È che certe volte ti fanno dei regali delle persone che davvero non te l’aspetti e rimani così, con la voglia di ricambiare, l’imbarazzo per non averci pensato prima, la gioia del gesto e l’insieme di queste emozioni è una faccia che somiglia un po a quella di Coco.

faccia da Coco (©Robert Doisneau, che la sua mostra a Palazzo Ducale è splendida e adesso voglio le sue stampe in salotto, ma non questa che è inquietante)

Quest’anno la faccia di Coco mi è già uscita tre volte in pochi giorni, l’ultima ieri dal panettiere, quando la commessa mi ha detto “Pablo aspetta”, che di solito al massimo mi chiama ciao, e mi ha allungato un torrone. E non me l’aspettavo, cosa devo dire, ho borbottato uh grazie e mi sono imbarazzato un po’, che la panettiera sono cliente da anni, ci sta che ad un certo punto mi regali un torrone, ma finché non succede non ci pensi, un po’ come i terremoti, che ti dicono che casa tua sorge su una faglia tettonica e tu dici si vabbè, non c’è mai stata una scossa, cacchio dici, poi torni dal lavoro e al posto di casa tua c’è un grosso mucchio di calcinacci e allora forse qualcosa di vero doveva esserci. Un torrone è meglio dei calcinacci, va detto.

Enorme faccia da Coco qualche sera fa, quando una ragazza che per questioni di privacy chiamerò Maria Antonietta Guerzoni mi ha allungato un pacchetto col suo bel bigliettino argentato e mi ha detto auguri. Perché mi aveva detto che voleva portarmi una cosa di cui avevamo parlato tempo prima, ma non mi aspettavo il gesto istituzionale col pacchetto e la carta e il fiocco e il bigliettino, e mi sono sentito il re delle merdone perché io invece niente, ma se posso dire qualcosa per difendermi vorrei mettere agli atti che con Maria Antonietta Guerzoni c’è da anni questa cosa che se le mando un messaggio non ricevo risposta e se le dico una cosa carina corre a chiamare i carabinieri, perciò mi ero abituato ad avere questo rapporto di ciucche nei vicoli e rapine alle banche, e i gesti teneri da parte sua non erano previsti, scusa. Però mi ha fatto un piacere enorme, come se per tutta la vita fossi convinto che c’è un orco che ti vive nell’armadio ma quando lo apri niente, solo i tuoi vestiti buttati dentro a muzzo, finché un giorno lo apri e c’è un orco che sta indossando la tua maglietta di Los Pollos Hermanos, e in quel momento prima che ti divori pensi che è bello avere avuto ragione su una cosa una volta tanto, e muori felice. Cercherò di sdebitarmi prima che posso, anche se non so come, che sono sicuro che i fiori li condisce e se li mangia con noci e scaglie di parmigiano, e se le dico qualcosa di carino mi ritrovo davanti al maresciallo che mi dice “Renzi, n’altra volta? Documenti”. Boh, improvviserò.

L’ultimo, che poi sarebbe il primo, è quello che vince il premio Faccia Da Coco 2013, e ha per protagonista un signore distinto che per motivi di privacy non chiamerò Andrea, ma Eriberto Sbazzeguti fu Pepito.

Eriberto Sbazzeguti fu Pepito ci conosciamo da molti anni, abbiamo un sacco di interessi in comune e abbiamo sempre passato bellissime serate isolati dal resto della compagnia a ciarlare di fumetti, mentre sua moglie cercava di sentirsi meno esclusa attaccandosi a una bottiglia, ma poi ci siamo allontanati a causa di divergenze di poco conto che possono capitare fra due uomini sanguigni ed orgogliosi come noi: a me piaceva di più Wolverine col costume giallo e nero, a lui quello marrone. Ci siamo accapigliati, sono volate le parole scritte maiuscole, e da lì i nostri rapporti non sono più tornati quelli sereni di una volta.

Venerdì scorso mi scrive e mi dice che sta per cominciare la prevendita del concerto dei Pearl Jam, se mi interessa un biglietto se ne occupa lui, che poi è un casino trovarli. Ecco, a me questa cosa ha fatto un piacere enorme, perché non mi sarebbe mai venuta in mente, che sono un egoista di merda e  neanche me lo ricordavo che anche lui volesse andare a vedere Eddie Vedder. E poi è proprio questo gesto di condivisione con qualcuno che non è nella tua immediata quotidianità, non ci sono abituato, mi commuove. Di solito gli strati sociali che mi circondano seguono l’ordine io/gli animali con cui vivo/gli amici più stretti/il resto del mondo, oppure io/la mia fidanzata/gli animali/gli altri quando si verificano quelle situazioni impossibili in cui vabbè, ma non stavo parlando di quello.

Dicevo che il biglietto non me l’ha regalato, mi ha regalato l’attenzione a qualcosa che sapeva interessarmi, che è una cosa bellissima, e se poi ci metti che i biglietti sono andati esauriti in meno di dieci minuti e io al concerto neanche sapevo con chi andarci, è stato un gesto di particolare importanza, e adesso non vedo l’ora di passare le ore fuori dai cancelli a ciarlare di quanto sia figo il nuovo Hawkeye e se è uscito o no il nuovo film degli X-Men che, vorrei ricordare, sarà bellissimo. Dico, ci recita pure Tyrion Lannister, devo aggiungere altro? No, e infatti vado a cena, casomai aggiungo qualcosa dopo.
Ci si vede.

Ho scritto un commento sul blog del Dottor Manhattan, una roba da nerz che vi invito a leggere solo se seriamente motivati, che con tutti i problemi che ci sono al mondo oggi è da irresponsabili mettersi ad alimentare una polemica sul fatto che Ben Affleck sarà il nuovo Batman, molto più serio aggiungersi al coro di quelli che berlusconeingalerasì o berlusconeingaleranò, tanto la cortecostituzionale è una roba per ridere, dai, volevate mica condannarlo sul serio? Guarda, davvero, lasciami Batman, è meglio per tutti.

Ben Affleck è meglio di Christian De Sica, ma peggio di Christian Bale, insomma meh.

Poi però è saltata la luce, perché in casa mia l’impianto elettrico l’ha fatto il nonno di Garibaldi usando uno schema che gli aveva disegnato Alessandro Volta su un tovagliolo del bar, e se provi ad accendere insieme la lavatrice e il forno fai saltare la corrente a tutto il palazzo, che adesso te ne freghi perché la vicina non c’è, ma domani torna e se le impedisci di guardarsi i telefilm di Renegade su Retequattro quella è capace che smette di farti il caffè. E comunque l’ultima volta che è successo ho fermato un intercity qui di fronte e meno male che non sono andati a cercare la causa, sennò per sdebitarmi con Trenitalia dovevo viaggiare in locale tutta la vita da Ronco a Santa Maria Capua Vetere.

Insomma, è saltata la luce e il mio commento ben scritto e ragionato si è perso come farebbe questo post se saltasse la corrente adesso, che io di scrivere in brutta e poi casomai copincollare no, molto meglio buttare giù di getto come viene e manco rileggere, che palle rileggere, tanto chi vuoi che se ne accorga se è scritto coi piedi, mi leggono in quattro. Poi però mi lamento che il mio blog lo leggono in quattro e per mantenermi devo inscatolare viti, e anche così non arrivo alla fine del mese, cosa che sto cercando di risolvere tenendo sotto controllo Jack, che secondo me da quando gli ho dato il codice del bancomat va a fare dei prelievi di nascosto, perché non è mica possibile fare la vita dell’eremita come faccio io e farsi offrire il pranzo venti volte al mese e ciononostante avere un conto che neanche il re dell’Uganda, adesso faccio come lui e mi metto a scrivere email agli sconosciuti proponendo loro affari vantaggiosissimi come avete fatto a non pensarci prima meno male che ci sono qua io.

Che poi io questa cosa del re dell’Uganda che scrive le email.. le avete mai ricevute? A volte è lui, a volte il suo segretario, ti propone di metterti in società per fare delle robe che guarda, c’è da lucrarci di brutto, solo che usa un linguaggio più complicato, ci gira intorno, perché in Uganda non parlano bene l’inglese e non sanno tradurre lucrarci di brutto. Ora, secondo me non è davvero lui, è una specie di truffa. Non sono sicuro, non vorrei mettervi in testa delle idee sbagliate, ma secondo me se gli mandate i soldi che chiede poi non lo vedete più. L’ultima volta gli ho risposto che l’avrei aiutato volentieri, ma ho investito i miei risparmi per comprare una stufa a Elena che vive in Russia. Semmai col prossimo stipendio, dai.

Ma dicevo del mio commento, che mi sono dovuto mettere lì e riscriverlo, solo che nel frattempo ho preso l’aperitivo a base di Tennent’s e Fonzi, che è un abbinamento che a stomaco vuoto ha degli effetti sui miei neuroni che se potessero osservarli con qualche strumento sofisticatissimo tipo una lente d’ingrandimento PERÒ NUCLEARE vedrebbero delle robe con tante zampette che si danno delle pacche sulle spalle e ridono come dei cretini, poi indossano dei sombreri e suonano l’ukulele. Li invidio un po’ i miei neuroni, io l’ukulele non lo so suonare.

Così il mio commento è venuto fuori più sbarazzino, ho faticato ad arrivare al punto, mi sono perso, ho rischiato anche di andare fuori tema, che è una cosa che la mia maestra delle elementari odiava, ogni volta mi faceva dei segnacci sul quaderno e scriveva a lettere maiuscole NON ANDARE FUORI TEMA!!UNO! e la cosa mi ha lasciato tanto sconvolto negli anni a venire che adesso quando mi sembra di divagare mi appare la sua faccia incazzata e per non avere gl’incubi la notte devo buttare via tutte le penne rosse che ho in casa. Operazione, peraltro, costosissima, perché in casa non ho penne rosse, così devo scendere dal tabacchino a comprarne una scatola.

Per un certo periodo ho provato a frequentare la nipote della mia maestra, che è molto carina, e speravo che sostituendo la sua faccia con quella che mi perseguita di notte i miei incubi sarebbero finiti, ma non ne ha voluto sapere di venire di notte a casa mia, ho provato a spiegarglielo che non era perché bramavo di strapparle le mutande, cioè, non solo, ma vabbè, no. Per fortuna che il tabacchino ha accettato di farmi credito, sennò mi toccava andare in analisi.

Ecco perché secondo me Ben Affleck non va bene come Batman.

Ieri sono stato a Bergamo. Che ha un centro storico davvero splendido, va detto, e una parte bassa piuttosto anonima, ma devo ammettere di non averla visitata granché. E poi ci sono un sacco di persone che parlano bergamasco, che somiglia all’italiano, ma pronunciato come se ti si fosse spanata la trachea, e si mangia sempre la polenta, anche a luglio. Vabbè, quest’anno luglio dicono che non ce la farà a venire, ma di non preoccuparci, che ha detto ottobre che casomai lo sostituisce lui, che tanto d’estate s’annoia, e d’ottobre la polenta ci sta eccome, e anche la luganega, e il maglioncino e la coperta di lana e sciarpa e berretto e quando cazzo arriva l’estate, eh?

Ieri sono stato a Bergamo, dicevo, a partecipare a una specie di incontro fra bloggers di cui non posso dire molto perché vige la prima regola, e se volete saperne di più dovete venire a leggere di là dove se ne parla, ma non posso dirvi dove per i motivi di cui sopra.
Però posso dire che ho mangiato delle cupcakes che ha portato una ragazza che secondo me era la figlia di Sharon Gusberti, la biondona dei Ragazzi della Terza C, perché nella nostra accolita di illuminati si trova di tutto, dalle figlie delle celebrità dimenticate a quello che suona l’ukulele seduto sul cofano di una macchina, fino alla bionda che non sa fare la retromarcia perché quella lezione lì l’aveva saltata perché aveva un colloquio di lavoro in palestra.
Bergamo è una città accogliente, ha tre fumetterie dislocate a triangolo nella planimetria cittadina, e ogni giorno ci spariscono dentro i soldi di centinaia di nerz, e nessuno indaga su questo fenomeno drammatico che sta rovinando un sacco di famiglie, che tutti si strappano i capelli sul vizio del gioco e nessuno affronta la piaga del vizio dell’uomoragno, simbolico rappresentante di una streppa di testate dal prezzo elevatissimo e dall’esiguo numero di pagine, che costringe il povero lettore a lasciare mezzo stipendio al famelico spacciatore sovrappeso con maglietta di Wolverine per potersi garantire un paio d’ore di supereroismo mensile. Non è il mio caso perché io i fumetti me li scarico, però è anche il mio caso, perché sul portatile si leggono male e non me li posso portare a letto, che insieme al gabinetto rappresenta la collocazione più adeguata a certe letture coinvolgenti, e il tablet per il momento è fuori budget, perciò le soluzioni sono due: o mi aumentate lo stipendio o abbassate il prezzo di copertina.

Bergamo c’è un posto dove fanno la polenta take away, che ha un tavolone davanti dove ti siedi e se uno prende il sugo ai tre formaggi ti senti come nello spogliatoio dell’Atalanta dopo una partita combattutissima con la Juve, finita uno a zero per gli ospiti grazie a dubbie scelte arbitrali di cui si parlerà a lungo nelle varie trasmissioni sportive che io per fortuna non guardo più non avendo più manco la tele, se devo prendermi una cosa che dà dipendenza e mi riduce a un’imbarazzante parodia di uomo preferisco andare a un altro mitàp, dove fra tizi con la spillina di Star Wars e altri con la maglietta dei Klingon mi sento decisamente più a mio agio.

Il meetup è l'unico posto dove puoi indossare una testa di cavallo ed essere considerato un gran figo.

Il meetup è l’unico posto dove puoi indossare una testa di cavallo ed essere considerato un gran figo.

Bergamo c’è anche un gran prato, dove se scavi pare che tiri su le ossa dei morti di peste, che ogni tanto ci si organizzano delle manifestazioni estemporanee particolarmente alcoliche chiamate Botillon, o perlomeno questa è grossomodo la loro trascrizione fonetica per chi ci sta andando. Quando viene via le chiama weuiyayayei. Si sviluppano all’improvviso in un determinato punto della città, come dei flashmob, per usare un termine tanto caro ai giornalisti di Repubblica.it, con la differenza che questi sono preceduti da un casino di poliziotti in divisa e altrettanti tizi col borsello che girano in coppia e fanno fotografie, perfettamente mescolati ai passanti. Può capitare di trovarsi nei paraggi insieme a un gruppo di persone, e che una di queste stia recando con sè un certo quantitativo di sostanze psicotrope nascoste, poniamo, nel reggiseno. Certo, in un caso del genere la prima cosa da fare è evitare di dare nell’occhio, che si sa che certe dotazioni non sono viste proprio benissimo dalle persone in divisa. Ecco, secondo me mezz’ora di conversazione a un volume sostenuto sulla possibilità che quello sbirro laggiù che sto indicando a smanacci o il suo collega che fisso da venti minuti possano venire qua e perquisirmi, indicando ripetutamente il posto dove proprio non penserebbero mai di cercare, non è il modo migliore per passare inosservati.

Poi ci sono stati altri episodi interessanti, oggi avrei dovuto tornare da quella città, e fare una tappa a Milano, che Milano è una città di frontiera e io da Roma non ci passo più, ma Milano è tanto grande da impazzire e il sole incerto becca di sguincio in questa domenica di aprile, che però è luglio, e quindi não, Milano scusa stavo scherzando, me ne sono tornato a casa a dormire, e oggi ho tutti i programmi scombinati.

Però è una bella giornata, fa caldo.. insomma.. non fa troppo freddo, ho lasciato Jack Oneyed da mia mamma e potrei approfittare di questa mezza feria per andarmene al mare, solo che io al mare, sarà per gli scogli, ma mi scogliono. Oppure potrei andare a fare la spesa, ma fino all’iper per quelle due cose che mi mancano in casa, senti, ma chi ne ha voglia, oppure potrei farmi un giro senza costrutto col mio scuter, oppure potrei prendere la macchina che ieri sera mi si è accesa una spia sospetta mentre tornavo a casa sulla A7, e per cercare di capire perché si è accesa potrei ripercorrere lo stesso itinerario in senso inverso per vedere se si spegne, ma poi cosa ci vado a fare a Milano, che le canzoni che parlano di quella città le ho già citate qui sopra, manca giusto Alberto Fortis, ma neanche mi piace, e insomma, cose da fare ce ne sarebbero anche, ma ho buttato un occhio al mio conto corrente e sono tipo svenuto, e in teoria avrei da comprarmi un materasso matrimoniale con corredo nell’immediato futuro, che su quello singolo si dorme bene, ci mancherebbe, ma tutte le mattine mi trovo girato in una direzione diversa da quella in cui mi ero addormentato la sera precedente, ed è un’esperienza che non facevo più dal militare, e non è piacevole, insomma, sto cominciando a patire il letto, e l’unica ragione per cui non tengo una confezione di travelgum sul comodino è che non ho neanche il comodino.

Insomma, ho deciso di fare qualcosa in casa e mettermi a scrivere un post interlocutorio, che quello sulla musica ne ho scritto uno bello lungo, ma è ambientato a New York e ci devo arrivare, e quindi sta lì in attesa di tempi migliori, ma anche un post interlocutorio in una bella giornata come questa è un po’ difficile da buttar giù, e allora mi sa che scrivo due righe a brettio tanto per non lasciar crescere le ragnatele e poi vado a prendermi Jack.

Ho deciso poco fa, intanto che portavo il cane a pisciare, che era venuto il momento di scrivere qualcosa sui libri che sto leggendo in questo periodo. E’ una bella iniziativa, se uno legge molto, e può dare dei suggerimenti utili a chi non sa dove indirizzare i suoi momenti d’ozio e magari finisce a sedersi davanti al grande fratello di maria de filippi e in men che non si dica diventa un italiano medio che odia gli stranieri e vota lega, anche se per esempio oggi quindici di quelle merde hanno fatto ricorso contro il nuovo sistema pensionistico per i parlamentari. Quindici su ventisei, e ancora stanno a fare i cori romaladrona. Morissero di pruriti al cazzo.

Ma dicevo dei libri, che c’è un mio amico che tiene una rubrica sul suo blog dove recensisce tutti i libri che legge, e sono parecchi, tanto che li ha raccolti in un e-book scaricabile gratuitamente, che ti dà un sacco di dritte, ma che però ci manca secondo me un indice alfabetico, che una guida così non puoi imparartela a memoria, te la tieni lì e ogni tanto la consulti come l’elenco del telefono, e se non sai più dove hai letto la critica di quel libro là che ti interessava devi scartabellare tutto ogni volta e così finisce che te lo impari a memoria e allora l’indice alfabetico non ti serve più. Volevo dirglielo di persona, ma non ci vediamo da un po’ e faccio prima così, ma tanto lo so che mi risponderà che l’indice non serve perché l’e-reader ha la finestrella di ricerca tipo google, che in effetti non ci avevo pensato, mi è venuto in mente ora, ma magari poi non è neanche vero e me lo dice solo per minchionarmi.

Io una rubrica così non potrei tenerla, perché ogni volta che ho provato a gestire un impegno fisso ho resistito sei mesi e poi è finito tutto a puttane. Qualunque cosa, rubriche, racconti a puntate, la piscina.. Meno male che non sono nato donna o dopo le terze mestruazioni avrei trovato il modo di interrompere anche quelle.
E con questo non voglio affatto pararmi il culo per aver lasciato la mia recensione di Londra ferma alla prima puntata, ma stasera c’ho da scrivere altro, e mi spiace per quei turisti fermi da settimane ai giardini di Kensington. L’avete visto il cazzo di cancello? E i giardinetti di Lady Diana? Beh, trovatevi un cesso e un baretto e aspettatemi, fra un po’ arrivo.

Nonostante le mie letture siano drammaticamente inferiori alla media degli italiani che leggono, sebbene di molto superiori a quelle degli italiani di cui alla terza riga di questo post, ma è come picchiare uno che caga, ho pensato di scrivere due righe su quello che sto leggendo/ho letto/leggerò in questi giorni, perché sono cose che mi provocano sentimenti diversi, e quando la causa è un libro e non i risultati dell’esame istologico vale la pena soffermarcisi un momento.

ZerocalcareIl primo l’ho cominciato e terminato stasera, si chiama La Profezia Dell’Armadillo  e l’autore è Zerocalcare.
E’ una raccolta di fumetti brevi che compongono un racconto che si snoda fra ora e il millenovecento-quando-eravamo-tutti-ragazzini, e parla di tutte quelle cose che oggi ci fanno sentire diversi, “nerd”, diciamo con una certa supponenza, come se fosse una bella cosa; ancora fingiamo di non ricordare che vent’anni fa, quando quel termine esisteva solo in qualche film americano, l’aggettivo che ci veniva appioppato più frequentemente era il suo esatto omologo italiano, “sfigato”.
Ma sarebbe limitativo definirlo un fumetto per appassionati di cinema e fumetti e cartoni animati giapponesi, perché alla base c’è quell’altra cosa che accomunava tutti quanti e su cui sono stati scritti libri e canzoni, l’infatuazione impossibile segreta e non corrisposta verso una ragazza che poi però. Ed è raccontato con un’ironia devastante, e quando si vanno a toccare corde più amare viene fuori una profondità e uno spessore che per esempio nei telefilm de I Ragazzi Del Computer Richie non aveva e Alice sotto sotto secondo me ci stava male. Dei disegni non ne parlo, che raccontata ci può perdere (cit.), vi rimando al suo blog così vi fate un’idea. E andateci, che ne vale la pena.

Il secondo libro lo sto leggendo sul cellulino, ed è la conseguenza di un altro libro che ho letto sul cellulino.

Del libro di King dirò solo, per chi non lo conosce, che è un incrocio fra Ritorno Al Futuro, Ricomincio Da Capo e JFK. E che è bello, lo ripeto, ma tanto.Quell’altro si chiamava 22/11/63 ed è l’ultima opera di Stephen King. E mi è piaciuto di brutto. Non che fosse il primo libro di King che leggevo, ma da un po’ mi ero scoglionato dei suoi finali con gli psicomostri che sconfiggi solo accettando che fare la pipì  letto quando hai tre anni è normale e nell’armadio ci vive solo il maglione brutto che ti ha fatto la nonna e che ti punge il collo, e l’avevo mollato. Poi è uscito questo, ho letto un paio di recensioni positive, ho letto due righe di trama e ho pensato che i viaggi nel tempo hanno sempre il loro fascino, e ho deciso di provare. E me lo sono scaricato a babbo in inglese per leggerlo sul telefono. E poi anche la sua traduzione in italiano, per le parti che non capivo in originale. E poi si, signora SIAE, me lo sono anche comprato in cartaceo con tanto di ricevuta fiscale, ma è solo per averlo nella libreria. E comunque da quando si è presa le piattole dovrebbe abbassare un po’ il tariffario, lasci che glielo dica sinceramente.

L’altro libro è citato da Stephen King in coda al romanzo e viene definito uno dei migliori romanzi sui viaggi nel tempo, e dato che l’argomento mi intriga sempre, anche e soprattutto dopo la lettura di questa roba qui sopra (ma ammetto che l’essermi svegliato l’anno prossimo cinque minuti fa mi ha influenzato non poco) ho pensato di procurarmelo. Si intitola Indietro Nel Tempo e l’ha scritto Jack Finney, che in Italia non conosciamo soprattutto come l’autore de L’Invasione Degli Ultracorpi, che ricordiamo giusto io, i miei amici e Zerocalcare.

Non posso raccontarvi molto a riguardo perché l’ho appena cominciato e interrotto per divorarmi l’armadillo, e per adesso non è successo niente, ma comincia a New York sulla 54ma strada, e già per questo mi è simpatico. Però mi piace di più come scrive King.

 E passiamo all’ultimo, che non lo sto leggendo anche se ce l’ho lì sul comodino, ma me lo sto ascoltando in macchina.
Si chiama Hanno Tutti Ragione, di quel regista stralunato che è Paolo Sorrentino, e in questo caso va citata anche la straordinaria voce narrante di Toni Servillo.
Non lo so se letto con la voce della propria mente questo libro renderebbe così bene, ma da una settimana, nel tragitto casa-lavoro e ritorno, accendo l’autoradio e stacco il piede dall’acceleratore per godermi qualche minuto in più di quel presuntuoso cialtrone di Tony Pagoda. Il tono è a metà fra l’ironico e il drammatico, un momento ti costruisce la più raffinata delle metafore per spiegarti il vuoto che si porta dentro l’animo il protagonista e in quello successivo ti spara una cazzata talmente cafona e volgare da farti spruzzare sangue dal naso dal ridere. Gioca sugli accostamenti Sorrentino, e lo sa fare bene, la storia scorre piacevole, su toni di grigio interrotti qua e là dalle colorate descrizioni dei personaggi di contorno o dalle strisce bianche che Pagoda si tira di continuo.

Per la verità ce ne sarebbero altri di libri, la biografia di Butch Cassidy che ho interrotto per colpa dei viaggi nel tempo, quello che ho interrotto per colpa di Cassidy e via risalendo, ma non voglio rubare il mestiere a chi i libri li recensisce (e li legge) con maggiore disciplina, e poi ho davvero una guida di Londra da terminare.

Che poi hanno ragione quelli che dicono che una ferita al braccio provocata da un banale incidente di lavoro non ha il minimo appeal. Quando racconterò come ho fatto a procurarmi quella vistosa cicatrice dovrò essere in grado di fornire una spiegazione più interessante, o il mio interlocutore si annoierà e andrà a parlare con qualcun altro. Certe volte saper mantenere l’attenzione su di sé è fondamentale, riesco a immaginare diversi scenari plausibili in cui tutto il mio futuro potrebbe dipendere da come saprò motivare un taglio all’avambraccio.

  1. Sono a una fiera di fumetti e sono seduto a un tavolo dell’area giochi insieme a un gruppo di fanatici di fantascienza, ci stiamo sfidando a un qualche gioco complicato e sto perdendo. Non ci sarebbe niente di drammatico, senonché per rendere la sfida più interessante ho scommesso una cifra che neanche possiedo, e i miei avversari sono il cacciatore di taglie Boba Fett, il signore dei Sith Darth Vader e un paio di Borg. Decido di giocarmi il jolly, e mi tiro su le maniche. La mostruosa cicatrice fa la sua comparsa, e i malvagi alieni seduti intorno a me la osservano esterrefatti:

    “E come te la sei procurata quella?”, mi chiede Boba Fett.
    “Ah, niente”, minimizzo, “E’ uno scomparto in cui conservo gli attrezzi del mestiere”.
    “Sei forse un cyborg?”, fa lui.
    “Modello T-010, uno dei più antiquati, ma ancora in gamba”, gli rispondo battendomi il petto. I quattro sono affascinati, Darth Vader respira affannosamente attraverso il casco, poi mi chiede se anche io posso viaggiare nel tempo.
    “Si, mi basta spostare le lancette dell’orologio, vedi?” Tiro fuori una cipolla legata alla catenella e sposto le lancette di qualche minuto. “Che ora fai tu?”, gli chiedo.
    “Le quattro e venticinque”
    “Per me invece sono le quattro e ventidue, in questo momento mi trovo in un tempo diverso dal tuo, e posso modificare il corso degli eventi a mio piacimento. Per esempio adesso metto giù questa carta invece di quest’altra che avevo già buttato, e con questa mossa fantascientifica vinco la partita”.
    “Ehi guardate!”, esclamano i Borg in coro, “Le carte ora sono diverse! Può veramente cambiare il corso degli eventi!”
    I miei compagni di tavolo sono rapiti dalle infinite possibilità del mio potere. “Quanto puoi spostarti nel tempo?”, mi chiedono.
    “Purtroppo solo di cinque minuti, sennò perdo il treno”
    “Ti sposti in treno?”, mi chiede Boba Fett.
    “E certo! Tutti i Terminator si spostano coi mezzi, ne hai mai visto uno volante?”, lo rimbrotta Darth Vader, poi si rivolge a me e mi chiede se sono nel loro tempo per uccidere Sarah Connor.
    “Non ho con me armi letali, te l’ho detto che sono un modello antiquato.”
    “E allora nell’astuccio sottopelle cosa ci tieni?”, mi fa Boba Fett, che fra tutti è il meno convinto.
    “Pennarelli. Dato che non posso sparare a Sarah Connor mi limito a vituperarla, scrivo il suo numero di telefono nei cessi, la chiamo vecchia bagascia, cose del genere.”
    “Oooh!”, dicono tutti, e con la vittoria in tasca mi alzo dal tavolo accennando vago alla mia missione, e mi congedo.

  2. Sono sull’autobus e vorrei sedermi, ma tutti i posti sono occupati da studenti di ritorno da scuola e casalinghe e badanti e pensionati e teppe. Il viaggio è lungo, che devo arrivare tipo a Pontedecimo per prendere la corriera e svalicare i Giovi, e sono salito a Messina e c’è sciopero dei treni e l’unico mezzo a disposizione è quello, ed è già da Salerno che sono in piedi e ho pure le scarpe nuove che mi fanno un po’ male.
    Mi avvicino a una signora sui sessanta, che sta leggendo una rivista di gossip. È molto preoccupata dal fatto che il vincitore del grandefratello rischi di rompere con la sua fidanzata gelosa di averlo visto inchiappettarsi tutti i coinquilini compresa quella che sembra uno scaldabagno in diretta nazionale, ma la cosa che l’ha fatta più incazzare è che alla fine di ogni rapporto si chiudeva in bagno e piangeva invocando il nome di lei davanti alle telecamere e maledicendo la sorte maligna che lo induceva in tentazione. Adesso pare che lui sia seriamente pentito dei suoi gesti e che le abbia chiesto di sposarlo, e la signora sui sessanta sembra disposta a credergli, ma la fidanzata pluricornuta è in odore di rottura, complice forse uno che fa il buttafuori alla discoteca dei vip, e che le avrebbe promesso un futuro da velina.
    Per quanto mi riguarda l’unico interesse che provo verso queste riviste è rivolto ai suoi lettori, talmente intorpiditi da quelle cazzate da potersi bere qualunque storia, per cui mi piazzo proprio davanti alla signora sui sessanta e mi appendo al corrimano in modo da piazzarle la cicatrice a pochi centimetri dall’occhio. Aspetto che mi noti, quindi tiro fuori il telefono e fingo una conversazione:

    “Pronto. Si, sono sull’autobus. No, non me l’ha venduta, no. Non so, dice che non ne sono degno. ..E adesso.. e adesso ci vado lo stesso anche senza spada, cosa vuoi che faccia?”

    La vedo che ha smesso di leggere la sua rivista, si è fermata su un articolo pieno di foto, e a meno che non sia stata ipnotizzata da Emanuele Filiberto nel suo primo piano più ebete direi che mi sta ascoltando.

    “Lo so che è pericoloso, ma non posso permettere a una banda di mafiosi giapponesi di prendere il controllo del quartiere, perciò sfiderò un’altra volta il loro capo, e speriamo che questa volta vada meglio. Certo, con la spada di Hattori Hanzo sarei stato un po’ più sicuro, quelle che vendono nei vicoli le fanno a Taiwan e se picchi un po’ più forte ti resta il manico in mano, ma cosa vuoi farci, lui le vende solo a quelli degni, dice.. Eh, ha detto che non ero abbastanza puro di cuore.. No, l’American Express non ce l’ho, sennò sarei stato degno anch’io, no? Eh no, il bancomat delle poste non va bene, non glielo legge il pos.. Come dici? Ma no, che pistole! Sono giapponesi, usano solo le spade.. Mamma, quello è un film! E poi John Woo è cinese, non giapponese!”

    La signora sui sessanta chiude la rivista e mi osserva. Ormai ce l’ho in pugno.

    “Ma poi non è mica detto che vada a finire come l’altra volta. Si, vabbè, mi ha tagliato un braccio, ma è solo una ferita superficiale, dai. Si, mi è guarito bene, in quel convento shaolin usano delle erbe.. non lo so, non credo che le vendano in erboristeria, so che andavano a prenderle sui monti, stavano via tre giorni e a volte qualcuno non tornava neanche.. non lo so, li sentivo parlare di crepacci, di lupi.. si si, guarita benissimo! Beh un po’ di segno è rimasto, si.. eh, cos’ho fatto.. mi sono allenato! Ma sai, le solite cose, tae kwon do, kung fu, giuggizzu.. e la spada, certo. Il maestro Pai Mei, si.. Sai quello che stava davanti ai carabinieri? Che suo figlio aveva la tabaccheria? Lui. Si, adesso ha aperto un convento shaolin nel nord della Cina, fa corsi di arti marziali, spada, pilates.. è ben organizzata, fanno anche i massaggi.. Quando arrivo ti do il numero. Hanno anche il sito.. Eh, non lo so, ci vorranno altre due tre ore. Arriverò giusto in tempo per la sfida, si.. Eh, in effetti un po’ stanco lo sono.. Ma no, te l’ho detto, non si può rinviare e non posso mandare nessun altro, ne va della sicurezza dei nostri bambini, come crescerebbero in un quartiere dominato dalla mafia giapponese? Come potrebbero ricevere un’educazione corretta se il loro maestro è un maledetto yakuza che si presenta in classe col mitra e la schiena tatuata? Come raggiungeranno l’altalena se i giardinetti sono occupati da teppisti che si affrontano tutto il giorno a darsi catenate dalle motociclette? No, mamma, se nessuno ha il coraggio di farlo lo farò io, affronterò il loro capo e lo batterò, o ne pagheremo tutti le conseguenze, anche se sono stanco e non mi reggo in piedi e sono tre giorni che non dormo e anche prima fra i duri allenamenti al tempio e la ciucca che ci siamo presi per festeggiare che me ne andavo non è che ci si rilassasse tanto..”
    “Giovanotto, senta..”, mi dice la signora sui sessanta alzandosi, ha gli occhi gonfi di lacrime, “Io tanto devo scendere fra qualche fermata..”

  3. Ho terminato da poco il mio romanzo, ma la casa editrice che me lo doveva pubblicare è stata chiusa, pare che il direttore sia stato beccato alla frontiera pakistana con un carico di piante di oppio, e che la scusa usata coi militari, “Nel mio paese li usiamo per abbellire le chiese ai matrimoni”, non abbia avuto successo. Nel tentativo di trovare un nuovo editore faccio un colloquio alle Edizioni Paoline. Sono in una stanza con un prete e una suora, che mi osservano severi.
    “Signor Renzi”, mi dice lui, “Il suo romanzo è pieno di parolacce, non mi sembra un linguaggio consono ai nostri lettori”.
    “Padre, mi creda, il mio cuore è colmo di fervore cristiano, non potrei mai scrivere cose che offendano il nostro Creatore!”
    “Nostro?”, mi bacchetta la suora, “Il Creatore è di tutti, non solo nostro!”
    “Intendevo nostro degli esseri umani suoi figli devoti!”, balbetto. Non mi sento affatto a mio agio, l’ultima volta che mi sono trovato a cospetto di un prete è stato al battesimo di mio nipote, ero il padrino e dovevo recitargli il padrenostro, ma siccome lo ignoravo gli sussurravo all’orecchio l’inno del Genoa.
    “E anche la storia, non rispecchia in alcun modo i valori cristiani che vorremmo inculcare ai giovani”.
    “Cosa vorreste fare ai giovani?”, domando confuso.
    “I valori”, mi ripete, “Non sono quelli che la Chiesa cerca di trasmettere. Sarò franco, signor Renzi, io davvero non capisco perché si è rivolto a noi per pubblicare la sua opera.”
    Mi tiro su le maniche e mostro al reverendo la profonda cicatrice che attraversa il mio avambraccio destro.
    “Per questa, Padre”
    Mi guardano tutti e due con gli occhi sbarrati. “Eh, quanti peli!”, mugugna la suora.
    “Avete mai letto il Codice Da Vinci?”
    “Noo!”, inorridiscono i due. La suora si fa anche il segno della croce.
    “Neanch’io. Anzi, mi fa schifo. Ma mi fa così schifo che un giorno sono andato a cercare Dan Brown per farglielo ingoiare, e lui sapete cosa mi ha fatto?”
    “Cosa?”, mi chiede il prete, ma si vede che la notizia non lo ha smosso granché. Inutile raccontargli che mi ha ferito lui.
    “Mi ha denunciato, ed è per questo che ho bisogno di pubblicare il mio libro, per pagarmi gli avvocati!”
    “Si, ma ancora non capisco perché dovremmo pubblicarlo noi!”
    “Per questo!”, gli ripeto, mostrandogli ancora il mio braccio ricucito.
    “Ma perché non si depila?”, mi chiede la suora.
    “Vi ricordate il 31 maggio 1981, in Piazza San Pietro? Alì Agca spara a Giovanni Paolo 2 con la giustificazione che i sequel non sono mai all’altezza degli originali, poi scappa, ma va a sbattere contro un frate, perde la pistola e viene catturato. Ebbene, quel frate ero io!”
    “Ma non è vero! Era un altro! Lei avrà avuto si e no dieci anni, come faceva ad essere un frate?”
    “Ehm.. Ero.. ero un altro frate! Uno che stava dietro! Ero il figlio!”
    “Il figlio di un frate??”, esclama la suora.
    “Di un fratello! Di un fratello del frate! E stavo lì a guardare, quando ad un certo punto alla pistola di Alì Agca parte un colpo che mi colpisce il braccio, guardi, ho ancora la cicatrice!”
    “Insomma basta! Se ne vada!”, mi dice il prete scattando in piedi.
    “E porti via tutti i peli!”, incalza la suora.
    “E se vi dico che un mio amico è diventato prete?”
    “Fuori!!”
    “Poi ha cambiato sesso e si è fatto anche suora!”
    “Fuooriiii!!!”


Quest’ultimo aneddoto dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che avere sempre pronta una buona storia da raccontare è importante, ma certe volte è meglio portarsi dietro anche un paio di bambini.

Che poi hanno ragione quelli che dicono che una ferita al braccio provocata da un banale incidente di lavoro non ha il minimo appeal. Quando racconterò come ho fatto a procurarmi quella vistosa cicatrice dovrò essere in grado di fornire una spiegazione più interessante, o il mio interlocutore si annoierà e andrà a parlare con qualcun altro. Certe volte saper mantenere l’attenzione su di sé è fondamentale, riesco a immaginare diversi scenari plausibili in cui tutto il mio futuro potrebbe dipendere da come saprò motivare un taglio all’avambraccio.

  1. Sono a una fiera di fumetti e sono seduto a un tavolo dell’area giochi insieme a un gruppo di fanatici di fantascienza, ci stiamo sfidando a un qualche gioco complicato e sto perdendo. Non ci sarebbe niente di drammatico, senonché per rendere la sfida più interessante ho scommesso una cifra che neanche possiedo, e i miei avversari sono il cacciatore di taglie Boba Fett, il signore dei Sith Darth Vader e un paio di Borg. Decido di giocarmi il jolly, e mi tiro su le maniche. La mostruosa cicatrice fa la sua comparsa, e i malvagi alieni seduti intorno a me la osservano esterrefatti:

    “E come te la sei procurata quella?”, mi chiede Boba Fett.
    “Ah, niente”, minimizzo, “E’ uno scomparto in cui conservo gli attrezzi del mestiere”.
    “Sei forse un cyborg?”, fa lui.
    “Modello T-010, uno dei più antiquati, ma ancora in gamba”, gli rispondo battendomi il petto. I quattro sono affascinati, Darth Vader respira affannosamente attraverso il casco, poi mi chiede se anche io posso viaggiare nel tempo.
    “Si, mi basta spostare le lancette dell’orologio, vedi?” Tiro fuori una cipolla legata alla catenella e sposto le lancette di qualche minuto. “Che ora fai tu?”, gli chiedo.
    “Le quattro e venticinque”
    “Per me invece sono le quattro e ventidue, in questo momento mi trovo in un tempo diverso dal tuo, e posso modificare il corso degli eventi a mio piacimento. Per esempio adesso metto giù questa carta invece di quest’altra che avevo già buttato, e con questa mossa fantascientifica vinco la partita”.
    “Ehi guardate!”, esclamano i Borg in coro, “Le carte ora sono diverse! Può veramente cambiare il corso degli eventi!”
    I miei compagni di tavolo sono rapiti dalle infinite possibilità del mio potere. “Quanto puoi spostarti nel tempo?”, mi chiedono.
    “Purtroppo solo di cinque minuti, sennò perdo il treno”
    “Ti sposti in treno?”, mi chiede Boba Fett.
    “E certo! Tutti i Terminator si spostano coi mezzi, ne hai mai visto uno volante?”, lo rimbrotta Darth Vader, poi si rivolge a me e mi chiede se sono nel loro tempo per uccidere Sarah Connor.
    “Non ho con me armi letali, te l’ho detto che sono un modello antiquato.”
    “E allora nell’astuccio sottopelle cosa ci tieni?”, mi fa Boba Fett, che fra tutti è il meno convinto.
    “Pennarelli. Dato che non posso sparare a Sarah Connor mi limito a vituperarla, scrivo il suo numero di telefono nei cessi, la chiamo vecchia bagascia, cose del genere.”
    “Oooh!”, dicono tutti, e con la vittoria in tasca mi alzo dal tavolo accennando vago alla mia missione, e mi congedo.

  2. Sono sull’autobus e vorrei sedermi, ma tutti i posti sono occupati da studenti di ritorno da scuola e casalinghe e badanti e pensionati e teppe. Il viaggio è lungo, che devo arrivare tipo a Pontedecimo per prendere la corriera e svalicare i Giovi, e sono salito a Messina e c’è sciopero dei treni e l’unico mezzo a disposizione è quello, ed è già da Salerno che sono in piedi e ho pure le scarpe nuove che mi fanno un po’ male.
    Mi avvicino a una signora sui sessanta, che sta leggendo una rivista di gossip. È molto preoccupata dal fatto che il vincitore del grandefratello rischi di rompere con la sua fidanzata gelosa di averlo visto inchiappettarsi tutti i coinquilini compresa quella che sembra uno scaldabagno in diretta nazionale, ma la cosa che l’ha fatta più incazzare è che alla fine di ogni rapporto si chiudeva in bagno e piangeva invocando il nome di lei davanti alle telecamere e maledicendo la sorte maligna che lo induceva in tentazione. Adesso pare che lui sia seriamente pentito dei suoi gesti e che le abbia chiesto di sposarlo, e la signora sui sessanta sembra disposta a credergli, ma la fidanzata pluricornuta è in odore di rottura, complice forse uno che fa il buttafuori alla discoteca dei vip, e che le avrebbe promesso un futuro da velina.
    Per quanto mi riguarda l’unico interesse che provo verso queste riviste è rivolto ai suoi lettori, talmente intorpiditi da quelle cazzate da potersi bere qualunque storia, per cui mi piazzo proprio davanti alla signora sui sessanta e mi appendo al corrimano in modo da piazzarle la cicatrice a pochi centimetri dall’occhio. Aspetto che mi noti, quindi tiro fuori il telefono e fingo una conversazione:

    “Pronto. Si, sono sull’autobus. No, non me l’ha venduta, no. Non so, dice che non ne sono degno. ..E adesso.. e adesso ci vado lo stesso anche senza spada, cosa vuoi che faccia?”

    La vedo che ha smesso di leggere la sua rivista, si è fermata su un articolo pieno di foto, e a meno che non sia stata ipnotizzata da Emanuele Filiberto nel suo primo piano più ebete direi che mi sta ascoltando.

    “Lo so che è pericoloso, ma non posso permettere a una banda di mafiosi giapponesi di prendere il controllo del quartiere, perciò sfiderò un’altra volta il loro capo, e speriamo che questa volta vada meglio. Certo, con la spada di Hattori Hanzo sarei stato un po’ più sicuro, quelle che vendono nei vicoli le fanno a Taiwan e se picchi un po’ più forte ti resta il manico in mano, ma cosa vuoi farci, lui le vende solo a quelli degni, dice.. Eh, ha detto che non ero abbastanza puro di cuore.. No, l’American Express non ce l’ho, sennò sarei stato degno anch’io, no? Eh no, il bancomat delle poste non va bene, non glielo legge il pos.. Come dici? Ma no, che pistole! Sono giapponesi, usano solo le spade.. Mamma, quello è un film! E poi John Woo è cinese, non giapponese!”

    La signora sui sessanta chiude la rivista e mi osserva. Ormai ce l’ho in pugno.

    “Ma poi non è mica detto che vada a finire come l’altra volta. Si, vabbè, mi ha tagliato un braccio, ma è solo una ferita superficiale, dai. Si, mi è guarito bene, in quel convento shaolin usano delle erbe.. non lo so, non credo che le vendano in erboristeria, so che andavano a prenderle sui monti, stavano via tre giorni e a volte qualcuno non tornava neanche.. non lo so, li sentivo parlare di crepacci, di lupi.. si si, guarita benissimo! Beh un po’ di segno è rimasto, si.. eh, cos’ho fatto.. mi sono allenato! Ma sai, le solite cose, tae kwon do, kung fu, giuggizzu.. e la spada, certo. Il maestro Pai Mei, si.. Sai quello che stava davanti ai carabinieri? Che suo figlio aveva la tabaccheria? Lui. Si, adesso ha aperto un convento shaolin nel nord della Cina, fa corsi di arti marziali, spada, pilates.. è ben organizzata, fanno anche i massaggi.. Quando arrivo ti do il numero. Hanno anche il sito.. Eh, non lo so, ci vorranno altre due tre ore. Arriverò giusto in tempo per la sfida, si.. Eh, in effetti un po’ stanco lo sono.. Ma no, te l’ho detto, non si può rinviare e non posso mandare nessun altro, ne va della sicurezza dei nostri bambini, come crescerebbero in un quartiere dominato dalla mafia giapponese? Come potrebbero ricevere un’educazione corretta se il loro maestro è un maledetto yakuza che si presenta in classe col mitra e la schiena tatuata? Come raggiungeranno l’altalena se i giardinetti sono occupati da teppisti che si affrontano tutto il giorno a darsi catenate dalle motociclette? No, mamma, se nessuno ha il coraggio di farlo lo farò io, affronterò il loro capo e lo batterò, o ne pagheremo tutti le conseguenze, anche se sono stanco e non mi reggo in piedi e sono tre giorni che non dormo e anche prima fra i duri allenamenti al tempio e la ciucca che ci siamo presi per festeggiare che me ne andavo non è che ci si rilassasse tanto..”
    “Giovanotto, senta..”, mi dice la signora sui sessanta alzandosi, ha gli occhi gonfi di lacrime, “Io tanto devo scendere fra qualche fermata..”

  3. Ho terminato da poco il mio romanzo, ma la casa editrice che me lo doveva pubblicare è stata chiusa, pare che il direttore sia stato beccato alla frontiera pakistana con un carico di piante di oppio, e che la scusa usata coi militari, “Nel mio paese li usiamo per abbellire le chiese ai matrimoni”, non abbia avuto successo. Nel tentativo di trovare un nuovo editore faccio un colloquio alle Edizioni Paoline. Sono in una stanza con un prete e una suora, che mi osservano severi.
    “Signor Renzi”, mi dice lui, “Il suo romanzo è pieno di parolacce, non mi sembra un linguaggio consono ai nostri lettori”.
    “Padre, mi creda, il mio cuore è colmo di fervore cristiano, non potrei mai scrivere cose che offendano il nostro Creatore!”
    “Nostro?”, mi bacchetta la suora, “Il Creatore è di tutti, non solo nostro!”
    “Intendevo nostro degli esseri umani suoi figli devoti!”, balbetto. Non mi sento affatto a mio agio, l’ultima volta che mi sono trovato a cospetto di un prete è stato al battesimo di mio nipote, ero il padrino e dovevo recitargli il padrenostro, ma siccome lo ignoravo gli sussurravo all’orecchio l’inno del Genoa.
    “E anche la storia, non rispecchia in alcun modo i valori cristiani che vorremmo inculcare ai giovani”.
    “Cosa vorreste fare ai giovani?”, domando confuso.
    “I valori”, mi ripete, “Non sono quelli che la Chiesa cerca di trasmettere. Sarò franco, signor Renzi, io davvero non capisco perché si è rivolto a noi per pubblicare la sua opera.”
    Mi tiro su le maniche e mostro al reverendo la profonda cicatrice che attraversa il mio avambraccio destro.
    “Per questa, Padre”
    Mi guardano tutti e due con gli occhi sbarrati. “Eh, quanti peli!”, mugugna la suora.
    “Avete mai letto il Codice Da Vinci?”
    “Noo!”, inorridiscono i due. La suora si fa anche il segno della croce.
    “Neanch’io. Anzi, mi fa schifo. Ma mi fa così schifo che un giorno sono andato a cercare Dan Brown per farglielo ingoiare, e lui sapete cosa mi ha fatto?”
    “Cosa?”, mi chiede il prete, ma si vede che la notizia non lo ha smosso granché. Inutile raccontargli che mi ha ferito lui.
    “Mi ha denunciato, ed è per questo che ho bisogno di pubblicare il mio libro, per pagarmi gli avvocati!”
    “Si, ma ancora non capisco perché dovremmo pubblicarlo noi!”
    “Per questo!”, gli ripeto, mostrandogli ancora il mio braccio ricucito.
    “Ma perché non si depila?”, mi chiede la suora.
    “Vi ricordate il 31 maggio 1981, in Piazza San Pietro? Alì Agca spara a Giovanni Paolo 2 con la giustificazione che i sequel non sono mai all’altezza degli originali, poi scappa, ma va a sbattere contro un frate, perde la pistola e viene catturato. Ebbene, quel frate ero io!”
    “Ma non è vero! Era un altro! Lei avrà avuto si e no dieci anni, come faceva ad essere un frate?”
    “Ehm.. Ero.. ero un altro frate! Uno che stava dietro! Ero il figlio!”
    “Il figlio di un frate??”, esclama la suora.
    “Di un fratello! Di un fratello del frate! E stavo lì a guardare, quando ad un certo punto alla pistola di Alì Agca parte un colpo che mi colpisce il braccio, guardi, ho ancora la cicatrice!”
    “Insomma basta! Se ne vada!”, mi dice il prete scattando in piedi.
    “E porti via tutti i peli!”, incalza la suora.
    “E se vi dico che un mio amico è diventato prete?”
    “Fuori!!”
    “Poi ha cambiato sesso e si è fatto anche suora!”
    “Fuooriiii!!!”

Quest’ultimo aneddoto dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che avere sempre pronta una buona storia da raccontare è importante, ma certe volte è meglio portarsi dietro anche un paio di bambini.