E’ inutile, ormai devo ammetterlo anche con me stesso, e non solo coi giornalisti che affollano il mio vialetto: il Pablog non ha più senso di esistere, tanto vale chiuderlo.

Perché il blog è un mezzo di comunicazione ormai superato, ci sono i tumblr, c’è feisbucc, c’è twitter, strumenti con cui puoi dire quel che ti pare in una riga, senza doverti sbattere a comporre frasi, mettere la punteggiatura, addirittura andare a capo!

E poi non c’è questo cazzo di impaginatore automatico di splinder che ti fa saltare una riga ogni volta che schiacci invio, poi no, poi si di nuovo, in base a come si svegliano la mattina i gestori del sito.

E basta, via, non c’è più speranza per i blog, oramai viviamo in un mondo frenetico in cui nessuno ha più voglia di andare a capo, si usano le k al posto delle ch, per essere amico di qualcuno ti basta sapere cosa sta facendo in quel momento in tre parole, e dei blog non frega più niente a nessuno.
E’ naturale che anche il Pablog subisca la crisi in corso, e accetti il suo declino come un inevitabile segno dei tempi.

Peccato, perché mi sarebbe piaciuto continuare a scrivere le mie cazzate e magari diventare uno scrittore famoso, magari essere interpellato un giorno sul treno da una fanciulla fascinosa che passa, mi vede, si ferma e mi fa:

– Ma tu sei Alessandro Baricco!
– Veramente no – faccio io, un po’ scazzato. Che non mi va di spacciarmi per un altro e rifulgere dell’altrui gloria. E poi proprio Baricco, dai, con tutti gli scrittori simpatici che ci sono!

Solo che lei insiste – Ma si che sei Baricco! Hai i riccioli! – come se gli scrittori si dividessero in due categorie, quelli pelati e Alessandro Baricco. In un mondo così gli scrittori dai capelli a caschetto non sarebbero considerati tali, e ci sarebbero frotte di malintenzionati parrucchieri appostati davanti a casa di Federico Moccia, armati di pettine e phon.

– E stai anche scrivendo su un quadernino!

Non mi va di spiegarle che sto andando allo stadio, e sul quadernino appunto magari la probabile formazione, o faccio il sudoku, e lei si siede. E cosa può fare un povero scrittore sconosciuto seduto su un treno con una bella ragazza che non chiede altro che di conoscerlo e poi magari giacere con lui, anche se probabilmente non lì, che i sedili sono tutti sporchi e chissà che malattie si possono prendere due che ci giacessero insieme sopra?

– Vabbè dai, sono Alessandro Baricco.
– Lo sapevo! – esulta lei, battendo le mani tutta eccitata – Vai a Genova per lavoro?

Evidentemente una sciarpa rossoblù, un berretto con un grosso grifone sopra e un maglione con scritto a caratteri cubitali Gradinata Nord non le fanno venire in mente altro che uno che sta andando a lavorare. Non sarebbe neanche sbagliato, se fosse la società calcistica a pagare me e non il contrario.

– Più o meno. Sai, vado a girare un po’, in cerca di ispirazione.. Qua e là..
– Per il tuo nuovo romanzo! Di cosa parla? E’ ambientato a Genova? Quando esce? Che personaggi assurdi ci sono? Un conte che ha perduto la memoria delle scarpe? Una donna incinta di un quadro? Un bambino che gioca col suo babau? E come si intitola? E sarà più fantastico di Oceanomare? Più sognante di Seta? Più arrabbiato di Castelli Di Rabbia? Più noioso di City?

Si, ma io mi aspettavo una bella ragazza compiacente e più che altro silenziosa, che si limitasse ai fondamentali: “Sei Alessandro Baricco! Scopami!”, non uno spruzzatore fonetico! Per farla smettere di parlare dovrei spararle, e ho soltanto una penna. Forse potrei piantargliela in un occhio..

E’ un fiume ininterrotto di sillabe quello che mi sta riversando addosso, cerco di infilare un piede, piano piano, per passare di là, ma la corrente è impetuosa e finirebbe per trascinarmi via.

– Il.. il titolo.. il..

Niente da fare, non si ferma mai, e dove vai a Genova, e conosci qualcuno, e io ho lavorato in una libreria, e hai mai letto questo, e hai mai visto quest’altro, e checcazzo! Le mollo un calcione su uno stinco, e prima che possa riprendere attacco a parlare io.

– Il titolo non ce l’ho ancora, di solito lo decido alla fine. E anche la trama, per adesso è più che altro un’idea. Per questo sto andando a Genova, per..
– Assorbire l’atmosfera! E’ così! E poi la trasformerai, la plasmerai in quel modo così unico che hai tu di raccontare le cose, fatto di sensazioni così solide da poterle toccare, e quei personaggi così incredibili, che non li troveresti mai in nessun altro libro, perché solo nei tuoi trovano una loro ragione di essere, con quelle atmosfere rarefatte che solo tu sai descrivere così bene, con quei colori tenui come un quadro ad acquerello..

Ma chi ho incontrato, una bella ragazza incredibilmente logorroica o la versione letteraria della Cancellieri? Riattacca a parlare e ancora una volta quello che dall’esterno potrebbe sembrare una conversazione amichevole si trasforma in un monologo ossessivo. Sta cominciando a rompermi il cazzo questa qui, bella o no, preferivo come stavo prima, con la sola compagnia del mio quaderno con l’elastico e la penna che scrive male.

– La conosci bene Genova?
– Si, certo – rispondo meccanicamente, prima ancora di rendermi conto che ha smesso di parlare.
– E perché la conosci bene, se sei di Torino? Ci hai abitato?
– Ci ho abitato? Ah si, certo, ci ho abitato. Da studente, sai..
– Ah, e dove abitavi?

Non è che voglia proprio inventarmi una balla gigantesca; certo, la propensione innata a raccontare fesserie mi spinge sempre a portare ogni dialogo sulla supercazzola, ma stavolta ci sono trascinato di peso. Un disegno sempre più preciso si delinea in me, per ogni parola che aggiungo. Non devo fare altro che raccogliere i pezzi che la mia mente mi offre, e legarli insieme.

– Stavo con una persona che abitava alla Foce.
– Ah si? – fa lei – Con una persona?
– Si, è stato il mio amore più grande, sai, una di quelle passioni travolgenti che ti avvolgono come una slavina su una pista da sci, e ti fanno sentire freddo, bagnato e senz’aria, ma che sono così belle che non puoi farne a meno.

Mi guarda con la bocca spalancata, già partita per vivere il nuovo romanzo di Baricco confezionato solo per lei. A quanto pare le storie d’amore tormentate esercitano sempre una forte attrazione sulle menti deboli. Come un novello Obi Wan Kenobi piloto i suoi pensieri verso una direzione che io ho stabilito..

– Sai, era una persona veramente speciale, così piena di passione, di stimoli, forse è a lei che devo il mio mestiere di scrittore. Forse ho cominciato a riportare i miei pensieri perché ne producevo così tanti da non riuscire più a contenerli.
– E come si chiamava questa persona? – mi chiede con voce sognante.
– Luigi.

Il ritorno alla realtà è così violento che le fa sbattere la schiena contro il sedile. Mi guarda come se l’avessi schiaffeggiata, il suo scrittore preferito, colui che cucina i cuori delle donne nella fricassea dell’amore ha avuto un’esperienza omosessuale!
Continuo a parlare, bene attento a non cambiare tono di voce, cerco di trasmetterle quella carica di sentimento che anela di ricevere, e pian piano la vedo che si lascia andare, si abbandona ancora una volta alla fantasia.

– La cosa incredibile era che la differenza di età fra di noi sembrava sparire. Era così intelligente, e dolce, e premuroso, e aveva delle mani talmente leggere, mioddìo..

La ragazza torna a dondolarsi nel cuore del racconto, una fantastica storia d’amore più forte di ogni pregiudizio; si abbandona un’altra volta, socchiude gli occhi, e capisco che è arrivato il momento della spallata finale:

– Non avrei mai creduto che un ragazzino di dodici anni possedesse tanto amore. Credo che la mia passione per i minorenni sia nata allora.

Si alza di scatto, prende la borsa e la giacca e fa – Devo scendere alla prossima, arrivederla! – e io posso tornare a scrivere le mie cazzate in santa pace.

In fondo mi spiacerebbe non diventare uno scrittore famoso, quasi quasi il blog lo tengo aperto ancora un po’.

Riassunto delle puntate precedenti:
Un gruppo di bloggers incoscienti accetta di giocare a Mostrazzi, e subito si ritrova chiuso in una cella in compagnia di un orco, che fa scempio di una donna e poi si mette a leggere l’Ulisse di Joyce intanto che gli altri scappano per la porta.

Oltre la porta si arrampicava, insidiosa e fredda, una scala ripida. Il gruppetto vi si gettò a capofitto, con la paura a spingere i culi, ad infilarsi fra le gambe e a farle inciampare.
Salirono e salirono, e poi salirono ancora, su, su, sempre più su; oltrepassarono senza notarla una piccola porticina, probabilmente quella che conduceva alla stanza da cui era apparso loro l’Avvocato Kobayashi.
In cima a quella salita interminabile, un buon tre quattro metri più in alto, si trovarono la strada chiusa da un altro portone. Il gruppo si arrestò di colpo, gli uni franando addosso agli altri in un lamento soffocato.
Il portone non era chiuso, si poteva vedere una lama di luce scivolare dalla fessura, ma era troppo sottile perché qualcuno potesse sbirciare dentro.

“E ora che facciamo?”, vocionò una donna.
“Shhh!!”, la rimproverò l’uomo segaligno, “potrebbe esserci qualcuno qui dietro!”

Lo spilungone suggerì di spingere la porta ancora un po’ e infilare la testa dentro, ma non incontrò il favore dei compagni: la paura che ci fosse un altro mostrazzo in agguato era troppa per rischiare.

“E allora cosa facciamo?”

Qualcuno suggerì di tornare indietro, gli sembrava di avere oltrepassato una porta, salendo, ma indietro significava avvicinarsi di nuovo all’orco e al suo orrendo banchetto.
Per quanto studiassero, altre soluzioni non ce n’erano, l’unica via d’uscita era attraverso quella porta.

“E se votassimo per chi deve mettere fuori la testa?”, suggerì una donna.
“Scherzi?”, fece l’omone, “Hai visto quanto ci mette il master a scrivere un nuovo paragrafo? Se ci fermiamo ora rischiamo di non riprendere più fino a primavera! Apriamo di colpo e ci scaraventiamo fuori tutti insieme, al mio tre! UNO! DUE! TRE!!”

La porta si spalancò di botto, e l’omone irruppe urlando in una stanza illuminata da una torcia.
Si guardò intorno, ma non c’era nessuno, nè orchi nè tantomeno i suoi compagni.

“Brutti vigliacchi”, mugugnò.
“Venite fuori! Non c’è nessuno!”

Una alla volta tutte le facce riemersero dall’oscurità, borbottando imbarazzo.

Quella stanza doveva essere un’armeria, c’erano rastrelliere piene di spade addossate alle pareti, alcune lance, uno scudo, una mazza ferrata, un paio di elmi, archi, frecce, pugnli, una mostruosa ascia bipenne e una buccia di banana.
Accanto alla porta da cui erano usciti era appoggiato un grosso palo, probabilmente quello con cui veniva sbarrato l’accesso alla cella. Doveva averla aperta l’orco quand’era sceso, oppure l’Avvocato Kobayashi.
Un po’ più in là la scala riprendeva a salire, seguendo la curvatura dell’edificio.

Un’altra porta, opposta alla prima, si aprì all’improvviso.
Che stupidi, erano in un’armeria e si stavano facendo cogliere a mani nude!
Ognuno si gettò su qualcosa, chi sulla spada, chi sull’arco, ma appena riconobbero la persona che era appena entrata si fermarono, e pronunciarono delle vocali:

“Oooo!”, “Aaaaa!”, “Uuuuu!”, “Ipsilon!”

Era la donna piccoletta di prima, quella che tutti avevano lasciato a pezzi nella cella sottostante. Ma com’era possibile? Tutti le si fecero intorno per toccarla, accertarsi che non avesse punti di sutura o macchie di mercurocromo, che fosse proprio lei e non la sua gemella cattiva, ma non c’era niente che non andasse in lei. Un grosso porro sul naso, ma quello ce l’aveva anche prima.

La donna spiegò loro che dopo essere stata colpita si era ritrovata fuori, al buio, e aveva sentito la voce dell’Avvocato Kobayashi accanto a lei. Le aveva detto che il suo padrone aveva voluto resuscitarla, per dimostrare quanto grande fosse il potere di cui disponeva.

“E non bastava tirare fuori un coniglio da un cilindro?”, chiese lo spilungone.

Poi la voce si era zittita, e lei si era guardata intorno.
Disse che si trovavano all’interno della torre di guardia di un piccolo fortino. Fuori aveva visto un edificio, le mura coi camminamenti e il portone di accesso, non lontano da lì. E molti orchi di guardia. Era stata la loro vista che l’aveva spinta a rifugiarsi all’interno della torre.

“A proposito, io mi chiamo Marchesa Desade”

Normalmente, se uno si presentasse con un nome del genere la risposta sarebbe “Eccheccazzo di nome è?”, ma loro erano bloggers, non ragionavano in modo normale, e dissero in coro “Non è possibile!”

“No!”, disse uno, “Io la conosco la Marchesa, non ha quell’enorme porro sul naso! E neanche quelle gambette corte! Nè quel culone!”
“E soprattutto”, fece un’altra, “non è bionda!”
“Ma chi siete voi, come fate a conoscermi?”, domandò la Marchesa.
“Io sono il Subcomandante Marzia”, rispose la donna.
“Cooosaa?”, fecero tutti.
“Ma noi la conosciamo Il Subcomandante Marzia, non ha quelle enormi orecchie a sventola, nè quella gobba vistosa!”
“E tu chi sei?”
“Io sono il Dottor Hardla!”
“Coosaa??”, rifecero tutti.
“Ma il Dottor Hardla non ha quella pancetta antiestetica! Nè quei capelli stopposi, e neanche quella faccia da scemo!”
“Veramente la pancetta ce l’ha”, commentò il Subcomandante.
“E anche i capelli stopposi”, aggiunse Panchin.
“E se devo dirla tutta..”, stava aggiungendo Fry Simpson, ma il Dottor Hardla lo bloccò:
“Insomma basta! E’ evidente che su Mostrazzi il nostro aspetto non corrisponde a quello reale!”
“Almeno per la maggior parte di noi”, ghignò Fry.

Il gruppo si voltò verso gli ultimi rimasti in disparte.

“E tu chi sei?”, chiesero all’uomo.
“Io sono Unpino, Pino per gli amici”.
“Uhmmm..”, fecero Lara, Hardla e il Subcomandante, all’unisono.
“Questo qui non ce la sta contando giusta”, aggiunsero.
“E tu invece?”, chiese Fry Simpson alla donna.
“Io sono V. Non mi conoscete perché non ho un blog come voi”
“E per cosa starebbe la Vu?”, la incalzò l’uomo, sollevando un sopracciglio.
“Per.. Valentina. No! Nono! Per Veronica!”
“UHMMMMM!!!”, fecero tutti.

E adesso cosa fate?

L’orco irruppe nella stanza mulinando la sua ascia, e tutti i presenti fecero un balzo indietro, ululando di terrore. L’unica che rimase al suo posto fu la donna piccoletta, che lo guardò perplessa, chiedendosi “E ora che faccio?”.

L’ascia si abbattè su di lei con uno schianto, aprendola in due dalla spalla al bacino.

“Aaahh!! Aaaahh!!”, fecero i sopravvissuti, poi ognuno cercò di salvarsi come poteva:
Uno strisciò lungo la parete cercando di aggirare il mostro, e una donna lo seguì da vicino, pure troppo da vicino, gli inciampò nei piedi ed entrambi cascarono a terra, a un palmo dalla zampa fetente della creatura.
L’orco tentò di liberare l’arma dal corpo della sua vittima, ma doveva essersi incastrata in un osso, e non c’era più verso di tirarla via. “Grrr!!”, faceva lui, osservando le sue prede rialzarsi e infilare la porta.
Un’altra donna si avvicinò all’orco, con l’intenzione di stordirlo con l’odore di pipa che emanavano i suoi abiti, ma l’unica cosa che ottenne fu di farlo ancora più incazzare: mollò l’ascia e afferrò la meschina per un braccio, emettendo un grugnito di soddisfazione.

Fu in quell’istante che l’uomo biondo tentò di trasformarsi in Hulk mordendosi un labbro, ma gli diventò viola solo quello, i suoi pantaloni restarono azzurrini, e soprattutto il suo fisico mantenne l’aspetto rosa e gracilino tipico della mezza sega che era.

Gli altri personaggi nella stanza si gettarono verso l’uscita correndo intorno all’orco, uno inciampò nel corpo della vittima e gli cadde fra le gambe. L’orco lasciò andare la donna che puzzava di pipa, ma prima che potesse staccare il collo al nuovo arrivato venne distratto dal tizio spilungone, che gli stava puntando un dito contro e faceva “Pum! Pum!” con la bocca.

A quel punto anche il biondo dal labbro gonfio si era reso conto che la via di fuga era un’altra, e corse fuori, attirando l’attenzione dell’orco, e permettendo così ai prigionieri rimasti di scivolargli alle spalle.

Povero orco, quel viavai di carne fresca che gli correva intorno lo obbligava a voltare la testa di qua e di là, e alla fine si trovò da solo, chiuso in una cella umida e con un gran torcicollo.
“Chessadafà peccampà!”, borbottò, e sedendosi sul pavimento strappò via un braccio a quel che rimaneva della sua vittima, poi tirò fuori da una tasca l’Ulisse di Joyce, e fra un morso e l’altro si immerse nella lettura.

Ochei, la prima prova è passata, non senza conseguenze. Ve l’avevo detto che con Mostrazzi non si scherza!
Per ora tirate il fiato, ma non troppo, che altri Mostrazzi sono dietro l’angolo..

bannerLa prima cosa che notarono, appena riaprirono gli occhi, fu che non si trovavano più nella loro stanza confortevole, davanti al computer, ma in una cella rotonda, buia e umida, dal soffitto molto alto.

Una porta dall’aspetto solido chiudeva l’unica via d’uscita, e di fronte ad essa , ad alcuni metri da terra, una piccola finestra dominava la stanza.

Solo in seguito si accorsero della presenza di persone insieme a loro. Si guardarono e si contarono, confusi.

“Dove siamo?”, chiedeva uno. “Ma che posto è questo?”, “Come siamo finiti qui?”

In una situazione normale si sarebbero forse presentati, ma quella non era affatto una situazione normale, occorreva uscire prima di tutto da quella prigione. Una delle donne del gruppo, quella che odorava di tabacco da pipa, si avvicinò alla porta, la spinse, e sentenziò:

“Di qui non si esce, è chiusa”.

Lo spilungone replicò con tono saccente:

“Perché non provi a tirarla?”.
“Forse perché non c’è la maniglia, genio!”, gli rispose in malo modo quella.

Neanche due minuti che si trovavano lì e già il loro rapporto andava incrinandosi. Forse non sarebbero sopravvissuti a Mostrazzi..

Una voce dall’alto li distolse dai loro pensieri.Kobayashi

“Benvenuti a Mostrazzi!

Un uomo li stava osservando dalla finestra. Indossava una giacca elegante, e il suo viso dai lineamenti vagamente orientali non lasciava trapelare alcuna emozione.

“Sono l’avvocato Kobayashi, sono stato incaricato di illustrarvi alcuni aspetti del gioco, per permettervi di muovere i primi passi.”
“L’Avvocato Kobayashi!”, disse il tizio biondo, “lavora per Keiser Soze!”
“Non più”, rispose l’avvocato, “alla lunga mi sono reso conto che non era abbastanza cattivo per i miei gusti, e sono passato alle dipendenze di un vero farabutto.”

La vociona di una donna interruppe quell’amena conversazione:

“Dicci chi sei e perché ci hai portato qui!”

“Chi sono ve l’ho già detto, sono l’Avvocato Kobayashi, e non sono stato io a portarvi qui, ma il mio padrone, quando avete accettato di giocare a Mostrazzi.”
“E’ un gioco questo?”, chiese un’altra donna piccoletta, “E dov’è il tabellone? E i dadi? E le casette?

“Ho detto un gioco, ma non Monopoli”, rispose l’avvocato scrutandola severo, “In questo gioco non ci sono fiaschi, né candele o paperelle. Le pedine sarete voi, e il mondo di Mostrazzi il vostro tabellone. Dovrete muovervi attraverso di esso, affrontando i mille pericoli che incontrerete, e potrete contare solamente su voi stessi. Di tanto in tanto vi verranno proposte delle situazioni, e voi dovrete decidere cosa fare. Ma dovrete scegliere bene, perché il vostro comportamento potrebbe fare la differenza fra la vita e la morte.

“Non ho capito”, disse l’altra donna, quella che era rimasta in un angolo senza parlare.

“Te lo spiego subito”, rispose l’avvocato, e con un gesto indicò la porta, che si spalancò di botto.

orcazzo!L’intero vano dell’uscita era ostruito da un orco gigantesco, dalla pelle verde, con due mani enormi che brandivano un’ascia. Entrò nella stanza urlando, e si mise a mulinare l’arma, chiaramente intenzionato a macellare qualcuno.

“Orca loca!”

Puttanazz..
“Aaahh!!!!”
“Minchia!
“Ma non potevi startene zitta, mannagg..”

 

Dalla sua finestra, l’avvocato Kobayashi lanciò un’ultima occhiata ai poveretti nella cella, e prima di scomparire nell’oscurità disse loro: “Decidete, se volete vivere”..

La prima cosa che perdi quando ti cancelli da facciabuco sono i giochi. Diciamocelo, da quel punto di vista il social network è imbattibile, ti fornisce una quantità di perditempo anche superiore a quelli che la tua attenzione potrebbe sostenere, anche se fossi un impiegato comunale non ce la faresti mai a star dietro a tutti. Poi c’è la possibilità di sfidare i tuoi amici, entrare in competizione e, quando annoveri fra i tuoi contatti gente come Dedee, Lara o Cinelli, perdere vergognosamente.
Si, quando cominci una partita ai giochi di facciabuco devi rassegnarti a non potere mai essere primo, ci sarà sempre qualcuno più bravo di te, o con più tempo da perdere, o più frustrazioni da sfogare in giochini merdosi che alimentano la loro illusione di grandezza facendo dimenticare per un po’ di essere dei vermi senza una propria esistenza, dei reietti della società, degli scarti di persone con rapporti umani più solidi e una vita fuori delle mura di casa mille volte più appagante!

Personalmente non ci ho mai dato troppo peso a questa faccenda del non riuscire mai a prevalere, ma c’è gente che ne fa una malattia..

E’ per queste persone, ma anche per i campioni spocchiosi di cui sopra, che ho inventato un gioco che non si trova su facciabuco.

mostrazziSi chiama Mostrazzi e per giocarci non occorre perderci delle giornate sopra, perfezionando la mobilità del proprio dito indice e spremendosi fino all’ultimo neurone per ricordare la capitale di un misterioso stato asiatico, è sufficiente possedere un forte istinto di sopravvivenza.

Si, perché a Mostrazzi si rischia la pelle. Sul serio!

Mostrazzi è un mondo dominato da un malvagio signore che ha il potere di vita e di morte su tutte le creature che vi risiedono. Il suo nome ispira terrore, la sua ferocia è inarrestabile, le storie delle sue malefatte hanno oltrepassato i confini del tempo e dello spazio, e vengono raccontate ai bambini per farli stare buoni. E’ un sadico senza scrupoli che uccide per divertimento, non ha morale, non ha rimorsi, la sua sete di potere è illimitata, il suo odio inarrestabile.

Per divertirsi una sera che non c’era niente per televisione Egli ha rapito alcuni bloggers e li ha portati nel suo mondo, sottoponendoli a prove sempre più difficili e pericolose. L’unico modo che i malcapitati hanno per salvarsi è quello di affidarsi al proprio istinto di sopravvivenza e decidere come venir fuori dalla situazione in cui il Malvagio li getterà.
Ma attenzione!!! Ogni decisione che prenderanno influenzerà la partita, perciò potrebbe capitare che uno dice una cosa in un commento, tipo “ma che gioco di merda” e in un attimo entra un orco con un’ascia così grossa e gli fa la faccia tipo la Ventura ma senza silicone, quindi attenti a ciò che dite, poveri malcapitati, badate a ponderare bene le vostre scelte, o rischiate che la vostra avventura su Mostrazzi sia più breve della conversazione fra Hulk e Borghezio:

“Mgrrr!”
“Teròne!”
SMASH!

Tutto ciò che dovete fare è dare la vostra adesione nei commenti, il resto lo apprenderete strada facendo.

Allora? Siete pronti ad affrontare Mostrazzi??

E’ venuto a trovarmi un angelo, mi ha detto che aspetto un bambino! Aspetti un bambino da Angelo? Lo ammazzo! Ma cos’hai capito? Un-Angelo! Sai quelli con le ali e l’aureola? Mi ha detto che darò alla luce un figlio che erediterà il trono di Davide e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe. E chi sono Davide e Giacobbe? Ti ammazzo! Ma cosa ne so! Me l’ha detto l’Angelo! Ha detto anche che lo Spirito Santo scenderà su di me, e stenderà su di me l’ombra dell’Altissimo. Quindi aspetti un figlio da uno che si chiama Davide ed è altissimo? E io cosa dovrei fare? Chi devo ammazzare? Ma nessuno, dai, avrà sbagliato persona. Lo sai che il figlio che aspetto è tuo. Però non regnerà sulla casa di Giacobbe! Beh, dipende, se Giacobbe glielo permette.. Ti ha detto come si chiamerà? Io pensavo Pablo. Basta che non lo chiami Davide..

Mi piace pensare che sia andata così..

Lo si legge ovunque, facebook è un sistema subdolo, che ti fa entrare in un attimo, e poi ti impedisce di uscire. Hai, certo, l’illusione di esserti cancellato, ma in realtà il tuo profilo è sempre lì, intatto, e basta ripensarci, inserire nuovamente la password, ed eccoti di nuovo dentro, tutti i tuoi amici presenti, come se non te ne fossi mai andato.
“Bello!”, dirà quello che non se ne vorrebbe mai andare e passa le giornate attaccato a word challenge.
“Bello!”, dirà quello che vorrebbe anche cancellarsi, ma sa che non troverà mai il coraggio sufficiente, e intanto che ci pensa sfonda tutti i record a geo challenge.
“Bello!”, dirà quello che non sa neanche di cosa sto parlando, perché troppo impegnato a perdere diottrie davanti a belincheteneghe challenge.

Ebbene signori, conosco uno che è riuscito a cancellare completamente ogni traccia di sè dagli archivi di quello che in molti definiscono “il diavolo di internet”, e siccome non mi sentivo abbastanza fico, l’ho intervistato.

Abbiamo qui il signor Pablo Renzi, ex utente di facebook. Buongiorno signor Renzi, vuole raccontarci la sua storia?
Certo! Vede, io ero lì che mi stavo spaccando a giocare a Pet Society, quando..

Un attimo, a giocare a cosa?
A Pet Society, un gioco in cui interpreti una specie di pupazzetto, che vive in una casa e ha degli amici.

E che ci fa in quella casa?
Niente, si affama e comincia a puzzare. Però può comprare delle cose, tipo vestiti, arredi, cibo..

Ma è un tamagochi!
Più o meno, però ci giochi coi tuoi amici.

E lei aveva creato questo pupazzetto?
Si, si chiamava Rantolino, viveva in una casetta in centro, col caminetto e la scritta “Rantolino Spacca” appesa sopra. Aveva un sacco di amici, e ogni tanto li andava a trovare.

E puzzava?
Da paura. Però era simpatico.

E poi cos’è successo?
Vede, per potersi comprare le cose bisognava guadagnare del denaro, virtuale ovviamente, solo che nel mondo dei pupazzetti non si può andare a lavorare.

Vendeva droga?
No, neanche quello si può fare. Si guadagnano soldi andando a trovare gli amici. Oppure ci si fa regalare roba e la si rivende.

Vendeva droga!
Macché, non quella roba! Vede, per facilitare la cosa ci si poteva iscrivere con un altro nome e crearsi un altro personaggio, poi si intratteneva un fitto scambio fra i due, e ciò permetteva di guadagnare più velocemente e comprarsi cose molto costose.

Non ho capito, ma mi sembra una stronzata.
Beh si, non ha molto senso.

In pratica cos’è successo?
Eh, che ho creato un nuovo utente di facebook, e gli ho assegnato, per comodità, lo stesso indirizzo che avevo associato al mio profilo reale. Siccome non è possibile condividere lo stesso indirizzo, quando ho confermato il cambio il sito ha sovrapposto il profilo del nuovo utente, ancora vuoto, al mio, di fatto eliminandolo.

Ha cancellato tutto?
Tutto. Contatti, record ai giochi, foto..

Anche il pupazzetto Rantolino, quindi.
Anche lui. Poverino, non aveva nessuna colpa, e si è volatilizzato nel nulla della rete, così, senza alcun preavviso.

Eh già, la vita è talmente fragile..
Ora ci sei, ora non ci sei più.

E’ triste?
All’inizio ci sono stato male, sa, ci ero affezionato a quel mostro, gli avevo appena comprato due tazze rosse e blu da mettere sopra il letto..

Perché sopra il letto?
Metti che di notte gli scappa e non riesce ad arrivare al bagno..

E ora le è passata?
Eh i primi cinque minuti sono stati frastornanti, ma poi è subentrato un sentimento nuovo.

Quale?
Onnipotenza. Ho il potere di vita e di morte su una creatura, seppure virtuale. Si rende conto che figata? Oggi gli dò da mangiare, domani lo schiaccio come un verme! Muah hah hah hah!!

Già.
Argh argh argh!!

Pensa di reiscriversi al network?

E sbattermi a ricrearmi tutti i contatti? No, guardi, se mi scrive facebook e mi dice “Ci siamo accorti che hai fatto un casino, abbiamo rimesso a posto ma la prossima volta stai attento” potrei anche riprendere, ma altrimenti credo che ne approfitterò, e mi dedicherò a passatempi più redditizi. Sa cos’ha facebook? Che ti permette un sacco di cose, ma alla fine non fai niente. Hai la possibilità di entrare in contatto col mondo, ma poi non gli dici niente, al mondo. E’ dispersivo. E perdi un sacco di tempo che potresti dedicare ad altro.Insomma, come impiegherà il tempo libero da facebook? Filantropia?
Siti porno.

Ha intenzione di riprendere in mano il blog?
Credo che abbandonare facebook avrà anche questa conseguenza. In effetti è principalmente questo la ragione per cui ho accettato di farmi intervistare, comunicare agli amici che me ne sono andato da lì e sono tornato qui.

Però qui ci deve anche scrivere, sennò uno come fa a capire che è tornato davvero qui e non si trova invece fra qui e là, in un luogo intermedio che chiameremo, per esempio, last fm?
Last fm è una figata, ma non ha i giochini.

Tanto ai giochini la battevano sempre tutti.
Bastardi, non ci tornerò mai più su quel sito di merda!!!

Non è che la ragione del suo rifiuto improvviso di facebook è in realtà questa?
No no, però sono tutti dei bastardi, soprattutto Lara e Cinelli.

Ebbene si, gente, cancellarsi da facebook è possibile, e non è neanche vero che si muore!
Almeno nei primi dieci minuti.

 

Il solito raffreddore mi sveglia che fuori è ancora buio. Ho freddo sotto le coperte, il naso mi cola e il mio continuo girarmi finirà per svegliare Marzia. Mi alzo, scrollo il gatto dal maglione sulla sedia e lo indosso mentre scendo in cucina.
Mi soffio il naso con un foglio di scottex, ma so già che non basterà; apro la stufa e comincio a far cadere la cenere con un ferro, poi metto a bollire l’acqua per il tè. Alle mie spalle il ticchettio delle zampe di Jack sul pavimento mi comunicano la sua urgenza di uscire. Non gli dò molto peso, sarebbe altrettanto impaziente se mi vedesse infilare le scarpe un’altra volta, appena rientrati dalla passeggiata.
Legna nella cassetta non ce n’è più, dovrò uscire in ogni caso se voglio scaldare un po’ casa. E’ incredibile come finisca sempre la mattina, indipendentemente da quanta ne porti in casa, da quanta se ne bruci, arrivi alla mattina che la cassetta è comunque vuota. Forse se la mangia Jack, per obbligarmi a uscire per prenderne dell’altra.
Mi volto e lo trovo
arrotolato nella sua cesta, che mi guarda con un occhio chiuso.
Il fatto che mi stia guardando denota che l’occhio chiuso è quello cieco, ma questa è una considerazione marginale.
Vabbè, inutile cincischiare, tanto se si fosse mangiato la legna non lo ammetterebbe mai, strappo un altro foglio di scottex per risoffiarmi il naso e mi infilo gli scarponcini.

Il cielo è terso, fuori, con delle sfumature rosa pastello dietro l’Alpe. La piccola chiesa si staglia sulla vetta come un ritaglio incollato a una fotografia.
In basso i tetti del paese sono ancora bianchi, bianco il campetto del parroco, e bianca la cupola del campanile proprio di fronte alla strada. Sembra la papalina del pontefice, di un bizzarro pontefice che vesta una tonaca rosa. Forse è un papa gay.
Cerco di immaginare il papa nell’intimità della sua stanza, che si guarda allo specchio avvolto in una vestaglia rosa, col collo impellicciato, e un vezzoso neo sulla guancia, ammicca e sculetta, poi si porta una mano davanti alla bocca e manda un bacio..
Non riesco proprio a immaginarlo vestito così, gli stivali neri e la fascia SS al braccio mi rovinano sempre il quadro.

Ovunque mi volti i colori tenui di una strada fresca di alba mi invitano a soffermare lo sguardo. Ci vorrebbe la macchina fotografica, è un peccato lasciare che una simile bellezza possa evaporare senza traccia, ma bisognerebbe essere un bravo fotografo, che non sono, e forse neanche basterebbe.
Che non è l’immagine del rosmarino che spunta dalla neve, o il fumo del mio camino, a pizzicarmi i sensi, è il ghiaccio che crepita sotto le scarpe, il pensiero della cucina calda quando rientrerò, Jack che mi guarda già impaziente davanti al cancello, e la voglia di camminare nel silenzio di un bosco innevato, e non c’è apparecchio che sappia fermare queste sensazioni.

Bisogna che qualcuno inventi una macchina fotografica per l’anima.