L’inverno, lo sappiamo tutti, sta arrivando da sei stagioni, e pare che questa sia la volta buona e dobbiamo prepararci ad affrontarlo come si deve, perciò ho caricato la stufa, messo su una tisana e mi sono procurato un bel po’ di cose per affrontare le lunghe serate di qui al disgelo.

Ho visto un bel po’ di cose, non tutte recenti e non tutte interessanti, ma qualcosa di buono nel mucchio si trova.

Per esempio The Night Of. Otto episodi ispirati a una cosa britannica chiamata Criminal Justice. L’originale è scritto da Peter Moffat, che uno subito pensa “Beh, ma allora siamo sicuri che è bello, l’ha scritto lo sceneggiatore di Sherlock, di Dr.Who, di..”
No. Quello è Steven. Questo è Peter. Però la serie è davvero interessante.
Parla di un ragazzo pakistano giudizioso e bravo a scuola, il classico studente modello che qualsiasi madre si fiderebbe a lasciare a casa da solo con la figlia a ripassare algebra, se solo non fosse un pakistano e quindi potenziale delinquente drogato stupratore di figlie adescate con la scusa dell’algebra, che poi a cosa serve quest’algebra, nelle offerte di lavoro non la richiedono mai, tuttalpiù la patente, fuori da casa mia semi-arabo di merda. Nasir “Naz” Khan, così si chiama il protagonista, ha una gran voglia di conoscere ragazze, frega il taxi di suo padre per andare a una festa e finisce a passare la notte più pazzesca della sua vita, seguita da un risveglio che a confronto la notte più pazzesca della sua vita era un documentario sulla vita del macaone.  È un po’ statico, ma stiamo parlando di una storia ambientata per metà del tempo in un’aula di tribunale, non è che puoi aspettarti i mortaretti. Però l’altra metà si svolge in un carcere, e il lento degrado di un detenuto in attesa di giudizio è un argomento su cui andrebbero spese un bel po’ di riflessioni. I momenti di tensione, comunque, non mancano: il finale del primo episodio ti tiene inchiodato su una scena dove in fondo non sta succedendo granché. E poi c’è John Turturro che interpreta un avvocato con un problema ai piedi, e la sua interpretazione da sola varrebbe la visione.

Riz Ahmed, poi, è Nightcrawler negli ultimi film sugli X Men. E allora teletrasportati fuori, no?

Riz Ahmed, poi, è Nightcrawler negli ultimi film sugli X Men. E allora teletrasportati fuori, no?

Per una serie che merita decisamente la visione ce n’è una di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno, ed è un peccato, perché le sue serie cugine sono ottimi prodotti. Sto parlando di Luke Cage, ultima uscita di mamma Marvel, incentrata sul negrone invulnerabile già visto in Jessica Jones. Se non avete visto Jessica Jones non fa niente, i riferimenti a quella serie si contano su un dito, questa cammina da sola. Epperò zoppica. E ad un certo punto si ferma a guardare le vetrine e sembra non voler più ripartire. Poi riparte, ma pesta una merda di cane e si ferma di nuovo. Poi trova un semaforo rosso. Poi si è dimenticata di chiudere a chiave e torna indietro.
Oh, non c’è verso che si muova! Anche quando il gigante invincibile fa a botte con qualcuno riesce ad annoiarti. Sarà perché è privo di reali motivazioni. Sarà che i cattivi sono cattivi perché qualcuno ha detto loro di esserlo. Sarà che ci sono dei buchi di sceneggiatura che ci fa capolinea l’1. Sarà che metà dei personaggi non si capisce cosa ci stiano a fare. E poi parla sempre con questo tono di “aspetta un attimo che sono seduto sul gabinetto”. Ma soprattutto se sei un negrone invulnerabile e qualcuno ti fa un torto non ci puoi mettere tredici episodi per andare lì e menarlo. Ad Harlem, fra l’altro, dove intanto c’è gente che si spara ovunque per qualunque ragione.
Harlem è l’unica cosa da salvare della serie: la sua atmosfera, i personaggi, la musica, sono riprodotti alla grande. Dopo aver visto Luke Cage sono diventato un drogato di musica nera, dal soul al gangsta rap.

quello a destra è la serie tv, quello a sinistra sono io, come si può intuire dall’espressione

A proposito di rap, ho iniziato a vedere Atlanta, di cui ho letto un bell’articolo sul Post. E dopo due episodi devo dire che promette bene, nonostante le commedie mi attirino poco. I protagonisti sono surreali, finora la musica è solo suggerita, sebbene sia l’argomento principale: è la storia di un rapper in ascesa e di suo cugino che vuole fargli da manager. È ironico senza ammazzarti, tipo Woody Allen per neri.
Il personaggio di Darius è il migliore di tutti, mi sa che seguirei la serie anche solo per lui.

Hanno sempre quello sguardo lì, un po' assente. Fanno tenerezza

Hanno sempre quello sguardo lì, un po’ assente. Fanno tenerezza

Poi ho visto Stranger Things, che mi ha preso, mi ha sbattuto sul divano e non mi ha più fatto alzare finché non è finito, e sia lodata Netflix e il binge-watching.
D’altronde cosa potevo aspettarmi da una serie ambientata negli anni in cui avevo l’età dei protagonisti e abitavo in un posto simile, dove tutto era come viene descritto compreso il mostro che fa versi orrendi, e che noi chiamavamo Riccardo Del Curlo?
Adesso che è passato un po’ di tempo e l’eccitazione da macchina del tempo è calata non mi sento più così entusiasta, credo che altre serie mi abbiano lasciato molto di più. È normale, Stranger Things è un bel prodotto, ma siamo sempre nel campo dell’intrattenimento senza pretese.

Se vi sembra di rivedere i Goonies è perché li state proprio rivedendo, ripuliti e aggiornati. Non che sia un difetto, comunque.

Se vi sembra di rivedere i Goonies è perché li state proprio rivedendo, ripuliti e aggiornati. Non che sia un difetto, comunque.

Dovrei raccontarvi di Better Call Saul, Narcos e Preacher, ma il tempo è tiranno e ho una vita anche fuori da questa pagina, quindi dico un’ultima cosa sul remake di MacGyver e me ne vado.
Ho visto il primo episodio. Ho resistito venti minuti. È una roba da ragazzini, con un insopportabile ragazzino perfettino vanaglorioso saccente di merda per protagonista. E se permettete di insopportabili perfettini vanagloriosi saccenti di merda ci sono già io.

Esco dal cinema, porto a casa i miei amici e mentre sto facendo retromarcia per rimettermi in strada arriva un Golf nero tutto assettato, che sta per superare la Velocità Smodata, ma prima di finire in Zona Plaid mi si infila nel bagagliaio.
L’urto è tremendo, la macchina gira su sè stessa come priva di peso, cerco di sganciarmi per non essere trascinato via, ma è impossibile, chi ha costruito quelle cinture di sicurezza sapeva il fatto suo.

Dopo un po’ il veicolo si stabilizza in mezzo alla strada, ancora sulle sue ruote. Dallo specchietto riesco a vedere il mondo con le sue luci accese, senza l’ingombro del lunotto posteriore e dei piantoni e della carrozzeria che una volta componeva il retro della mia auto, perché dove una volta c’era il bagagliaio di una Toyota Yaris adesso c’è lo spazio.
Sul sedile accanto al mio George Clooney, vestito da astronauta, sorseggia con la cannuccia una bottiglia di vodka saltata fuori da sotto un sedile, e mi sorride placido: “È bello qui, vero? Sei al sicuro qui dentro, nessuno può farti del male, puoi spegnere la luce e dimenticarti di tutto.. Ma non è il momento di lasciarsi andare, devi scendere e scassargli la faccia a quello stronzo, hai visto come veniva giù? E parlava al cellulare, pure!”.
Scrollo la testa e la visione se ne va, anche se poteva almeno lasciarmi la vodka, che credo di averne bisogno, ma prima è meglio scendere e valutare l’entità dei danni per poter fare rapporto al mio carrozziere.

L’asfalto intorno al relitto della Yaris è disseminato di frammenti, che riflettono la luce dei lampioni ognuno a suo modo: i miei occhi si spostano da un pezzo di paraurti elastico e poroso a una scheggia di luce di posizione, trasparente e appuntita, fino a un rettangolo di alluminio che chissà per cos’era stato disegnato dagli ingegneri che lavorano laggiù, poi il vetro del lunotto posteriore, un altro pezzo di paraurti di cui si indovina la forma, poi un paio di nike rosse, dei jeans di marca ignota stretti sulle caviglie, un giubbotto Paul & Shark nero e la faccia di un tizio con la bocca spalancata e le sopracciglia all’insù che mi sta urlando qualcosa, ma è come se fossi nello spazio, le mie orecchie non percepiscono alcun suono.
Concentrati, Pablo! Concentrati!

“…osacazzofaih! Manommaivistoh! Coglioneh! Lamiamacchinah!!”

Mi volto e c’è George Clooney che mi guarda dal sedile del passeggero del mio catorcio, sereno e pacioccone come se stesse guardando uno dei suoi film in televisione, ma non Syriana, sennò ti saluto la serenità. Alza le spalle come a dire che me l’aveva detto.

“..damiinfacciaquandotiparloh! Coglioneh! Lamiamacchinah!”

Il mio pugno saetta nell’aria come un proiettile e il suo naso esplode senza alcun rumore. Un fiore di sangue e muco sboccia nello spazio fra noi per un istante, poi si disperde in mille direzioni. Il cretino perde la perpetua lotta contro la gravità e va giù senza aggiungere altri improperi.

Buzz Lightyear da Comando Stellare

“E adesso?”, chiedo a George Clooney che continua a sorridere soddisfatto.
“Ah non guardare me”, risponde, “io servo solo ad attirare pubblico al cinema, sennò un film con Sandra Bullock non se lo sarebbe cagato nessuno! Ma se proprio vuoi un consiglio ti direi che adesso devi cercare di tornare a casa sano e salvo.”
“E come? È notte e qui non c’è nessuno! È una zona talmente desolata che avrei più possibilità di incontrare degli esseri umani se fossi in orbita intorno alla Terra!”
“Tut tut, come direbbe Zio Paperone. La vedi quella pensilina laggiù? È la fermata dell’autobus, e se ti sbrighi potresti riuscire a prendere l’ultimo prima di domani mattina.”
“E come ci vado fin laggiù? La macchina è distrutta!”
“A piedi, come sennò?”
“A piedi? Ma quanta vodka hai bevuto? È lontanissimo! Saranno duecento metri! Non ho sufficiente autonomia per arrivare fin là!”
“Ma devi camminare, di che autonomia parli?”
“Del cellulare, testadicazzo! È quasi scarico, non ci arrivo fin laggiù senza cellulare! E se mi perdo? Senza il navigatore del telefono potrei girare a vuoto per l’eternità!”

George Clooney non riesce a capire e mi guarda con gli occhi sgranati, seppure ostenti ancora il suo sorriso beota. Mi indica col braccio teso la pensilina sul marciapiede, mi dice che è impossibile sbagliare traiettoria, basta camminare nella stessa direzione fin là, ma non ne voglio sapere, è troppo pericoloso! So di cosa parlo, una volta una mia amica non ha voluto affidarsi alla tecnologia ed è finita con la macchina in un quartiere malfamato. La mattina dopo c’era rimasto di lei soltanto l’accendisigari.

“Senti Ryan, quell’autobus è la tua unica possibilità di tornare a casa sano e salvo, fai come ti dico e domani mattina sarai a casa tua a Villavecchia e potrai raccontare la storia più pazzesca della tua vita. A proposito, che razza di nome è Ryan?”
“Che ne so, mi chiamo Pablo.”

Le parole di George Clooney mi infondono quel coraggio che mi occorre per abbandonare il relitto al quale sono appeso e tentare la traversata impossibile fino alla fermata dell’autobus. Mi stacco con un sospiro dallo specchietto retrovisore, che cade a terra con un tonfo, e comincio a camminare, dapprima molto lentamente, poi sempre più veloce. Alle mie spalle la voce dell’ex dottor Ross mi grida di sbrigarmi, che l’autobus sta arrivando, poi di rallentare, che sono arrivato, poi mi volto per vedere cos’ha da sbraitare, che non capisco una parola, e di colpo sbatto contro il palo della fermata. Sono arrivato! Ce l’ho fatta! Sono salvo!

Commander Chris Hadfield is not amused.

Allo stremo delle forze sollevo un braccio, e il mezzo arancione si ferma. Mi butto contro la porta, che si apre di colpo facendomi perdere l’equilibrio, ma riesco a rimanere agganciato e metto un piede sul gradino, poi l’altro, poi qualcosa mi trattiene per la giacca, ma cosa cazzo??
È il tizio della golf, la faccia rossa, non vuole lasciarmi partire senza avergli prima compilato il foglio di constatazione amichevole.

Mi stacco dalla maniglia dell’autobus e gli crollo addosso con tutto il mio peso, facendolo finire per terra, poi gli salto sopra e lo uso per darmi una spinta verso la salvezza. Le porte si chiudono un centimetro dietro la mia scarpa. Sono salvo!

Disteso sul pavimento del notturno Borgoratti/Stazione Brignole sento tutta la fatica della mia impresa eroica salirmi per le gambe. I muscoli tremano, non so più trattenere le lacrime, e mi lascio andare in un pianto disperato, ma felice. Ringrazio George Clooney, ovunque sia, gli prometto che guarderò anche Ocean Twelve, nonostante il primo mi abbia fatto veramente cagare.

Poi mi arriva una voce dall’alto, immagino sia Dio, non ho la forza di aprire gli occhi, solo che questa voce mi chiede se sto bene e poi se ho il biglietto, e non ricordo molto del catechismo, ma Dio non ti chiede se hai il biglietto, perciò mi sa che la mia avventura non è ancora terminata, e allora è meglio se tengo gli occhi chiusi e faccio finta di essere morto.

Il nuovo disco di Vinicio Capossela si chiama Marinai, Profeti e Balene, un omaggio alla letteratura di mare, da Omero a Melville, ma c’è anche Celine, che è come incontrare Gargamella in pizzeria, e non è un caso che il tour prenda il via da Genova: il cantautore ha sempre dichiarato il proprio amore verso la città e il teatro Carlo Felice sembra fatto apposta per celebrare la navigazione d’altri tempi, col pubblico seduto sul ponte di una caravella, i suoni che rimbombano dal palco come dentro un secchio, il mal di mare che ti viene se pensi a quanto cazzo hai pagato il biglietto.

Anche il palco è allestito sullo stesso tema, i musicisti sono vestiti da marinai, c’è una prua sul palco (proprio davanti al mio posto, cristodio), il pennone dell’albero maestro fa da sfondo e le ossa della balena si aprono e si chiudono sulla testa di quello strano equipaggio. Il capitano della nave ha il tricorno in testa, è seduto al pianoforte illuminato da una candela, e appena si apre il sipario attacca con le canzoni dell’ultimo disco.

Ecco, Marinai Profeti E Balene non è immediato come Ovunque Proteggi, forse non ne possiede neanche la freschezza, ma non è neanche tetro come Da Solo, e dopo i primi due tre ascolti cominci a sospettare di essere davanti a un prodotto migliore, pieno di riferimenti letterari senza risultare pesante, stratificato come la millefoglie di cipolla, e quando arrivi a sentir suonare le conchiglie, le catene, una sega e il carillon più complicato del mondo il sospetto si tramuta in certezza, quello in copertina col cappello da Napoleone è un genio.

Ma dicevo del concerto, che scorre via come una fregata fra leviatani e sirene. Tutta la prima parte è occupata dalle canzoni nuove, d’altronde è un album doppio, e dai vecchi cappelli di Capossela, cui si aggiunge il tricorno che indossa nelle foto promozionali. Parla col pubblico senza esagerare, presenta il susafonista di altezza variabile, dice due parole sulle canzoni, ma è quasi esclusivamente musica, tanto che quando escono i coristi si limitano a muovere la bocca senza proferire alcun suono, lasciandoci tutti un po’ scossi. Scopriremo poi che c’era un problema fonico.

Solo alla fine della parte “concept” il cantante introduce il gruppo, e scopriamo che dietro le casse che abbiamo di fronte, dietro la prua della barca da cui ogni tanto va a cantare Capossela, ci sono altri due membri dell’orchestra, di cui uno con dei capelli pazzeschi, bianchi e riccioli e sparati in ciuffi che sfidano la gravità.

Comincia la seconda parte, quella dedicata ai “relitti che porta la risacca”. Una versione rallentata di Che Coss’è L’Amor, la sorpresa di Morna, che io e il Subcomandante ci guardiamo a bocca spalancata e poi lei muore di gioia, poi qualche altro pezzo nuovo, poi tutti in piedi per L’Uomo Vivo e Il Ballo Di San Vito, poi Camminante, che non sto neanche a riguardare il Subcom, la raggiungo all’altro mondo con un sorrisone in faccia. Chiude con Le Sirene, che più lo ascolto più credo che sia una perla.

Oggi tutte le mie certezze sulla musica stanno barcollando, non sono più sicuro neanche di chi sia il mio cantante preferito, ho solo voglia di sedermi da qualche parte e mettere su il mio ultimo acquisto. E non ho ancora visto l’altra cosa che mi sono comprato, il dvd del tour precedente, che ho già collocato fra i tre più bei concerti cui abbia mai assistito. Vi saprò dire..

Chi vigila sui vigilanti, chi controlla i controllori, chi guarda i guardoni, chi osserva gli osservanti, chi cura i curati?

Domani sarebbe stata una settimana da che sto cercando di scrivere la mia recensione di Watchmen senza arrivare neanche vicino a quel che volevo dire, e la cosa cominciava a frustrarmi.

Per fortuna che esiste Scott Ronson.

 

Chiudo con lo spoiler più divertente del mondo.