Fu nei primi anni di vita che il piccolo Pablo dimenticò casa per cercare la Meraviglia. Indossò la maglietta di Ok Quack, saltò sul trenino, e un pomeriggio dopo la tv dei ragazzi si allontanò nel ronzare del trasformatore.

Visse avventure incredibili con quattro ragazzi in gamba, si perse in un teatro popolato solo da pupazzi, e aspettò di diventare abbastanza grande da potersi spingere dove nessun uomo, e figuriamoci bambino, era mai giunto prima.

Non fu un’attesa priva di emozioni: un giorno venne inseguito dal grosso Uomo Mozzarella, ambasciatore dell’Emilia, e per sfuggirgli dovette rinchiudersi in un castello di cemento, fra le fronde di un grosso olmo; fece a pugni con lo Straniero e ne divenne amico, ci rifece col Nano Naso e lo uccise fra le statuine di un presepe, e finalmente cominciò a diventare più alto.

La gioia di quella crescita fu enorme, da lassù poteva vedere cosa si nascondeva dietro la curva dell’orizzonte, i paesi al di là del mare, i mondi misteriosi celati alle spalle di Vega, e i terribili Micenei.

Era quella la sua meta, lo sapeva anche se nessuno gliel’aveva spiegato: oltrepassò il tempio giapponese, evitò senza problemi il toro infuriato che caricava chiunque e al tramonto arrivò sulla spiaggia. Un anziano signore in kimono sventolò la sua bandierina bianca, era il segnale che aspettava.

Sono passati tanti anni, il piccolo Pablo è diventato l’irsuto Pablo, ha fatto cose e visto gente, i suoi figli li ha chiusi dentro un libro per non vederli invecchiare, e tutti i giorni guarda l’attaccapanni, e si chiede se sia lì, la Meraviglia.

La maglietta di Ok Quack ce l’ha ancora addosso, sotto la giacca; è sempre stato un ago, ma piano piano gli è venuta l’impressione che sia tu, il Nord.

Stamattina mi sono alzato presto, se le otto e mezza possono definirsi presto, e come ogni mattina ho dovuto, per prima cosa, vestirmi e portare Jack a fare due passi. C’era una luce strana, schermata dalla foschia che avvolgeva il fiume, che accentuava il giallo delle foglie, quelle sugli alberi e le prime già in terra, e sfumava i bordi alle cose; dava l’impressione di trovarsi in un quadro di Monet, sebbene non ne ricordi uno ambientato in un viale autunnale, ma cosa vuoi farci, da quando non faccio più ARTErnativa i dipinti si sono mescolati come prima di uscire dal tubetto dei colori, e l’alzheimer non mi aiuta affatto.

Comunque succede che mi sono trovato a pensare a una conversazione con un amico avuta ieri sera, nella mia prima uscita da quando siamo stati colpiti dalla recessione (perlomeno la prima senza il piattino in mano a chiedere spicci ai passanti): eravamo in Piazza Delle Erbe a lamentarci di come dovrebbe chiamarsi Striminzito Marciapiede Delle Erbe, essendo stato tutto lo spazio al centro ingoiato dagli ombrelloni e dai tavolini, quando ti incontro un altro amico, che poi è quello con cui ho avuto la conversazione, che mi dice che vuole andare a vivere da solo e trasferirsi in centro.

Ci avevo pensato anch’io tanto tempo fa, quando dividevo gli angusti spazi di Castello Renzi con Renzi Senior e la buonanima di Mario, e tutti i miei amici vivevano a Genova, e soprattutto stavo lottando con tutte le mie forze per entrare nelle mutande di una tizia che appunto in centro abitava.

Ora che ho realizzato che per le sue mutande sono passati più uomini che alla fermata del 18 barrato, che ho abbandonato la Tenuta Renzi, che ho conosciuto la futura nonna dei miei nipotini, che sono entrato nelle fila rivoluzionarie dell’Ejercito Cadigattista Di Liberaciòn Nacional, che vivo in una casa col riscaldamento a legna, che mi vado a tagliare la legna nei campi, certe malinconie me le sono fatte passare con gioia. E li compatisco un po’ quegli amici che vogliono abbandonare la praticità della delegazione per trasferirsi nel casino del centro, col rumore costante, l’impossibilità di trovare posteggio e tutto il resto.
Che poi uno che sta a Bolzaneto non se la gode davvero granché la lontananza dalla città, subisce gli stessi disagi e non ha neanche i locali sotto casa dove andare a distruggersi, e allora tanto vale..

Però io l’altra mattina nel vialetto sotto la ferrovia, quando ancora la luce era bassa, ho incontrato una famiglia di cinghiali, e uno dei piccoli è venuto ad annusare Jack a neanche un metro dai miei piedi, ed è qualcosa che nei vicoli non ti succederebbe mai. Tuttalpiù potresti imbatterti in una famiglia di spazzini alla fine del turno, e ammetterai che non è proprio la stessa cosa, che oltretutto non hanno neanche il caratteristico manto a strisce.

cineblabbersPoi uno dice che non scrivo mai, che scrivo poco, che dovrei scrivere di più, e quando cerco di spiegargli che non è vero, che due righe le tiro giù tutti i giorni, solo che le perdo in giro, non ci crede.

E allora guarda qua se non ci credi, che adesso oltre al Pablog, a Nube Che Corre, a faccialibro e alle altre minchiate, sono stato invitato in un posto tutto nuovo dove lasciare tracce.

Si chiama Cineblabbers, parla di cinema, è divertente. Leggilo.

Io quando li ho visti suonare quella sera a Modena mi sono detto che quelli lì non erano mica più gli stessi, che alle spalle del trio c’erano tutta una schiera di musicisti che ti facevano domandare che senso avesse oramai esibirsi dal vivo. Mi era tornata in mente una vignetta favolosa di Cavezzali, dove si vedevano questi tre grossi cazzi tristi che suonavano circondati da luci, maiali, muri e martelli, e avevo pensato che era perfetta per quello che stavo vedendo sul palco. 
Poco dopo hanno smesso di esibirsi dal vivo, e anche di pubblicare dischi. E’ uscito il live doppio in confezione figosa con tanto di lucina lampeggiante, che mi sono guardato bene dal comprare, e poi il silenzio, fino alla tanto pubblicizzata riunione per il Laivèit.
Però io quei signori lì non ho mai smesso di volerci bene, e stasera me ne vado a letto con un bel po’ di magone.

Io ho degli amici che scrivono. Cioè, tutti abbiamo degli amici che scrivono, noi stessi scriviamo, e poi ci leggiamo uno con l’altro, in una specie di masturbazione collettiva che ci rende un po’ dei pervertiti agli occhi di chi non vive questo strano mondo. Ma i miei amici che scrivono sono particolari, perché scrivono libri che la gente compra.
Cioè, anch’io una volta ho scritto un libro che la gente ha poi comprato, e stasera mi sono anche permesso di pubblicare la copertina qui a lato, ma il mio è stato più un caso estemporaneo, sono troppo incostante per farlo diventare un lavoro, anche solo per provarci. Questi miei amici invece scrivono come dannati, dappertutto, e soprattutto dannatamente bene. E come se non bastasse questo a renderli odiosi a noi poveri patetici pennaioli, questi miei amici hanno deciso di completare la serie e si sono inventati anche editori. Lettori, scrittori ed editori, tutto loro fanno. Ci manca che aprano un macero e si mettano a tagliare alberi..

E’ come se un macellaio si ingrassasse a fieno e poi si facesse a pezzi e si vendesse al banco, a pensarci fa un po’ senso, ma qui si ingrassano e sminuzzano le parole, ed è una bella cosa, se a uno piace leggere. Si incolla e rilega e disegnano copertine, come in una di quelle stamperie antiche che odorano di inchiostro e spago. Si producono poche preziose copie, che si distribuiscono a mano, per posta, una a una a chi le richiede, limitando i ricavi, ma anche mantenendo un rapporto col lettore che nell’editoria odierna te lo sogni.

E’ una libreria che potevi immaginarti duecento anni fa, e uno si chiederebbe chi glielo fa fare di aprirla ora, ma il Cino è fatto così, ci deve pensare un po’ prima di fare una cosa..

samiz.. samid.. macomecazzo..

“Beato te che te ne stai in casa a riposare!”, mi dicono, come se le ferie fossero per me un periodo dedicato all’ozio più bieco. Io? Riposare? Ma quando mai! Giusto l’altro giorno ci ho provato, che dopo un’estenuante partita al gioco del Signore Degli Anelli avevo bisogno di staccare, ormai vedevo orchetti ovunque, armati di scale, accorrere sotto le mura del Fosso di Helm e fare a pezzi le mie difese sguarnite.

Me ne sono andato al mare, da solo, senza cane e fidanzata, per godermi quel po’ di sole di fine agosto che mi avrebbe regalato un colorito meno salmastro (termine che deriva da salma, ovviamente). Ho scelto Sori, bella vicina, tranquilla, popolata solo da vecchietti innocui, “metto su il vibro, leggo un bel libro, cerco un po’ di relax”. Mi sono addormentato, e al risveglio la luce era andata via.

“Ammazza quanto ho dormito”, mi sono detto, prima di rendermi conto che non stavo più in spiaggia, ma in una specie di cantina piena di roba.

“Maccheccaz..”, l’esclamazione mi è morta in gola alla vista dell’individuo che mi osservava dall’alto dello sgabello su cui era seduto: un tizio lungagnone, la faccia feroce, un tatuaggio raffigurante un fungo porcino che lotta con un’orata. L’ho riconosciuto subito, avevo già visto quell’espressione feroce al telegiornale in un servizio sulla pirateria nel mar Ligure, era il bieco Capitan Secchin, Terrore Del Tigullio, e mi aveva fatto prigioniero!

“Cosa vuoi da me? Lasciami andare, non ho niente, solo un telefonino pieno di canzoni scaricate illegalmente dalla rete e un romanzo in edizione economica!”

“Voglio il tuo aiuto”, mi ha risposto, lasciandomi basito. Come il mio aiuto? Il pirata più feroce dei sette mari ha bisogno di aiuto? E per fare cosa?

“E per fare cosa?”, ho ripetuto ad alta voce, dato che dubitavo che potesse leggere la voce narrante.

“Per andare a pesca di mormore!”, mi ha detto. “Carica tutta questa roba in barca!”, mi ha indicato dei grossi secchi blu, i remi, il motore e un salvagente.

“Grazie signor pirata, ma non occorre disturbarsi, sono un provetto nuotatore!”

“Non è per te, idiota, è per lui!”, mi ha risposto indicando un altro losco figuro che stava in silenzio a osservarmi, nell’oscurità. Era il suo socio, il Piratarquata, il secondo filibustiere più feroce che abbia mai solcato i mari. Giusto per dare un’idea, si dice che sia talmente sanguinario che anche il mare ha paura di lui, e la prima volta che ha messo in acqua il suo vascello le onde si siano ritirate fino a farlo incagliare, e da allora sta là, ad Arquata, ad aspettare che torni la marea per poter salpare.

Fino ad allora presta il proprio servizio ai bucanieri più feroci e barcadotati, come Secchin.

Il Piratarquata è venuto verso di me e mi ha porto un secchio, suggerendomi di adoperarlo se volevo vomitare. Ho ringraziato, rassicurandolo sulle mie condizioni di salute, e lui me l’ha sbattuto in testa strillando “E allora alza il culo e carica la barca!”.

Appena tutto il materiale è stato messo a bordo abbiamo preso il mare, Capitan Secchin di poppa, a vegliare sul motore, il Piratarquata nel mezzo, a controllare che non ci speronasse una lampara, e io ai remi, a vogare come una bestia, che la benzina costa e il motore spaventa i pesci.

Una volta raggiunto il (lontanissimo) punto di pesca Secchin e il Piratarquata hanno gettato il palamito, mentre io boccheggiavo per la fatica.

“Allora? Che fai, ti riposi?”, mi ha detto il terribile secondo. “Pant!”, ho cercato di rispondere, ma lui mi ha sbattuto il solito secchio sulla testa e si è messo a strillare “Riportaci a riva! E’ ora di andare a dormire!”.

A dormire loro, chissà dove, io sono stato legato alla barca a vegliare sul motore e sul salvagente fino all’alba.

Il mattino successivo capitan Secchin si è presentato di nuovo, con un altro equipaggio. Stavolta si trattava del ferocissimo Capitan Filippo Barbanera e del suo aiutante, Medusa Occhioditriglia, ricercati fino alle Barbados per atti di pirateria e furto di focaccia. Ho saputo da loro che il Piratarquata è stato catturato da James Brooke, il rajah di Sarawak, ma è subito riuscito a fuggire portando con sè la nipote del tiranno, Marianna. I due sono convolati a nozze e partiti in luna di miele in Canada, o negli Stati Uniti, o forse in Australia, il racconto a questo punto non è molto chiaro.

Chiarissima invece era la mia condizione di prigioniero, costretto a riprendere il mare per tirare su il palamito. Razze, stelle marine, pericolosissime agne (agne? agne, agne..), gronchi, polmoni, subbaqui, pesci paduli, di tutto abbiamo tirato su sotto quel sole a picco che ci squagliava il cervello, e quando sono finiti gli ami e la pesca non è stata sufficiente qualcuno ha suggerito di buttare in mare me, per cercare di attirare qualche pesce più grosso. A quel punto mi sono dato alla fuga nel modo più veloce che conoscevo, cambiando canale.

Capitani coraggiosi

Sul terzo infatti trasmettevano Alle Falde Del Kilimangiaro, con quella scassacazzi di Licia Colò, che la detesto da quando faceva Bimbumbam. Il servizio parlava del Monte Reale, e della difficile impresa tentata dai due scalatori Compabloni e Lajackelli. Qui sotto le foto.

Monte Reale

Mi chiama mia sorella, immagino voglia sapere com’è andata la mia prima pizza, e non le rispondo. E’ andata male, come vuoi che sia andata? Mai impastato niente in tutta la vita, mi mancano i rudimenti basilari per cucinare anche una pastasciutta, sarebbe come prendere uno studente di terza media e chiedergli “Hai mai riparato il tuo motorino? No? Allora vieni, che ti faccio montare lo shuttle”.

Mi richiama. Stavolta rispondo, non posso nascondermi per sempre alla sua ironia, ma a sorpresa non vuole chiedermi come mi è venuta la pizza, mi dice che il 28 settembre sono invitato al battesimo di suo figlio Alessandro. “Alle tre. Devi esserci, sei il padrino”.

Le mie rimostranze hanno ben poco a vedere col fatto che a quell’ora ci sarà Fiorentina-Genoa, io non l’ho mai fatto il padrino, non so neanche da che parte si cominci..

“Beh, documentati”, mi dice mia sorella prima di riagganciare.

Per prima cosa mi scarico tutta la discografia di Nino Rota, tanto per entrare in tema, quindi mi sparo la trilogia in un giorno, dalla mattina al tardo pomeriggio. Non contento inizio a giocare al videogioco ispirato al film, giusto per completezza.

La notte ovviamente ho gli incubi a tema:

sogno di essere in chiesa, vestito di gessato scuro. Accanto a me Marzia sfoggia una coppola calata sugli occhi e un paio di baffetti laccati, porta una lupara a tracolla e tiene uno stecchino fra i denti.

Il parroco mi chiede se sono cresimato, e subito Marzia gli mostra la lupara, commentando che certe domande sugnu dilicate, e che farebbe meglio a farsi liccazzisua.

Il parroco non si dà per vinto, e piantandomi il suo dito nodoso nella pancia mi spiega che essere un padrino è una grossa responsabilità, che dovrò essere la guida spirituale di questo bambino, e lo ripete, guida spirituale, guida spirituale, guida spirituale..

“..Guida spirituale! Guida spirituale!”nipoterie

Mi sveglio in un bagno di sudore, sono le undici e mezza, Marzia è andata a lavorare, non l’ho neanche sentita alzarsi. Sento un dolore sordo dove il parroco ha piantato il suo dito, e mi sollevo la maglietta temendo di trovarci un livido.

Non ci sono segni, ma la pancia è gonfia e mi fa male; non avrei dovuto mangiarla quella pizza, non era abbastanza lievitata.

Le parole del prete risuonano ancora nelle orecchie, e mi fanno male alla coscienza: mi rendo conto di non essere la persona più indicata a fare da guida spirituale a un bimbo, io che alla cresima sono stato preso a scopaccioni dal parroco perché giocavo coi giochini dell’orologio digitale, io che l’ultima volta che sono stato a messa è stato per il funerale di mia nonna, io che il prete non viene neanche a benedirmi la casa.. vabbè, quello è colpa di Marzia.. comunque no, non sono adatto a questa responsabilità, è meglio che chiedano a qualcun altro!

Chiamo mia sorella, ma il telefono è occupato. Decido di andare a dirglielo di persona, mi metto le scarpe, la coppola, infilo la testa di cavallo in un sacco ed esco. Per la strada riscuoto il pizzo da un paio di negozianti, mi sento un po’ meglio, ma giunto sul sagrato della chiesa vengo assalito nuovamente dai sensi di colpa, maledetta educazione cattolica!

Non so cosa mi prenda, forse il panico, forse i peperoni, varco il portone in ferro battuto e mi presento al parroco:

“Buongiorno padre”, gli sussurro.

“Buongiorno figliolo, non c’è bisogno che parli a voce così bassa”, mi risponde.

“Noo, lei non capisce, è il personaggio che lo impone”, e lui chissà cosa capisce, perché mi risponde “Nostro Signore ci sente benissimo!”

“Vede Padre”, gli dico per cambiare discorso, “sono venuto qui perché ho dei problemi”

“Tutti quelli che entrano qui hanno dei problemi, e cercano di risolverli scaricandoli su qualcuno che non si lamenta mai, e se ne sta lì in croce in silenzio”

“No, ma i miei sono causati proprio da lui, vede, sono stato scelto per fare il padrino a un bimbo, ma la mia fede.. insomma..”

“Mi stai dicendo che non credi?”

“Beh ecco..”

“Non hai fede?”

“Eh dipende cosa intende..”

“La fede, fratello mio, è quella cosa che ti dà speranza quando non ce n’è, quando le difficoltà ti soverchiano, e tutto ti dice che non è il caso di andare avanti, ma tu credi che migliorerà, perché qualcuno più in alto di te ha posto la sua mano su di te..”

Il suo discorso mi ha fatto venire Genoa-Juve, come credevamo che il gol di Nedved avrebbe aperto le danze, e invece all’ultimo momento Juric è entrato in area e ha scavalcato il portiere con un siluro insidioso sotto la traversa. Sorrido.

“Vedi? Lo capisci anche tu cosa vuol dire avere fede, speranza. Io non credo che la fede ti abbia abbandonato del tutto, si è solo ritirata in un angolo, e aspetta che tu la riporti alla luce.”

In effetti quando si parla di guida spirituale non si specifica di quale religione, e io mio nipote ho tutta l’intenzione di portarlo sulla via della stessa perdizione che ha rapito la mia anima: il calcio e la musica.

“Vai a messa, figliolo?”

“Si, padre, tutte le domeniche”, gli rispondo, e non mento neanche, che per quelli come me la partita è un momento di comunione spirituale.

“E allora qual è il problema? Sii pure il padrino di tuo nipote, sei perfetto per quel ruolo!”

“lo credo anch’io padre, grazie mille!”

Me ne vado più sereno, e poi dicono che la risposta ai tuoi problemi non la troverai mai in chiesa!

le banner au cinèmaMentre su Ronco Scrivia calano le prime ombre della sera, e a New York il detective Nick Carter dà la caccia al suo arcinemico Stanislao Moulinsky, all’E.C.L.N. è tempo di cinema.
Ho accumulato così tanti film che l’hard disk scricchiola sotto il peso dei dati, e cosa c’è di meglio di casa libera e ferie in loco per rimettersi al passo?
Unduetrè via, tre film unodietrolaltro, e andiamo di recensione.

La scelta è caduta su Collateral, Constantine e Alta Fedeltà, tratto da un libro così bello che la recensione la comincio proprio da lui.
Non so se qualcuno ce l’ha ancora lì sul comodino aspettando di cominciarlo, o peggio, non l’ha ancora neanche comprato, ma nella remota eventualità questa riga che segue è per voi:

BRUTTE TESTE DI CAZZO!

Non dovrei neanche stare a raccontare la trama, che non ve la meritate, ma stasera sono particolarmente in forma, cercherò di riassumerla in breve.

C’è John Cusack che ha un negozio di musica, viene lasciato dalla fidanzata e va in crisi. Per tirarsene fuori va a cercare le ex fidanzate che gli hanno dato le cinque maggiori delusioni sentimentali nella vita.

La prima è Tom Cruise, che fa il sicario e ha i capelli bianchi così uno capisce subito che in questo film è un bastardo. Lo trova su un taxi guidato da un negro con gli occhiali maniaco della pulizia, ma non può parlargli perché in quel momento arriva Keanu Reeves su un altro taxi guidato dal figlio di Indiana Jones, e fanno un frontale da paura.
Tom Cruise si rialza e va ad ammazzare una, che però è l’ex-fidanzata numero quattro di Gioncusac, e se la ammazza lui non può più chiederle perché l’ha lasciato, così cerca di impedirglielo. Nel frattempo dall’altro taxi scende Keanu Reeves che ha appena scoperto di avere un cancro ai polmoni, ed è talmente incazzato che tira giù i santi a bestemmie e poi li rimanda su a calci, dicendo che lui è l’esorcista più figo che ci sia e che gli è permesso questo e altro.

L’ex numero quattro è Catherine Zeta Jones, che fa cagare in questo film esattamente come negli altri, e che se venisse finalmente ammazzata da Tom Cruise coi capelli bianchi sarei pure contento, ma lei no, invita Gioncusac a casa sua e fa la splendida dicendo che single è bello.
Tom Cruise in ogni caso arriva, dice “bello un cazzo!” e le spara in mezzo alla fronte, quindi mette su un vinile di Miles Davis che gli ha procurato il negoziante di dischi.

Per ultimo si presenta Keanu Reeves, che evoca il demone nascosto dentro Catherine Zeta Jones, e che a sorpresa ha le sembianze di Tim Robbins e non quelle di Maicoldaglas. Il negoziante di dischi la interroga sulla loro storia passata, e capisce che in realtà è innamorato della sua fidanzata, che però l’ha piantato, così alla fine si mette con Jack Black, che in questo film fa il commesso del negozio e fra tutti è il personaggio più azzeccato.

Che dire? Se fossi il protagonista del libro farei una lista di cinque difetti di questo film:

  1. E’ ambientato in America. E l’America, salvo alcune piccole eccezioni, non è Londra, e la differenza si vede, nelle facce delle persone, nei loro atteggiamenti, nello spirito che pervade tutto il romanzo, e che qui manca, e si sente che manca.
  2. Cita a memoria pezzi di romanzo, ma ne dimentica altri fondamentali. Cioè, le parti importanti ci sono tutte, i ragionamenti del protagonista anche, e questo basterebbe per farti tornare in mente il libro, e apprezzare il tutto come un buon tentativo, ma se ti metti nei panni di uno che il libro non l’ha letto non funziona più. Dopo esserti dato della brutta testa di cazzo, ti rendi conto che ci sono situazioni che vengono riportate fedelmente, ma che non conducono a niente. Del tipo: l’amica della fidanzata gli chiede perché ci si vuol rimettere insieme, e lui fa la faccia di quello colpito dalla domanda. Ti aspetteresti che il concetto venisse ripreso e sviluppato, e invece no, era una domanda che non porta a niente. Poi salta fuori Tom Cruise e uccide l’amica della fidanzata, era la vittima numero tre, ma la domanda meriterebbe comunque una risposta, sennò la storia non va avanti.
  3. Il protagonista non va bene per quella parte. Perché io il protagonista di Alta Fedeltà me lo immagino come il padrone di Disco Club a Genova, un quarantenne allampanato un po’ più bello di quello, ma non tanto. E invece Gioncusac c’ha la faccia da bravo ragazzo un po’ fesso, e Keanu Reeves non ci sta proprio a fare l’esorcista menefreghista tabagista canceroso, non ha neanche la voce rauca. Per fortuna che Tom Cruise a un certo punto arriva e spara anche a lui, era la vittima numero cinque.
  4. Ci sono pochi riferimenti musicali. E invece il libro ne è pieno, parla di un personaggio maniacale, ossessionato dalla musica come lo è dal calcio in un altro romanzo dello stesso autore, da cui è stato tratto un altro film molto meglio riuscito, ma sto divagando. Il protagonista del libro la musica la respira, ne parla sempre, ci pensa sempre, la ascolta, la fa, la respira; Gioncusac ci lavora, ha la casa piena di dischi, ma sono solo le copertine a vedersi, il contenuto non esce mai. E’ un film che parla di copertine di dischi, non di canzoni.
  5. Catherine Zeta Jones mi sta sui coglioni. Ma in un modo che uno non ci crede, tipo che se la incontrassi per strada ci direi “Senti Catrinzetagion, vuoi vedere che adesso chiamo mio cuggino che viene e ti gira una scarpa in culo che domani sei ancora lì che giri e ti domandi se sei Catrinzetagion o una giostra con le tette?”, e poi senza nè ai nè bai le mollerei una testata così, PEMM!