Baker Street
Al 221B c’è il museo di Sherlock Holmes, una volgare trappola per turisti piena di non voglio neanche sapere che cosa sul tema “brillanti investigatori con la pipa”, perciò va da sé che il telefilm con Martin Freeman è girato in un altro posto che non è il 221B e non è neanche Baker Street.

Io ci capito giusto perché al numero accanto hanno aperto il Beatles Store e la mia fidanzata DEVE andarci, e quando dico DEVE interpretatelo come uno di quei dogmi su cui si basa l’universo, tipo “l’uomo DEVE respirare per vivere” o “Pablo non DEVE lavare i piatti sennò li rompe”.

Il Beatles Store è completamente diverso dal museo di Sherlock Holmes, questo infatti è una volgare trappola per turisti piena di cose che ho visto con i miei occhi sul tema Beatles: ci sono le tazze, le magliette, le mutande, i magneti da frigo, i portachiavi, le cravatte, gli orologi, le cartoline.. Avete presente quei negozi di cianfrusaglie per turisti dove vostra madre compra i regali per vostra zia? Ecco, sostituite lo Union Jack con la copertina di Yellow Submarine e vi sarete fatti un’idea parecchio precisa di cosa vendono lì dentro.

Di fronte al Beatles Store, incoraggiati dal teorema di Barnum e dallo share di trasmissioni come Il Grande Fratello, gli stessi proprietari del Beatles Store hanno aperto un negozio dedicato ai miti del rock’n’roll. Inutile che vi dica cosa contiene, sono sicuro che lo immaginate benissimo da soli.

Abbey Road
E dopo il Beatles Store ti pare che ci facciamo mancare la visita alle strisce pedonali più famose del pianeta?

A Abbey Road si trovano gli Abbey Road Studios, dove i Beatles incisero quasi tutti i loro dischi; di fronte agli studi di registrazione c’è l’attraversamento pedonale che fa da copertina a Abbey Road, quello dove ci sono loro quattro che attraversano e Paul McCartney è scalzo. Tutti i giorni da allora milioni di persone calpestano quelle strisce avanti e indietro, si fermano in mezzo e si fanno la foto (generalmente scalzi perché fa più Beatles), alimentando l’odio profondo degli automobilisti che sono costretti a passare di lì. Immaginate di dover passare in macchina davanti a una scuola per andare a lavorare, e tutte le mattine prima delle otto si formi una coda a causa degli studenti che arrivano dal marciapiede di fronte. È un bel fastidio, ma di breve durata, no? Ora immaginate che la scuola sia aperta ventiquattr’ore su ventiquattro, e che invece di un migliaio di studenti ne contenga sessanta milioni, e che in qualunque momento della giornata voi passiate di lì ce ne siano una decina in mezzo alla strada che vi obbligano a fermarvi, ma che quando siete fermi non attraversino, stiano lì a pensarci su, facciano due passi e poi tornino indietro, o si arrestino a metà.

L’attraversamento di Abbey Road mi ha fatto ricredere sulla proverbiale pazienza degli inglesi.

Hampstead
Da Abbey Road avremmo dovuto tornare indietro per arrivare a Highgate in metropolitana, ma essendo più o meno alla stessa altezza dal centro decidiamo di prendere un autobus e proseguire nella stessa direzione. Finiamo così a Hampstead, un paese che con Londra ha pochissimo in comune, pur essendo così vicino da avere una sua fermata della metropolitana.

Tutti gli edifici sono costruiti in mattoni rossi, c’è pochissimo traffico, una sensazione di quiete che se ad un certo punto incontrassi Biff Tannen e la sua banda di scagnozzi non ci troveresti niente di strano, salvo che loro stavano in America, ma cosa ne sai che ad un certo punto non siano andati a farsi le ferie nel vecchio continente, in fondo Ritorno Al Futuro ti mostra solo un periodo molto breve della storia di Hill Valley, magari a telecamere spente il bullo della scuola ha preso e se n’è venuto in Europa ed è stato anche in Italia, e si è fatto fotografare di sera a Venezia mentre piscia su una gondola. Comunque Hampstead sembra avere degli affitti piuttosto cari, ho fatto una ricerca, e peccato perché gironzolando per le stradine silenziose abbiamo anche trovato una casetta col giardino scammurriato che avrebbe fatto proprio al caso nostro. E pazienza, vorrà dire che quando sarò in pensione me ne andrò a svernare in Portogallo.

The Horseshoe
28, Heath Street
All’ora di pranzo cerchiamo un locale nei paraggi e ci infiliamo in questo ristorante arioso, che si vanta di cucinare la carne migliore di quella regione che non mi ricordo quale sia, ma che pare faccia della carne buonissima, tipo che non ne hai mai mangiata di più buona. Io nel dubbio prendo un’insalata. Marzia invece si fida e al primo morso la vedo che comincia a mugolare in un modo che in tanti anni di vita insieme non l’ho mai vista, e infatti ci resto anche un po’ male, poi mi fa assaggiare un pezzetto di hamburger e cacchio, è veramente buonissimo. Vabbè, la prossima volta che vengo a Londra devo tornare in questo posto e ordinare una bistecca. Cominciano ad essere tante le cose da fare la prossima volta che vengo a Londra, mi sa che dovrò venire una volta apposta solo per farle tutte.

 

Hampstead Heath / Parliament Hill
Secondo la Santa Lonely Planet questo parco gigantesco è un ritrovo per coppie omosessuali. Lo diceva anche di una zona di Central Park. Lo dice di tutti i parchi cittadini dall’aspetto più selvatico, si vede che la vegetazione incolta libera dalle inibizioni, oppure gli autori delle guide sono dei frustrati visionari, vai a sapere.

Che siate in cerca di emozioni o no questo parco merita una visita, anche perché da qualche parte lì in mezzo dev’esserci la grossa villa in cui è stato girata una scena di Notting Hill, e potrete togliervi lo sfizio di gironzolare in crinolina e ombrellino parasole, sentendovi come in un libro di Henry James. Se non trovate la villa non fa niente, potete sempre ripiegare sulla visibilissima Parliament Hill, che è una specie di sfondo del desktop di Windows senza le icone ma con un paio di panchine. Dalla vetta la vista della città è notevole, ma tira un vento che se aprite la giacca a mò di vela potete tornare in centro senza prendere la metro. Mary Poppins faceva così, poi le è stata affibbiata la nomea di strega e sono nate un sacco di leggende terribili sul suo conto, tipo che dava i bambini in pasto allo spazzacamino mannaro, ma all’inizio era solo un’incauta signora di Hampstead che ha aperto l’ombrello nel posto sbagliato.

Highgate
Il cimitero di Highgate è una delle cose più fighe che si possano vedere in fatto di cimiteri. L’idea che hai appena attraversato il cancello è di trovarti in mezzo alla foresta amazzonica e di avere scoperto i resti di un’antica città. È il giardino inglese, bellezza: prendi un terreno incolto, togli le spine, mettici delle panchine, dimenticatene per dieci anni.

Dentro il cimitero di Highgate si possono incontrare celebrità che non ci crederesti, come Douglas Adams, l’autore della Guida Galattica Per Autostoppisti, o Alexander Litvinenko, l’agente segreto russo al centro dell’intrigo internazionale che tenne banco nel nostro Paese qualche anno fa.

(Piccola divagazione: perché le spie hanno sempre nomi evocativi come James Bond e Tara Chace, e a noi tocca invece Mario Scaramella?)

La nostra visita al cimitero non riguarda nessuna di queste celebrità, noi vogliamo andare a commemorare Karl Marx. Perché, a dire il vero, non lo so, io l’unico Marx che conosco ha i baffi e fa l’assistente di Dylan Dog, ma la mia fidanzata ci tiene e non mi costa niente farla contenta.

Il cimitero però non collabora, e dopo una lunga scarpinata attraverso Parliament Hill e il parco di Hampstead si fa trovare chiuso. Ma tipo sprangato. Che non c’è neanche un morto, neanche quelli da poco, al posto del cimitero ci hanno tirato su un condominio bruttissimo che quando ci passi vicino emette il tipico verso del drogato da giardinetti. Si vede che non è orario di apertura, stiamo un po’ a ciondolare intorno al cancello del cimitero per vedere se si apre e poi ce ne andiamo tristi come due che ci hanno lasciato dentro un parente giusto ieri.

Magari poi a provare dall’entrata superiore si trovava anche aperto, ma la gita nel parco comincia a farsi sentire, e la differenza fra noi e quelli che stanno dentro è ancora troppa per azzerarla con altri inutili sforzi. Pigliamo un autobus e andiamo a Camden Town.

Camden Town
Come ho già scritto riguardo a Portobello Road, anche Camden Town è un bel cesso di posto, pieno di negozi che ti vendono sempre lo stesso ciarpame e di italiani dall’accento fastidioso che strepitano davanti alle vetrine, però rispetto al suo predecessore è parecchio colorato, molto più esteso e offre una discreta selezione di cibi esotici. Però resta una merda. E anche i cibi esotici, dai, roba da festa dell’unità, ma con in più le cuoche cinesi che ti allungano pezzi di involtino primavera strillandoti dietro che devi assaggiare assaggiare tutto buono prova prova, che dopo la quarta vorresti infilarle la testa nella friggitrice.

Una volta mi divertivo ad andare da Cyberdog, che è un negozio di abbigliamento per discotecari in acido, ma in dodici anni da che l’ho scoperto non ha mai cambiato una vetrina. Si è spostato in un negozio più grande, ma la roba che vende è sempre la stessa di quando ci sono entrato la prima volta, che due palle.

Per evitare i tediosissimi resoconti di viaggio cui ho abituato i miei lettori (due o tre, gli altri seimila che erano soliti passare di qui sono scappati via urlando quando hanno capito di che si trattava) ho deciso questa volta di limitarmi a piccoli paragrafi slegati fra loro, come farebbe una guida turistica per persone che non hanno voglia di leggere.  Auguri.


Low cost
Viaggiare con i low cost è generalmente una merda: non puoi portare bagaglio da stiva se non paghi, non puoi sceglierti il posto se non paghi, parti e arrivi dalla periferia dell’aeroporto e per giungere a destinazione, una volta atterrato, devi prendere un altro aereo. RyanAir o EasyJet fa poca differenza, la prima ti lascia a Stansted, la seconda a Gatwick, per arrivare in centro ci metti quasi quanto il volo fin lì. Va bene, Londra dista solo un’ora e mezza, non è un gran sacrificio e il prezzo è decisamente inferiore a quello proposto dalle compagnie di linea, però una volta che ti abitui a viaggiare comodo è difficile tornare indietro. Inoltre quella del bagaglio a mano è una gran rottura di balle, devi infilare il trolley nella vaschetta per misurarne il volume: se ci passa puoi caricarlo, sennò va nella stiva.
Se però al check-in ti trovi in fondo alla coda può essere che il tuo bagaglio a mano finisca nella stiva comunque, perché le cappelliere sono tutte occupate. Com’è possibile, se il volume a disposizione è uguale per ogni passeggero? Non lo so, forse qualcuno si porta dietro le valigie disidratate, che una volta riposte nel loro vano si gonfiano come le spugne e rubano il posto a quelle degli altri.

La menata più grossa è che se vuoi comprarti qualcosa nel luogo di destinazione devi sempre considerare lo spazio che occuperà al ritorno, oppure pagare il supplemento bagaglio, che sono comunque quei trenta euri.


Ostello
Se per viaggiare mi piace la comodità è un bel paradosso che sull’alloggio mi faccia così pochi problemi: lo Smart Hyde Park View ci offre una stanza minuscola all’ultimo piano con l’ascensore rotto. Non c’è il tavolino, ma se è per quello non c’è neanche l’armadio, e lo spazio intorno al letto è così esiguo che per alzarti devi scavalcare il bagaglio. Il bagno però è in camera ed è pulito, e se per arrivare al lavandino devi stare in piedi nella doccia è solo perché il piatto è molto largo.

Il personale è disponibile, la camera viene rimessa in ordine tutti i giorni, ma per farti cambiare le lenzuola probabilmente devi chiedere. La colazione è essenziale, tè, latte, cereali, marmellata, pan carrè, prosciutto e formaggio. Pagando ottieni anche qualcosa di più.
La posizione è interessante, Leinster Terrace si trova a Paddington, fra le stazioni di Queensway e Lancaster Gate, una zona molto tranquilla incuneata fra i ristoranti cinesi e le botteghe indiane e i palazzoni eleganti appena dietro. C’è una fermata dell’autobus proprio in fondo alla via, e il ristorante greco che incontri appena la imbocchi manda un profumo di carne alla brace che ti fa venir voglia di cenare anche alle tre del pomeriggio.

Clima
A Londra fa freddo e piove sempre, bisogna vestirsi pesante, giaccone e scarponcini, poncho impermeabile e cappellino, e speriamo che non nevichi.
Poi arrivi e ci sono sedici gradi, non cadono mai più di due gocce e c’è gente che gira in sandali. Il due gennaio. Coi sandali. Vabbè, ma quelli sono malati, la maggior parte delle persone si copre, che quando si alza il vento e cala il sole la stagione si sente eccome. Però gli scarponcini erano di troppo, guarda. E anche il poncho, che a parte quei dieci minuti di pioggia vera quando siamo andati alla National Gallery non ce n’è mai stato bisogno.

Estate in gennaio a Hyde Park

Portobello Road
“Quante stupende sorprese ci son, troverai cose oltre l’immaginazion alle bancarelle di Portobello Road”. Ve la ricordate? La cantava lo Spazzacamino in Pomi D’Ottone E Manici Di Scopa. Boh, forse non era lo Spazzacamino.. Forse non era neanche quel film lì e mi confondo con Mary Poppins. Vabbè, tanto la canzone è scaduta, a Portobello Road ci sono gli stessi negozi di ciarpame fabbricato in Thailandia che puoi trovare a Camden Town, a Barcellona, a Genova e ovunque ci sia un po’ di movimento. Gli stessi prodotti si ripetono vetrina dopo vetrina, cambia solo la fantasia del negoziante nell’esporli, e forse un po’ il prezzo; perfino i turisti sono fatti con lo stampino: coppie sulla cinquantina e ragazze molto truccate dall’accento romano.
L’unica eccezione è un negozio di prodotti scozzesi dove mi sono fatto tentare da una coppoletta, ma non c’era la mia taglia.

Londra o Roma o Parigi o Barcellona o

Saldi
A Londra il due gennaio di quest’anno sono cominciati i saldi. Ogni negozio, dal buco merdoso al grande magazzino, espone il suo bel cartello col numero a due cifre e il simbolo di percentuale. French Connection in Oxford Street ha tirato su una scritta cubitale tipo insegna di cinema che recita “I am the sale.”, quello di fronte ne ha messa una in risposta che dice “No, the sale it’s me, go fuck yourself!”.

Fra parentesi, French Connection in Gran Bretagna abbrevia il proprio nome in FCUK, che sta ovviamente per French Connection United Kingdom, ma avrei preferito leggere French United Connection Kingdom, fa più ridere.

Sui marciapiedi dello struscio non cammini, e io vado in giro con un’ossessa che sbava davanti a ogni vetrina e guaisce per ogni cappotto colorato a metà prezzo.

Per me invece è un dramma, vado da HMV e sono assalito da orde di cofanetti di dvd a meno di dieci sterline (il cofanetto definitivo di Father Ted te lo mollano a dodici, tipo), e non li posso comprare perché a casa non ho posto dove metterli. Da quando ci siamo sbarazzati della televisione, poi, diventa superfluo anche l’acquisto di videogiochi, perciò non ci passo neanche davanti allo scaffale che mi dice SuperMegaOffer, e corro fuori asciugandomi gli occhi.

Oxford Street
La via dello struscio economico, dei grandi magazzini, dei vestiti a badilate, dei pachistani che regalano borse e telefonini, dei negozi di cianfrusaglie per turisti; la via dei turisti, dei ragazzetti di periferia, delle orde di londinesi con una mano bianca dipinta in faccia e i canini che sporgono dalla mandibola, di gente che entra ed esce e si incrocia con quella che va avanti e indietro, e se ti trovi in mezzo alla corrente non c’è neanche il bagnino a salvarti; la via dei bigmac, dei bigwhoopers, dei kingroyal, dei cibi di polistirolo e della puzza di fritto e detersivo. Non ci ho mai trovato niente di interessante in questa strada, mai niente di appena originale, le uniche cose che ti fanno capire di essere a Londra e non a Parigi, tipo, sono le bandiere inglesi esposte nelle vetrine di souvenirs.

Vorrei che ti aprissi, Oxford Street, e ti portassi via tutta questa marmaglia. Io la odio questa strada.

Eat.
Londra è piena di ristoranti legati a qualche catena, e trovare da mangiare quando hai delle esigenze particolari non è per niente difficile. Capita così che ci si infili in un locale che si chiama Eat., nel senso di Eat-punto, e ci si abbuffi di cibi appartenenti a quella categoria salutista che va un casino negli ultimi tempi. I prezzi sono contenuti, sulle confezioni sono ben visibili gli ingredienti e l’avviso se sono compatibili con la dieta vegana, o celiaca o di quelli che hanno solo i cazzi loro ma ci tengono a ribadirli ovunque.

Uno zuppone low fat con dentro pollo, germogli di soia, spaghetti e del peperoncino incredibilmente piccante garantisce un’ottima parentesi nella città del fish&chips, e permette al tuo fegato di rimandare un pochino la disintegrazione.

Notting Hill
Mi ricordo che c’era questa strada in salita piena di negozietti e bancarelle di frutta e verdura, che sembrava di essere sul set del film con Hugh Grant, che fra parentesi è stato girato quasi tutto negli studios compresa buona parte degli esterni, però non l’ho trovata. In compenso ho trovato un negozio di ciarpame thailandese Notting Hill con l’insegna che riprendeva la locandina del film, e una ragazza molto truccata dall’accento romano che la fotografava.

Però nei pressi di Notting Hill Gate c’è un bel negozietto di libri e fumetti usati, dove si ascolta del buon swing e la proprietaria sembra competente: ha uno scomparto apposta per Alan Moore e uno per Garth Ennis, e nel reparto “decidi tu se vale la pena o è una cazzata” c’è una vecchia ristampa di Tex.

Per poche sterle mi porto via Hitman di Ennis, che mollo a metà, il primo volumone di una serie in bianco e nero che alcuni anni fa ha vinto un Eisner Award e si chiama Queen & Country (questo lo divoro proprio) e un libretto per un amico che potrebbe trovarci qualche spunto interessante.

Kensington Gardens
Ve lo dico subito, Peter Pan lo trovate sulla sponda del Serpentine, il lago che divide i Giardini di Kensington dal più selvatico Hyde Park; sta poco più giù dell’Italian Fountain, e francamente potrebbe tornarsene all’Isolachenonc’è, è molto più bella la statua di Alice a Central Park.

Un’altra delusione di questo posto è rappresentata dal cartello riguardante la fauna del laghetto, che ti elenca fra le specie presenti la bellissima anatra mandarina, e invece puoi passarci la giornata a cercarla, e quella stronza non si fa vedere. Secondo me l’ultima è finita nella pentola di uno dei tanti ristoranti cinesi della zona.

L’ultima grande delusione è rappresentata dal Princess Diana Memorial Playground, un grande parco giochi pieno di meraviglie, fra cui voglio ricordare il tepee degli indiani e il galeone dei pirati, accessibile ad un prezzo ragionevole, ma ahimè, solo ai bambini e agli adulti che li accompagnano. Il fastidio di non avere mai un figlio quando serve!

Per il resto il parco è più curato del suo vicino di fronte, il laghetto rotondo è sempre al sole (oddio, per quanto si possa essere sempre al sole in Inghilterra) ed è un piacere sedersi a guardare gli uccelli, e laggiù in fondo c’è il Kensington Palace, che è più bello dei bagni pubblici di Hyde Park.

Peter Pan e Wendy ricordano i vecchi tempi ai Giardini di Kensington

(continua)

Foto del Subcomandante Marzia.

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Guarda che non scherzo.
Sono tutti cazzi tuoi.
No, davvero.
Tu non hai idea.