Gavrilo Prinzip’s Lonely Hearts Club Band

Tanti anni fa, uno di quelli che iniziavano per millenovecento, mi iscrissi all’università, perché mi aveva preso uno di quei momenti che mi prendono spesso, di voler sapere le cose. Solo che allora internet non c’era, e in edicola esisteva una rivista che si chiamava Storia, che forse si componeva anche dell’aggettivo Illustrata, ma che trovavo noiosa fin dal titolo, che infatti non leggevo per intero, e quindi non la compravo. L’unica alternativa possibile era iscriversi all’università, ma non volevo che la mia famiglia dovesse sobbarcarsi altre spese per la mia istruzione, dato che fino a quel momento era stata drammaticamente incostante, perciò intrapresi quel nuovo capitolo della mia vita solo una volta trovato un lavoro stabile e abbastanza remunerativo. Vivevo con mio padre e non avevo spese, quindi il grosso sacrificio sarebbe stato quello di smettere di comprarmi cidi e investire gli stipendi in libri.

Io poi scrivo sempre cidi e uno che mi legge può pensare che cidi sia l’abbreviazione di acidi e che nella mia gioventù sia stato uno scapestrato seguace della controcultura hippy in forte ritardo sui miei simili ma ben deciso a recuperare il terreno perduto, ma in realtà i cidi sono quei supporti rotondi che una volta si infilavano nel lettore e riproducevano musica, e che qualche personaggio appiccicava al lunotto posteriore della macchina convinto che così l’autovelox non sarebbe riuscito a fotografargli la targa. Erano gli stessi personaggi che più tardi avrebbero applaudito all’atterraggio dell’aereo e che oggi gridano alla dittatura sanitaria.

Scelsi la facoltà di lingue, perché mi piacevano le lingue, ero bravo, e pensavo che così mi sarei annoiato di meno. Inoltre c’erano materie dai nomi complicati che mi facevano sentire intelligente, come glottologia, che conoscevo per averla letta una volta in un fumetto di Martin Mystère.

Sapere dove l’ho poi cacciato, questo libro

Il primo capitolo del primo libro di testo che comprai si rivelò molto interessante, quasi romanzesco, tanto che la ragazza con cui uscivo allora, il Cancelliere, attaccò a prendermi in giro perché lei, studentessa di economia e commercio, si stava seppellendo sotto pagine di trattati che ti facevano venire voglia di abbandonare tutto e aprire una friggitoria.

“Perché io devo imparare la differenza fra l’IVA applicata su un bancale di banane proveniente dal Costarica e uno che arriva dal Messico, e tu hai da studiare un dialogo buffo fra Cavour e Vittorio Emanuele III?”, mi chiedeva, sfogliando il mio libro con Charlie Chaplin in copertina vestito da mia fidanzata che giocava con un grosso mappamondo.

In realtà intendeva il nonno, Vittorio Emanuele II. Sciaboletta nacque otto anni dopo la morte di Cavour, e i testi di storia contemporanea non si occupano di spiritismo. Ma la polemica non nasceva da questioni dinastiche, lei soffriva per questa disparità di sforzi fra le diverse materie, e per venirle incontro e ritrovare l’armonia di coppia decisi di abbandonare gli studi. Tanto le altre materie erano meno interessanti dei fumetti, non c’era gara.

A posteriori non servì a niente, mi lasciò lo stesso quando la criticai per avere occupato la Cecoslovacchia.

Tuttavia le lezioni di storia contemporanea misero radici dentro di me, tanto che oggi, con un sacco di tempo a disposizione, mi ascolto volentieri i podcast disponibili online che mi raccontano le vicissitudini del Secolo Breve, per citare il titolo di quel libro là, e quando non ci sono più episodi mi leggo pagine e pagine di riassunti sui principali episodi e le loro conseguenze. Tanto che se qualcuno dovesse chiedermi perché è scoppiata la Prima Guerra Mondiale io potrei rispondere che le ragioni sono molteplici.

La prima regola quando si studia storia è dire che le ragioni sono molteplici, e poi iniziare a raccontare da cinquant’anni prima perché bisogna capire il contesto. È una tecnica che torna utile anche quando non si conosce la risposta, perché dopo un po’ che parli il tuo interlocutore si stufa e cambia argomento.

Nel caso della Prima Guerra Mondiale è particolarmente vero, le ragioni del conflitto non si riducono solo a Gavrilo Princip che ammazza l’erede al trono austro-ungarico, ma vanno cercate più lontano, e più precisamente in Inghilterra.

In Serbia se ammazzi un erede al trono austriaco ti dedicano una statua

Quando uccide il principe ereditario, Gavrilo Princip ha 19 anni, ma neanche un anno prima stava facendo l’Erasmus a Londra, e girava i locali per soddisfare la sua passione viscerale per la musica rock. Voleva entrare in una band, trovare una ragazza, diventare famoso, fare i soldi. Una cosa soltanto gli riuscì, ma gli riuscì bene.
Purtroppo all’epoca i locali offrivano poco, la roba più vivace era una marcetta per ottoni, tutto il resto erano sinfonie e balletti. Ci voleva una spinta nella giusta direzione affinché l’industria musicale imboccasse finalmente quella svolta indie che Prinzip sognava, ma come?

Gavrilo Prinzip non ne aveva idea, tornò a Sarajevo pieno di rabbia: non aveva trovato una ragazza e neanche una band, non aveva fatto i soldi, non era diventato famoso. Si affiliò a un movimento indipendentista locale e propose al comitato esecutivo di fondare una fanzine, su cui sognava di scrivere recensioni di fuoco con cui risvegliare l’animo dei giovani serbi. I giornalisti, all’epoca, rimorchiavano quasi quanto i cantanti rock.

“Vuoi risvegliare i serbi? Toh, fai rumore”, gli disse il direttore, mettendogli in mano una pistola. Dopo i giornalisti, la terza categoria più gettonata dalle ragazze erano i rivoluzionari. Pochi giorni dopo scaricò l’arma addosso all’erede al trono dell’impero austro-ungarico, scatenando una serie di eventi che avrebbero creato, novant’anni più tardi, i Franz Ferdinand.

Tolto di scena Gavrilo Prinzip, che subito dopo l’attentato verrà preso e morirà di tubercolosi in carcere quattro anni più tardi, come si arriva alla guerra? Il solo omicidio di un principe ereditario, normalmente non basta a scatenare un conflitto mondiale: gli Stati Uniti si sono visti ammazzare due presidenti e non hanno mai dichiarato guerra alla Serbia. Ma allora perché?

Va detto che la Serbia, come Paese, non è mai stata simpatica a nessuno. Già allora veniva considerata uno stato canaglia, e anche in tempi più recenti, con la guerra dei Balcani, non è che abbia fatto molto per migliorare la propria immagine. Perfino io che cerco di avere meno pregiudizi possibile, quando il Genoa è finito in serie C e metteva in campo Iliev e quello non c’era verso che segnasse un gol e ogni volta si buttava per terra e faceva il morto, perfino io quelle volte pensavo che in fondo l’Austria-Ungheria tutti i torti non li aveva.

Una rara immagine di Ivica Iliev in piedi

L’Austria reagisce malissimo a questa cosa dell’attentato, e invia un ultimatum alla Serbia, diviso in punti, minacciandola di guerra in caso di inadempienza. La Serbia legge l’ultimatum, è pieno di richieste assurde:

– riduzione della sovranità
– diventare una provincia dell’impero austro-ungarico e neanche una di quelle fighe tipo Salisburgo
– consegna dei complici dell’omicida che lo sappiamo che si nascondono da voi
– arresto di funzionari che secondo le indagini condotte dal capo della polizia austriaca, ispettore Derrick, hanno avuto un ruolo fondamentale nella pianificazione dell’attentato
– vittoria a tavolino della nazionale austriaca di calcetto contro quella serba e ritiro immediato da tutti i campionati di tutte le discipline che vedono gareggiare entrambe le nazionali
– la prossima volta in pizzeria pagate voi

I serbi accettano tutte le richieste, ma per orgoglio patriottico cambiano lo stato di Facebook da Impegnato a In una relazione complicata con l’Impero Austro-ungarico. Gli austriaci si sentono presi in giro e dichiarano guerra.

Di lì parte una sequenza di situazioni che nessuno avrebbe davvero voluto. Una volta che ti ci trovi dentro cerchi di risolverla prima che puoi, nessuno avrebbe immaginato di trascinare una guerra per quattro anni, e soprattutto di lasciarci così tanti morti. Lo zar Nicola II, intervistato dai giornalisti di Sky alla fine del primo tempo, dichiarerà: “La Prussia è molto forte a centrocampo, e questo ci rende difficile organizzare una manovra d’attacco efficace, ma sono sicuro che con un buon utilizzo delle ali sapremo superare questo ostacolo. Adesso mi scusi, ma mi sta telefonando Lenin che ha da dirmi qualcosa di importante”.

E questa è la risposta che dovreste dare se qualcuno vi domandasse perché è scoppiata la prima guerra mondiale. Volendo potreste aggiungere le cause che hanno portato le altre nazioni nel conflitto, ma se vi spiego anche quelle devo prendermi ferie al lavoro e questo post diventa lunghissimo.

Comunque se vi interessa ve le racconto un’altra volta.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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