Il suo nome non era Ettore Majorana, ma lo diventò quando scomparve.
Oddio, scomparve. Non è che si smaterializzò in un fascio di luce extraterrestre, immagino che abbia continuato a guardarsi nello specchio del bagno come faceva prima; la sparizione è un concetto transitivo che colpisce tutte le persone tranne quella che ne è vittima.

Per me la scomparsa di Majorana avvenne il 2 febbraio, martedì grasso.

Volevamo andare a un ballo mascherato, ma non eravamo riusciti a metterci d’accordo sull’abito, io volevo vestirmi da tassista romano che porta la sua cliente all’ospedale, lei da Napoleone a cavallo che valica il San Bernardo, e pretendeva che io andassi in giro con una fiaschetta di liquore appesa al collo e lei arrampicata addosso. Non ci sarebbe stato niente di male, l’idea di averla appiccicata alla schiena mi faceva sorridere in quel modo scemo che tutti vorremmo durasse per sempre, ma secondo te vado in giro con una fiaschetta piena di alcool e non me la ingoio intera? Era irrealizzabile.

L’unica festa dove potevi entrare senza costume era quella dell’Opus Dei, dove l’unica regola era non divertirsi troppo, se ti beccano sono trenta padrenostri e passare il resto della serata con un limone in bocca.

“Mi faranno entrare vestita così?”

Indossava un maglioncino a collo alto, una gonna che non arrivava al ginocchio e un paio di stivaletti che si fermavano parecchio più in basso. Le sue gambe invitavano al peccato.

“No, ma mi darà un’ottima scusa per trascinarti a casa e far piangere Gesù”

Il suo hmm malizioso mi fiorì la testa di immagini che sono sicuro che ci siamo capiti.

Poi eravamo dentro. La fila per il bagno si incrociava con quella del bar, ma riuscivano a separarsi prima di rovinare la brocca della sangria. I tavolini erano coperti da pizzi a forma di croce, su ognuno era posata una copia del Vangelo e un bel rametto di gigli.

Sul palco in fondo alla sala quattro suore svisavano di brutto le hit di Fra Cionfoli, e proprio non riuscivi a stare seduto: la pista era piena di coppie che si stringevano voluttuosamente la mano, l’aria vibrava di elettricità e voglia di lasciarsi andare, sentivi che sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa.

Dopo due ore non era successo niente. Le hit di Fra Cionfoli avevano lasciato il posto alle consuete nenie, e per sfuggire all’ennesima riproposta di Camminerò mi trascinai al bar a prendere due succhi di frutta, che della sangria continuavo a non fidarmi, e tanto era analcolica pure lei. Nel mio bicchiere feci mettere del ghiaccio per sentirmi trasgressivo.

Quando tornai al tavolo Majorana non c’era più, era sparita la sua giacca e la sua borsetta. Non era sulla pista, non era nel bagno degli uomini. In quello delle donne non mi lasciarono entrare, ma non vedevo ragioni per cui avrebbe dovuto trovarsi lì: le donne e gli alpinisti fanno la pipì in cordata, e lei era entrata alla festa senza accompagnatrici, non raggiungeva il quorum.

Per rendere più enfatico il mio dolore per la scomparsa di Majorana racconterò al rallentatore la scena che seguì.

Salita leeenta di mani che arpionano una faccia.
Bocca che si apre sulla lettera o.
Cielo che si tinge di onde gialle e rosse.
Lettera di diffida dall’avvocato della famiglia Munch.
Messaggi di stima dalla curva della Roma.
“Nnnuoooooohh! Mmuaaaaaiuooooruaaaaaanaaaaaaa!”

Più tardi, a casa, Gesù lo feci piangere da solo.

Nei giorni che seguirono la chiamai al cellulare, le scrissi lettere, spedii messi a cavallo fino al suo villaggio ai confini dell’impero, poi bruciai le sue lettere per inviarle segnali di fumo, pugnalai le sue foto perché dalle ferite che avrebbero dovuto aprirsi sul suo petto potesse ricavare una specie di codice morse, banchettai coi suoi capelli che ancora trovavo sul cuscino, ma quello perché il raffreddore mi costringeva a dormire con la bocca spalancata.
Poi smisi di cercarla.

Ripensavo ai momenti trascorsi insieme e a quelli che li avevano preceduti, quando eravamo solo due che si divertivano a raccontarsi idiozie, e pensai che in fondo saremmo potuti tornare a quell’amicizia disinteressata, non è che due perché finiscono a letto non si devono parlare più. Solo che lei si disinteressava alla mia amicizia disinteressata: si recava a Napoli, saliva su traghetti alla volta di Palermo e scompariva. Chi dice di averla vista in Argentina cavalcare nella pampa, chi ha sentito il suo canto salire dal fondo del Tirreno ma non capiva che canzone fosse neanche usando Shazam, chi la vede tutti i giorni e la sa felice. Ogni tanto vedo la sua faccia spuntare nella rete, mi verrebbe da dire ciao come va, ma so la distanza dalle relazioni finite, va innaffiata tutti i giorni sennò appassisce ed è un attimo ritrovarsele davanti al portone con la mano tesa a chiederti indietro un libro o un po’ di sesso, e hai un bel dire che non sei così e vorresti solo. Cosa? Vorresti solo salutare, sapere come sta, cosa fa. Certo. Solo che volere solo è già volere, Io Voglio. Da una parte ci sei tu che vuoi e dall’altra qualcuno che ha deciso di non vederti più, cui non interessa neanche sapere come stai.

Lasciamo perdere, le cose prive di equilibrio sono destinate a cadere per terra. E poi non è un caso che Ettore Majorana abbia collaborato con Werner Heisenberg, il cui principio di indeterminazione ci ricorda grossomodo che, quando due grandezze fisiche non possono essere misurate entrambe nello stesso momento, sono dette incompatibili.
Resta una manciata di ricordi e una tendenza al magone, più per la freddezza del dopo che per la fine del durante. Restano delle perplessità che sono come tarli annidati nelle vecchie fotografie.

Non resta altro.