita a pranzo da lei. Altro che difendere il castello dagli imperialisti! Quando torniamo a casa gliela facciamo vedere, scrocconi che non sono altro!

06/01/2010

“Chissà se la befana mi ha lasciato qualcosa nella calza”, penso appena mi sveglio, alle quattro del mattino. Probabilmente no, le ho addosso da quando sono partito, se solo provasse ad avvicinarsi cadrebbe dalla scopa. La casa è silenziosa, anche Gattino sembra essersi dimenticato di noi. Ci vestiamo e usciamo quatti quatti, poi in strada trasciniamo i bagagli sull’acciottolato facendo un casino che sembra una corsa di camion della spazzatura.

All’aeroporto facciamo il check-in alle macchinette, dove ti permettono anche di scegliere il posto; ne prendo due più avanti possibile, perfino i piloti sono seduti alle nostre spalle, speriamo di non patire il freddo durante il volo.

A differenza della Malpensa, dove le poltroncine sono poche ed essenziali, qui puoi sbragarti in salottini sparsi per il terminal, oppure sulle chaises-longues appartatenegli angoli silenziosi. A quest’ora di mattina è tutto silenzioso, la maggior parte dei negozi sono chiusi, facciamo colazione in un bar dove riesco a farmi rapinare per un succo d’arancia che sa di segatura e un espresso prelevato direttamente dal serbatoio di un 737. Ci sono anche degli atleti in tuta rossa, forse una squadra di calcio, ma non ne riconosco neanche uno.

A bordo siamo seduti in due in un posto da tre. Per approfittare di tutto quello spazio mi tolgo le scarpe e mi allungo su due sedili, in una posizione invero scomodissima. Poi mi tolgo anche le braghe, ma il Subcomandante mi obbliga a rispettare il decoro.

C’è una lampadina che non funziona, o così sostiene il comandante. Bisognerà sostituirla e ciò comporterà un ritardo di circa mezz’ora. Già che son lì col cacciavite in mano spero che riattacchino anche la turbina qui a destra, che loccia un po’.

Mi faccio odiare dalla hostess che distribuisce caffè brodoso chiedendole un tè, e quando me lo porta mi dice che quello scaracco che galleggia nel bicchiere è in realtà una spruzzata di latte, all’inglese. Neanche con l’ingrediente segreto la mia bevanda riesce a somigliare a qualcosa di bevibile. Osservo Marzia che sorseggia il suo caffè, e mi chiedo se la ritroverò ancora viva all’atterraggio.

Finalmente ci mettiamo in moto, l’aereo comincia a rollare sulla pista, lentamente, e rolla, rolla, rolla ancora. Ma quanto cazzo rolla? Va bene che siamo ad Amsterdam, ma mi sembra che si esageri..

Capisco che qualcosa non va quando le hostess chiedono ai passeggeri una colletta per pagare al casello: torneremo a casa in autostrada!

Due ore più tardi arriviamo al confine con la Germania senza troppi problemi, tranne quando il pilota ha cercato di superare un camion e per non scontrarlo con l’ala è praticamente uscito di strada.
Per lo stessa ragione non ci si può fermare a nessun autogrill, e a bordo ci si arrangia come viene, si creano lunghe code davanti alla toilette e ci sono i soliti furbi che cercano di saccheggiare l’armadietto dei sandwich. Però è divertente, sembra di essere sul pullman della scuola, sui sedili in fondo ci si passano delle canne e qualche coppia attacca a pomiciare, e in business class hanno tirato fuori una chitarra e strimpellano pezzi dei Beatles.

Prima o poi arriviamo a Milano, ringraziamo il pilota e le hostess e andiamo a prendere il treno. Appena saliti l’odore di pisciazza ci commuove: siamo tornati a casa! Davanti a noi si siede una ragazza col cappello bianco, che si scappera per tutto il viaggio. Veniamo avvicinati anche da una tizia che vuole il latte in polvere per il figlio, da uno scarcerato ieri che ha i documenti per dimostrarlo e deve fare il biglietto, dal vecchietto chiacchierone, dal sordomuto che vende pupazzetti fatti da lui in Cina, da quello che si è perso, da quello che non sa dove deve scendere, da quello che non sa dove deve timbrare, da quello di prima che quando ha capito dove doveva scendere ormai eravamo ripartiti e vuol sapere cosa c’è dopo.

“Dopo Rogoredo?”, gli chiedo.
“Dopo la vita. Salterò dal treno in corsa e non è detto che sopravviva.”
“Scherzi? Alla velocità con cui ci muoviamo puoi tranquillamente fare una passeggiata lungo i binari e risalire con tutta calma.”

La neve ci saluta dalle parti di Voghera, e fino a casa sta lì fuori ad aspettare che scendiamo per ghermirci le scarpe, ma è neve familiare, il suo freddo lo conosciamo bene e sappiamo affrontarlo. Siamo a casa, ricominciamo a brontolare per le solite magagne, la stufa, il lavoro, il disordine, la cena, i gatti..

Alla fine l’ECLN conta tanti membri quanti erano prima, sono lo zoccolo duro, ci si può fidare di loro.

..Però a quei due bastardi la casa della Lella gliela faccio vedere io gliela faccio..

Alle due del pomeriggio, sprangate porte e finestre della base, ciò che resta dell’ECLN dopo lo scisma si mette in viaggio. La fuoriuscita dal gruppo di Mikowski è stata un duro colpo da digerire, ben peggiore di quella di Jack Frusciante: fra tutti i membri del comitato il Rosso sembrava quello più votato alla causa, e vederlo cedere davanti a una cuccia comoda e una ciotola di croccantini di lusso era stato peggio che se ci avesse denunciati al governo fanfarone. Neanche il gringo Jack sarebbe stato capace di un simile atto di vigliaccheria.

Superato il trauma iniziale decidiamo di partire alla ricerca di un degno sostituito, e stabiliamo come terreno di ricerca l’Olanda. Non che sia un luogo pieno di rivoluzionari, ma è quello dove la cugina del Subcomandante è andata a vivere, e per risparmiare contiamo di imbucarci a casa sua.

Il viaggio fino all’aeroporto della Malpensa non fa rilevare alcunché, tranne che portarsi dietro il netbook è stata un’ottima idea, che fra i fumetti di Hellboy e una partita a World Of Goo la stazione d’arrivo si presenta in fretta. Fin troppo in fretta, maremmammaiala! A Milano Centrale dovevo comprarmi gli auricolari!

“Posso mica guardarmi un film in aereo con le casse del pc!”
“E chi te lo impedisce? Basta che non disturbi i vicini!”
“E’ il concerto dei Rage Against The Machine!”
“Guarda, là dovrebbero venderle.”

In effetti nel duty free dell’aeroporto gli auricolari si trovano anche, solo che chi li vende è consapevole di rappresentare l’ultimo avamposto del ladrocinio prima di mettere la tua vita nelle mani del fato, e ne approfitta fino alla vergogna, facendoseli pagare quanto un Vermeer.

“Li hai comprati gli auricolari? Hai guardato se funzionano?”
“Si, credo che l’attacco sia qui, vicino all’orecchino di perla.”

Il volo è difficile, abbiamo i posti sul corridoio che ci permettono di allungare le gambe, e anche stare sull’ala non disturba la visuale, che fuori è buissimo e nuvoloso, però intorno a noi è seduta una comitiva di ragazzotti milanesi così molesti, ma così molesti che i vuoti d’aria che ti fanno venire su il pranzo sono una piacevole distrazione dal loro ciarlare scemo.

Atterriamo ad Amsterdam. Il Subcomandante mi racconta che è uno degli aeroporti più grandi d’Europa, ma è buio, e il treno per Leiden sta per arrivare venti metri più avanti, perciò di questa meraviglia vedo molto poco. Mi basta per fare i dovuti confronti con gli aeroporti milanesi, dove per raggiungere la ferrovia (la ferrovia, non il centro cittadino) devi fare a pugni per guadagnarti un posto in pullman e poi viaggiare nel traffico per almeno mezz’ora.

Michela e Andrea ci aspettano fuori dalla stazione, nonostante l’aria pungente il Subcomandante cerca subito di aggregarli alla causa, raccontando cose inverosimili dell’Italia, tipo che l’economia sta andando a pezzi, c’è un razzismo dilagante che sembra ottant’anni fa, l’informazione libera è criminalizzata e il governo è in mano a una cricca di pregiudicati.

A casa ci ingozziamo di cibi sani, salame di parma e formaggio olandese, poi andiamo a dormire col gatto di casa appostato fuori dalla porta, pronto ad aggredirci per torturarci a morte. Dal nostro arrivo è un continuo evitare i suoi assalti all’arma bianca, ma Andrea dice che lo fa per conoscerci meglio. Evidentemente strapparci gli occhi sarebbe solo un modo di conservare un nostro ricordo.

Andiamo a dormire su materassini di plastica, indossando tute acriliche, coperti da sacchi a pelo sintetici. Ogni volta che mi muovo le mani mi fanno delle scintille che sembro l’imperatore Palpatine. Quando mi addormento sogno di essere Saruman, e mi sveglio di colpo che sto facendo il discorso dal balcone al mio esercito di Uruk Hai.

03/01/2010

Ci svegliamo a un’ora fra l’indecente e il vergognoso e ci mettiamo subito in marcia per Delft, una cittadina piena di canali dove i negozi sono aperti anche di domenica. Non compriamo niente, ma mangiamo un sacco di porcherie deliziose e ci facciamo delle pere di caffè che potrei stare sveglio fino al mio ritorno a casa.

La batteria della macchina fotografica mi saluta a metà gita, e non essendomi portato la ricarica posso solo raccontare quel che ho visto dopo, senza poter esibire alcuna prova.
Non ho fotografato:
– Natalie Portman che usciva da un bar ubriaca e mezza nuda e cadeva in un canale ghiacciato;
– un’esibizione del Cirque Du Soleil sul sagrato della chiesa;
– tre suore che regalavano preservativi;
– la batmobile fatta di stuzzicadenti;
– un incredibile e spaventoso incidente stradale scatenato da una bici che sbandando urtava una macchina, che per evitarla finiva nella corsia opposta, dove transitava un camion pieno di benzina, che si metteva di traverso svuotando la cisterna addosso a una comitiva di bambini dell’asilo che prendeva fuoco e correva via urlando, accendendo roghi in ogni strada e facendo intervenire una decina di camion dei pompieri, che a causa del ghiaccio si rovesciavano tutti insieme in piazza e accendevano gli idranti, che a causa della bassa temperatura ghiacciavano di colpo generando una fantastica scultura di ghiaccio su cui si riflettevano il rosso delle fiamme e il giallo dei lampeggianti, come in un’aurora boreale futurista.

 C’è una tribù gallica che da qualche settimana si è accampata sotto casa nostra. All’inizio non ci abbiamo dato peso, buongiorno buonasera quando uscivamo e finiva lì, ma quando si sono messi ad alzare palizzate tutto intorno al villaggio abbiamo cominciato a preoccuparci. Qualche giorno fa ci hanno chiuso l’accesso alla strada, e quando sono uscito per andare a lavorare hanno preteso una decima. Me la sono cavata regalando loro Mikowski, che è bello grasso e dev’essere ottimo con le patate, ma la sera ne ho parlato col Subcomandante, e non è rimasta contenta.

“Cosa vogliono questi stranieri?”, ha esclamato, “Vengono qui e fanno il cazzo che gli pare!”
“Parli come una leghista”
“No, io ce l’ho solo con le etnie che non sono rappresentate al parlamento europeo, tipo i gringos americani o le ucraine beone!”
“Coi longobardi?”
“Anche con loro!”
“Con gli ittiti?”
“Eh certo, vuoi lasciar fuori gli ittiti?”
“Con gli etruschi?”
“Si, anche, ma meno. In fondo son sempre italiani.”
“Ho parlato col loro capo, Belloveso. Mi ha detto che sono dei carnuti”
“Che erano dei cornuti me n’ero accorta anch’io! E pure stronzi!”
“Nono, carnuti con la a. sono originari del nord della Francia.”
“E cosa son venuti a rompere le palle a noi a fare?”
“Vogliono visitare l’acquario, solo che gli alberghi di Genova sono tutti pieni, e allora si sono accampati nell’entroterra. Più precisamente nel nostro giardino.”
“Glielo do io glielo do! Gliela tiro giù quella palizzata!”

E mi mostra una cosa che ha trovato su internet.

“Una catapulta?”
“C’è questo sito, www.armidaassedio.it, che costruisce trabucchi e baliste a prezzi competitivi!”

Competitivi nei confronti di chi, le chiedo, che vorrei proprio vedere chi si va a comprare un mangano al giorno d’oggi. A parte Berlusconi, intendo.
Non mi sta neanche a sentire, è tutta esaltata per aver ordinato una catapulta, che dovrebbe arrivare in pochissimo tempo con un corriere espresso.
In quel momento le squilla il cellulare.

“E’ arrivata! È arrivata!”, strilla, correndo fuori.
In effetti è proprio il corriere, sta in mezzo alla strada con la faccia triste e guarda in su verso la palizzata del villaggio carnuto. Perché se è vero che noi non possiamo arrivare da lui è altresì vero il contrario, la nostra catapulta sta alla distanza di un villaggio gallico da casa nostra, inutilizzabile.

“Col cazzo! L’ho pagata in anticipo e me la prendo!”, grida il Subcomandante, seguita da me che le sbraito dietro “Coosa? Non hai richiesto il pagamento contrassegno? Masseiffuori?”.

Scende giù e si mette a picchiare contro il portone del villaggio, insultando tutto l’olimpo delle divinità galliche. Si vede che anche lei ha letto Asterix.
Evidentemente qualcuna l’azzecca, perché da dietro la palizzata qualcuno le tira addosso Mikowski, ancora vivo e vegeto. E pure ben pasciuto, si vede che ha trovato dei galli di cuore.

“Riprendetevi il vostro mostro!”, ci grida Belloveso, “Ci ha mangiato tutte le scorte di cibo! Ora dobbiamo smantellare e tornare a casa, o moriremo di fame! Maledetti!”

In quattro e quattr’otto i galli sgallano, la strada è di nuovo libera, e mentre il gatto Mikowski se ne torna ciondolando verso casa io e il Subcomandante restiamo lì a chiederci cosa ce ne potremo fare di una catapulta.

Noto con dispiacere che Opera, il browser con cui ho deciso recentemente di viaggiare, non si trova a proprio agio con Splinder, e non riesce a visualizzare il pannello grigio con le dimensioni del carattere, l’impaginazione e il codice. Mi toccherà continuare a postare con ex-cesso-plorer e sperare che non mi si chiauda la pagina e mi mandi affanculo il lavoro.

Andiamo avanti, che la giornata di sole impone umori più positivi. Stamattina il raffreddore perenne, un gatto affamato e un cane agitato mi hanno costretto a una levataccia, dico, non erano neanche le nove! Tirati su, fai colazione e mettiti a far qualcosa, che domani il colonnello non abbia da rimproverarti.

E si perché in questo ponte primomaggiore i vertici dell’ECLN sono partiti per una missione nella città dove l’inverno è il più brutto d’Italia, e hanno lasciato armamentario e vettovaglie a totale disposizione del comandante sostituto: El Bastardo.

Che per fortuna è perennemente impegnato a cacciare ratti e mi lascia l’accesso al frigo, altrimenti avrei dovuto nutrirmi quattro giorni a croccantini.

Gli incarichi lasciati dal Subcomandante Marzia sono pochi ma perigliosi, si parla di ripulire le latrine della truppa e quelle del corpo ufficiali, di disboscare la vasta area denominata “la giungla giù di sotto” e quella più modesta ma parecchio più insidiosa chiamata “il giardino pieno di merda di gatto”. Inoltre avrò l’incarico di approvvigionare la base con acqua di fonte, raccolta in vetta, dove è più fresca. Che poi una volta portata a casa acquisisca la temperatura locale è irrilevante ai sensi della gloriosa impresa, che col suo fulgore e la sua gloria offuscherà quelle dell’esercito italico a Bengasi.

La giornata di ieri mi ha reso già parecchio, lasciandomi praticamente libero dalle incombenze e padrone incontrastato del mio cazzeggio, reale e virtuale. Quello reale per la verità si è limitato a scroccare qualche pranzo e partecipare alla serata Pizzard (pizza + Eddie Izzard) a casa di Siuìz, ma sul lato virtuale, ragazzi, quante soddisfazioni!

Mi sono preso un virus cercando di craccare l’ultima versione di un programma che presentava pochissime differenze con la versione precedente, ma vuoi mettere la soddisfazione di leggere ottantacinquepuntoquarantadue invece di puntoquarantuno?
Mi sono scaricato l’ultima puntata di Lost che devo tenere lì almeno fino a domani sera, sebbene abbia già visto che comincia con Jack che viene svegliato da una donna, e la cosa apra sconvolgenti rivelazioni sul futuro della serie, tipo chi è la donna, perché lo sveglia, perché lui stava dormendo, cosa stava sognando, avrà l’alito cattivo?
Ho scaricato le foto del Porale e devo ancora incollarle insieme in un’unica visuale panoramica dei monti sopra Ronco, ma come ho detto l’ultima versione del programma di cui sopra mi ha dato delle noie, e quella precedente, già installata da tempo e perfettamente funzionante, mi fa sentire un perdente e perdipiù vecchio, quindi aspetto di trovare altri software che mi restituiscano in altri campi quella sensazione di giovinezza e fichezza e alpassocoitempezza che mi spingano a rimettermi a lavorare.

Poi la truppa ha richiesto il mio intervento e ho dovuto piantar lì di cazzeggiare e liberare Mikowski dall’agguato tesogli dal sempre presente sempre bastardo Gattogrì, supportato nella sua losca impresa dal bieco Gattorosso Chetipicchia Apiunonposso. E’ stata la vedetta One Eyed Jack a richiamarmi al dovere, dall’alto degli spalti del giardino ha assistito impotente all’agguato, ed è venuto ad avvisarmi, essendo io in quel momento il più anziano in servizio. E si perché El Bastardo e Morelia Toñita De La Selva De Lacandona erano chissà dove, impegnati in chissà quale eroica missione.

Ho scoperto dopo che El Bastardo era dalla vicina a mangiare il nasello, e quella bagascia di Morelia di sopra a dormire. Dorme sempre quella, mi sorge il dubbio che prima di venire da noi fosse stata allevata da una famiglia di ghiri.

E basta, il mio tempo di cazzeggio volge al termine, altri faticosi compiti mi chiamano, è ora di tornare nell’agone.

E questo era il titolo che volevo usare per un post comune, dedicato ai numerosi che avevano raggiunto il mio blog cercando parole tipo “brigata speloncia” o “origini di devil”. Poi la mia attenzione è stata attratta da qualcosa di più urgente: mi sono trovato un nido di calabroni in solaio!
Non un nido piccolo, piuttosto una roba delle dimensioni di una grossa oca, pieno di insetti all’apparenza pacifici, ma troppo grandi per provare a stuzzicarli. Che fare?

Inutile consultarsi col Subcomandante Marzia, secondo lei non c’è bisogno di intervenire, basta lasciarli stare lì, dopotutto non l’hanno mai punta, poverini..
Ho provato a chiamare i vigili del fuoco, ma mi hanno detto che loro non si occupano più di disinfestazione, ora bisogna chiedere all’Asl.
Ho chiamato l’Asl. La centralinista andava di fretta e mi ha chiesto da dove chiamo, poi mi ha passato un interno.
Qui un tizio mi ha interrotto dicendo che loro si occupano di vaccinazioni. No, neanche a me sembra una buona idea catturare ogni singolo calabrone e fargli una puntura, molto meglio cercare altrove.
Richiamo la centralinista di prima e le chiedo di passarmi l’ufficio ambiente, o qualcosa di simile.
E’ sempre scoglionata, mi passa un altro ufficio dove faccio squillare a vuoto una decina di minuti.
Non provo più a richiamare, sarebbe inutile. Cerco il numero di un disinfestatore privato, ma non mi risponde nessuno.
Allora chiedo a mio padre, che mi suggerisce di farmelo da me.
Certo, rispondo, basta avere sottomano l’occorrente, qualcosa che faccia del fumo con cui allontanare gli insetti, un sacco per metterci dentro il favo, una siringa piena di cortisone e un defibrillatore in caso di punture.. Meglio cercare ancora.
Mia sorella ha avuto un problema analogo, ma erano api, e stavano in giardino, e il giorno dopo sono andate via da sole.
Mia madre mi suggerisce di chiedere a un ragazzo del paese che alleva api, forse ha l’attrezzatura per proteggersi e farselo da soli.
Nel frattempo trovo il numero della Asl che si occupa di questi problemi, e chiamo.
Mi dice uno che loro non lo fanno, chiedere ai vigili del fuoco. Ancora? Guardi che sono stati loro a dirmi di chiamare qui! Mi suggerisce di telefonare a un gruppo di ex vigili del fuoco, membri in pensione della protezione civile e volontari, che si occupano di queste cose a un prezzo abbordabile, che le imprese di disinfestazione sono carissime.
Mi dà il numero. Risponde una signora anziana che si tiene sul vago, dice che l’interessato non c’è, che mi farà richiamare.
Qualche ora dopo mi squilla il cellulare, una voce camuffata mi dice “Fra dieci minuti in stazione, binario tre, in fondo al marciapiede. Vieni solo.”
Dieci minuti sono lì, ci sono alcune persone che aspettano il diretto per Genova. Le supero e arrivo fino in fondo al marciapiede. Un tizio con gli occhiali scuri mi segue. Ha un sigaro in bocca. Immagino che sia lui il mio contatto, oppure sono di nuovo incappato in un maniaco.
Mi lascio raggiungere ostentando indifferenza, è proprio lui. Mi parla sottovoce, forse teme che abbia addosso qualche cimice. Si sa, quando hai in casa un gatto è facile prendersi dei parassiti.
“Mi chiamo John Smith, per gli amici Hannibal. Posso risolvere il suo problema”.
“Buongiorno, mi chiamo Pablo, ho dei calabroni in solaio. Come operate voialtri?”
“Siamo in quattro: io, Murdock, Sberla e Baracus. Arriviamo, affumichiamo ed estirpiamo il problema alla radice”.
“E se tornano?”
“Non tornano, abbiamo un sistema sicuro per dissuaderli. Facciamo saltare il solaio con una carica di esplosivo”.
“Mi sembra un po’ drastico. quanto costate?”
“L’intervento si aggira intorno ai 250 euri”.
Minchia! Mi costa di meno una puntura di cortisone e un defibrillatore, grazie. Dico al tizio che non se ne fa niente e lo guardo salire sul treno con l’aria scontenta. Semmai lo chiamerò quando in solaio ci farà il nido un tirannosauro. No no, niente da fare, me ne occuperò io con mezzi artigianali come facevano i nonni. Nel caso qualcosa dovesse andare storto non mantenete questo blog aperto in mia memoria, e soprattutto NON VENITE AL MIO FUNERALE CON LA MIA FACCIA STAMPATA SULLA MAGLIETTA!
Per la cronaca, Devil ha acquisito i suoi superpoteri da piccolo, quando per salvare un vecchio che stava per essere travolto da un camion è stato investito da una sostanza radioattiva, che lo ha reso cieco e gli ha accentuato gli altri sensi. Quando suo padre è stato ucciso dai cattivi lui ha deciso di diventare un paladino della giustizia, si è fatto chiamare Daredevil e quando non fa l’avvocato cerca di complicare la vita al signore del crimine di New York, Kingpin.

Grande trasferta dell’E.C.L.N. quest’oggi, un’escursione premio alle Cinque Terre come ricompensa per non avere spaccato più niente negli ultimi tre giorni. El Bastardo era fra i premiati, ma è rimasto a casa a sorvegliare i suoi croccantini, perché dice che poi arriva quel randagio di merda e glieli frega. Poi si sa che i gatti e l’acqua non vanno granché d’accordo, e da quelle parti acqua ce n’è ben ben.

Restiamo io e il Subcomandante, a scarpinare per i sentieri da Riomaggiore a Vernazza. L’idea era di concludere a Monterosso, ma una spiaggia a metà itinerario ci ha obbligati a fare delle scelte: fare un bel bagno e rilassarsi un paio d’ore o arrampicarsi su per una scalinata da capre in mezzo alle rocce col sole a picco? Si conclude a Vernazza, punto.

Il primo tratto è semplice, sembra la passeggiata di Nervi più stretta e traboccante di tedeschi, da Manarola a Corniglia si va via bene, anche se la scalinata finale rompe un po’ le balle, l’ultimo pezzo è più insidioso, ma ce la puoi fare benissimo. A meno che non lo affronti da Vernazza in scarpette ballerine e borsetta, come ha fatto una squilibrata che abbiamo incrociato insieme al marito.

A Vernazza delle turiste d’alto bordo, o così tentavano di vendersi, interrogavano una vecchietta su quanto l’impatto dei turisti abbia cambiato le abitudini locali. Questa poveretta se ne stava su una panchina a godersi il fresco, cercando di non farsi travolgere dalla fiumana romanomilanese che le scorrazzava davanti. Mi piace pensare che il suo primo impulso sia stato di rispondere:
“M’ei ruttu u belin tutti quanti, nu possu ciù anà a cattà che me tucca fà n’ùa de cùa perché ghe sei vuiatri, nu possu ciù tegnì u barcùn avertu perché chì sutta fèi in casin du sacramentu, se vegnu zù duì menùti me vegnì a rumpì a mussa cun e vostre belinate, e a vostra amiga chi a me s’è assettà in sciu’u baccu, e se a ne se leva d’in ti pè ghe gìu na mascà che a cacciu pè tèra!”
Ha risposto educatamente, si è fatta restituire il bastone e se n’è andata. In compenso la risposta in dialetto l’abbiamo intonata noi, seduti sulla panchina a fianco, ma le turiste curiose non hanno capito.

Mentre su Ronco Scrivia calano le prime ombre della sera un coro di sirene rompe la quiete, e una squadra di poliziotti in assetto da combattimento irrompe nel mio giardino.

Il detective mi si para davanti, enorme, e il tanfo del suo sigaro mi fa bruciare gli occhi. “E’ lei il signor Renzi?”, mi chiede. Gli rispondo di si, e lui mi mostra un mandato di perquisizione. Sono rovinato, penso, non avrei mai dovuto visitare quel sito www.donnegiapponesinudeeopossuminatteggiamentiequivoci.com. E ora come farò a spiegarlo alla mia fidanzata? Che vergogna!
Il detective mi indica un lenzuolo steso in giardino, cui non avevo fatto caso. Alcuni poliziotti lo stanno circondando con striscie di plastica gialla polislaindunotcros. “Cosa c’è lì sotto?”, chiedo ingenuamente. “C’è un omicidio, lì sotto”, mi risponde avvicinandomi il sigaro alla faccia, ed è sufficiente a farmi sbiancare. Poco però, che un’accusa di pornozoofilia sarebbe stata ben più imbarazzante.

Non si tratta di un omicidio qualunque, ci spiega il detective quando siamo tutti e tre seduti davanti a lui in salotto, io, El Bastardo e il Subcomandante. La vittima era molto conosciuta, un personaggio in vista nel mondo dello spettacolo, uno sulla scena da anni.
“Eccheccazzo ci faceva nel mio giardino?”, chiede il Subcomandante lasciando trapelare tutta l’antipatia che prova verso l’ordine costituito.
“E’ quello che stiamo cercando di scoprire”, fa il detective. “Evidentemente aveva dei rapporti con uno di voi tre, immagino qualcosa di illegale. Ma dev’esserci stato un problema, magari di denaro, ed è stato fatto fuori. E l’assassino è qui fra voi”.
“Ma si può sapere chi è?”, chiedo.
Il detective mi mostra un giornaletto che conosco bene. Il Subcomandante glielo strappa dalle mani con un’espressione sconvolta. “Pleimen? Avete trovato il cadavere di Rocco Siffredi nel nostro giardino?”, gli chiede.
“Quello era sotto la poltrona, dev’essere vostro. No, il morto è lui”, e tira fuori un altro giornaletto che conosco molto bene. Lo prendo io, il Subcomandante sfoglia la rivista con gli occhi a girandola. Sulla copertina di questo c’è l’immagine della vittima, coi classici pantaloncini rossi e i guanti bianchi. “Lui?”, “Lui”.
Il detective mi diventa all’improvviso familiare, vorrei chiedergli come sta il commissario Basettoni, ma mi interrompe: “Qui le domande le faccio io. Conoscevate la vittima?”.
“E chi non la conosce?”, rispondo. “Certo, da molti anni”, conferma il Sub, poi si volta verso di me e mi sibila “Con te facciamo i conti dopo, depravato!”. Anche El Bastardo dice di conoscerlo, benché nessuno di noi l’abbia mai visto con dei fumetti in mano.
Il detective vuol sapere se abbiamo mai fatto affari con lui, se ci sono mai stati problemi di denaro, e sia il Subcomandante che io restiamo leggermente interdetti, con lui direttamente no, ma con l’edicolante trattavamo regolarmente tutte le settimane, e questo a detta del detective è molto grave. “E cosa ne guadagnavate?”. “Beh, niente, si faceva per divertimento”. Si delinea una storia di tangenti pagate agli sgherri della vittima in cambio di prestazioni sessuali, e non c’è verso di spiegargli come funziona. Di certo la rivista pornografica non aiuta, e appena faranno una ricerca sul mio pici avranno di che sbizzarrire la fantasia.
Quando tutto sembra perduto El Bastardo ha un cedimento, scoppia a piangere e confessa. E’ stato lui ad ammazzarlo, in preda a un raptus omicida. L’ha visto gironzolare fuori dal cancello e gli è balzato addosso. Una volta compiuto l’insano gesto l’ha portato nel nostro giardino per cercare di seppellirlo, ma evidentemente qualcuno se l’è cantata con gli sbirri, che sono arrivati troppo presto. “Sarà stato il gatto grigio”, dice il Subcomandante fra i singhiozzi, mentre la polizia carica il luogotenente dell’Ejercito Cadigattista di Liberacion Nacional sul cellulare e se lo porta via.
Gli hanno dato trent’anni, ma l’avvocato pensa di riuscire a fargli avere la seminfermità mentale, e adesso con quest’indulto possiamo sperare di riaverlo fra noi in un paio d’anni. Il Subcomandante ha già attivato il Comitato Liberiamo El Bastardo, e sta cercando di scuotere l’opinione pubblica.
Coraggio El Bastardo, siamo tutti con te!

iniziativa

Come sempre la mia vita è un’altalena continua fra la più depressa routine e un’attività tanto frenetica da sfiorare il disturbo psichico. Trascorro settimane senza scrivere una riga, perché non c’è una sola riga da riempire col racconto delle mie giornate, e di colpo ne devo dire tante che non so da dove cominciare.

Parlo di quel calcio che col calcio ha sempre meno a che vedere? Ne avrei da raccontare, dai tre punti che ci hanno finalmente tolto, alla vittoria straordinaria col Monza, all’altrettanto straordinaria sconfitta con la Sambenedettese che ci porta diretti a giocarci la promozione nei play off. Potrei infierire sulla dignità di certi giocatori, che qui non si parla di condizione fisica o di qualità tecniche, ma solo della dignità richiesta per indossare una maglia così importante, e di come sia triste, per non dire meschino, centellinare il proprio impegno in campo a seconda dei casi. Ma non vado oltre, che davvero non ne vale la pena. Spero di vederli tutti indagati, prima o poi.

O racconto delle vacanze di Pasqua, dei pranzi sui monti, delle abbuffate con gli amici, delle foto propagandistiche dell’Ejercito Cadigattista, della mia personale Marcia Su Roma?

Facciamo così, vi racconto una storia che parla di treni. Comincia un venerdì pomeriggio, dalla stazione di Genova Brignole, quando due ragazzi con una borsa trovano il loro posto in uno scompartimento dell’intercity Torino-Salerno. Inutile descrivere i due ragazzi, siamo naturalmente il Subcomandante Marzia ed io, ma posso parlare degli altri personaggi che popolano lo scompartimento: tre di essi sono avvocati, lo deduco dai loro discorsi. Stanno andando all’Isola D’Elba per una vacanza, ma non riescono a sganciarsi del tutto dalla propria occupazione, e fino a Livorno li sentiamo parlare di giurie, procedure, cavilli che alzano polvere solo a parlarne. Poi c’è una signora silenziosa, di cui non si può dire nulla, tanto è stata accurata nel non lasciare ricordi di sé. Sta seduta nel suo angolo, con un giornale anonimo davanti, non guarda nessuno, non parla a nessuno, aspetta la sua fermata con muta rassegnazione.

(Muta rassegnazione è un termine un po’ abusato, lo so, ma non sono uno scrittore, mi limito a pigiare sui tasti, e la differenza si vede. La prossima volta scriverò gelido inverno, e potrete insultarmi)

Lo scompartimento è freddo, o così sembra a noi, che siamo seduti davanti alle bocchette dell’aria condizionata, e indossiamo il minimo indispensabile per non essere denunciati per oltraggio al pudore. Come già raccontato la scorsa estate esiste una bizzarra regolamentazione riguardo all’aria condizionata sugli intercity, che ci obbliga a congelare. Potrei chedere delucidazione ai tre legulei, ma non si curano né di noi né della temperatura, sono tutti presi da “La Settimana Giuristica”, il giornale di giochi ed enigmi per laureati in giurisprudenza che uno di essi ha estratto dalla valigia. Stanno discutendo sul 13 orizzontale, “Lo dice chi rifiuta di rispondere all’interrogatorio”. La signora all’angolo non parla, non respira, forse è impagliata, forse già in avanzato stato di ibernazione, chissà.

Quando siamo dalle parti della Zona Tumultuosa, un luogo non meglio identificato fra Livorno e il Burkina Faso, decido che il supplemento intercity non è abbastanza economico per farmi accettare una bronchite senza lottare, e vado a spegnere l’aria condizionata.

Le mie straordinarie doti narrative avranno a questo punto acceso un grosso punto interrogativo nella testa di ognuno di voi cari lettori, e sono certo che vi starete domandando come fa un riconosciuto incapace come me a saper disattivare l’aria condizionata su un intercity, azione che richiede straordinaria abilità scassinatoria per aprire la serratura a brugola del pannello degli interruttori, eccezionale capacità mimetica per non farsi beccare dal controllore, elevata concentrazione per non scambiare il simbolo del refrigeratore con quello dell’autodistruzione. Io non so neanche vincere a bimbumbà perché mi do regolarmente dei pugni in faccia, non riesco a coordinarmi neanche per mettermi le dita nel naso, e cosa ne posso sapere di disattivare l’aria condizionata di un intercity, materia d’esame delle spie GLG-20, quelle impiegate per recuperare le testate nucleari sulla strada per Duschambe.

Ricordate quello che vi avevo raccontato lo scorso agosto, delle mie vacanze in Sicilia? Se siete di quelli che capitano qui cercando Brigata Speloncia, sicuramente no, ma gli altri forse rammentano delle mie disavventure con l’aria condizionata sui treni. Ebbene, nel viaggio di ritorno si presentò lo stesso problema, e già stavamo accendendo un falò nello scompartimento, quando un intraprendente professore palermitano, uno che sembrava più un rapinatore di diligenze che un insegnante di storia dell’arte, mi introdusse ai segreti del chiavistello.

(“Mi introdusse ai segreti del chiavistello” starebbe benissimo in un racconto erotico, se qualcuno volesse scriverne uno sarò lieto di cedergli il copyright)

Mi raccontò della scuola della strada che ebbe a imparare nel suo quartiere malfamato, di quando un giorno si e uno anche gli entravano i ladri in casa, e dopo aver rubato tutto il rubabile presero a sfotterlo cambiandogli la serratura mentre era fuori. Venni a sapere delle difficoltà a farsi allacciare abusivamente acqua, gas, elettricità e tv via cavo, tanto che fu costretto a farlo da sé, e di come tutte queste esperienze l’avessero reso un Arsenio Lupin de noatri.
Ascoltavo il mio mentore e assorbivo tutte quelle nozioni che sapevo un giorno mi sarebbero tornate utili. Lo accompagnai al pannello elettrico e studiai minuziosamente i rapidi movimenti con cui vinse la resistenza della diabolica brugola, imparai la sottile differenza fra il simbolo dell’aria condizionata e quello della dispersione di sostanze tossiche all’interno del vagone, compresi i movimenti ciclici dei controllori di tutta la rete trenitalia, sempre gli stessi, e di come sia possibile rivolgerli a proprio vantaggio per tutta una serie di portogheserie.

Ecco perché venerdì pomeriggio non sono schiattato di freddo, e ho potuto raggiungere la stazione di Roma Termini in tenuta estiva e non vestito come un inuit, acclamato dai miei compagni di viaggio come si conviene a un salvatore, braccato dalle forze dell’ordine su rotaia come il più accanito dei rivoluzionari, osservato con sospetto dall’ambigua categoria dei cuccettisti, che non si sa bene da che parte stiano.

Nel viaggio di ritorno non c’è stato bisogno di ricorrere all’antica arte della manomissione, i nostri posti erano verso il corridoio, non risentivamo del nefasto effetto del condizionatore.
In compenso siamo stati torturati per cinque ore da un altoparlante da concerto rock, che ci ricordava a ogni fermata che stavamo arrivando a destinazione con cinque minuti di ritardo, che la coincidenza con Trondidio arriverà e partirà dal binario 47 anziché 2, che l’intercity per Milano sta messo peggio di noi perché è dietro e non lo facciamo passare così impara haha.
Purtroppo il mio insegnante di illecitudini mi spiegò solo come disattivare l’aria condizionata, per preservarmi i timpani non ho potuto fare altro che infilarmi un giornale arrotolato nelle orecchie.