cinemaIeri ho passato la giornata a letto, che la sera prima ho mangiato del pesce cotto male e l’ho tenuto nello stomaco giusto il tempo di tornare a casa. L’incidente mi ha lasciato privo di forze e di allegria per tutta la giornata, non so se per aver vomitato o per aver buttato via una cena abbondante. Per passare il pomeriggio mi sono sciroppato un paio di film, e uno era quello di Sorrentino, quello che ha vinto anche i premi, ma si dai, quello che ne parlano tutti.

Per scrivere la recensione di un film come Le Conseguenze Dell’Amore dovrei attenermi allo spirito della pellicola e usare pochissime parole, ma non ne sono in grado, che io pochissime parole non le uso neanche per dire nome e cognome, quindi vado come sono solito andare, a muzzo, e a chi ha voglia di seguirmi ci vediamo in fondo.

Se comunque dovessi usare poche parole una di queste sarebbe “minimalista”, è un film visivamente ridotto all’osso, le inquadrature sono pieni di spigoli, linee rette, spazi vuoti, cerchi, che alimentano l’atmosfera rarefatta del film, e ti danno l’impressione di essere davanti a una foto-hardla, che però adesso non sto a spiegarvi che cos’è, dovete andarvela a cercare da voi.

I dialoghi sono essenziali, fra tutti i personaggi non credo ce ne sia uno che recita di seguito più di due pagine di copione, e quando arriva il chiacchierone col maglione colorato è proprio per accentuare la stagnazione in cui galleggia la storia. Copione, maglione, chiacchierone, stagnazione, va bene scrivere a muzzo, ma così un po’ mi vergogno.

Mi è piaciuta tantissimo la regia, ho scoperto che Paolo Sorrentino è un regista originale, fresco e intelligente, e in Italia sono in pochi a potersi fregiare di questi tre aggettivi, soprattutto se detti da me. Giusto io, ma non ho ancora diretto niente, perciò andrebbero applicati a quello che scrivo, e si finisce fuori tema. Mi è anche piaciuto molto Il Divo, anche più di questo, ma non dico quanto di più perché non voglio lasciar trapelare fino alla fine se sono rimasto soddisfatto o no. È una recensione che se avesse anche il fumo nero sarebbe Lost.

Mi è piaciuta la scarna colonna sonora, ho notato che Sorrentino ama l’elettronica, spero che prima o poi ci metta i Port Royal, che non sto a spiegarvi chi sono che già gli ho fatto sto bel marchettone, anche all’indecenza c’è un limite.

Ma veniamo alla storia, che è la nota dolente della pellicola.

C’è questo tizio dal nome che sembra un personaggio delle mie storie, Titta Di Girolamo, un cinquantenne silenzioso dagli hobby discutibili, che vive in una stanza d’albergo in una città svizzera che non mi ricordo, una di quelle al confine con l’Italia, non più bauscia ma non abbastanza heidi, e non fa una beata minchia. Ogni tanto telefona alla moglie e la tiene delle ore al telefono senza dirle niente, si fa passare i figli e non dice niente neanche a loro, poi scende al bar e guarda la barista, che è una bellissima ragazza, con gli occhi da husky e la stessa recitazione. Ad un certo punto prende la macchina, gira un’ora per andare in banca e rompe le palle a cinque impiegati per farsi contare a mano una tavolata di dollari.

Non sto a raccontare oltre per non rovinare la sorpresa (?) a chi non l’ha visto, ma il film è pieno di situazioni improbabili come questa, anzi, direi che con tutti i suoi dialoghi eterei, le frasi ad effetto come un libro di Baricco, le situazioni accennate, le occhiate lunghe finisce per dipingere un quadro tanto elegante e complesso, che però quando ti avvicini ti accorgi che non mostra niente. Non c’è una storia sensata, dei bei dialoghi, ma andrebbero bene anche dei dialoghi brutti, basta che si dica qualcosa di concreto ogni tanto! Quando finalmente succede qualcosa sei già a tre quarti di film, e Servillo, peraltro bravissimo, fa l’unica cosa che non ti aspetti in un personaggio come il suo, ammazzando la già scarsa credibilità che si era costruito.

Insomma, a me sto film qui non mi è mica piaciuto, è presuntuoso, finto, freddo, distaccato, troppo mascherato da film intellettuale, troppo preso a celebrarsi per raccontare una storia coinvolgente.

E quando è finito mi giravano anche un po’ le balle oltre che lo stomaco, perché avrei potuto passarle meglio quelle due ore, magari dormendo, e ho realizzato che le conseguenze dell’amore non ho mica capito quali siano, che su di me sono state parecchio diverse, tutte le volte che le ho provate. Ma magari dovrei andare a innamorarmi in Svizzera, si sa che quelli sono un popolo strano, evidentemente loro quando si innamorano lo fanno così, con gli spigoli, le rette, le banche, le macchine di lusso e le belle bariste che non sanno recitare; e magari sono freddi e autocelebrativi anche loro, ma si vede che alle svizzere piace.
Domani vado dal macellaio e ne compro un paio, vi farò sapere.


cinemaIeri ho passato la giornata a letto, che la sera prima ho mangiato del pesce cotto male e l’ho tenuto nello stomaco giusto il tempo di tornare a casa. L’incidente mi ha lasciato privo di forze e di allegria per tutta la giornata, non so se per aver vomitato o per aver buttato via una cena abbondante. Per passare il pomeriggio mi sono sciroppato un paio di film, e uno era quello di Sorrentino, quello che ha vinto anche i premi, ma si dai, quello che ne parlano tutti.

Per scrivere la recensione di un film come Le Conseguenze Dell’Amore dovrei attenermi allo spirito della pellicola e usare pochissime parole, ma non ne sono in grado, che io pochissime parole non le uso neanche per dire nome e cognome, quindi vado come sono solito andare, a muzzo, e a chi ha voglia di seguirmi ci vediamo in fondo.

Se comunque dovessi usare poche parole una di queste sarebbe “minimalista”, è un film visivamente ridotto all’osso, le inquadrature sono pieni di spigoli, linee rette, spazi vuoti, cerchi, che alimentano l’atmosfera rarefatta del film, e ti danno l’impressione di essere davanti a una foto-hardla, che però adesso non sto a spiegarvi che cos’è, dovete andarvela a cercare da voi.

I dialoghi sono essenziali, fra tutti i personaggi non credo ce ne sia uno che recita di seguito più di due pagine di copione, e quando arriva il chiacchierone col maglione colorato è proprio per accentuare la stagnazione in cui galleggia la storia. Copione, maglione, chiacchierone, stagnazione, va bene scrivere a muzzo, ma così un po’ mi vergogno.

Mi è piaciuta tantissimo la regia, ho scoperto che Paolo Sorrentino è un regista originale, fresco e intelligente, e in Italia sono in pochi a potersi fregiare di questi tre aggettivi, soprattutto se detti da me. Giusto io, ma non ho ancora diretto niente, perciò andrebbero applicati a quello che scrivo, e si finisce fuori tema. Mi è anche piaciuto molto Il Divo, anche più di questo, ma non dico quanto di più perché non voglio lasciar trapelare fino alla fine se sono rimasto soddisfatto o no. È una recensione che se avesse anche il fumo nero sarebbe Lost.

Mi è piaciuta la scarna colonna sonora, ho notato che Sorrentino ama l’elettronica, spero che prima o poi ci metta i Port Royal, che non sto a spiegarvi chi sono che già gli ho fatto sto bel marchettone, anche all’indecenza c’è un limite.

Ma veniamo alla storia, che è la nota dolente della pellicola.

C’è questo tizio dal nome che sembra un personaggio delle mie storie, Titta Di Girolamo, un cinquantenne silenzioso dagli hobby discutibili, che vive in una stanza d’albergo in una città svizzera che non mi ricordo, una di quelle al confine con l’Italia, non più bauscia ma non abbastanza heidi, e non fa una beata minchia. Ogni tanto telefona alla moglie e la tiene delle ore al telefono senza dirle niente, si fa passare i figli e non dice niente neanche a loro, poi scende al bar e guarda la barista, che è una bellissima ragazza, con gli occhi da husky e la stessa recitazione. Ad un certo punto prende la macchina, gira un’ora per andare in banca e rompe le palle a cinque impiegati per farsi contare a mano una tavolata di dollari.

Non sto a raccontare oltre per non rovinare la sorpresa (?) a chi non l’ha visto, ma il film è pieno di situazioni improbabili come questa, anzi, direi che con tutti i suoi dialoghi eterei, le frasi ad effetto come un libro di Baricco, le situazioni accennate, le occhiate lunghe finisce per dipingere un quadro tanto elegante e complesso, che però quando ti avvicini ti accorgi che non mostra niente. Non c’è una storia sensata, dei bei dialoghi, ma andrebbero bene anche dei dialoghi brutti, basta che si dica qualcosa di concreto ogni tanto! Quando finalmente succede qualcosa sei già a tre quarti di film, e Servillo, peraltro bravissimo, fa l’unica cosa che non ti aspetti in un personaggio come il suo, ammazzando la già scarsa credibilità che si era costruito.

Insomma, a me sto film qui non mi è mica piaciuto, è presuntuoso, finto, freddo, distaccato, troppo mascherato da film intellettuale, troppo preso a celebrarsi per raccontare una storia coinvolgente.

E quando è finito mi giravano anche un po’ le balle oltre che lo stomaco, perché avrei potuto passarle meglio quelle due ore, magari dormendo, e ho realizzato che le conseguenze dell’amore non ho mica capito quali siano, che su di me sono state parecchio diverse, tutte le volte che le ho provate. Ma magari dovrei andare a innamorarmi in Svizzera, si sa che quelli sono un popolo strano, evidentemente loro quando si innamorano lo fanno così, con gli spigoli, le rette, le banche, le macchine di lusso e le belle bariste che non sanno recitare; e magari sono freddi e autocelebrativi anche loro, ma si vede che alle svizzere piace.
Domani vado dal macellaio e ne compro un paio, vi farò sapere.