Una mattina Renzi si sveglia e scopre di non essere più il segretario del PD. Gli ci era voluto del tempo per accettare di non essere più Presidente del Consiglio, ma col passare dei mesi se n’era fatto una ragione. In fondo, si diceva, sono sempre il segretario del PD, lasciami vincere un’elezione ed è un attimo che torno a governare il Paese.

Quella mattina lì, un lunedì, quindi già brutto di suo, Renzi scopre che le elezioni ci sono state, e non le ha vinte lui. Le ha vinte la destra, e il prossimo Presidente del Consiglio sarà probabilmente Salvini, o Di Maio.

E come se la notizia non fosse già abbastanza grottesca, viene fuori che il suo partito, il PD, ha subìto la sconfitta più disastrosa della storia repubblicana, e adesso gli iscritti vogliono la sua testa su una picca.

Renzi non ci sta, è un combattente, non si arrenderà mai senza lottare, e dichiara guerra al sistema!

Tornerà più forte di prima, si riprenderà il partito e il governo, si farà eleggere anche Papa, se gli gira! Oltretutto Papa Renzi fa sicuramente più simpatia di Paparesta.

Per prima cosa ci vuole un piano. Bisogna capire dove sta andando l’Italia, e proporsi come la soluzione migliore ai problemi del Paese. Sì, ma quali sono? Analizzando i risultati delle elezioni Renzi elabora una risposta.

Intanto per cominciare sembra finalmente fuori tempo la secolare lotta fra fascisti e antifascisti: le due fazioni agli estremi dell’emiciclo parlamentare si sono presentate con diverse liste, ma tutte insieme hanno raccolto meno del 3% necessario a superare lo sbarramento. È evidente che l’Italia, tranne i soliti quattro stronzi, non si considera fascista, e anche i partigiani salvatori della Patria preferiscono stare a casa a guardare Netflix che andare sulle montagne a combattere per la libertà.

Renzi tira un sospiro di sollievo e si toglie gli scarponcini. E anche il fez, che fra l’altro lo fa sembrare un cretino.

ognuno ha il Che che gli pare
(Getty)

Che l’Italia non si senta fascista non esclude che possa..

No, fermo, qui c’è una doppia negazione. Una cosa che Renzi ha capito dai risultati del 4 marzo è che la maggioranza degli Italiani conosce la grammatica per sentito dire, e la sua capacità di concentrazione non supera i 160 caratteri, quindi Renzi dovrà esprimere i suoi concetti in un linguaggio più semplice, o non verrà capito.

Diceva, dunque, che pur non sentendosi fascista, quest’Italia si comporta come tale con una frequenza allarmante: tizi che scendono in strada a sparare ai negri in nome dell’amor patrio, altri tizi che scendono in strada a sparare ai negri perché volevano suicidarsi ma hanno una pessima mira, sindaci che si incazzano perché ad un certo punto i negri scendono anche loro in strada per chiedere di essere tutelati, e rompono due vasi.

Renzi si gingilla per un po’ con l’idea di assecondare questa deriva razzista: in fondo se è questo che vuole il Paese dovrebbe essere un dovere dello Stato assecondare i desideri dei suoi cittadini. Senza contare che un elettore spaventato è molto più facile da convincere di uno che si prende il tempo di riflettere, e oggi come oggi la paura degli immigrati vale il 30% dei voti.

No, non degli immigrati, diciamo le cose come stanno. Dei negri. Perché degli immigrati albanesi, sudamericani o cinesi non frega un cazzo a nessuno, sebbene siano molti di più. L’”Emergenza Albanesi” ormai ha ventisette anni e non se la ricorda più nessuno, l’”Emergenza Rumeni” è più recente, ma è durata da novembre a gennaio, quando è caduto il governo. Siamo andati a votare, ha vinto Berlusconi e i rumeni hanno smesso di essere una minaccia, come già gli albanesi prima di loro.

Renzi decide che non vale la pena assecondare una moda passeggera per raccattare voti, e sparare alla gente non è degno di un Paese civile, non siamo mica la Germania nazista. Se una fetta dell’elettorato aspira a diventarlo non è un elettorato da inseguire, ma casomai da educare. Il populismo paga solo sulla breve distanza, poi ti taglia le gambe.

La prima decisione di Renzi come futuro premier è impopolare, ma necessaria: adottare una politica di sostegno verso gli immigrati.. verso i negri, che punti a favorire l’integrazione dei nuovi arrivati da una parte e a tranquillizzare gli autoctoni dall’altra.

Qui Renzi si ferma un attimo per spiegare ai leghisti che “autoctono” significa “originario del luogo”. Loro, in parole povere. Gli italiani.

Questa parola gli fa venire in mente un altro punto importante del suo programma: italiano è chi nasce in Italia, non importa la nazionalità dei suoi genitori. Punto.

Siamo un popolo di vecchi, se non troviamo un sistema per rilanciare la natalità fra sessant’anni ci saranno due milioni di puri italiani veri a contendersi chilometri quadrati di territorio abbandonato e improduttivo, gridandosi terrone a distanza.

“Ma così viene minacciata la nostra integrità razziale”, bercerà dalle pagine di qualche giornale un emulo di Himmler

Renzi telefona a Salvini per spiegargli che emulo vuol dire “seguace, imitatore” e che Himmler.. vabbè, quello lo sa di sicuro, sennò l’alleanza con Casapound finiva ancora prima di cominciare. Le basi, Matteo! Le basi!

Comunque Renzi non ne ha voglia di spiegare perché questa teoria della deitalianizzazione è una cazzata, è talmente assurda che se hai bisogno di fartela spiegare significa che non sarai mai in grado di capirla. Vota quegli altri, fai prima.

E già che ci sei portati dietro gli antivaccinisti.

A proposito: le due forze politiche di maggioranza hanno inseguito il consenso così in basso da mettere in pericolo la salute pubblica avallando le cazzate medievali professate dai no vax. Questo non è solo cinico, è criminale.

I diritti umani occupano una buona parte del programma di Renzi, ma d’altronde prima che cittadini siamo esseri umani, e il nostro benessere dovrebbe essere l’ambizione principale di ogni governo, sennò non fondi uno Stato, apri una sala scommesse.

“Ma non è di soli diritti umani che vive uno Stato!”, esclama Renzi. Poi si appunta la massima su un quadernetto dalla copertina rossa pieno di idee per rilanciare l’economia e il sistema giudiziario e la legge elettorale e la finisco qui che se ve le sto a spiegare tutte facciamo notte.

ognuno ha la first lady che gli pare
(sempre Getty)

Una volta coperti tutti i punti del programma, Renzi si presenta alla più vicina sede del PD per cercare di convincere il partito a riprenderlo con sé.

Non gli aprono neanche, ma è probabile che non abbiano sentito il campanello: da fuori si sentono schiamazzi e porte che sbattono. Ad un certo punto si alza chiara e tonante la voce di Casini che urla: “Compagni! Ordine!”. Subito dopo dal portone esce Berlinguer in lacrime.

Renzi capisce che ormai lui e il partito si trovano su due strade diverse, e che deve rifondare un nuovo movimento, partendo dalla strada.

Rifondare è una bella parola, pensa Renzi, starebbe bene nel nome del partito. Decide così di chiamarlo Partito della Rifondazione Renziana. La tomba di Cossutta esplode.

Dopo la fondazione arriva il momento di farsi conoscere dall’uomo della strada, Renzi si mette a fermare persone a caso per sottoporre al loro giudizio il suo programma.

La prima signora che ferma ha votato 5 Stelle e gli dice PDiota.

La seconda persona è un leghista che lo accusa di avere portato i negri.

La terza è un elettore del PDL che gli da del coglione a lui e a tutti quelli che votano a sinistra.

La quarta è uno di Casapound che lo mena.

La quinta è uno di Potere Al Popolo che gli sputa in faccia.

La sesta è uno del nuovo Partito Comunista che gli sputa in faccia.

La settima è Bersani che se non glielo levano da sotto lo disfa.

L’ottava è Casini che lo chiama compagno.

Renzi capisce che bisogna cambiare strategia. In questi anni il partito si è allontanato dalla gente, ha smesso di ascoltarla, e questa si è rivolta altrove. È una storia cominciata tempo fa, quando gli operai votavano Berlusconi, che è come se un cinghiale si facesse la licenza di caccia.

Per la sua nuova strategia Renzi si fa crescere la barba, indossa un parka e va ad aspettare gli operai che finiscono il turno di pomeriggio, fuori da una grossa acciaieria siciliana. Perché è soprattutto il Sud a essere stato trascurato da tutte le forze politiche, perciò sarà da lì che ricostruirà il suo feudo.

Va a chiedere udienza al primo gruppetto che esce dal cancello, coi fogli ciclostilati in mano da vero comunista old staila si avvicina e li interroga.

“Ragazzi, volete il programma di Rifondazione?”

Per uno strano imbarazzo non se la sente di rivelare il nome completo del partito.

Quelli lo riconoscono lo stesso, ma invece di sputargli strabuzzano gli occhi:

“Mii! Ancora campagna elettorale?? Ma siamo appena andati a votare, che è?”

“È che questi partiti non riusciranno mai a formare una coalizione e andare al governo senza di me, quindi si andrà per forza a nuove elezioni. Mi sto solo portando avanti.”

“Vabbè, ma se votiamo di nuovo mica vinci te”, gli dice uno.

“Capace che stavolta pigli il 2%”, aggiunge l’altro.

“Vedete? È per colpa di questo disfattismo che il partito continua a perdere consenso. Non volete capire! Certe volte mi viene voglia di andarmene davvero e lasciarvi da soli a risolvere i vostri casini. Ma sono troppo buono, è il mio problema.”

“Mi sa che il tuo problema è la democrazia”, gli dice un anziano con un po’ di panza.

“Ma figuriamoci! Ma se abbiamo fatto anche le primarie per decidere chi sarebbe stato il segretario! E primarie vere, mica come quelle dei gril..”

“Democrazia nel senso del termine”, lo interrompe quello. “Democrazia inteso come governo del popolo. E il popolo ti ha fatto capire chiaramente che non ti vuole. Ma tu non te ne vuoi andare.”

“Ma perché non volete capire! Non c’è futuro senza di me, io sono l’unico che può traghettare il partito e tutta la sinistra fuori dal baratro! Io..”

“Hai perso. E non lo vuoi ammettere, vuoi restare lì. Ma non è un problema tuo, eh? Sono anni ormai che il partito ha smesso di ascoltare gli elettori. E alla fine gli elettori si sono stancati di parlare al vento. Io sono sempre stato comunista, fin da ragazzino. Figurati che quando stavo a Palermo ascoltavo Radio Aut. Poi avete cominciato a cambiare, e per un po’ vi sono venuto dietro. Ma non si poteva più, tutte le volte era un po’ più difficile. Un paio di volte mi avete fregato col ricatto che se non vi votavo vinceva Berlusconi, ma sto trucchetto non può funzionare sempre, no? Ad un certo punto dovete anche proporre qualcosa. E se qualcuno provava a cambiare lo isolavate. Perfino tu all’inizio sembravi una novità positiva, e guarda come ti sei ridotto. Adesso mi sono scocciato, ho votato i 5 Stelle. Perché sono quello che era il mio partito all’inizio, e magari loro non finiranno per inseguire il potere e basta.”

A sentir paragonare i 5 Stelle al Partito Comunista Renzi si inalbera, anche se lui di comunista non ha mai avuto neanche i nonni, ma essere il segretario di partito ti obbliga a indossare certi abiti che poi diventa difficile togliere.

“Come fai a paragonare questi populisti ignoranti col Partito? E gli ideali? E il progresso? Noi abbiamo lottato per l’aborto, per il divorzio, per le pari opportunità, loro cos’hanno fatto?”

“Voi avete lottato?”, gli grida in faccia l’anziano con la panza, “Voi? Ma che cazzo di lotta hai fatto tu a parte quella per tenerti la poltrona? Dov’è che il tuo partito ha soltanto immaginato qualcosa di sinistra?”

“Vi abbiamo dato i matrimoni gay! Eravamo a tanto così da darvi anche lo ius soli!”

“Ma non l’avete fatto! E i matrimoni gay mi pare il minimo, eravamo rimasti solo noi! Perfino Spagna e Irlanda hanno ottenuto questi diritti! E non mi dirai che sono paesi dove la chiesa non ha nessun peso! La devi ascoltare la gente, Renzi! La gente vuole un partito comunista vero, non questa porcheria!”

“Ce l’avevano. A queste elezioni ne avevano anche più di uno, e non li hanno votati. Hanno votato tutti i 5 Stelle. Perché non li hai votati tu?”

“Perché erano quattro scappati da casa. Io voglio un partito che sappia stare nel suo tempo, se volevo i maoisti andavo a vivere in Cina.”

“Comunque ho capito i miei errori. Per questo ho deciso di uscire dal PD e fondare un nuovo partito a mia immagine e somiglianza. Volete leggere il programma?”

“E faccelo leggere, dai.”

Renzi allunga al gruppetto i suoi fogli ciclostilati e quelli si mettono in cerchio con la testa bassa a rimuginare fra loro.

“Oh ma questo è un programma di sinistra bello tosto, ma che è?”

“Ho capito che non possiamo essere un ibrido né carne né pesce, dobbiamo schierarci. E allora ho preso una posizione netta.”

Gli operai sembrano convinti, sorridono un sacco. L’anziano con la panza gli dà una pacca sulla spalla e gli dice che magari stavolta ci pensa. Intanto si sono avvicinati altri personaggi, che ricevono il programma e si mettono a leggere. In pochissimo tempo il partito di Renzi sembra essersi guadagnato un discreto numero di simpatizzanti.

Poi uno gli domanda:

“Sì, vabbè, ma non è che il governo te lo puoi fare tu da solo. Chi chiami a darti una mano?”

“Eh ci ho pensato a lungo. Ho capito che il Paese chiede facce nuove, non importa la loro esperienza, basta che non siano gli stessi che lo hanno ridotto in questo stato. È per questo che ha avuto tanto successo il partito populista, perché è fatto da sconosciuti, gente non ancora toccata da nessuno scandalo. La gente vuole un rinnovamento, e io ho intenzione di darglielo. Sono o non sono il Rottamatore?”

“Eh, e quindi chi ci metti?”

“Mia zia. Non è mai stata in politica ed è una bravissima persona. E anche suo marito, se avesse voglia di partecipare al progetto. Poi ci sarebbe il mio parroco, da sempre impegnato nel sociale. Al mio meccanico vorrei assegnare il ministero dell’economia, perché dovreste vedere come ha tirato su l’officina che ha rilevato tre anni fa..”

Il sole tramonta dietro le ciminiere, e sul piazzale le ombre si allungano. Mentre Renzi snocciola la sua lista di rappresentanti di specchiata probità e cieca appartenenza alla sua causa il gruppo di operai si disperde. Ai loro piedi tante palline di carta, bianche come lapidi. Ognuna la tomba di un ideale, l’incarnazione di un partito che è morto mille volte e non rinasce mai, ma non per questo smette di morire.

 

Dice “È un po’ che non aggiorni il blog, che stai facendo? Scrivi un altro libro?”

Dire che sono stato risucchiato dal vortice di Tumblr e in pratica passo ogni minuto libero ad aggiornare la dashboard fa brutto, così ho deciso di raccontare alcune delle cose che ho visto, letto o fatto nell’ultimo decennio, fingendo di avere impegnato gli ultimi mesi in qualcosa che se non è produttivo sia almeno socialmente accettabile.

Allora, innanzitutto ho cominciato a pedinare una ragazzina di sedici anni dall’uscita di scuola a casa sua, ma pedinare non è il termine giusto, la tallonavo proprio, le stavo a un metro e le mormoravo parole oscene tipo icsfactor, libridimoccia e rapperitalianotrasgressivodistocazzo, e ogni volta che si voltava a rimproverarmi mi accarezzavo il pacco con lascivia [la-scì-via, se hai letto la-sci-vìa sei una brutta persona]. Poi mi è scaduto l’interinale alle poste e a consegnare la corrispondenza ci hanno messo un altro.

(questa cosa della ragazzina starebbe a sottintendere come la frequentazione di tumblr sia più immorale e deplorevole di un atteggiamento che puzza di pedofilia. Non ha molto senso spiegarlo, mi rendo conto, ma ultimamente su tumblr mi leggono i Bimbiminkia col senso dell’umorismo di un anello di totano, ma manco di quelli fritti, crudo, e allora rischio che la battuta non venga colta. Scusate.)

Pazienza, molto più tempo libero da investire in attività più socialmente accettabili della dashboard di tumblr, (vedi? devo sottolineare come alle elementari) che se non l’avete mai vista lasciate perdere, tutta quella pornografia mescolata a immagini di gattini potrebbe far perdere il senno a chiunque, io stesso oramai mi eccito ogni volta che sento miagolare.

Però non starò qui a raccontarvi delle mie fantasie erotiche, anche perché non tutte vi riguardano, ho scritto questo post per raccontarvi di quello che ho letto e visto, e tanto vi devo.

Quello che ho letto e visto

Comincio dal fondo, da quello che sto ancora leggendo perché è come quando ti invita a cena una che non sa cucinare e ci metti tre ore a finire il secondo perché se lo lasci magari si offende e poi va a finire che ti tocca passare la serata a guardare Men vs Food, che non so cosa sia, ma un amico me l’ha appena citato su facebook, e lui è uno che guarda delle vere porcherie.

Roba che se ad un certo punto compariva Ok Quack il romanzo poteva proseguire a Paperopoli e nessuno ci avrebbe trovato niente di strano.

 Si, ce l’ho con te, Stephen King, che prima mi illudi con tre capitoli piacevoli, poi mi esalti con un quarto che è un capolavoro, e poi mi presenti il conto con un quinto volume, I Lupi Del Calla,  piuttosto calante, un sesto, La Canzone Di Susannah, che bisognerebbe tirartelo dietro, e l’ultimo, La Torre Nera, che se non avevi più voglia di scriverlo bastava dirlo, l’avremmo capito. Guarda, ci parlavo io col tuo editore, una soluzione si trovava, ma metterti a discutere col lettore, diventare tu stesso un personaggio della storia, dai, è veramente la soluzione di chi non ha più niente da dire! Non sei d’accordo con me, lettore di questo blog?

Adesso ho questo romanzo a un quarto scarso, ne leggo due pagine la sera per vedere se migliora, salto le righe, mi dispero perché è di un noioso che non ci si crede, da un momento all’altro potrebbe raccontarmi del benzinaio preferito dai taheen e di quella volta che si è messo a regalare i punti carburante perché aveva avuto una crisi mistica e gli era apparsa Santa Teresa, che però lui non essendo pratico di cristianesimo aveva scambiato per San Pietro (oppure a causa dei baffi, che le Scritture non ne parlano perché non è bello che si sappia, ma Santa Teresa da ragazza la chiamavano Gino Cervi), e gli aveva confidato che il mondo stava per finire e che Marchionne avrebbe trasferito gli stabilimenti in Pakistan, perciò suo nipote avrebbe perso lavoro e sarebbe tornato a drogarsi. Siccome il nipote è quello del benzinaio e non quello di Marchionne capirete anche voi che al nostro amico quel giorno gli giravano le balle, e vi sarete fatti un’idea, cari lettori grandi e piccini, di com’è stato scritto l’ultimo volume di questa saga fantasy postatomica.

Roba che il tuo scrittore preferito dei tuoi anni di ragazzetto protonerd potrebbe perdere anche quel rispetto che gli devi ancora per le forti emozioni che ti ha fatto provare descrivendo un momento di petting fra il protagonista e la sua ragazza cheperòpoimuore ne Le Notti Di Salem, che tu una roba così spinta come lui che “fece scivolare una mano sul suo seno e lei si inarcò per offrirglielo pienamente, soffice e sodo com’era” non l’avevi mai letta e quella sera sei andato a dormire sconvolto.

Sai cosa, amico Stephen King? O mi tiri fuori un altro 22/11/63 o mi leggo tutta la bibliografia di Valerio Massimo Manfredi. NON STO SCHERZANDO!!

Il titolo è fuorviante, in realtà è un libro di ricette per cucinare le melanzane.

Per evitare di morire di noia mi sono procurato una lista di romanzi sui viaggi nel tempo, e poi, grazie al mio amicone Senko che un giorno mi ha detto “ti faccio una cassetta”, che negli anni ’80 indicava una compilation TDK da 90 minuti piena di musichine e adesso invece rappresenta una chiavetta usb da 16 giga piena di qualunque cosa, in questo caso libri, ho spulciato in un archivio grande più o meno come la provincia di Cuneo alla ricerca dei tiroli che mi interessavano.

Al momento sto leggendo Al Di Là Del Tempo di Connie Willis, che non è un romanzo ma un’antologia di racconti, e di viaggi nel tempo ne parla più o meno come ne sto parlando io qui, però finora si lascia leggere, e il primo racconto mi ha preso molto più di quanto mi aspettassi dal genere, che è una roba tipo ricordi di scuola e primi amori, che detta così mi fa un casino casalinga frustrata, ma in realtà è scritto bene davvero. Vedremo gli altri.

Lo so, non sto leggendo molto, direte voi amici colti, che divorate i libri come io divoro i pomodorini dell’orto, a cinque per volta e senza lavarli, che però per i libri è meglio fare così, che sennò poi si sgualciscono le pagine, per non parlare di chi legge col kindle, lascia perdere.

In realtà sto occupando il tempo che voi dedicate ai vostri romanzi preferiti per leggere una quantità disumana di fumetti, tipo tre o quattro, che però escono tutti i mesi!! È come se vi metteste a leggere.. dei fumetti, tipo.. che però escono.. tutti i mesi!! Non so se è chiaro il paragone.

Un momento tipico nella vita di una famiglia, e se a voi non è mai capitato vi compatisco assai.

Una delle serie che ho cominciato dal numero uno e sto portando avanti con soddisfazione è Saga, di Brian K. Vaughan e Fiona Staples, un racconto fantasy (daje) ambientato nello spazio, quindi di fantascienza, si però più fantasy. Adulto nei dialoghi e nelle situazioni (Parlano anche di sesso! Nei fumetti! Tutti i mesi!!), molto ironico, sempre lì che adesso succede qualcosa, ma senza l’ansia di ommioddio un mese senza sapere come va a finireh! L’ha consigliato anche Buoni Presagi, che poi sembra che leggo i fumetti che consiglia lui e non lo cito. In realtà l’avevo già lì da leggere da anni e anni e aspettavo di trovare la voglia, non è che ho cominciato perché me l’ha detto lui, e comunque io ne ho già letto tredici numeri e lui invece è fermo al terzo, gnegnegne.

Allora ci vediamo questa sera? Una serata fra amici, una chitarra e un omicidio.

Garth Ennis lo leggo per principio, mi piace, a volte si ripete un po’, a volte non ne ho voglia e lo pianto lì, a volte vorrei telefonargli a casa e tirarlo giù dal letto e dirgli “Oh Garth! Questa si che è una storia coi coglioni! Ma non i coglioni tipo i protagonisti della Torre Nera!”.
Red Team è appena cominciato, giusto quattro numeri, e sta scorrendo bene, una trama solida, dei protagonisti credibili che non fanno i pazzeschi come Barracuda, che è simpatico, ma tutti così no eh. È la storia di un gruppo di agenti che dopo aver visto com’è andata a finire con Berlusconi, che tre gradi di giudizio ed è ancora lì a rompere i coglioni, decidono di dare una mano alla giustizia e invece di arrestare i criminali li fanno fuori con azioni da commando.
Strega commando colori.
Non c’entra, ma mi faceva ridere.

L’amore. Quello con la a minuscola, ma col tizio che tira le frecce e fa il coglione per Brooklyn.

Mi sono tenuto per ultima la serie che mi ha fatto innamorare, Hawkeye, di Matt Fraction e David Aja, roba che non credevo che una serie regolare Marvel fosse ancora capace di. È il supereroe che abbiamo visto negli Avengers, sai quel film di supereroi fatto bene che ti ha fatto dimenticare le porcherie tirate fuori con Hulk, Spiderman e, lo so che non sarete d’accordo ma mi ha fatto cagare, Iron Man? Quello interpretato da quello che sembra sempre si sia appena svegliato, che ha fatto quel film che ammazzava una bella saga come quella di Bourne.
Insomma, niente a che vedere, queste sono le avventure di Occhio Di Falco (che non è stato tradotto e continua a chiamarsi Hawkeye anche in italiano) quando non indossa il costume pacchianissimo che lo fa somigliare a una versione campy della (orrenda) Catwoman di Halle Berry. Vive in un condominio di Brooklyn, piglia botte da buffi mafiosi russi che vanno in giro con la tuta dell’adidas e dicono Bro, salva un cane, cazzeggia coi condomini e finisce nei casini per delle donne. Adorabile, cialtrone, lontanissimo dallo stereotipo del supereroe, sia dell’antieroe indisciplinato tipo Wolverine che della macchietta fastidiosa che in questo momento non ricordo neanche come si chiama ma avete capito, è tutto rosso, ha due pistole ed è una specie di zombi ninja. Inoltre David Aja ha fatto un lavoro splendido nella costruzione della pagina, e alterna vignette che sembrano scarabocchiate, con pochissimi dettagli, ad altre molto complete. Insomma, si è capito che mi piace, cos’altro devo fare, comprarvelo e portarvelo a casa?

Ci sono altre cose di cui dovrei parlare, alcune bellissime altre meno, prima di affrontare il discorso cinema, ma qui finisce che arriva l’alba e sono ancora alzato, e poi voi non mi leggete perché ho scritto troppo e ormai siete abituati ai microperiodi di facebook, e se uno scrive più di 160 caratteri senza faccine diventa prolisso.

Io poi prolisso lo sono già, ti lascio immaginare che succede. Facciamo che proseguo un’altra volta, eh?

 

Deadpool! Ecco come si chiama! Simpatico cinque minuti, poi torno a leggermi La Torre Nera.

Aggiornamento dell’ultimo minuto:
All’idea di dovermi sorbire altre pagine della Torre Nera sono andato su wikipedia e mi sono letto la trama. Non ve la racconto per evitarvi spoilers, ma sappiate che dopo aver scoperto cosa succede nelle pagine che mi mancano ho cancellato il file dal telefono, poi dal computer, poi ho buttato via la chiavetta usb di Senko, poi ho strappato il cavo del telefono e me lo sono mangiato.

Ho scritto un commento sul blog del Dottor Manhattan, una roba da nerz che vi invito a leggere solo se seriamente motivati, che con tutti i problemi che ci sono al mondo oggi è da irresponsabili mettersi ad alimentare una polemica sul fatto che Ben Affleck sarà il nuovo Batman, molto più serio aggiungersi al coro di quelli che berlusconeingalerasì o berlusconeingaleranò, tanto la cortecostituzionale è una roba per ridere, dai, volevate mica condannarlo sul serio? Guarda, davvero, lasciami Batman, è meglio per tutti.

Ben Affleck è meglio di Christian De Sica, ma peggio di Christian Bale, insomma meh.

Poi però è saltata la luce, perché in casa mia l’impianto elettrico l’ha fatto il nonno di Garibaldi usando uno schema che gli aveva disegnato Alessandro Volta su un tovagliolo del bar, e se provi ad accendere insieme la lavatrice e il forno fai saltare la corrente a tutto il palazzo, che adesso te ne freghi perché la vicina non c’è, ma domani torna e se le impedisci di guardarsi i telefilm di Renegade su Retequattro quella è capace che smette di farti il caffè. E comunque l’ultima volta che è successo ho fermato un intercity qui di fronte e meno male che non sono andati a cercare la causa, sennò per sdebitarmi con Trenitalia dovevo viaggiare in locale tutta la vita da Ronco a Santa Maria Capua Vetere.

Insomma, è saltata la luce e il mio commento ben scritto e ragionato si è perso come farebbe questo post se saltasse la corrente adesso, che io di scrivere in brutta e poi casomai copincollare no, molto meglio buttare giù di getto come viene e manco rileggere, che palle rileggere, tanto chi vuoi che se ne accorga se è scritto coi piedi, mi leggono in quattro. Poi però mi lamento che il mio blog lo leggono in quattro e per mantenermi devo inscatolare viti, e anche così non arrivo alla fine del mese, cosa che sto cercando di risolvere tenendo sotto controllo Jack, che secondo me da quando gli ho dato il codice del bancomat va a fare dei prelievi di nascosto, perché non è mica possibile fare la vita dell’eremita come faccio io e farsi offrire il pranzo venti volte al mese e ciononostante avere un conto che neanche il re dell’Uganda, adesso faccio come lui e mi metto a scrivere email agli sconosciuti proponendo loro affari vantaggiosissimi come avete fatto a non pensarci prima meno male che ci sono qua io.

Che poi io questa cosa del re dell’Uganda che scrive le email.. le avete mai ricevute? A volte è lui, a volte il suo segretario, ti propone di metterti in società per fare delle robe che guarda, c’è da lucrarci di brutto, solo che usa un linguaggio più complicato, ci gira intorno, perché in Uganda non parlano bene l’inglese e non sanno tradurre lucrarci di brutto. Ora, secondo me non è davvero lui, è una specie di truffa. Non sono sicuro, non vorrei mettervi in testa delle idee sbagliate, ma secondo me se gli mandate i soldi che chiede poi non lo vedete più. L’ultima volta gli ho risposto che l’avrei aiutato volentieri, ma ho investito i miei risparmi per comprare una stufa a Elena che vive in Russia. Semmai col prossimo stipendio, dai.

Ma dicevo del mio commento, che mi sono dovuto mettere lì e riscriverlo, solo che nel frattempo ho preso l’aperitivo a base di Tennent’s e Fonzi, che è un abbinamento che a stomaco vuoto ha degli effetti sui miei neuroni che se potessero osservarli con qualche strumento sofisticatissimo tipo una lente d’ingrandimento PERÒ NUCLEARE vedrebbero delle robe con tante zampette che si danno delle pacche sulle spalle e ridono come dei cretini, poi indossano dei sombreri e suonano l’ukulele. Li invidio un po’ i miei neuroni, io l’ukulele non lo so suonare.

Così il mio commento è venuto fuori più sbarazzino, ho faticato ad arrivare al punto, mi sono perso, ho rischiato anche di andare fuori tema, che è una cosa che la mia maestra delle elementari odiava, ogni volta mi faceva dei segnacci sul quaderno e scriveva a lettere maiuscole NON ANDARE FUORI TEMA!!UNO! e la cosa mi ha lasciato tanto sconvolto negli anni a venire che adesso quando mi sembra di divagare mi appare la sua faccia incazzata e per non avere gl’incubi la notte devo buttare via tutte le penne rosse che ho in casa. Operazione, peraltro, costosissima, perché in casa non ho penne rosse, così devo scendere dal tabacchino a comprarne una scatola.

Per un certo periodo ho provato a frequentare la nipote della mia maestra, che è molto carina, e speravo che sostituendo la sua faccia con quella che mi perseguita di notte i miei incubi sarebbero finiti, ma non ne ha voluto sapere di venire di notte a casa mia, ho provato a spiegarglielo che non era perché bramavo di strapparle le mutande, cioè, non solo, ma vabbè, no. Per fortuna che il tabacchino ha accettato di farmi credito, sennò mi toccava andare in analisi.

Ecco perché secondo me Ben Affleck non va bene come Batman.

Cappelleria Regent Street
E si perché il leitmotiv della gita sono io che voglio comprarmi un cappello. Ho cominciato in Italia, ma l’idea era ancora in stato embrionale e non mi ha spinto a nessun acquisto frettoloso, e poi l’inverno si è presentato tardi e le orecchie non mi gelavano ancora. Quando abbiamo deciso di andare a Londra si è capito che l’avrei comprato là, che si sa che l’Inghilterra è la patria assoluta dei berretti e dei cappelli, sai che scelta infinita?
Insomma che i negozi sono ancora aperti e passiamo davanti a questo negozio di cachemire in Regent Street, che ha dei bellissimi cappelli di lana esposti in vetrina.
L’aspetto elegante della boutique ci intimorisce, ma i prezzi sembrano abbordabili, così entriamo. Dentro è tutto molto elegante, gestore compreso, ma c’è un particolare che trasla tutta l’atmosfera da un film su una famiglia importante dell’Inghilterra vittoriana a uno su Christian De Sica arricchito con la moglie burina in vacanza nella City, e questo particolare è Daniela Santanché.

Ora, non so se quella che ho davanti sia davvero l’ex sottosegretaria, ma se non lo è le somiglia tantissimo, ed è impegnata in una di quelle santancherie tipiche che fanno passare in secondo piano il fatto che sia solo una bionda maleducata.
Sta strillando a centinaia di decibel oltre la decenza, in un inglese da caricatura di italiano anglofono dei cartoni di Seth MacFarlane, e pretende di essere trattata meglio perché lei è italiana, non marocchina o araba o indiana (e qui allude pesantemente alla nazionalità del negoziante), e gli italiani vanno trattati con rispetto, e ci aggiunge una sequela infinita di cazzate nazionaliste che nessuna bionda italiana maleducata e sbraitona potrebbe pronunciare senza diventare definitivamente Daniela Santanché. È lei, non ci sono cazzi.

Io e Marzia la fissiamo costernati da tanta violenza, dimentichi anche dei cappelli da esaminare, e quando una signorina visibilmente imbarazzata ci offre assistenza le rispondiamo senza veramente capire cosa voglia da noi. Dopo alcuni minuti l’aggressione verbale cala d’intensità, sembra che all’origine ci fosse uno sconto non dato o qualcosa del genere, e a quanto pare il negoziante si è convinto a scendere a patti. La donna torna a parlare a un volume non percepibile dal marciapiede di fronte e tutto sembra finire lì, ma c’è ancora spazio per una predica non richiesta; la Santanché, infatti, esaurita la rabbia, si mette a pontificare nuovamente sul fatto che lei è italiana, e gli italiani sono un popolo che merita rispetto, e il tono della voce si fa più potente, che il canto delle patrie gesta richiede una certa enfasi, e di nuovo ci troviamo con questa scalmanata in mezzo al negozio ad agitare le mani come dal balcone di Piazza Venezia.

A quel punto decidiamo che i cappelli non sono poi così belli e teliamo prima che qualcuno possa riconoscerci come altri membri di quello stesso popolo cialtrone e maleducato.
Giuro, non mi sono mai vergognato così tanto di essere italiano, neanche quella volta in cui l’ubriacone Bob (stessa città, anni di distanza) mi prese per il culo perché Berlusconi aveva dato del kapò a Schulz.

una foto che non c'entra niente, ma quel giorno sono uscito senza macchina.

Japan Store
Regent Street
L’idea sarebbe di cenarci in questo supermercato giapponese, ma il piccolo reparto cucina è già invaso di occidentali con la nostra stessa idea, così ci limitiamo a un giro e usciamo.

È bello il Japan Store, frequentato perlopiù da europei affascinati dalla cultura nipponica, o semplicemente in cerca di ramen; ci puoi trovare tutto quello che ti viene in mente, dagli alimentari all’oggettistica, esattamente come lo troveresti in un supermercato di Tokyo, ma coi prezzi in pounds. La prima volta che visitai questo posto si trovava in un altro edificio di Regent Street e stava su tre piani, ma si vede che la crisi ha colpito anche loro, oppure i ramen li fanno più buoni altrove. Comunque anche così roba ce n’è parecchia. La nostra scelta è limitata per questioni di bagaglio, prendiamo qualche confezione di caramelle dal nome misterioso (ma per quanto ne capiamo di ideogrammi potrebbe anche essere il prezzo) e usciamo.

Curiosità: nell’edificio accanto si trova il fratello gemello del Japan Store, un grande magazzino che vende prodotti occidentali a una clientela esclusivamente giapponese. Ha i cartellini nella loro lingua e gli inglesi non ci comprano, anche perché le stesse cose le trovano altrove senza bisogno di un interprete.

Un'altra foto paracula che non ha niente a che vedere col testo.

Carnaby Street Quadrophenia
57 Carnaby Street
L’ultimo giorno londinese comincia con una visita a Pretty Green, il negozio di abbigliamento di Liam Gallagher, l’altro Oasis, a Carnaby Street. È una via molto colorata, piena di negozi che espongono cose di moda a prezzi che neanche se te li fabbricasse lo stilista sul momento mentre la sua commessa orientale ti fa un massaggio particolare.
E cosa ci andiamo a fare noi, notoriamente ostili alle cose di moda a prezzi eccetera eccetera, in un negozio così? Che forse siamo diventati improvvisamente fans degli Oasis?

No, è che nel suo ultimo tentativo di acchiappare nuovi fans il vecchio Liam è diventato un mod e ha pensato di ospitare una mostra su Quadrophenia nell’interrato del suo negozietto.
L’ingresso è gratuito, devi solo attraversare incolume i cartellini dei prezzi che ti assalgono da ogni lato, scendere le scale e goderti quel po po popò po’ po’ gran mucchio di..

cartelloni, fotografie, la lambretta del film o una sua buona riproduzione, abiti di scena, postazioni audio in cui ascoltare i demo del disco e comprenderne l’evoluzione. Interessante, tutto sommato, ma molto breve. Comunque Quadrophenia mi piace molto più di Tommy.

British Museum
Great Russell Street
L’ultimo giorno della vacanza lo dedichiamo allo shopping, l’ho detto? L’idea è quella di girare per negozi senza preoccuparci di andare a visitare questo e quell’altro, stancarci meno e toglierci qualche soddisfazione. Per conto mio sono terrorizzato all’idea di dover visitare i grandi magazzini di Oxford Street uno dopo l’altro, ma ho estorto alla mia accompagnatrice la promessa di tornare anche a Covent Garden e infilarci in qualche vicolo.
Così avviene, ci facciamo in fila tutte le versioni possibili dell’Oviesse, tutte caratterizzate da una sinistra costante: non hanno il bagno.
Verso le sei, con una vescica che sembra un pallone, decidiamo di recarci nell’unico posto accogliente dei paraggi, anche se ciò significa violare l’embargo culturale che ci siamo dati: il British Museum.

Ho sempre provato un certo fastidio nel visitare questo edificio, pieno di oggetti provenienti da ogni parte del mondo e mai restituiti ai legittimi proprietari, mi sembra un monumento al furto.

Me l’immagino la scena, Sir Reginald Cavendish sta viaggiando per la giungla indiana insieme a una colonna di servitori che si snoda per due chilometri alle sue spalle e ad un tratto sbuca in una radura. Davanti a lui un gigantesco tempio di pietra nera, lucida, sorvegliato dalla statua di un dio dalla testa di elefante. Dopo un primo istante di sbigottimento Sir Cavendish scende da cavallo, si avvicina alla statua ed esclama soddisfatto “Dear God!”, quindi chiama il suo aiutante occhialuto, il professor John Fitzgerald Holmes, e gli fa: “Allora professore, se dono questa statua al museo crede che me la dedicheranno una sala?”.
Dopo avere impacchettato l’impacchettabile la carovana si rimette in marcia. Il mattino seguente un contadino che vive nei paraggi si alza presto, si lava la faccia, prende il pacchetto con le offerte e si reca al tempio per chiedere al dio Ganesh un raccolto abbondante. Quando sbuca nella radura e non vede più la statua del dio cade in ginocchio, il pacchetto delle offerte si sparge sul terreno e dalla sua bocca sfugge un’invocazione a un dio che non appartiene alla sua religione: Anubi.

Solo in tempi più recenti le mie posizioni si sono ammorbidite, e adesso penso che se tutte le decorazioni interne del Partenone non si trovassero qui forse sarebbero andate distrutte durante la dominazione ottomana. Si, però sticazzi, forse ora potresti restituirle. Si, però la Grecia li avrebbe i soldi per rimetterle al loro posto? Si, però..
Ecco un chiaro esempio del perché normalmente non mi metto a ragionare su queste faccende di cui so pochissimo.
E comunque il British Museum, nonostante le riserve, l’ho visitato tante volte da conoscerlo a memoria, e questo mi permette di fare da cicerone a una fidanzata incredula.

“Ma la Stele di Rosetta si trova davvero qui?”
“Si, è laggiù in fondo.”
“E questa cosa nella teca qui davanti dove si fermano tutti cos’è?”
“Uh. La.. Stele di Rosetta..”

A parte l’antipatia verso l’appropriazione indebita di manufatti il British Museum contiene delle autentiche meraviglie, e a differenza del suo cugino parigino è visitabile in tempi umani. La mia sezione preferita riguarda l’arte precolombiana, ogni volta che vado a Londra mi perdo a guardare nelle pupille sbarrate del Teschio di Tetzcatlipoca e ripenso ai bei tempi di Broken Sword.

Questa foto poi è talmente slegata dal contesto che non l'ho neanche scattata io.
Certo, tanto valeva metterci una bella foto, ma le spice girls sono così urrende che fanno tenerezza.

The Real Greek
60 – 62 Long Acre
Chiudiamo con tre locali in cui togliersi l’appetito, bere una birra o entrare e uscire affascinati.

Il primo si chiama The Real Greek, si trova dietro Covent Garden in mezzo a quell stradine piene di roba che mi piacciono tanto (ma non è assolutamente difficile da trovare, il Long Acre è una delle strade principali) e serve cucina greca, manco a dirlo.
Il cameriere ha la faccia da greco, il naso da greco e parla con una pronuncia tremenda, proprio come i greci, però è italiano, sa fare il caffè ed è pure molto simpatico.
La cucina è composta da una selezione di piattini molto gustosi, le porzioni sono abbondanti (per dire, io sono uscito sazio senza ordinare il menù per ciclopi) e prezzi sono medio alti, come tutti i ristoranti londinesi, tranne giusto il cinese e mcdonalz, ma se vai in vacanza a Londra non è che puoi fare il barbone eh.

The Lamb And Flag
33 Rose Street
Questo pub è il più antico della città, o almeno di ciò si bullano i suoi proprietari, ma la verità è che non esistono testimoni in merito. Uno che aveva bevuto troppo una sera sostenne di essere Connor MacLeod e di avere assistito all’inaugurazione nel lontano 1623, ma era il 26 ottobre del 1991 e il locale era pieno di tifosi della nazionale di rugby, che proprio quella sera si giocava la semifinale con la Scozia. Come il nostro eroe dichiarò le proprie generalità partirono stormi di mazzate che sembrava una rotta migratoria, e in cinque minuti di lui non si seppe più niente.

Il locale comunque sembra davvero vecchissimo, è tutto in legno, anche le ragazze sedute al tavolino che guardano schifate gli avventori, ma loro solo un pezzo.

The Swan
66 Bayswater Road
E qui finisce l’avventura del signor Bonaventura, che gira gira è andato a mangiare nel pub sotto casa proprio l’ultima sera e ha scoperto che ci si mangia anche bene. Il pub è legato alla Fuller’s, una catena di locali concorrente alla Nicholson’s, che abbiamo già incontrato. Cosa si mangia non me lo ricordo più, che son passati tre mesi, ma non era male e la birra era buona. Al tavolo accanto al nostro c’era una coppia di italiani che ha fatto finta di non capire cosa dicevamo e parlava pianissimo per non farsi sgamare, ma lui aveva un maglione della Ueh Figa che giusto un italiano avrebbe il coraggio di portare in pubblico. Quando ci siamo alzati gli abbiamo detto “vabbè ciao eh” e ci è rimasto malissimo.

E basta. È stata una bella vacanza e ci tornerei, anche se Londra comincia a starmi stretta e vorrei vedere un po’ di dintorni.

Grande assente Banksy, che a parte il monopoli semidistrutto di Occupy London non si è mai fatto vedere, e si che Londra dovrebbe essere piena di suoi lavori, e allora mi è più simpatico Invader, guarda, che almeno Parigi l’ha invasa davvero.

Ma che razza di giornalista pone 10 domande a berlusconi e si limita a interrogarlo sui suoi rapporti con una ragazzina? Come se non ci fossero mai stati altri interrogativi! Voleva fargli delle domande? Benissimo, facciamogliele, ma non limitiamoci a spettinarlo, tiriamo fuori tutta la merda che ha seppellito in giardino e infiliamocelo dentro con tutta la faccia!

Ecco tre domande che vorrei fargli io:

1. Com’è possibile che David Mills sia stato condannato per aver accettato una tangente da lui e lui continui a proclamarsi innocente?

2. Essendo la tangente stata pagata per testimoniare il falso in due processi a berlusconi per corruzione, finanziamenti illeciti al psi e falso in bilancio, si evince che il presidente del consiglio è colpevole anche di quei reati. Passi il primo, per cui la cassazione l’ha assolto, ma dagli altri due capi d’imputazione se l’è cavata solo depenalizzando il reato. E’ giusto sostenere che questo fa di lui un pluripregiudicato, che evita la galera solo grazie al potere di cui è stato investito?

3. E restando in tema di pregiudicati, vogliamo parlare dei suoi rapporti con Vittorio Mangano, pluriomicida legato a cosa nostra? O dei suoi rapporti con Marcello Dell’Utri, suo stretto collaboratore, condannato per concorso in associazione mafiosa, frode fiscale, tentata estorsione, e altre robette?

Cominciamo a rispondere a queste, e poi potremo anche occuparci dei suoi rapporti con una ragazzina, e delle altre "piccolezze" che lo riguardano, frequenze televisive occupate abusivamente, finanziamenti scaturiti da chissà dove, informazione incatenata, fino all’immagine del Paese all’estero gettata alle ortiche.

 C’è una tribù gallica che da qualche settimana si è accampata sotto casa nostra. All’inizio non ci abbiamo dato peso, buongiorno buonasera quando uscivamo e finiva lì, ma quando si sono messi ad alzare palizzate tutto intorno al villaggio abbiamo cominciato a preoccuparci. Qualche giorno fa ci hanno chiuso l’accesso alla strada, e quando sono uscito per andare a lavorare hanno preteso una decima. Me la sono cavata regalando loro Mikowski, che è bello grasso e dev’essere ottimo con le patate, ma la sera ne ho parlato col Subcomandante, e non è rimasta contenta.

“Cosa vogliono questi stranieri?”, ha esclamato, “Vengono qui e fanno il cazzo che gli pare!”
“Parli come una leghista”
“No, io ce l’ho solo con le etnie che non sono rappresentate al parlamento europeo, tipo i gringos americani o le ucraine beone!”
“Coi longobardi?”
“Anche con loro!”
“Con gli ittiti?”
“Eh certo, vuoi lasciar fuori gli ittiti?”
“Con gli etruschi?”
“Si, anche, ma meno. In fondo son sempre italiani.”
“Ho parlato col loro capo, Belloveso. Mi ha detto che sono dei carnuti”
“Che erano dei cornuti me n’ero accorta anch’io! E pure stronzi!”
“Nono, carnuti con la a. sono originari del nord della Francia.”
“E cosa son venuti a rompere le palle a noi a fare?”
“Vogliono visitare l’acquario, solo che gli alberghi di Genova sono tutti pieni, e allora si sono accampati nell’entroterra. Più precisamente nel nostro giardino.”
“Glielo do io glielo do! Gliela tiro giù quella palizzata!”

E mi mostra una cosa che ha trovato su internet.

“Una catapulta?”
“C’è questo sito, www.armidaassedio.it, che costruisce trabucchi e baliste a prezzi competitivi!”

Competitivi nei confronti di chi, le chiedo, che vorrei proprio vedere chi si va a comprare un mangano al giorno d’oggi. A parte Berlusconi, intendo.
Non mi sta neanche a sentire, è tutta esaltata per aver ordinato una catapulta, che dovrebbe arrivare in pochissimo tempo con un corriere espresso.
In quel momento le squilla il cellulare.

“E’ arrivata! È arrivata!”, strilla, correndo fuori.
In effetti è proprio il corriere, sta in mezzo alla strada con la faccia triste e guarda in su verso la palizzata del villaggio carnuto. Perché se è vero che noi non possiamo arrivare da lui è altresì vero il contrario, la nostra catapulta sta alla distanza di un villaggio gallico da casa nostra, inutilizzabile.

“Col cazzo! L’ho pagata in anticipo e me la prendo!”, grida il Subcomandante, seguita da me che le sbraito dietro “Coosa? Non hai richiesto il pagamento contrassegno? Masseiffuori?”.

Scende giù e si mette a picchiare contro il portone del villaggio, insultando tutto l’olimpo delle divinità galliche. Si vede che anche lei ha letto Asterix.
Evidentemente qualcuna l’azzecca, perché da dietro la palizzata qualcuno le tira addosso Mikowski, ancora vivo e vegeto. E pure ben pasciuto, si vede che ha trovato dei galli di cuore.

“Riprendetevi il vostro mostro!”, ci grida Belloveso, “Ci ha mangiato tutte le scorte di cibo! Ora dobbiamo smantellare e tornare a casa, o moriremo di fame! Maledetti!”

In quattro e quattr’otto i galli sgallano, la strada è di nuovo libera, e mentre il gatto Mikowski se ne torna ciondolando verso casa io e il Subcomandante restiamo lì a chiederci cosa ce ne potremo fare di una catapulta.

Oggi mi chiama la Telecom.

– Buongiorno, parlo col signor Subcomandante?
– Per carità, non mi permetterei mai! Io sono solo un misero subalterno, un semplice fusibile nell’immenso motore che è la Revoluciòn.
– Sono il tecnico della Telecom, devo venirle in casa a metterle sotto controllo il telefono, con la scusa di attivare l’adsl.
– Capisco. Si tratta di inchieste sulla pedopornografia o sul calcioscommesse?
– Nessuna delle due. Pare che siate dei pericolosi estremisti sovversivi facili alla violenza.
– Chi, noi? Guardi che deve averci scambiato per qualcun altro.
– Non saprei, qui c’è il vostro nome. Posso parlare con l’intestatario del contratto telefonico? Avrei bisogno della sua autorizzazione firmata.
– Il Subcomandante? Mi spiace, è andato a Genova a tirare biglie d’acciaio a Berlusconi.
– Quando posso trovarlo?
– Eh, tempo che l’identificano e l’arrestano.. il processo per direttissima.. la sentenza.. Mi sa che ci vorrà una quindicina d’anni minimo.
– Allora sarà meglio che faccia disdire la richiesta di adsl.
– COOSA?? Starà mica scherzando? Per navigare ad alta velocità sono disposto a farmi mettere sotto controllo anche le mutande!! Venite al più presto e attaccatemi l’adiesseelle,  che a falsificare la firma del Subcomandante ci penso io. Al limite mi faccio aiutare da El Bastardo, che lui di queste cose è pratico.