Riassunto delle puntate precedenti:
Un gruppo di bloggers incoscienti accetta di giocare a Mostrazzi, e subito si ritrova chiuso in una cella in compagnia di un orco, che fa scempio di una donna e poi si mette a leggere l’Ulisse di Joyce intanto che gli altri scappano per la porta.

Oltre la porta si arrampicava, insidiosa e fredda, una scala ripida. Il gruppetto vi si gettò a capofitto, con la paura a spingere i culi, ad infilarsi fra le gambe e a farle inciampare.
Salirono e salirono, e poi salirono ancora, su, su, sempre più su; oltrepassarono senza notarla una piccola porticina, probabilmente quella che conduceva alla stanza da cui era apparso loro l’Avvocato Kobayashi.
In cima a quella salita interminabile, un buon tre quattro metri più in alto, si trovarono la strada chiusa da un altro portone. Il gruppo si arrestò di colpo, gli uni franando addosso agli altri in un lamento soffocato.
Il portone non era chiuso, si poteva vedere una lama di luce scivolare dalla fessura, ma era troppo sottile perché qualcuno potesse sbirciare dentro.

“E ora che facciamo?”, vocionò una donna.
“Shhh!!”, la rimproverò l’uomo segaligno, “potrebbe esserci qualcuno qui dietro!”

Lo spilungone suggerì di spingere la porta ancora un po’ e infilare la testa dentro, ma non incontrò il favore dei compagni: la paura che ci fosse un altro mostrazzo in agguato era troppa per rischiare.

“E allora cosa facciamo?”

Qualcuno suggerì di tornare indietro, gli sembrava di avere oltrepassato una porta, salendo, ma indietro significava avvicinarsi di nuovo all’orco e al suo orrendo banchetto.
Per quanto studiassero, altre soluzioni non ce n’erano, l’unica via d’uscita era attraverso quella porta.

“E se votassimo per chi deve mettere fuori la testa?”, suggerì una donna.
“Scherzi?”, fece l’omone, “Hai visto quanto ci mette il master a scrivere un nuovo paragrafo? Se ci fermiamo ora rischiamo di non riprendere più fino a primavera! Apriamo di colpo e ci scaraventiamo fuori tutti insieme, al mio tre! UNO! DUE! TRE!!”

La porta si spalancò di botto, e l’omone irruppe urlando in una stanza illuminata da una torcia.
Si guardò intorno, ma non c’era nessuno, nè orchi nè tantomeno i suoi compagni.

“Brutti vigliacchi”, mugugnò.
“Venite fuori! Non c’è nessuno!”

Una alla volta tutte le facce riemersero dall’oscurità, borbottando imbarazzo.

Quella stanza doveva essere un’armeria, c’erano rastrelliere piene di spade addossate alle pareti, alcune lance, uno scudo, una mazza ferrata, un paio di elmi, archi, frecce, pugnli, una mostruosa ascia bipenne e una buccia di banana.
Accanto alla porta da cui erano usciti era appoggiato un grosso palo, probabilmente quello con cui veniva sbarrato l’accesso alla cella. Doveva averla aperta l’orco quand’era sceso, oppure l’Avvocato Kobayashi.
Un po’ più in là la scala riprendeva a salire, seguendo la curvatura dell’edificio.

Un’altra porta, opposta alla prima, si aprì all’improvviso.
Che stupidi, erano in un’armeria e si stavano facendo cogliere a mani nude!
Ognuno si gettò su qualcosa, chi sulla spada, chi sull’arco, ma appena riconobbero la persona che era appena entrata si fermarono, e pronunciarono delle vocali:

“Oooo!”, “Aaaaa!”, “Uuuuu!”, “Ipsilon!”

Era la donna piccoletta di prima, quella che tutti avevano lasciato a pezzi nella cella sottostante. Ma com’era possibile? Tutti le si fecero intorno per toccarla, accertarsi che non avesse punti di sutura o macchie di mercurocromo, che fosse proprio lei e non la sua gemella cattiva, ma non c’era niente che non andasse in lei. Un grosso porro sul naso, ma quello ce l’aveva anche prima.

La donna spiegò loro che dopo essere stata colpita si era ritrovata fuori, al buio, e aveva sentito la voce dell’Avvocato Kobayashi accanto a lei. Le aveva detto che il suo padrone aveva voluto resuscitarla, per dimostrare quanto grande fosse il potere di cui disponeva.

“E non bastava tirare fuori un coniglio da un cilindro?”, chiese lo spilungone.

Poi la voce si era zittita, e lei si era guardata intorno.
Disse che si trovavano all’interno della torre di guardia di un piccolo fortino. Fuori aveva visto un edificio, le mura coi camminamenti e il portone di accesso, non lontano da lì. E molti orchi di guardia. Era stata la loro vista che l’aveva spinta a rifugiarsi all’interno della torre.

“A proposito, io mi chiamo Marchesa Desade”

Normalmente, se uno si presentasse con un nome del genere la risposta sarebbe “Eccheccazzo di nome è?”, ma loro erano bloggers, non ragionavano in modo normale, e dissero in coro “Non è possibile!”

“No!”, disse uno, “Io la conosco la Marchesa, non ha quell’enorme porro sul naso! E neanche quelle gambette corte! Nè quel culone!”
“E soprattutto”, fece un’altra, “non è bionda!”
“Ma chi siete voi, come fate a conoscermi?”, domandò la Marchesa.
“Io sono il Subcomandante Marzia”, rispose la donna.
“Cooosaa?”, fecero tutti.
“Ma noi la conosciamo Il Subcomandante Marzia, non ha quelle enormi orecchie a sventola, nè quella gobba vistosa!”
“E tu chi sei?”
“Io sono il Dottor Hardla!”
“Coosaa??”, rifecero tutti.
“Ma il Dottor Hardla non ha quella pancetta antiestetica! Nè quei capelli stopposi, e neanche quella faccia da scemo!”
“Veramente la pancetta ce l’ha”, commentò il Subcomandante.
“E anche i capelli stopposi”, aggiunse Panchin.
“E se devo dirla tutta..”, stava aggiungendo Fry Simpson, ma il Dottor Hardla lo bloccò:
“Insomma basta! E’ evidente che su Mostrazzi il nostro aspetto non corrisponde a quello reale!”
“Almeno per la maggior parte di noi”, ghignò Fry.

Il gruppo si voltò verso gli ultimi rimasti in disparte.

“E tu chi sei?”, chiesero all’uomo.
“Io sono Unpino, Pino per gli amici”.
“Uhmmm..”, fecero Lara, Hardla e il Subcomandante, all’unisono.
“Questo qui non ce la sta contando giusta”, aggiunsero.
“E tu invece?”, chiese Fry Simpson alla donna.
“Io sono V. Non mi conoscete perché non ho un blog come voi”
“E per cosa starebbe la Vu?”, la incalzò l’uomo, sollevando un sopracciglio.
“Per.. Valentina. No! Nono! Per Veronica!”
“UHMMMMM!!!”, fecero tutti.

E adesso cosa fate?

bannerLa prima cosa che notarono, appena riaprirono gli occhi, fu che non si trovavano più nella loro stanza confortevole, davanti al computer, ma in una cella rotonda, buia e umida, dal soffitto molto alto.

Una porta dall’aspetto solido chiudeva l’unica via d’uscita, e di fronte ad essa , ad alcuni metri da terra, una piccola finestra dominava la stanza.

Solo in seguito si accorsero della presenza di persone insieme a loro. Si guardarono e si contarono, confusi.

“Dove siamo?”, chiedeva uno. “Ma che posto è questo?”, “Come siamo finiti qui?”

In una situazione normale si sarebbero forse presentati, ma quella non era affatto una situazione normale, occorreva uscire prima di tutto da quella prigione. Una delle donne del gruppo, quella che odorava di tabacco da pipa, si avvicinò alla porta, la spinse, e sentenziò:

“Di qui non si esce, è chiusa”.

Lo spilungone replicò con tono saccente:

“Perché non provi a tirarla?”.
“Forse perché non c’è la maniglia, genio!”, gli rispose in malo modo quella.

Neanche due minuti che si trovavano lì e già il loro rapporto andava incrinandosi. Forse non sarebbero sopravvissuti a Mostrazzi..

Una voce dall’alto li distolse dai loro pensieri.Kobayashi

“Benvenuti a Mostrazzi!

Un uomo li stava osservando dalla finestra. Indossava una giacca elegante, e il suo viso dai lineamenti vagamente orientali non lasciava trapelare alcuna emozione.

“Sono l’avvocato Kobayashi, sono stato incaricato di illustrarvi alcuni aspetti del gioco, per permettervi di muovere i primi passi.”
“L’Avvocato Kobayashi!”, disse il tizio biondo, “lavora per Keiser Soze!”
“Non più”, rispose l’avvocato, “alla lunga mi sono reso conto che non era abbastanza cattivo per i miei gusti, e sono passato alle dipendenze di un vero farabutto.”

La vociona di una donna interruppe quell’amena conversazione:

“Dicci chi sei e perché ci hai portato qui!”

“Chi sono ve l’ho già detto, sono l’Avvocato Kobayashi, e non sono stato io a portarvi qui, ma il mio padrone, quando avete accettato di giocare a Mostrazzi.”
“E’ un gioco questo?”, chiese un’altra donna piccoletta, “E dov’è il tabellone? E i dadi? E le casette?

“Ho detto un gioco, ma non Monopoli”, rispose l’avvocato scrutandola severo, “In questo gioco non ci sono fiaschi, né candele o paperelle. Le pedine sarete voi, e il mondo di Mostrazzi il vostro tabellone. Dovrete muovervi attraverso di esso, affrontando i mille pericoli che incontrerete, e potrete contare solamente su voi stessi. Di tanto in tanto vi verranno proposte delle situazioni, e voi dovrete decidere cosa fare. Ma dovrete scegliere bene, perché il vostro comportamento potrebbe fare la differenza fra la vita e la morte.

“Non ho capito”, disse l’altra donna, quella che era rimasta in un angolo senza parlare.

“Te lo spiego subito”, rispose l’avvocato, e con un gesto indicò la porta, che si spalancò di botto.

orcazzo!L’intero vano dell’uscita era ostruito da un orco gigantesco, dalla pelle verde, con due mani enormi che brandivano un’ascia. Entrò nella stanza urlando, e si mise a mulinare l’arma, chiaramente intenzionato a macellare qualcuno.

“Orca loca!”

Puttanazz..
“Aaahh!!!!”
“Minchia!
“Ma non potevi startene zitta, mannagg..”

 

Dalla sua finestra, l’avvocato Kobayashi lanciò un’ultima occhiata ai poveretti nella cella, e prima di scomparire nell’oscurità disse loro: “Decidete, se volete vivere”..