Fleet Street
Un tempo conosciuta come “the ink road”, per via delle numerose sedi di giornali che vi si trovavano, oggi che non ce n’è più neanche una non avrebbe senso chiamarla ancora così, ma gli inglesi faticano a cambiare le proprie tradizioni, e piuttosto che scegliere un altro nomignolo cospargono i marciapiedi di inchiostro ogni mattina. È vero, vai a vedere se non ci credi!

Noi comunque ci troviamo lì per caso, sulla via di una delle tante curiosità sceme che vogliamo levarci, e stiamo a guardare la Royal Court Of Justice con la bocca spalancata, quando Marzia vede il grifone in mezzo alla strada.

No, non sono quelle strane pastiglie colorate che prende due volte al giorno quando pensa che nessuno la osservi, è un grifone vero, anche se quello a cui siamo abituati noi liguri ha la testa di aquila. Sta in cima a una colonna, e indica il punto in cui Fleet Street diventa The Strand. Una volta c’era un arco, che adesso si trova dalle parti di St.Paul’s Cathedral, ora c’è questo grosso rettile di bronzo, e c’è una piantata in mezzo alla strada che gli fa mille foto, incurante del traffico.

“Guarda che non sei più in Abbey Road, togliti di lì!”, le grido, ma lei niente. Imperterrita.

In Fleet Street non c’è veramente molto d’altro, la Corte di Giustizia dev’essere anche bella, ma per accedervi bisogna oltrepassare dei controlli, e il poliziotto col pacchetto di guanti in lattice in mano e il sorriso furbetto non mi ispira nessuna fiducia. Proseguiamo.

Old Bailey
Questo edificio, il tribunale penale della città, non ha veramente niente di bello, sebbene risalga alla fine del Seicento è stato bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruito negli anni ’50, ma la statua della Signora Giustizia in piedi sulla cupola è imperdibile per i fans di Alan Moore. Spiego per i non avvezzi all’arte delle persone che parlano dentro le nuvolette: Alan Moore è, cito da wikipedia, “un fumettista, scrittore, compositore, cantautore e occultista britannico. Si è guadagnato una notevole fama tra gli autori di fumetti grazie soprattutto a opere quali Watchmen, From Hell e V for Vendetta.
È inoltre un romanziere, cantante e cantautore (particolari le sue rappresentazioni teatrali: un misto tra parte recitata e musica, preferibilmente elettronica) e, dal giorno del suo quarantesimo compleanno, si è autoproclamato mago.
”. Come si fa a non volergli bene a un tizio così? Oltretutto va in giro con una barba da far vergognare anche Gandalf.

Ma restiamo al suo lavoro di fumettista, che è quello che ci interessa al momento. Da tutte e tre le sue opere principali sono stati ricavati dei film più o meno di successo, e può darsi che almeno uno lo abbiate visto, specialmente il terzo, girato dai fratelli/sorelle Wachowski. Ecco, se lo avete fatto dimenticatelo: il film di V For Vendetta nel suo momento più ispirato arriva solamente a scalfire la superficie della storia raccontata nel libro. Torniamo al fumetto, va bene? Che a parlare di quella robaccia mi sento già prudere dappertutto.

All’inizio della storia il protagonista, V, ha un dialogo sul tetto dell’Old Bailey con la “Signora Giustizia”, che termina con una litigata esplosiva.
Tutto lì.
Lo so, potevo arrivare subito al punto ed evitarvi la tirata su Alan Moore, ma è sempre bello cogliere l’occasione per parlare di fumetti, e poi mi sono riempito una paginetta come ridere.

Tower Of London
“E ci si può salire sulla torre? E quant’è alta?” Già da distante non stavo nella pelle per l’emozione, che l’aver saltato il London Eye per la coda chilometrica mi aveva lasciato addosso un sapore amaro di altezze negate, e cominciavo a sentire un bisogno fisico di vedere il mondo dall’alto. Forse è una specie di equilibrio interiore a richiederlo, quando ti senti degli abissi dentro ti serve andare molto in alto per tornare sul livello del mare, e dato che erano ormai tre ore che non mangiavo il mio malessere cominciava a farsi pressante.

La mia fidanzata non mi mise al corrente della terribile verità, dovetti scoprirla da solo una volta uscito dalla stazione della metro.

“Ma questo è un cazzo di castello! Non ci sono torri!”

Lei, paziente, cercò di spiegarmi la storia dell’edificio, arricchendolo dei particolari più macabri affinché mi risultasse interessante, ma non volevo proprio sentire ragioni:

“Ma non ci sono bastati tutti i castelli del Portogallo? Dovevamo vedere anche questo?”

Ci vuole una bella pazienza a starmi accanto ogni giorno, me ne rendo conto. Marzia ormai ci ha fatto l’abitudine, è una persona intelligente e sa come prendermi.

“Piantala di rompere il cazzo!”, esclamò. “Se non ti va bene puoi tornare all’Old Bailey a dire stronzate alla Signora Giustizia, io entro!”

Cinque minuti più tardi eravamo tutti e due sul pontile sottostante ad aspettare il traghetto.

“Venti sterline a testa? Ma questi sono fuori!”, ribadivamo in coro, agitandoci le mani davanti alla faccia nel gesto internazionale del disturbo mentale. “Per vedere due corvi senza le ali e dei tizi col pigiama rosso! Andiamo alla Tate Britain, che è più interessante e pure gratis!”

Tower Bridge
Senza bisogno di attraversarlo, che è lontano e ci passano le macchine, dal lungofiume dietro la Tower Of London si gode di un’ottima vista di questo spettacolare ponte levatoio. All’interno c’è il museo del ponte, in cui viene conservata la prima tavoletta di gomma da masticare Brooklyn, una sceneggiatura originale del Ponte Sul Fiume Kwai e il giorno compreso fra la domenica e una qualunque festività nazionale. Si può anche salire al ponte superiore e attraversarlo, ma solo se non vi accompagna una persona che soffre di vertigini anche quando cammina sui tappeti troppo spessi.

Traghetto
Con 5 paunz ci si può evitare lo sbattone immenso di riattraversare la città a piedi o coi mezzi per raggiungere una meta che sta dall’altra parte, proprio dietro il parlamento e che a saperlo uno poteva andarci quel giorno lì, ma invece niente. Basta prendere il traghetto sul Tamigi alla fermata di Tower Of London e cambiare a Embankment, e ci si gode anche una gradevole vista del fiume e dei ponti dal di sotto, che l’unica alternativa conosciuta per vederli è fare come Calvi, ma poi diventa difficile raccontarlo.

Embankment
Intanto che aspetti il traghetto ed è quasi ora di pranzo il Pablog ti suggerisce di farti due passi nei paraggi. Il lungofiume, te lo dico già, offre poco. L’unica nota di un certo interesse è rappresentata dall’obelisco egizio vigilato da un paio di sfingi in bronzo. Il suo arrivo a Londra è stato abbastanza travagliato, con un naufragio in mezzo, ma l’arrivo è stato una vera festa. Per quella bruttura. Vabbè.
L’unico dettaglio che ho trovato interessante sono i fori lasciati sulle statue dall’esplosione di una bomba sulla strada accanto, durante l’attacco nazista.

Comunque, dovesse scoppiare una guerra nucleare e la nostra civiltà andare distrutta sappiate che sotto l’obelisco è celata una capsula del tempo contenente, fra le altre cose, un ritratto della regina Vittoria e diverse copie della Bibbia. Ehi, bombardieri atomici! Mirate lì!

Princess Of Wales Pub
27 Villiers Street, Charing Cross
Villiers Street è una viuzza in salita che da Embankment ti porta alla stazione di Charing Cross, ed è molto affollata, soprattutto all’ora di pranzo, data l’elevata presenza di ristoranti. Essendo ora di pranzo decidiamo di fermarci e prendere il traghetto dopo, e ci infiliamo nel Princess Of Wales Pub, sperando di cancellare il ricordo di quell’altro pub infame davanti a Downing Street.

Il locale fa parte della catena dei Nicholson’s, e visti i precedenti ci fidiamo.

In effetti la cucina è buona e la signora che gestisce il piano superiore, dove si mangia, è molto gentile. Quando può consulta una gigantesca Lonely Planet dedicata all’Australia, ma per la maggior parte del tempo spilla birre e urla cose in cucina.

Cos’abbiamo mangiato non me lo ricordo, ma non ho maledetto il cuoco e tutta la sua famiglia, quindi immagino fosse buono.

Tate Britain
Millbank
A differenza della sorella più giovane, che ha un piglio più internazionale, la Tate Britain offre uno sguardo approfondito sull’arte britannica dal 1500 in avanti. Custodisce opere celebri, come l’Ofelia di Millais e qualche Turner, ma se non siete degli esperti di arte inglese il rischio di aggirarvi per le sale con lo sguardo assente è piuttosto elevato. Ora mi attirerò gli insulti di qualunque appassionato fra i tre quattro lettori che mi seguono, ma secondo me l’arte britannica è come la sua cucina: deprimente.

Ci facciamo il giro completo del museo in un’ora e mezza e quando usciamo avrei voglia di tuffarmi nel Tamigi. Per fortuna sull’altra sponda si vede la sede dei servizi segreti inglesi, un edificio a forma di alieno di Space Invaders, che mi riporta alla memoria alcune scene di 007 e il fumetto che sto leggendo in quel momento, Queen & Country, e il voler sapere come va a finire la storia mi restituisce sufficienti motivazioni per continuare a vivere.

Minamoto Kichoan
44 Piccadilly
Con la Tate Britain si chiude la nostra visita a Londra. Abbiamo ancora un giorno e mezzo prima della partenza e vogliamo dedicarla allo shopping spudorato. Perlomeno la mia fidanzata, io piuttosto che infilarmi in un altro grande magazzino di Oxford Street andrei a vedere anche il museo dei calzini usati dai sovrani di tutte le epoche, ma magari torniamo in quelle stradine piene di ristoranti intorno a Covent Garden, e accetto con entusiasmo.

Ormai è tardi per le esplorazioni approfondite, torniamo a Piccadilly a cercare Minamoto Kichoan, una pasticceria giapponese di cui abbiamo letto da qualche parte, probabilmente sulla Santa.

L’idea sarebbe di comprarsi delle caramelle, che dopo l’esperienza negativa di Candyjapan (un sito che ti dovrebbe spedire caramelle dal Giappone due volte al mese a un prezzo interessante, ma che invece col cazzo) mi è rimasta la voglia di sapere come si avvelenano quei matti dall’altra parte del mondo, ma il negozio in questione non ne ha. La sua offerta è diversa, quel tipo di diversità che ti fa sbavare per ore davanti al banco incapace di decidere come spendere i tuoi soldi. I pasticcini sono dei capolavori architettonici, perfetti da sembrare finti, e me li comprerei tutti se solo avessi un rene in più da impegnarmi. Eh già, il prezzo dei prodotti è un po’ alto, non puoi uscire con una carrettata di pacchettini colmi di delizie, ma non è per quello che alla fine me ne vengo via senza aver comprato niente. E non è neanche perché è l’ora di cena, e il mio bisogno di carne prende a calci quello di pasticcini fino in strada. E a dirla tutta non è neanche per il fatto che la commessa non ci ha degnato di uno sguardo da quando siamo entrati. No, se devo essere proprio sincero la ragione per cui alla fine decidiamo di uscire senza acquisti è la massiccia comitiva di italiani schiamazzanti che entra all’improvviso e si mette a commentare ogni articolo con strepiti sguaiati. Non li sopporto gli italiani all’estero, ma come vedremo nella prossima puntata dovrò assistere a ben altro.

Per evitare i tediosissimi resoconti di viaggio cui ho abituato i miei lettori (due o tre, gli altri seimila che erano soliti passare di qui sono scappati via urlando quando hanno capito di che si trattava) ho deciso questa volta di limitarmi a piccoli paragrafi slegati fra loro, come farebbe una guida turistica per persone che non hanno voglia di leggere.  Auguri.


Low cost
Viaggiare con i low cost è generalmente una merda: non puoi portare bagaglio da stiva se non paghi, non puoi sceglierti il posto se non paghi, parti e arrivi dalla periferia dell’aeroporto e per giungere a destinazione, una volta atterrato, devi prendere un altro aereo. RyanAir o EasyJet fa poca differenza, la prima ti lascia a Stansted, la seconda a Gatwick, per arrivare in centro ci metti quasi quanto il volo fin lì. Va bene, Londra dista solo un’ora e mezza, non è un gran sacrificio e il prezzo è decisamente inferiore a quello proposto dalle compagnie di linea, però una volta che ti abitui a viaggiare comodo è difficile tornare indietro. Inoltre quella del bagaglio a mano è una gran rottura di balle, devi infilare il trolley nella vaschetta per misurarne il volume: se ci passa puoi caricarlo, sennò va nella stiva.
Se però al check-in ti trovi in fondo alla coda può essere che il tuo bagaglio a mano finisca nella stiva comunque, perché le cappelliere sono tutte occupate. Com’è possibile, se il volume a disposizione è uguale per ogni passeggero? Non lo so, forse qualcuno si porta dietro le valigie disidratate, che una volta riposte nel loro vano si gonfiano come le spugne e rubano il posto a quelle degli altri.

La menata più grossa è che se vuoi comprarti qualcosa nel luogo di destinazione devi sempre considerare lo spazio che occuperà al ritorno, oppure pagare il supplemento bagaglio, che sono comunque quei trenta euri.


Ostello
Se per viaggiare mi piace la comodità è un bel paradosso che sull’alloggio mi faccia così pochi problemi: lo Smart Hyde Park View ci offre una stanza minuscola all’ultimo piano con l’ascensore rotto. Non c’è il tavolino, ma se è per quello non c’è neanche l’armadio, e lo spazio intorno al letto è così esiguo che per alzarti devi scavalcare il bagaglio. Il bagno però è in camera ed è pulito, e se per arrivare al lavandino devi stare in piedi nella doccia è solo perché il piatto è molto largo.

Il personale è disponibile, la camera viene rimessa in ordine tutti i giorni, ma per farti cambiare le lenzuola probabilmente devi chiedere. La colazione è essenziale, tè, latte, cereali, marmellata, pan carrè, prosciutto e formaggio. Pagando ottieni anche qualcosa di più.
La posizione è interessante, Leinster Terrace si trova a Paddington, fra le stazioni di Queensway e Lancaster Gate, una zona molto tranquilla incuneata fra i ristoranti cinesi e le botteghe indiane e i palazzoni eleganti appena dietro. C’è una fermata dell’autobus proprio in fondo alla via, e il ristorante greco che incontri appena la imbocchi manda un profumo di carne alla brace che ti fa venir voglia di cenare anche alle tre del pomeriggio.

Clima
A Londra fa freddo e piove sempre, bisogna vestirsi pesante, giaccone e scarponcini, poncho impermeabile e cappellino, e speriamo che non nevichi.
Poi arrivi e ci sono sedici gradi, non cadono mai più di due gocce e c’è gente che gira in sandali. Il due gennaio. Coi sandali. Vabbè, ma quelli sono malati, la maggior parte delle persone si copre, che quando si alza il vento e cala il sole la stagione si sente eccome. Però gli scarponcini erano di troppo, guarda. E anche il poncho, che a parte quei dieci minuti di pioggia vera quando siamo andati alla National Gallery non ce n’è mai stato bisogno.

Estate in gennaio a Hyde Park

Portobello Road
“Quante stupende sorprese ci son, troverai cose oltre l’immaginazion alle bancarelle di Portobello Road”. Ve la ricordate? La cantava lo Spazzacamino in Pomi D’Ottone E Manici Di Scopa. Boh, forse non era lo Spazzacamino.. Forse non era neanche quel film lì e mi confondo con Mary Poppins. Vabbè, tanto la canzone è scaduta, a Portobello Road ci sono gli stessi negozi di ciarpame fabbricato in Thailandia che puoi trovare a Camden Town, a Barcellona, a Genova e ovunque ci sia un po’ di movimento. Gli stessi prodotti si ripetono vetrina dopo vetrina, cambia solo la fantasia del negoziante nell’esporli, e forse un po’ il prezzo; perfino i turisti sono fatti con lo stampino: coppie sulla cinquantina e ragazze molto truccate dall’accento romano.
L’unica eccezione è un negozio di prodotti scozzesi dove mi sono fatto tentare da una coppoletta, ma non c’era la mia taglia.

Londra o Roma o Parigi o Barcellona o

Saldi
A Londra il due gennaio di quest’anno sono cominciati i saldi. Ogni negozio, dal buco merdoso al grande magazzino, espone il suo bel cartello col numero a due cifre e il simbolo di percentuale. French Connection in Oxford Street ha tirato su una scritta cubitale tipo insegna di cinema che recita “I am the sale.”, quello di fronte ne ha messa una in risposta che dice “No, the sale it’s me, go fuck yourself!”.

Fra parentesi, French Connection in Gran Bretagna abbrevia il proprio nome in FCUK, che sta ovviamente per French Connection United Kingdom, ma avrei preferito leggere French United Connection Kingdom, fa più ridere.

Sui marciapiedi dello struscio non cammini, e io vado in giro con un’ossessa che sbava davanti a ogni vetrina e guaisce per ogni cappotto colorato a metà prezzo.

Per me invece è un dramma, vado da HMV e sono assalito da orde di cofanetti di dvd a meno di dieci sterline (il cofanetto definitivo di Father Ted te lo mollano a dodici, tipo), e non li posso comprare perché a casa non ho posto dove metterli. Da quando ci siamo sbarazzati della televisione, poi, diventa superfluo anche l’acquisto di videogiochi, perciò non ci passo neanche davanti allo scaffale che mi dice SuperMegaOffer, e corro fuori asciugandomi gli occhi.

Oxford Street
La via dello struscio economico, dei grandi magazzini, dei vestiti a badilate, dei pachistani che regalano borse e telefonini, dei negozi di cianfrusaglie per turisti; la via dei turisti, dei ragazzetti di periferia, delle orde di londinesi con una mano bianca dipinta in faccia e i canini che sporgono dalla mandibola, di gente che entra ed esce e si incrocia con quella che va avanti e indietro, e se ti trovi in mezzo alla corrente non c’è neanche il bagnino a salvarti; la via dei bigmac, dei bigwhoopers, dei kingroyal, dei cibi di polistirolo e della puzza di fritto e detersivo. Non ci ho mai trovato niente di interessante in questa strada, mai niente di appena originale, le uniche cose che ti fanno capire di essere a Londra e non a Parigi, tipo, sono le bandiere inglesi esposte nelle vetrine di souvenirs.

Vorrei che ti aprissi, Oxford Street, e ti portassi via tutta questa marmaglia. Io la odio questa strada.

Eat.
Londra è piena di ristoranti legati a qualche catena, e trovare da mangiare quando hai delle esigenze particolari non è per niente difficile. Capita così che ci si infili in un locale che si chiama Eat., nel senso di Eat-punto, e ci si abbuffi di cibi appartenenti a quella categoria salutista che va un casino negli ultimi tempi. I prezzi sono contenuti, sulle confezioni sono ben visibili gli ingredienti e l’avviso se sono compatibili con la dieta vegana, o celiaca o di quelli che hanno solo i cazzi loro ma ci tengono a ribadirli ovunque.

Uno zuppone low fat con dentro pollo, germogli di soia, spaghetti e del peperoncino incredibilmente piccante garantisce un’ottima parentesi nella città del fish&chips, e permette al tuo fegato di rimandare un pochino la disintegrazione.

Notting Hill
Mi ricordo che c’era questa strada in salita piena di negozietti e bancarelle di frutta e verdura, che sembrava di essere sul set del film con Hugh Grant, che fra parentesi è stato girato quasi tutto negli studios compresa buona parte degli esterni, però non l’ho trovata. In compenso ho trovato un negozio di ciarpame thailandese Notting Hill con l’insegna che riprendeva la locandina del film, e una ragazza molto truccata dall’accento romano che la fotografava.

Però nei pressi di Notting Hill Gate c’è un bel negozietto di libri e fumetti usati, dove si ascolta del buon swing e la proprietaria sembra competente: ha uno scomparto apposta per Alan Moore e uno per Garth Ennis, e nel reparto “decidi tu se vale la pena o è una cazzata” c’è una vecchia ristampa di Tex.

Per poche sterle mi porto via Hitman di Ennis, che mollo a metà, il primo volumone di una serie in bianco e nero che alcuni anni fa ha vinto un Eisner Award e si chiama Queen & Country (questo lo divoro proprio) e un libretto per un amico che potrebbe trovarci qualche spunto interessante.

Kensington Gardens
Ve lo dico subito, Peter Pan lo trovate sulla sponda del Serpentine, il lago che divide i Giardini di Kensington dal più selvatico Hyde Park; sta poco più giù dell’Italian Fountain, e francamente potrebbe tornarsene all’Isolachenonc’è, è molto più bella la statua di Alice a Central Park.

Un’altra delusione di questo posto è rappresentata dal cartello riguardante la fauna del laghetto, che ti elenca fra le specie presenti la bellissima anatra mandarina, e invece puoi passarci la giornata a cercarla, e quella stronza non si fa vedere. Secondo me l’ultima è finita nella pentola di uno dei tanti ristoranti cinesi della zona.

L’ultima grande delusione è rappresentata dal Princess Diana Memorial Playground, un grande parco giochi pieno di meraviglie, fra cui voglio ricordare il tepee degli indiani e il galeone dei pirati, accessibile ad un prezzo ragionevole, ma ahimè, solo ai bambini e agli adulti che li accompagnano. Il fastidio di non avere mai un figlio quando serve!

Per il resto il parco è più curato del suo vicino di fronte, il laghetto rotondo è sempre al sole (oddio, per quanto si possa essere sempre al sole in Inghilterra) ed è un piacere sedersi a guardare gli uccelli, e laggiù in fondo c’è il Kensington Palace, che è più bello dei bagni pubblici di Hyde Park.

Peter Pan e Wendy ricordano i vecchi tempi ai Giardini di Kensington

(continua)

Foto del Subcomandante Marzia.

Tutti i diritti riservati.
Guarda che non scherzo.
Sono tutti cazzi tuoi.
No, davvero.
Tu non hai idea.