Non va sempre nello stesso modo.
Magari passi tutta l’estate a conversare con ragazze mai viste, le fai ridere, ci stai bene, eppure non ti scatta niente dentro: i sensi preposti al rimorchio si stanno guardando un tutorial su youtube intitolato “Come ricucire un’arteria avendo a disposizione solo un bosco e una motosega”, la pancia tuttalpiù brontola per la fame, e l’apice della serata finisce per essere quando ti fermi dal kebabbaro sotto casa.

Poi c’è quella volta su una panchina, ci sei arrivato per caso e stai ad ascoltare il racconto di una vacanza squinternata, e quando finisce ti rendi conto di volerne ancora. Non sai se è il racconto ad averti colpito o la voce, guardi le mani di questa donna, guardi come muove la bocca, i suoi gesti ti lasciano una specie di coda nella testa, come le fotografie con un’esposizione lunga.

Allora le chiedi di uscire.

Io quando devo chiedere a una ragazza di uscire ho sempre degli antagonisti di tutto rispetto con cui fare i conti.

Il primo sono io: “Ehi, ma non vorrai mica provarci con quella, non ne ha voglia, si è lasciata solo da due anni, e se poi non ci sta? O peggio, se ci sta? Dove la porti se ci sta, cosa le dici? Lo sai che ci devi anche parlare? No, davvero, lascia perdere, allontanati fischiettando e corri via appena svoltato l’angolo!”. E questo succede ogni volta, poi dici l’autostima.

Il secondo è lei, ovvio: “Tu mi piaci molto, ma mi sono appena lasciata due anni fa e ci soffro ancora, non so cosa voglio, sei troppo grande, sei troppo immaturo, sei troppo uomo e purtroppo non mi riferisco al contenuto delle tue mutande, sei impegnativo, non sei tu sono io, mi sono votata alla solitudine, ti vedo come un amico, ho bisogno di tempo, ho bisogno di spazio, ho bisogno di droghe, ho bisogno di un’equipe di psicanalisti”.

Il terzo elemento non compare sempre, ma sei volte su dieci resta una percentuale preoccupante, ed è il fidanzato. Non del tutto ex o tuttora in carica, una presenza con cui devo confrontarmi neanche ci fossi uscito io: la chiama tutti i giorni, si vedono spesso, è il suo vicino di pianerottolo, vivono insieme, mi conosce e gli sono pure simpatico, è la ragazza con cui mi vedo, in abiti da uomo e con una barba posticcia.

Io quando devo chiedere a una ragazza di uscire la lancetta dell’ansia mi scatta di colpo da sciallo sul divano a sbarco in Normandia.

A tutto questo va aggiunto vivere in fondo a una gola nebbiosa distante tre giorni di marcia lungo una mulattiera a strapiombo su un baratro, dove gli unici giorni in cui non piove sono quelli dove nevica: quando conosco una persona ogni sei mesi è tanto, e ho detto persona, non donna, e soprattutto non donna piacente, che una volta ne ho conosciuto una che somigliava a un pitbull, la voce ricordava qualcuno che non sa suonare un violino, e quando le parlavi capivi cosa provano gli astronauti nello spazio.
E anche quando mi dice bene che ne conosco una e mi piace e io piaccio a lei e passiamo una bella serata arriva sempre quel momento in cui mi chiede dove abito e io le dico Ronco Scrivia e le passa quell’ombra negli occhi che veste di nero e regge in mano una falce, e io le chiedo se va tutto bene e lei risponde sisi, ma forse ha mangiato qualcosa che le ha fatto male e magari adesso va a casa, ma ci vediamo presto eh, mi chiama lei tranquillo.

In ogni caso ogni tanto va bene, si sono superate le diffidenze iniziali, esclusa la presenza di terzi incomodi, zittita la mia voce interiore e convinto la mia bella interlocutrice a concedermi una serata. Ed è lì che comincia il dramma, quello vero.
Tutto quello che fino a un momento prima neanche esisteva diventa decisivo per ottenere la sua approvazione, dal colore del bottone sul polsino della camicia a un moderato e corretto uso degli avverbi nel racconto orale.
Ogni messaggio che le scrivi è riletto e controllato come una tesi di laurea, tutte le sue risposte vengono inoltrate subito al RIS di Parma.

Se le scrivi passi per ossessivo, se non lo fai sembra che non ti interessi. Se le mandi un mucchio di messaggi e li tronchi a metà per fare media sei un cretino.

Cos’è cambiato rispetto alle altre tizie con cui hai scambiato messaggi fino a ieri? Perché vedere lei ti fa tornare al primo giorno di scuola?

Ti presenti sotto casa sua e ti viene da controllare che il grembiulino sia in ordine.
La fonte delle tue prossime preoccupazioni ti sta aspettando davanti al portone. Lei il grembiulino non ce l’ha, e neanche il fiocco; indossa un giubbotto corto e una sciarpa leggera.
La trovi più bella di quanto dovresti, e ciò dovrebbe preoccuparti se fossi così attento da accorgertene, ma se fossi più attento non avresti niente di cui preoccuparti, perché non la troveresti più bella di quel che è.

Lei comunque non si preoccupa affatto, e neanche dà l’idea di trovarti particolarmente bello. Si limita a salutarti con un bacino formale.
La tua testa lavora veloce, analizza e programma azioni che se va tutto bene si realizzeranno fra un’ora. Ti ripeti il saggio consiglio di tuo nonno, noto beccione: “sii spontaneo, dille la prima cosa che ti viene in mente!”
“Sei la ragazza più bella del locale, e te lo dico solo perché ho bevuto due cuba”.
“Quale locale?”, obietta lei.
“Quello per La Spezia. Ferma in tutte le stazioni escluso Pontetto e Mulinetti.”
“Mi sembri nervoso.”
“Chi? Io? Macché!”. Per mostrarti disinvolto accendi una sigaretta e cerchi di darti un tono. Non sei un fumatore, non hai sigarette: porti due dita alla bocca e mimi col pollice la fiammella dell’accendino.
“Hahaha! Ma cosa fai? Sei un attore?”

Bene! L’hai fatta ridere! +1!

In pratica il primo appuntamento scivola via calcolando punti fascino in seguito alle vostre azioni.
Il computo non è attendibile, lo calcoli solo tu nella tua testa secondo un criterio del tutto personale: ogni volta che la fai ridere aggiungi un punto, quando non capisce la battuta ne levi uno, se rivela di essere una divoratrice di teleromanzi di Retequattro te ne vai.

“Anche a me piace Wallace & Gromit (+3)”
“Sì, li conosco i Griffin (+1), ma mi fanno cagare (-2)”
“Certo che mi piace Guerre Stellari (+2), per chi mi hai preso? (-1 per la spocchia) Ma mi piacevano di più i telefilm (EEEH?)”

Quando vi salutate ti resta addosso una sensazione strana, ci metti un po’ a riconoscerla perché non la provavi da così tanto tempo da averla dimenticata: è la voglia di rivederla.
Non arriva da sola, ed è l’aspetto negativo: come al solito si porta dietro quell’euforia immotivata e cretina che ti fa scrivere racconti senza senso, apprezzare orribili canzoni pop e organizzare eventi di richiamo internazionale nel tentativo di coinvolgerla.
O davvero credevate che dietro al Live8 ci fosse solo beneficenza?

Una sera vai a letto presto, ma rimani sveglio col telefono in mano fino alle due, perché ti ha scritto che le manchi.
Un’altra sera vai a letto presto e rimani sveglio a guardare il soffitto fino alle tre, perché dopo quel messaggio là non ne hai ricevuti altri.
Non la vedi più. Sarà l’ex fidanzato peperone che non si lascia digerire, sarà che da vicino non siamo tutti bellissimi e magari ha cambiato idea.

Passa un mese, due, poi ti scrive una sera dal niente, ti chiede domani cosa fai.
E invece di risponderle con cortesia ma fermezza che hai da fare tiri fuori il grembiulino e controlli che non mostri macchie di marmellata.

È l’alchimia, baby, la trasformazione di un materiale in un altro: quello che con una persona ti fa essere freddo come il caffè al bar della stazione e con un’altra ti lascia del tutto in balìa delle sue voglie distratte. Per forza ha affascinato streppe di scienziati, è una mutazione talmente rapida da risultare impercettibile, ed è in quella frazione di secondo che si gioca tutto, quando il metallo si trasforma improvvisamente in oro o in guano. Cerchi di ricordare con esattezza come sia successo per poterlo ripetere, o evitare. È la base di ogni ricerca scientifica, e della tua in particolare. Ti sembra incredibile che proprio quella persona si sia piazzata così prepotentemente fra la quinta e l’ottava vertebra, e non se ne voglia più andare.
Ci succede di tutto da quelle parti, gente che entra ed esce senza preavviso, coltellate che non ti aspettavi, accelerazioni improvvise e cadute repentine della temperatura. Poi dice il triangolo delle Bermude.

E la cosa paradossale è che tutti questi momenti, questi pezzi di vita orrenda e dolorosa, le ansie, la paura, la delusione, alla fine saranno tutto quello che ti resterà impresso, come se fosse l’unica cosa che conta davvero ricordare, a scapito di tanti episodi felici che hai vissuto altrove.
Forse sono le emozioni a renderci quello che siamo, fortunati di sapere ancora soffrire.
Se smettessimo di provarle ci spegneremmo un po’ alla volta, fino a trasformarci in piante.

I hurt myself today
To see if I still feel
I focus on the pain
The only thing that’s real

– Nine Inch Nails, Hurt –