2.
Mi sveglio molto presto, il fuso orario o il fantasma del cuoco di Picota che mi ha tenuto compagnia per tutta la notte. Vorrei alzarmi, ma i miei compagni di stanza dormono ancora, magari aspetto, dev’essere presto. Passa il tempo e sento l’edificio svegliarsi piano piano, qualcuno va in bagno, qualcuno scende a fare colazione. I miei compagni di stanza no, sono sempre nella stessa posizione. Magari sono morti e io mi sto facendo gonfiare la vescica per una cortesia inutile verso due cadaveri. Spunto con la testa e vedo il mio vicino di letto con la bocca spalancata da cui sale un gorgoglio ritmico, come un geyser che sta lentamente tornando in attività. Immagino che anche la ragazza nell’altra branda sarà in ottima salute. Vabbè, senti, mi alzo. Cerco di fare più piano che posso, ma ogni movimento produce lo stesso frastuono di un ciclo produttivo all’Italsider. Dopo un po’ mi rendo conto che se evito di muovermi con attenzione ci metto la metà del tempo, e forse disturbo meno.

Scendo a fare colazione e non c’è nessuno, solo io e un tizio che legge il telefono. Mi servo un succo di qualche frutto inesistente in natura, dal sapore dev’essere stato estratto dall’albero del polistirolo, e una bella tazza di quella sbobba annacquata che qualcuno si ostina a definire caffè americano. Non è caffè, smettila. Il caffè ha un sapore e un odore e una consistenza ben precisi, questa sostanza non ha ancora trovato una sua collocazione neanche nella tavola degli elementi. Se venisse fuori che la raccolgono da un tubo in una discarica non ci sarebbe niente di strano.

la chiesa dove si adora il signor Morto e i pasticcini pesantoni

Faccio la seconda colazione al Forno dos Clerigos. È quella panetteria dove mi reco in pellegrinaggio ogni volta che torno in città, sotto la chiesa che porta lo stesso nome. Prendo un pastel de nata pesante come solo un dolce portoghese sa essere, e mi racconto per l’ennesima volta che ne mangerei a chili perché è così buono. Non è vero, buono è buono, ma se continuo a trangugiare marmo morirò prima di dover rinnovare la carta d’identità.
Prendo anche una roba tipica di Porto che si rivela un pastel più grosso e pesante. Credevo che le cose più grosse e pesanti del pastel de nata si trovassero solo nei cataloghi di artiglieria.

Mi scrive Marzia, dice che verrà a fare colazione lì, ma che è ancora in albergo. Da quanto ho capito alloggia in una specie di ex carcere fuori città, senza riscaldamento e con la colazione sparata in camera mediante irrigatore a canna. Non ho capito perché non abbia prenotato nel mio stesso ostello, lo conosceva anche lei e come me lo ha adorato da subito. Dice che se ne sono occupate le sue compagne di viaggio, che però non erano mai state a Porto. Boh, rinuncio a capire, certe volte nella testa di Marzia succedono cose misteriose.

Dopo un po’ che non la vedo arrivare mi alzo, o perlomeno ci provo, e vado a fare due passi fino alla chiesetta di Sant’Ildefonso, sulla collina adiacente. È una piccola costruzione barocca in un quartiere che non avevo mai visitato.
Non mi dice granché, ma ho tempo da perdere, magari proseguo verso una direzione sconosciuta. In quel momento ricevo un messaggio di Marzia, è arrivata al forno. Torno indietro.

La trovo al tavolino che sta macinando un panino al prosciutto. Accanto a lei è seduta Vivienne Westwood, o perlomeno spero tanto che lo sia: è tutta viola, i capelli, la montatura degli occhiali, una pelliccia e gli anfibi. Sembra un incrocio fra una bici, Iggy Pop e il Teletubbie Tinky Winky. Mi limito a due saluti due, i gestori ci stanno guardando male e credo di aver visto spuntare da sotto il banco qualcosa di metallico con un percussore e un grilletto. In Portogallo sanno essere molto rudi coi clienti.
Ci diamo appuntamento ad Afurada a mezzogiorno, andremo a pranzo tutti insieme alla Taberna Do São Pedro, un altro di quei posti per cui vale sempre la pena tornare da queste parti.
Le lascio alla loro colazione e me ne vado a vedere la Sé.

La guida della città descrive la Sé come una cattedrale-fortezza; ai tempi della scuola ero un bimbo gracilino e facevo un sacco di assenze, perciò ho saltato sia la lezione in cui spiegavano le cattedrali, sia quella in cui descrivevano le fortezze. Però ho giocato a un sacco di videogiochi a tema fantasy, quindi la Sé la immagino come un edificio altissimo, goticissimo, dalle pareti spesse come tutta casa mia, abitato da creature deformi che mi puntano addosso un’ascia bipenne ed emettono suoni biascicati attraverso le zanne, poi mi vendono una pozione che mi restituisce +10 al mana.

Niente di tutto ciò. Per essere grossa è grossa, e pure massiccia, ma somiglia più a una sobria fortezza medievale che a una cattedrale gotica, anche se i pilastri all’interno sono grossi e nerboruti come le braccia di mia sorella, seppure meno pelosi.

Pilone Tupparello

Le creature deformi ci sono, ne incontro due. Indossano palandrane e invece dell’ascia bipenne mi puntano addosso un volantino e mi chiedono se voglio fare una foto per beneficienza. Accetto volentieri, una foto insieme a una creatura deforme starebbe benissimo nel mio album di Facebook.
Di certo meglio delle vostre con la bocca a culo di cane e la fronte in avanti per nascondere il risultato della dieta. Del fatto che non ne state seguendo nessuna, intendo.

La giovane baffuta volontaria dell’Ente Turistico Ecclesiastico Della Madonna Del Cerchione o di qualche associazione analoga mi spiega a grugniti che sarà lei a fare la foto, io devo solo mettermi là davanti a quella parete di azulejos e fare la faccia da uno che non vedeva l’ora di farsi fotografare.

Cioè come se me la facessi da solo? Eh ma te la faccio io. E se me la faccio da solo? Noi te la stampiamo su carta fotografica e la mettiamo in questo libretto interessantissimo che mostra tutte le meraviglie della cattedrale, non so se hai afferrato il sottinteso, se non l’hai afferrato guarda l’occhiolino che ti sto strizzando da mò. Credevo fosse l’orifizio da cui respiri, con voi creature deformi che abitate le cattedrali-fortezza è sempre difficile capire. Allora, ti metti davanti alla parete o devo tirare fuori i tentacoli? Non c’è niente che possa fare, sono al massimo della potenza. Dovrò spegnere tutto. Ma dovrete faticare per prendermi. Non puoi vincere, ma ci sono delle alternative al battersi.

Mi metto in posa e faccio tutte le smorfie del mondo, da quella triste a quella scoglionata, ma la tizia è abile e riesce a prendermi proprio nel momento in cui rido. Mi lascia andare senza sacrificarmi al suo dio sanguinario e riprendo il giro.

Il chiostro della cattedrale è insignificante, le tombe di San Carralho e San Colombão Certenholi sono anonime, la stanza piena di roba barocca è carina, ma evitabile. L’unica cosa che attira la mia attenzione sono i gabbiani. Hanno tutti l’elmo e una piccola alabarda.

Torno all’uscita e mi ferma la creatura di prima, il cui approccio non è diventato più gentile neanche adesso che ci siamo conosciuti e abbiamo condiviso tanti momenti felici. Cara mia, se speri che adesso ti libererò dall’incantesimo che ti ha gettato addosso la strega cattiva devi proprio cambiare atteggiamento. Piuttosto bacio il parroco.
E anche la foto che cerca di rifilarmi, ma cos’è? Va bene, rido, ma sembro un ultraquarantenne sciupato e malvestito che cerca di sembrare meno depresso di quel che è, dai. E te la devo pure pagare? Ma vai, vai.

Mentre scendo verso il ponte Dom Luís mi specchio in una vetrina. Vedo un ultraquarantenne sciupato e malvestito che cerca di sembrare meno depresso di quel che è. Vado a cercare un’altra vetrina, questa è rotta.

(continua)

 

Non so se vi è mai capitato di voler scrivere un post per il ventennale del vostro disco preferito e di non riuscirci perché vi succedono un mucchio di cose impreviste. A me è successo oggi.

Me lo stavo preparando da più di un mese, il ventesimo compleanno di Achtung Baby, il mio disco preferito da quando ho rotto la cassetta di “Le più belle sigle dei cartoni in tivù” che conteneva Orzowei e Supergulp. Volevo celebrare degnamente quello che oltre ad essere il miglior disco del gruppo di Dublino è anche lo scotch con cui ho sigillato interi scatoloni di ricordi di gioventù, che il 1991 per me è stato un anno parecchio fico.
E insomma, me lo volevo proprio gustare questo ventesimo, volevo mettermi lì e scrivere il post perfetto, impiegarci una settimana, un mese se era il caso, non buttare giù una roba di getto e non farmi trovare impreparato.

Solo che poi mi sono dimenticato.

Stasera torno a casa dalla spesa e mi viene in mente mentre sono in autostrada, immerso nella nebbia fra il casello di Arquata Scrivia e quello di Budapest Zona Industriale (nella nebbia è sempre difficile orientarsi), che oggi è il 20 novembre, e il compleanno del mio disco preferito era l’altroieri. Vabbè, torno a casa e mi metto a scrivere qualcosa di decente, in fondo ho tutta la sera per non produrre la solita schifezza.

E invece non ce l’ho avuta tutta la sera, perché le cose non vanno mai come te le programmi, neanche quando non te le programmi apposta per non fartele rovinare dall’imprevisto, alla fine l’imprevisto si rende prevedibile e ti frega lo stesso.

Succede, per esempio, che da dieci giorni debba somministrare un antiemorroidale a Jack Oneyed, perché ha avuto la brillante idea di partecipare a un gioco erotico con la cagna dei vicini e si è fatto infilare una strapping ball nel sedere, irritandosi le ghiandole paranali. A parte che vorrei sapere dove si è procurato l’oggetto, che i miei sollazzi sono diversi, e comunque non di quel colore, ma poi almeno usa del lubrificante, checcazzo!
Così tutte le mattine e tutte le sere devo infilarmi un guanto in lattice e dirgli di voltarsi per potergli dare la pomata. Non fa resistenza, ma è una cosa lunga, una mezz’ora ce la perdiamo sempre. Senza contare i preliminari, i baci con la lingua e tutto il resto.

Terminata la sgradevole funzione mi preparo finalmente per andare a dormire, ma non è ancora finita, perché mi scrive un amico per andare allo stadio giovedì a vedere il Genoa in Coppa Italia. Gli rispondo di si anche se non vedo una partita da mesi, o forse proprio per quello, sebbene oggi mi abbiano detto che col Novara è stato più noioso che vedere due focomelici che si sfidano a braccio di ferro. Sbrigata anche quella pratica non mi resta che prendere il portatile e andarmene a letto, ma mi chiama Vivienne Westwood per mostrarmi le foto della sua ultima sfilata di moda. Lo fa spesso, va a fare questi servizi fotografici e poi me li mostra per chiedermi un parere, sa che mi fa piacere aiutarla. Solo che è già tardi e vorrei mettermi a scrivere il mio pezzo prima di dormire, e domani devo andare a lavorare, non mi va di stare sveglio fino all’una.

Provo a smarcarmi con gentilezza, ma quella insiste, mi mostra sedici foto della sua modella che non ride mai, mi chiede quale preferisco; gliene indico tre a caso, la due, la otto e la undici, senza sapere veramente che foto siano, giusto per farla contenta, tanto alla fine se le sceglierà lei come al solito; la saluto e me ne vado, ma mi arriva un altro messaggio dal mio amico dello stadio, vuole sapere se i biglietti li prendo io o deve occuparsene lui.

L’orologio indica che ho già superato di parecchio il momento in cui normalmente chiudo gli occhi e li riapro la mattina, va a finire che non riuscirò a dormire otto ore come previsto, e la cosa mi turba parecchio, mi ha detto il dottore che se non dormi almeno otto ore per notte ti vengono le rughe e finisci per somigliare a Keith Richards, ma senza saper suonare la chitarra, e ho paura che con le rughe il mio celebrato fascino da quindicenne imberbe subirà danni irreversibili, e ai prossimi MTV Awards chiameranno a presentare la serata Gasparri, che tanto adesso è senza lavoro e ha già dato la disponibilità.

Rispondo al mio amico che i biglietti non servono, per il mio anniversario di non matrimonio (non so come si dica quando due festeggiano il giorno in cui non si sono sposati perché il parroco che doveva celebrare la funzione è rimasto chiuso nel confessionale e hanno dovuto usare la motosega per tirarlo fuori, ma quando ci sono riusciti si sono accorti che nell’operazione gli avevano tagliato un braccio e adesso non poteva più infilarti l’ostia in bocca e quindi la cerimonia non era più valida, e intanto che chiamavano il prete di riserva hanno fatto uscire la safety car guidata dal chierichetto, ma a quel punto gli invitati gli è venuta fame e hanno disertato la funzione in massa per andare al ristorante, e la sposa non si è più voluta sposare, perché un matrimonio in chiesa cosa lo celebri a fare se non c’è nessuno che ti guarda?) un altro mio amico che era appena tornato dall’Afghanistan mi ha portato un prodotto tipico del posto e ce l’ho ancora lì sul caminetto, carico. Vedrai che ci fanno entrare senza chiederci neanche i documenti.

Riprovo ad andare a letto, ma lo so già cosa sta per succedere, e infatti succede: Vivienne Westwood mi mostra altre sessantacinque foto delle sue modelle e mi chiede se stanno meglio ritagliate dalla vita in giù o dalla testa in su. Le rispondo in malo modo, di tagliarle dai piedi in su e fare le foto al gatto ciccione, che è più fotogenico, e naturalmente si adonta. Mi dice che dovrei essere più gentile, che ho avuto tutto il giorno per scrivere, non è che mi devo ridurre proprio a quest’ora, e io le spiego che scrivere non è come lavare i piatti, che se lo fai ora o domani è lo stesso, che tanto i piatti sono sempre lì; scrivere è più come dover fare la cacca, devi aspettare che il momento sia propizio, sennò stai delle ore seduto a leggere e per quanto ti sforzi non tiri fuori niente.

Bella quest’immagine, molto efficace, devo rivendermela.

A quel punto me ne vado finalmente a letto, ma tutto quello che volevo scrivere su Achtung Baby mi è passato di mente, oramai l’ho perso. E si è fatta anche un’ora allucinante, sono sicuro che domani avrò le occhiaie e dovrò darmi la crema per il viso che puzza di colla di pesce e al lavoro tutti mi piglieranno per il culo e mi chiameranno Uomo Tinca. Detesto quando mi chiamano Uomo Tinca, la tinca è un pesce veramente insulso, ha quell’espressione ebete.. Preferirei che mi chiamassero Uomo Salmone, che richiama certi valori come la caparbietà, l’anticonformismo.. ma la tinca, dai. Anche il nome è insulso, fa venire in mente un contenitore di plastica dove mettere la biancheria sporca. “Cos’è quest’odore di morte? Hai di nuovo dimenticato di togliere i calzini sporchi dalla tinca?”. Per favore..

Vabbè, niente, neanche stavolta scriverò il mio pezzo su Achtung Baby e i miei futuri rapporti di lavoro sono compromessi e anche la mia vita sentimentale con Vivienne Westwood sembra arrivata al capolinea, ma cerchiamo di vedere gli aspetti positivi, eh? Per la prima volta sono riuscito a usare “adonta” in un post, che erano anni che volevo farlo e non si era mai presentata l’occasione.
Stanotte dormirò poco, ma almeno dormirò felice.