Io quelle rare volte che apro il blog per scriverci qualcosa in genere mi succede dopo che ho letto Paolo Nori, che quando leggi Paolo Nori succedono due cose, di solito: una che ti viene voglia di scrivere senza curarti troppo delle regole grammaticali, l’altra che ti viene da parlare parmigiano.
Poi quella del parmigiano per fortuna mi passa subito, che io non lo so parlare il parmigiano, una volta avevo una ragazza parmigiana che si chiamava Lara e aveva degli occhi verdi e un po’ tristi che io degli occhi così verdi non li ho visti più, di così tristi invece ne ho visti spesso e quasi sempre addosso a ragazze che frequentavo, tanto che a un certo punto ho pensato di essere io la causa della loro tristezza.

Quella di scrivere senza curarti troppo delle regole grammaticali invece è una voglia che mi rimane addosso per un po’, solo che poi non so mai cosa scrivere e allora mi metto lì e aspetto che mi passi, oppure apro il blog e inizio a scrivere qualcosa a caso, senza curarmi troppo delle regole grammaticali, finché non mi passa e mi metto a fare altro. Allora questa roba che ho scritto, che in genere non andava da nessuna parte, era solo un flusso di pensieri, lo salvo nelle bozze e lo lascio lì.
Io quando apro il blog ci trovo un sacco di bozze scritte senza curarmi troppo delle regole grammaticali e che non vanno da nessuna parte.

Io non ce l’ho più avuta una ragazza con gli occhi verdi, ma neanche azzurri, a volte mi domando come sarebbe stare con una ragazza dagli occhi azzurri. Per esempio son sicuro che mia moglie si incazzerebbe parecchio.

Oggi al lavoro è arrivata una ragazza che lavora nello stabilimento esterno al nostro, capita ogni tanto e ha degli occhi azzurri che io degli occhi così azzurri li ho visti solo una volta ed erano così azzurri che me li sono tatuati dentro qualche sogno e ogni tanto mi capita di ritrovarli ed è quando mi sveglio che sto sorridendo e piangendo insieme. La ragazza di oggi si chiama Marta ed è bellissima, e per fortuna non arriva spesso perché quando arriva e si ferma a parlare coi colleghi alla macchinetta del caffè in un attimo si forma un capannello di uomini che cercano di fare gli indifferenti. Non c’è niente di più appariscente di un gruppo di uomini che cerca di passare inosservato. Perché gli uomini quando cercano di non farsi notare continuano a guardarsi intorno per vedere se ci sono riusciti, e se sono in un numero maggiore di uno si parlano a voce alta e si fanno i gesti di intesa come se l’oggetto del loro interesse non fosse a un metro da loro e non parlasse la loro stessa lingua o fosse completamente deficiente.
Oggi è successa la stessa cosa, si è formato subito un gruppetto di uomini provenienti dai vari reparti da cui è composta l’azienda, chi dagli uffici, chi dalla produzione, chi dalla manutenzione, chi da fuori ma è entrato lo stesso attratto da tanta bellezza, e si sono raggruppati tutti intorno a Marta ma a distanza sufficiente da non attirare l’attenzione, tipo 40 centimetri, e hanno cominciato a emettere il solito ronzio che emette l’uomo in presenza di Marta quando secerne testosterone.
Di solito dopo un po’ Marta se ne torna alla propria sede e gli uomini tornano alle loro occupazioni soddisfatti da quel piccolo miracolo, ma oggi è successa una cosa molto brutta, oggi Marta è venuta a salutare i suoi colleghi perché si è licenziata e non la vedremo più.
Il gruppo di uomini ha reagito in maniera varia, sebbene abbastanza composta. Qualcuno ha esclamato noo abbastanza rumorosamente, ma ha evitato di stracciarsi le vesti, forse per non danneggiare l’uniforme aziendale, altri hanno emesso un gemito e si sono allontanati premendosi una mano sul torace. Uno ha messo delle monete nella macchinetta del caffè e si è preso un decaffeinato, che nel linguaggio aziendale equivale a indossare il cilicio.
Io a Marta non ho mai parlato, lavoro in azienda da poco tempo e oggi era solo la terza volta che la vedevo, ma il mondo mi è sembrato un po’ più triste. Non tanto, perché è comunque venerdì.

Quando lo scrittore non ha niente da pubblicare e una scadenza che gli rosicchia i piedi di solito s’inventa le cose. Tanto è uno scrittore, può.
Il casino è che le sue libertà sono male accettate dai lettori, e capita che in seguito alla pubblicazione su feisbu di un video in cui sta ai giardini di plastica a bere la birra più amara del mondo, riceva una miriade di commenti velenosi che gli suggeriscono di chiudersi in casa a scrivere. Non c’è Neil Gaiman a perorare la sua causa dicendo “No, neanche Pablo Renzi è la vostra puttana, fatevene una ragione”, l’unica soluzione è raccontare le cose come stanno veramente, senza palle.
Quindi, cari lettori, la verità quella vera veramente è che non sto pubblicando niente per una ragione alquanto triste.

È successo che è morta Marta, e sono andato a Milano al rosario, perché eravamo amici di famiglia.
C’era tutta la Milano che conta, il conte Crodini, il presidente dell’Inter, la blogger che viaggia e mangia, e due mariachi con la tromba e la chitarra che vivacizzavano l’open bar, che di solito questi rosari son di una noia..

Ero lì che porgevo le più sentite condoglianze alla povera nipote, cercando di non guardarle dentro la scollatura, quando ho notato una figura familiare che si nascondeva dietro al feretro.
Era Ambrogio il maggiordomo. Ho cercato di non far vedere che l’avevo notato, ma sul volto mi si è dipinta una smorfia, perché dove c’è lui c’è sempre la sua padrona, la contessa Serbelloni Mazzate Sulle Palle, con la quale condivido della ruggine antica.
La bionda nipote di Marta ha capito che qualcosa non andava e mi ha suggerito di accompagnarla in terrazza a prendere una boccata d’aria, ma così facendo siamo passati proprio davanti all’ambrogiordomo, che preso da imbarazzo si è infilato nella bara. La cassa era solida, che i becchini milanesi non lesinano certo sul palissandro quando si tratta di sotterrare un personaggio famoso, ma lo stesso non si poteva dire dei cavalletti su cui appoggiava. Chi li ha scelti nel reparto pittura di Leroy Merlin non poteva certo immaginare che avrebbero dovuto sostenere il peso di un cadavere più un uomo sulla quarantina tendente alla pinguetudine, che la vita di un autista maggiordomo non è proprio quella dell’atleta, soprattutto da quando ha sostituito i cioccolatini con le mozzarelle ciliegine.

Lo scricchiolio è stato coperto dalla tromba dei mariachi, ma lo schianto ha fatto girare proprio tutti.
C’era Ambrogio per terra abbracciato alla fu Marta. Le aveva anche mezzo sfilato l’abito. Non voglio pensar male, sono sicuro che è stato un tentativo di aggrapparsi a qualcosa e non un bisogno così impellente di riprodursi da non guardare in faccia nessuno neanche i morti, anche perché ho sentito dire che ogni tanto la contessa gli paga lo straordinario in natura, e ha ancora una discreta carrozzeria, considerati gli anni. Fatto sta che quando ci siamo girati c’era Ambrogio con la faccia premuta contro le tette nude di Marta, che erano già rinsecchite quand’era viva.

La nipote ancora un po’ sviene, sono intervenuti in tre per portarle chi i sali, chi un gin tonic, chi un paio di grammi di peruviana. Io non avevo più niente da fare, mi sono diretto al bar, rimasto incustodito. E ci ho incontrato la contessa.

Il gelo. Non poteva fare finta di non vedermi, le ero di fronte, e visto il risultato ottenuto dal suo accompagnatore ha preferito affrontarmi senza troppe menate. “Ciao”, mi ha detto, come avrebbe potuto dirlo la protagonista della serata da dentro la bara.
“Ciao il cazzo”, ho risposto, che a me la falsa cortesia fa girare i coglioni, e se devo prenderti a calci preferisco saltare i preliminari e puntare dritto al tuo culone.
“Quand’è che sgomberi i tuoi stracci?”, ho aggiunto, perché capisse subito dove volevo arrivare.

È successo che io e la contessa ci stiamo litigando da anni un antico maniero in Scozia. Il giudice sostiene che il legittimo proprietario sia io, avendolo acquistato a un’asta di oggetti smarriti l’anno scorso; lei dice che è un cimelio di famiglia, che è ancora abitato dal fantasma di suo nonno e quindi diventa suo per una sorta di usucapione metafisica.
È vero, un fantasma in effetti c’è, ma non è quello di suo nonno. È Mike Bongiorno. Quando venne trafugata la sua salma lo nascosero nella cantina del castello, e all’avvenuto pagamento del riscatto (perché è stato pagato un riscatto, non credete ai giornali) i sequestratori buttarono i resti di una cena a base di cinghiale in un sacco di iuta e restituirono quelli.
Ora, a meno che la contessa non sia una nipote illegittima del re del telequiz, ha cercato di rifilarmi una delle sue solite minchiate.
Non è nuova a questo tipo di atteggiamento, è il tipo di persona che ti entra in casa quando non ci sei per prendersi una bottiglia di vino da offrire all’ospite, e siccome non ha le chiavi ti fa buttare giù la porta da un suo cugino che fa quei mestieri in cui ci si arrangia poverino è quello sfortunato della famiglia cerchiamo di aiutarlo un po’ tutti, e per non svegliare tutto il quartiere ti avvelena i cani da guardia.

“Non mi sembra il luogo adatto”, ha tentato di difendersi lei, ma visto che non accennavo a smettere di aggredirla ha adottato la tecnica di difesa del riccio, si è appallottolata sul pavimento e ha aspettato che passasse l’ondata di merda.
Non avete idea del fastidio che mi da litigare con qualcuno che neanche ci prova a difendersi. È un’ammissione implicita delle proprie colpe, e va bene, ma mi toglie tutto il divertimento della retorica. È come vincere una causa per telefono, ma che gusto c’è? Perry Mason sarebbe d’accordo con me.

Non potendo averla vinta sul piano verbale le ho versato addosso il secchiello del ghiaccio, tanto la bottiglia di Veuve Cliquot non c’era più, se l’era bevuta un famoso blogger che si chiama come il Presidente del Consiglio neanche mezz’ora prima, e me ne sono andato.

Mi ha fermato Ambrogio, scampato chissà come al linciaggio e desideroso di riscatto agli occhi della sua padrona. “Eh no! Questo è troppo!”, ha esclamato.
“E quindi?”, gli ho chiesto.
“Eh.. beh.. magari bisognerebbe.. ecco.. un po’ meno..”

Me ne sono andato, se c’è una cosa che mi fa cagare sono i pavidi. Ma soprattutto è arrivato il marito della povera nipote, che ha fatto chiudere l’open bar e la bara, dichiarato concluso il rosario e distribuito inviti non trasferibili per partecipare al funerale vichingo sullo yacht di famiglia presso l’isola di Terceira, nelle Azzorre.

Sto preparando la valigia, dovrei tornare entro la metà di agosto. Se trovo il tempo scrivo due righe da là, ma non so se c’è il wi-fi. Sennò ci rivediamo a settembre.
Buone vacanze!

Sandro non lo conosco, ma a guardarlo nella sua maglietta dei Sepultura non deve avere molti anni più di me. Chili invece si, tanti, che sotto la maglietta ha una panza che i Sepultura potrebbe benissimo esserseli mangiati.
Sta tenendo una lezione sui mostui sacui del uochenuoll, unico allievo un suo amico che ha avuto la sfiga di incontrarlo e soffre come una partoriente, e me, seduto sotto una palma ad aspettare una persona con cui finire questo bel sabato di sole, a cena, magari col mare davanti.
Sandro si mette ad elencare le date di nascita di tutte le uockstau più celebri, da Eddie Vedde a Kuut Cobain, mostrando con logica ferrea e spietata come i compleanni dimostrino più di quel che sembra, e tira fuori la storia del Club 27, aggiungendo per buon peso che dev’esseuci sicuamente una cospiuazione.
L’idea era di alzarmi e andarmene, che non mi va di fare incrociare melomani deprimenti e giovani sconosciute, ma decido di restare ad aspettare le scie chimiche, sono sicuro che arriveranno, quando si tira fuori la teoria del complotto sono sempre le prime insieme al signoraggio. E poi avrò un aneddoto ridicolo da raccontare alla mia ospite.

Lei si chiama Marta, l’ho incontrata un paio di settimane fa in libreria, mi sono detto che non posso essere sempre terrorizzato dalle donne, non c’è niente di male ad attaccare bottone per strada, e poi una libreria è un bel posto per conoscere una ragazza, così le sono andato incontro deciso e a un passo da lei mi sono voltato a prendere un libro che cercavo da anni e non vedevo l’ora di leggere ma guarda che fortuna, l’ho agguantato e mi sono fiondato alla cassa.

Solo fuori, davanti al ciaoamico che cerca di darti un cinque e venderti l’ultimo libro di suo cugino, mi sono preso a schiaffi in due direzioni, una per essermela conigliata con la ragazza, l’altra per aver buttato via dei soldi nella raccolta di barzellette di Totti, e quelli sono schiaffi fortissimi, che devo fare tanta penitenza, e se mi vede qualcuno altri schiaffi, per vendicare la dignità. Però non c’è nessuno, solo il ciaoamico che mi sta davanti con la mano aperta e non capisco se vuole ancora un cinque o cerca di mollarmi due pattoni anche lui, che ha bisogno di sfogarsi, tutto il giorno sul marciapiede a farsi ignorare da mezza Genova renderebbe violento anche Gandhi.

Gli metto in mano il libro di Totti e rientro, che chiedere il numero di telefono alla ragazza di prima è diventata la missione del giorno, solo che la ragazza di prima non è dove l’avevo lasciata. Provo a salire ai piani superiori, ma non la vedo. Supero i dvd, i fumetti, e un po’ mi piange il cuore, che trovarcela davanti l’avrei letto come un segno divino e l’avrei dichiarata la donna della mia vita e le avrei chiesto di darmi dei figli, non importa di chi.

Insomma, la ragazza che poi scoprirò essere Marta non c’è, né in veste di Marta né in quella di giovane carina coi riccioli neri e camicetta bianca e borsa di stoffa, come l’ho temporaneamente identificata.
Torno giù, mi è rimasto da visitare solo il reparto strumenti musicali e non ce la vedo a suonare la chitarra elettrica. Ho ancora un forte senso di colpa per aver fatto guadagnare qualche centesimo in diritti d’autore a Francesco Totti, e per mondarmi la coscienza vado a cercare un libro vero, possibilmente impegnativo, che mi permetta di fustigarmi ancora durante la sudata lettura.

Sono a picco su un tavolo, indeciso fra una biografia di Tamerlano e un giallo scandinavo, e il mio campo visivo è attraversato da una mano di donna che plana sulla distesa di libri davanti a me e si fa strada decisa verso il mio pisello, rintanato nei pantaloni, appoggiato placidamente su una pila di volumi di Stefano Benni. Sollevo un’espressione fra il violato e il lubrico, e mi trovo di fronte la ragazza di prima, chiaramente imbarazzata, che mi indica lo scrittore bolognese su cui ho fatto il nido.

Si scusa, mi scuso, le passo il libro. Seguono momenti di imbarazzo, che interrompo dicendole che è un libro bellissimo, perché Saltatempo lo è davvero, e mi risponde che ha letto una recensione del libro su un sito di recensioni di libri, e sono un po’ stupito di questo fatto, perché a Genova se parli con una ragazza in libreria questa di solito si limita al sorrisetto convenzionale e si trasferisce in Asia.
Questa non solo non va in Asia, ma mi indica il giallo scandinavo ignorando bellamente il condottiero mongolo e dice “Quello l’ho letto, non è male. Però preferisco Simenon.”
Mi sento autorizzato a offrirle il caffè, e ci spostiamo al bar del negozio dove si compiono le formalità di rito, presentazioni e scambi di contatti. E arriviamo a sabato, a Sandro e alla sua maglietta dei Sepultura.

Sta raccontando al suo amico che Jimi Henduix che non è mouto davveuo pe un’oveudose di tuanquillanti, c’è di mezzo la CIA, e sto per intervenire ricordandogli che Hendrix è morto a Londra, di fronte a dove abitavo io, ma in quel momento arriva Marta, e le vado incontro.

Anche Sandro.

Ma che cazzo.

“Mauta!”
“Sandro! Cosa ci fai qui?”
“Mi puendo un po’ di sole e paulo con questo mio amico che.. oh, se n’è andato.”

Insomma che sono amici da tanti anni, suonano insieme in un gruppo, e quel giorno in libreria avrei dovuto salire fino in cima e l’avrei trovata a provare un basso, ma sono stato affrettato e adesso mi tocca Sandro. Perché si invita a cena, ovviamente.

“Pensavo di andare in una trattoria qui dietro, il gestore è molto simpatico e ti tratta bene”
“E peuché non ci mangiamo un bel sushi?”
“Uh si! Che bella idea!”, risponde Marta.

Non so come funzioni nel resto del mondo, ma a Genova un ristorante di sushi è un posto gestito da cinesi dove mangi variazioni sul tema della cucina cinese, in porzioni minori e con prezzi da usura. Non so se si capisce con che faccia accolgo la scelta.
Però mi adeguo, via, Marta sembra interessante anche se ha amici discutibili.

Sandro ci conduce al piccolo trotto su per via San Lorenzo, che il ristorante che conosce è in centro, e in una decina di minuti ci troviamo davanti a un negozio di abbigliamento.

“Eccoci auuivati! Entuiamo!”
“Ma qui?”, chiedo.
“Ceuto! È un uistouante molto quotato!”
“Ma i vestiti?”
“Vendono anche vestiti, che c’è di stuano?”, sibila il fan dei Sepultura, poi scocca un’occhiata perplessa a Marta, che accusa imbarazzata.

Il cameriere che ci accoglie è italiano, così la barista e tutti gli altri personaggi che vedo passare mentre ci accomodiamo al tavolo. È il ristorante orientale meno orientale che abbia mai visto, in compenso ci sono vetrine piene di abiti firmati e bacheche piene di accessori costosissimi. Ho un terribile presentimento.

“È curioso, siamo gli unici clienti”, dico.
“Meglio, così pauliamo senza esseue distuubati! Peuesempio, tu che musica ascolti?”
“Ehm.. Tom Waits?”, rispondo, nella speranza che la sua maniacalità sia limitata al rock duro e puro.

“Ehi, che figo! L’hai visto dal vivo quand’è venuto a Milano?”
“No, costava troppo”
“Eeh peuò è stato un conceuto impeudibile! Valeva il puezzo!”
“L’hai visto?”
“No, ma c’è stata una mia amica. Io ho visto i Sepultuua puima che si sciogliesseuo”
“Ah si sono sciolti?”
“Dopo che è mouto il figlio della louo manageu in un incidente, ma paue che la stouia sia molto più complicata”

Ahia. Ci siamo. A quanto pare non basta evitare gli argomenti pericolosi, è lui che ti ci trascina dentro, ti inchioda in un angolo e ti sfinisce di cazzate. Dopo i Sepultura passa a raccontarmi di Amy Winehouse uccisa da una multinazionale, Jim Morrison che è ancora vivo e abita a Seattle e naturalmente l’immancabile pippone sul sosia di Paul McCartney.

“E John Lennon?”, chiedo, abortendo uno sbadiglio.
“Gli ha spauato Mauk Chapman”, risponde come se gli avessi chiesto la cosa più ovvia del mondo.
“Beh dai, non può essere una cosa così semplice. Lennon abitava al Dakota, dove Polanski aveva girato Rosemary’s Baby cinque anni prima, proprio mentre sua moglie veniva ammazzata nella loro villa di Los Angeles.”

Sandro mi guarda come se fossi cretino. “Non ci vedo puopuio nessun collegamento!”
“Ma come no? Sulla scena dell’omicidio trovarono la scritta Helter Skelter, come il titolo di una canzone dei Beatles!”
“Ma che c’entua!”
“C’entra eccome! Ma come fai a non vederlo! Sulle ringhiere del Dakota ci sono i draghi rettiliani! Cazzo, mancano solo i riferimenti alla massoneria!”

Marta e Sandro si guardano spaventati, mi dicono di calmarmi, si riguardano. Calmarmi, certo! Io mi dovrei calmare! È tutta la sera che sopporto gli sproloqui di questo squilibrato, che poi chi cazzo lo avrà invitato, e mi hanno portato a cena in gioielleria, e sono io quello che si deve calmare! E i rettiliani ci sono davvero! Li ho visti!

“Scusi, ci porta il conto?”, chiede Marta al cameriere. Non abbiamo ordinato ancora niente, ma non importa, perché solo per esserci seduti ci chiedono ventiquattro euri ciascuno.

Appena fuori i due amici si congedano, Marta non prova neanche a inventare una scusa, si lascia prendere sottobraccio da Sandro e spariscono giù per la via.

Poi dice come mai non attacco mai bottone con le ragazze che incontro per strada.