Ho letto un bel pezzo sul blog del mio amico Seaweeds.
Almeno, credo che sia ancora un mio amico, di questi tempi mi capita sempre più spesso di non sentire una persona per un po’ e scoprire poi che ce l’ha con me per qualcosa e non mi parla più. Lui non lo vedo da qualche tempo, magari adesso è arrabbiato con me e se lo chiamo mi manda affanculo, ma sinceramente spero di no, è una di quelle persone che a frequentarle ti arricchiscono, e non solo perché ha tanti dvd che puoi permetterti di fregargliene uno ogni tanto e neanche se ne accorge.
Perlomeno se decide di considerarmi persona non gradita, almeno che rispetti la procedura comune e doni la sua vita a un’entità superiore, che sia Cristo o le droghe sintetiche. 

Quello che ha scritto Siuìz affronta più che altro l’indecenza dei giornalisti nello scarnificare un episodio per fargli grondare fino all’ultima goccia di sangue, a beneficio dell’attenzione morbosa di quei vampiri che il giornale lo leggono  per emozionarsi prima ancora che per conoscere, e va a completare un’idea che mi sono fatto osservando la reazione della gente alle notizie dei giornali, attraverso i commenti che lasciano sui siti, sui social network, o semplicemente al bar:
oggi non ti puoi permettere di affrontare una discussione in modo garbato, confrontare la tua opinione con quella di un’altra persona e tirar fuori un ragionamento che vada via dritto, come dovrebbe essere nella natura del dialogo; ultimamente ogni titolo del telegiornale si affronta tirando la moneta, testa ti indigni, croce te ne batti il cazzo.

Qualunque notizia vada a toccare l’emotività delle persone, le loro paure, il loro pudore, viene ingigantita, e subito si scatena il tifo da curva.
C’è una donna in coma per cui si chiede l’eutanasia? "Immorale!", gridano di qua, "Giusto!", incalzano di là, e a nessuno viene in mente che magari sono solo cazzi suoi e che sarebbe meglio lasciarla in pace. A Genova si costruirà una moschea? "Fuori dai coglioni!", abbaiano i sostenitori dell’Uomo Suino, "Razzisti di merda!", si indignano quelli che Borghezio e Castelli li vorrebbero vedere spellati.
E intanto la marea marrone e puzzolente dilaga dalle pagine di facebook, dove si vorrebbero mettere al rogo i gruppi promafia, quelli che si firmano Adolf Hitler, quelli che ascoltano Gino Paoli perché "sostiene i pedofili" o quell’altro "perché odia i gay"; vai sul sito del Secolo XIX e c’è uno che non vuole il gay pride in città perché è un pericolo sociale, l’altro che è contrario alla pubblicità degli atei sugli àutobi perché viola la libertà dei cristiani, e ci si scandalizza a destra e a sinistra, in un grande moto di indignazione collettiva.

Poi per scoprire che le nostre emissioni procapite di Co2 sono 5 volte quelle di un africano devi andare a cercare le finestrelle a fondo pagina, e quando l’hai letto, se l’hai letto, non sai cosa fartene della notizia, e comunque tendi a sbattertene il cazzo.
Poi leggi che la zingara di Ponticelli che rapiva i bambini non ha mai rapito nessuno, ma oramai non fa più notizia, e intanto chi ci ha marciato con l’Emergenza Rom ora è già impegnato a scaldare i culi con la paura degli stupratori, e degli zingari possiamo anche sbattercene il cazzo.
La legge per cacciare in galera tutti i clandestini è passata? Non è passata? Servirà a qualcosa o più probabilmente serviva solo a far cagare un po’ addosso le persone? Non lo so, mi sono indignato prima, ora vedo di sbattermene il cazzo.

Però Mentana si è dimesso dal TG5, scandalizzato anche lui dalle decisioni della rete di non interrompere il Grande Fratello per l’ennesimo speciale sulla morente morta, e tutti a congratularsi o a mandarlo affanculo.
Nessuno che parla più, che ragiona più, si fa l’applauso o ci si scandalizza. Perché qualcuno ha detto che Bonolis guadagnerà troppo al Festival, ma chi sa quanto prende di solito di stipendio un conduttore come lui? Boh, però se me lo raccontano vuol dire che sotto sotto una vergogna c’è, e allora lasciami strillare.

Per fortuna che oggi è domenica, c’è il campionato, e allora indignarsi e schierarsi di qua o di là diventa molto più semplice, poi di quello che succederà domani siamo sempre in tempo a sbattercene il cazzo.

renzportEra inevitabile, uno non può leggere a lungo due blog intelligenti come quello di Seaweeds o di Mudcrutch e non restarne influenzato, e difatti anch’io, che sono una scarpa, ho deciso di cimentarmi in un post divulgativo, un tentativo di raccontare qualcosa che non fossero le solite due cazzate su quel che mi hanno combinato i gatti, ma si impegnasse a trattare un argomento poco conosciuto, e far venire voglia a chi mi legge di approfondire per conto proprio. E’ un bel modo per smazzare cultura, senza passare per presuntuoso e annoiare quei pochi che ancora resistono a leggermi.

Ho deciso di occuparmi di un argomento leggero, ma nello stesso tempo ricco di spunti interessanti e poco noti, la musica, e in particolare della produzione di un autore che io stesso conosco poco, obbligandomi a documentarmi e a scoprire inevitabilmente qualche perla di cui ignoravo l’esistenza. Alla fine di questo post, sono certo, avrò qualche canzone in più nella lista delle preferite, e il mio blog sarà stato aggiunto alla medesima lista di qualcun altro.

Ho scelto Bob Dylan. Poeta, musicista impegnato, anima e pilastro della tradizione musicale dylanamericana, uno che quando lo nomini non serve spiegare cos’ha scritto, le sue canzoni le sanno anche i sassi. Uno che non piace a tutti, ma che tutti per forza conoscono.

Quello che magari non tutti sanno è che questa figura chiave nella storia del XX secolo, considerato un’icona del rock impegnato, senza padroni, al di fuori di ogni possibile etichetta, ha avuto dei seri problemi con la censura, e proprio lui, che ha sempre cercato di spiazzare i propri fans saltando da un genere all’altro, ha rischiato una volta di vedere la propria carriera conclusa per un episodio che fece un gran scalpore, e che si riuscì a insabbiare solo mettendo un guinzaglio a questo profeta della libertà.

Era il 1964, alle spalle i successi di The Freeweelin’ e The Times They Are a-Changin’, l’impegno politico, la collaborazione con Joan Baez, un periodo cupo e polemico dal quale sembrava essere uscito cambiato anche nel look: gli abiti sdruciti di un tempo erano stati sostituiti da articoli di boutique londinese, città in cui il Menestrello si faceva vedere sempre più spesso. Intervistato a una radio americana, il cantante si era divertito a dare risposte evasive, che avevano portato i suoi fans a chiedersi dove fosse finito il Dylan che conoscevano.

In maggio di quell’anno, durante un’apparizione allo Show di Johnny Carson, Dylan decise di scoprire le proprie carte, e rivelò al mondo la ragione del suo cambiamento.

Si era innamorato, disse, ma i suoi collaboratori della casa discografica gli impedivano di rendere pubblico il proprio sentimento, per paura della reazione del pubblico.

Il problema era che Bob Dylan si era innamorato, si, ma di un uomo. E non di un uomo qualunque, ma di qualcuno che tutti conoscevano, una celebrità sua pari, un musicista che rappresentava tutto ciò che era all’opposto di Dylan. Se lui era impegnato politicamente quell’altro sembrava infischiarsene di ciò che succedeva al di fuori della sua stanza d’hotel, se Dylan appariva come un bravo ragazzo semplice l’altro incarnava l’essenza stessa del vizio, coi suoi eccessi in fatto di droga e alcool.

la coppiaSi, Bob Dylan si era innamorato di Keith Richards, chitarrista dei Rolling Stones.

Apriti cielo! Gli studi dell’ABC TV furono tempestati di telefonate di spettatori indignati. Ma come! Il paladino dello spirito americano un pederasta? E lo veniva a dire in prima serata? Roba da non credere! Migliaia di fans minacciarono di bruciare i suoi dischi, boicottare le sue esibizioni, la sua carriera sarebbe terminata immediatamente.

I discografici erano disperati, lo implorarono di smentire quella dichiarazione, dire che era sotto l’effetto di stupefacenti, che era stressato per il troppo lavoro, che avevano capito male, ma Bob era irremovibile, voleva che il suo amore per Keith Richards fosse reso pubblico, oltretutto era convinto che nonostante la reazione di quest’ultimo fosse stata prima di sbigottimento e poi di deciso disgusto, sarebbe bastato corteggiarlo un po’ perché anche lui capisse che al cuore non si comanda, e cadesse fra le sue grinfie amorevoli.

Era deciso ad andare fino in fondo, e dichiarò che aveva intenzione di incidere un 45 giri, in cui diceva chiaro, senza tanti giri di parole, che gli piaceva quel musicista, e che senza di lui si sentiva perso.

Si sarebbe intitolato I Like A Rolling Stone, e sarebbe stato esplicito fin dalla copertina, che avrebbe mostrato una foto di Keith Richards.

45 giri“Come ti senti, ti senti per conto tuo, privo di direzioni, ti senti uno sconosciuto, quando ti piace uno dei Rolling Stones”

Era roba troppo forte anche per l’uomo che aveva rappresentato il movimento per i diritti civili americano.

La canzone non ottenne il permesso di pubblicazione, e a Dylan fu imposto di modificarne il testo e il titolo prima di poterla incidere. Lo fece, e gli andò bene, perché ancora oggi Like A Rolling Stone è considerata una delle più belle canzoni mai scritte, ma quella faccenda non gli andò affatto giù. Nessuno poteva permettersi di dire a Bob Dylan cosa fare.

Nel marzo del 1965 fece uscire il suo nuovo album, Bringin It All Back Home, dove abbandonò la chitarra acustica in favore di un suono più arrabbiato, fatto di strumenti elettrici. Nel video di Subterranean Homesick Blues, primo singolo, Dylan rifiuta di suonare e addirittura di muovere la bocca, affidando l’interpretazione del brano a dei cartelli, che lascia cadere al suolo uno dopo l’altro. Anche il testo lascia pochi spazi ai dubbi, “Attento ragazzo, è qualcosa che hai fatto, Dio sa quando, ma lo farai ancora“.

Bob Dylan è incazzato, e non ci sta a farsi imbavagliare.

Si sa com’è il pubblico, te lo devi conquistare, e quando ci sei riuscito gli devi rispetto come a un vecchio padrino. Non puoi permetterti di uscire dai binari che tu stesso hai tracciato, le conseguenze sono terribili.

Il 25 luglio 1965, al Festival di Newport, dopo avere ricevuto una reazione tiepida per le prime canzoni suonate, la band di Dylan intona Like A Rolling Stone. E’ la goccia che fa traboccare il vaso: la folla, sentendosi irrisa da quella canzone divenuta il simbolo di tutti gli errori dell’artista, lo fischia pesantemente, tanto da spingerlo, una volta terminato il brano, ad abbandonare la scena. Vi ritornerà, implorato dagli organizzatori e da altri artisti presenti, per suonare un altro paio di canzoni accompagnato solo dalla propria chitarra, ma il Newport Festival farà a meno della sua presenza per tutte le edizioni a venire, fino al 2002.