porto 2017

Parto sotto i peggiori auspici. La prima volta che sono stato in Portogallo sono andato in macchina, ma ho avuto problemi e mi si è piantata in autostrada. Chiama mio padre, fregagli la macchina mentre guarda se arriva il carro attrezzi, raggiungi la Malpensa in ritardissimo, posteggia di corsa nel posteggio sbagliato che ti costerà alla fine più del biglietto e via.
Il giorno prima della partenza mi si accende la spia dell’olio, ma non posso andare in treno, ho degli impegni inderogabili lunedì, devo tornare presto per andare a lezione, è il giorno in cui si decideranno i ruoli dell’Amleto, e se non vado si pigliano tutti i migliori e mi tocca fare Ofelia.

Nonostante la nube nera di morte che aleggia su di me per tutto il viaggio arrivo sano e salvo, posteggio nel posto giusto e mi imbarco con comodo.
L’aeroporto della Malpensa ha un casino di bagni, e intanto che aspetto li uso tutti. Sarà l’acquapanna dell’autogrill, che ne so.
Per ingannare l’attesa faccio un giro nei negozi del duty free e rischio di comprarmi tre maglioncini eleganti per sessanta euri. Eh ma tre sono troppi, quanto costa uno solo? Sessanta. Ah ecco. Sono un affare! Per voi di sicuro. Due quanto costano? Sessanta. Uno e mezzo? Sessanta anche le frazioni. Grazie arrivederla. Sto andando in un posto dove i prezzi me li ricordo molto bassi, magari il maglioncino me lo compro lì, eppure mi fermo più di quanto sarebbe accettabile a fissare un cappotto fighissimo per cui non sborso trecento sacchi solo perché non saprei come farlo stare in valigia. Eppure diventerò grande prima o poi e queste cazzate impulsive non le farò più, lo so.

All’imbarco c’è coda. Noto due tizie vestite da suore color tortora, forse sono missionarie, oppure sono suore da poco tempo e non hanno ancora cambiato il piumaggio. Però hanno un rosario che spunta dalla tonaca che dovrebbe essere classificato come arma, ha dei grani di legno grossi come chicchi d’uva, e un crocifisso che da solo peserà mezzo chilo. E se fossero due terroriste? Il fanatismo religioso c’è sicuro, a me questi favoritismi non piacciono, mi viene una gran voglia di mettere una bomba sull’aereo e dare la colpa a loro.

Alla fine non erano terroriste, atterriamo a Porto vivi e posso andare a prendere la metro. Perché rispetto a cinque anni fa c’è una metro che ti porta diretta in centro!
E ci mette ore!
E non arriva più!
E sedute con me ci sono due studentesse erasmus di Torino che non fanno altro che parlare delle loro avventure sentimentali in città, tipo che Marina aveva quest’amico che si chiamava Pippo ed è venuto a trovarla e la sua coinquilina ficona se lo voleva fare e gli si è presentata mezza nuda in camera, ma Pippo aveva paura e ha chiesto a Marina di dormire con lui per tutta la durata della sua permanenza, e alla fine in quella casa non ha scopato nessuno. Nomen omen.

..

La camera del Rivoli Cinema Hostel è piccola, ha due letti a castello e quattro armadietti incassati fra questi e il muro che per aprirli devi infilarti in uno spazio minuscolo. Ed è mista. La divido con un tizio costaricense che somiglia al protagonista di Atlanta, un musone che in tutta la permanenza avrà detto sì e no quattro parole. C’è anche una biondina ceca parecchio carina che vive a Barcellona. Con lei invece ci parla un casino, il marpione.

La mia branda è sopra, la presa della corrente sotto, non ci sono mensole dove appoggiare il tablet o il telefono, o un libro: a letto si dorme e basta.
Meglio, così mi alzo presto, penso.

Faccio subito un giro di ricognizione, ho appuntamento con Marzia alle otto davanti alla chiesa di Trindade, quindi mi resta un’ora per andare a vedere una parte nuova della città. Nuova per me, intendo.

Mi infilo in quella parte di città che non conosco, il quadrato sopra Clerigos e Aliados, e trovo un sacco di locali appetitosi dove cenare e dopocenare. Ho la fame di quello abituato a scofanarsi il frigo alle sei e mezza che si trova alle otto passate con lo stomaco ancora vuoto, se non inglobo subito qualcosa di solido aggredisco un passante.

Alle otto meno otto minuti capisco di essermi perso da qualche parte vicino al confine con la Spagna. Chiedo a una ragazza come arrivare a Trindade e quella mi chiede “in macchina?”. Indica un punto in cima a una salita che potrebbe essere lo Stelvio, dice che se ci arrivo vivo poi devo girare a destra.

Alle otto meno tre minuti sono a Trindade, e ho imparato che quando stai per morire di infarto la fame non la senti più. Mi scrive Marzia, dice che non sta bene e resterà in albergo. Le auguro di non sentire più la fame e scendo verso il Douro a cercare qualcosa da mangiare.

Mi infilo da Picota, un buco in Rua das Flores, dove si vantano di essere specialisti della francesinha. Non vedo cosa ci sia da specializzarsi nel prendere un toast e coprirlo con qualsiasi cosa hai in frigo. È la terza volta che vengo a Porto e non l’avevo mai assaggiata, la specialità cittadina.
Ecco, non lo rifarò.

Scendo al fiume, volevo aspettare domani, ma non ce la faccio.

E l’emozione, cristo, che mi prende.
Sto lì mezz’ora a guardare il fiume buio, le luci di Gaia, il ponte. Sono tornato solo per questo momento, potrei tornare a casa appagato.
Invece cammino indietro, faccio qualche foto e vado a dormire, con la francesinha nella pancia che mi ammonisce di fidarmi più dell’istinto e lasciare perdere i consigli del cazzo.

2.
Colazione al Forno dos Clerigos. Un pastel e una roba tipica di Porto che si rivela un pastel più grosso e pesante. Buono, eh? Ma se continuo a trangugiare marmo morirò prima di dover rinnovare la carta d’identità.

Dopo un po’ mi alzo e vado a fare due passi fino alla chiesetta di Sant’Ildefonso, sulla collina adiacente. È una piccola costruzione barocca in un quartiere che non avevo mai visitato. Mi incammino verso una direzione sconosciuta, ma vengo fermato da un messaggio di Marzia, è arrivata al forno. Torno indietro.

Due saluti due, ci diamo appuntamento ad Afurada a mezzogiorno e me ne vado a vedere la Sé.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.