Va sempre come dovrebbe andare, solo che finché non lo capisci ti domandi che strada prenderà, azzardi anche delle previsioni, ti concedi il lusso di sperare.

Se sono qui a scrivere è perché alla fine è andata in quell’altro modo.

 

Dovevo partecipare a un workshop di scrittura con Paolo Nori, uno dei miei autori preferiti, e il tema era qualcosa di delizioso: i matti.

Tutti abbiamo il nostro matto preferito, quello che grida “isotopi di figa” alle ragazze in galleria, quella che scrive rime discutibili sui muri a caratteri cubitali, quella che oggi ti dice che era tutta la vita che cercava uno come te e domani.. vabbè, ma lo sapete, ci siete passati anche voi. Tanto che certe volte il vostro matto preferito siete proprio voi che ancora pensate a quella volta là, che ci parlate e vi fate le vostre ragioni e le spiegate anche a interlocutori che dalla parte di chi vi guarda devono essere nascosti da un muretto, perché non ci sono mai, e il dubbio che stiate parlando da soli è fortissimo.

Siete i vostri matti preferiti solo perché odiare sé stessi è un atto ancora più insano.

Officina Letteraria, una scuola di scrittura genovese, aveva promosso questo laboratorio che doveva svolgersi nell’arco di due fine settimana questo gennaio, e chiedeva, come esame di ammissione, di descriversi in 350 caratteri. Poi Paolo Nori avrebbe letto i testi e selezionato i partecipanti.

Mi sono fatto due conti, ho pensato che a gennaio avrei goduto di una situazione economica piuttosto florida, è il mese in cui festeggio il compleanno, e i parenti mi mollano qualche diecieuri, ma soprattutto è il mese in cui sono di turno a raccogliere le offerte dei fedeli per riparare la cappelletta della Madonnina di Mordor, cui sono devoto da quindici anni. Più o meno da quando vanno avanti i lavori, interrotti dopo pochi giorni perché finiscono sempre i fondi.

Ho spedito le mie due righe di testo, che dicevano:

350? E chi è capace? Io manco ci so contare fino a 350, alle elementari avevo la maestra part-time e quand’è arrivata a 213 le è scaduto il contratto e non l’abbiamo più vista.
Di lì in poi il mio insegnante è stato il bidello. Per questo oggi non so raccontare chi sono, ma se vuoi ti faccio dei pavimenti che ti ci specchi.

Niente di pazzesco, ma non è che puoi raccontare una vita ricca di episodi in 350 caratteri, soprattutto una come la mia, che ho sventato colpi di stato e vinto premi nobel e stretto la mano ad attrici famose e dormito sul divano, ma a loro è bastato.
Poi lo so che la selezione è stata fra dieci tizi che hanno spedito una descrizione in italiano e altri quattro che hanno scritto “Mi chiamo Ciccio ho 34 anni abito a Genova faccio l’infermiere mi piace scrivere mia moglie dice che sono divertente tifo la sandoria”, non penso di essere un genio, sono sicuro che per raggiungere il numero hanno tirato dentro anche la zia di Paolo Nori, ma quando ho ricevuto l’email mi sono sentito comunque lusingato.

Per tre secondi. Poi ho letto che le lezioni sarebbero state il 13 e 14 gennaio, e ho nominato la Madonnina di Mordor in un modo che probabilmente le si è incrinata la cappelletta.

Perché io il 13 e 14 gennaio sarò a Porto, Portogallo, a mangiare polpo grigliato da quel beone di Adão. E se il giorno in cui ho prenotato il volo avessi scelto un’altra data sarebbe stata il fine settimana successivo, quello in cui compio gli anni, e avrei avuto lo stesso problema, dato che il workshop si articola su due weekend consecutivi. Perciò, vedi? Era proprio destino che non partecipassi.

Lunedì tornerò a lavorare, andrò dal mio capo e gli farò una tirata sul destino e su come sia stupido tentare di opporvisi, gli spiegherò che tutto è già stato deciso, che siamo solo burattini, che arrabbiarsi non serve a niente, mettersi di traverso ci fa solo male, molto meglio assecondare gli imprevisti cercando di attutire la botta il più possibile. Lui non capirà, non è il tipo che si dilunga su questioni filosofiche, e mi chiederà di farla breve. Allora io gli dirò che mi servono venerdì e lunedì di ferie.

Sarà allora che scoprirò che anche lui è devoto alla Madonnina di Mordor, e che per le prossime riparazioni serviranno molti più soldi.

Ultimamente quando scrivo lo faccio perché mi è successo qualcosa che mi ha scrollato abbastanza da farmi scivolare di dosso la coperta, oppure per una ragione qualsiasi, tipo che mi annoio, che ho voglia di scrivere o che mi è venuta in mente una cosa che vale la pena raccontare. In questo caso è uno di quei casi lì. Già. Ed è anche, ve lo dico subito così vi preparate, uno di quei pezzi con pochissimi punti e tante frasi annodate insieme e che vanno ad incastrarsi l’una nell’altra come le bamboline russe col foulard in testa che una volta ci sembravano una figata incredibile e ce le avevamo tutti in casa, poi è arrivato il cartone animato di Gordian e abbiamo capito che le bamboline russe non è che fossero poi così pazzesche, insomma, non sparavano neanche i razzi dalle ginocchia, e ti voglio vedere il giorno che i mostri spaziali cercano di invadere la Terra se provi a respingerli con un robottone di sessanta metri o con una cazzo di bambolina russa a forma di Barbapapà. Ecco, per capirci, è uno di quei post lì, perciò se siete di quelli che la lingua italiana va rispettata e la punteggiatura e l’ortografia e le coordinate e le subordinate e poi non sei mica Joyce ma manco Paolonori potete anche saltare al post successivo, che però finora non l’ho neanche scritto, che ultimamente quando scrivo lo faccio perché mi è successo qualcosa che mi ha scrollato abbastanza da farmi scivolare di dosso la coperta, oppure per una ragione qualsiasi, tipo che mi annoio, che ho voglia di scrivere o che mi è venuta in mente una cosa che vale la pena raccontare, ma questo l’ho già scritto all’inizio e non posso permettermi un post circolare, sennò diventa come l’ultimo film dei fratelli Coen e dovrei suonarvi un pezzo folk e io la chitarra non la studio da un pacco di tempo, che per me la chitarra è una cosa che prendo in mano quando devo tirarmi fuori da una delusione sentimentale, di solito funziona così, e la studio e mi applico finché sono triste, poi smetto di essere triste e smetto anche di studiare la chitarra, che io per le cose in cui bisogna applicarsi tutti i giorni sono proprio negato. Quindi adesso non lo so se è il caso di tirare fuori la chitarra o no, non l’ho ancora capito, e per il momento scrivo e basta, poi magari mi metterò su un film, ma non uno di quelli tristi, che va bene non provare delusioni sentimentali, ma andare a rimestare la merda col bacchetto non mi sembra il caso. Andare a rimestare la merda col bacchetto è una frase che diceva sempre Marzia, e mi piaceva un sacco, che a me le cose un po’ triviali certe volte fanno ridere. C’erano diverse cose di lei che mi piacevano e che mi mancano anche un po’, a distanza di un anno e passa, e dopo sette anni credo sia anche normale, e credo che sia un vero peccato che una relazione così lunga non sia diventata una buona amicizia, si sia semplicemente affievolita fino a sparire, perché alla fine mi sento come se avessi buttato via un sacco di tempo senza mettere via niente, anche se il tempo trascorso insieme mi ha cambiato e arricchito e adesso per esempio so fare il gallo pinto e adoro Chavela Vargas e chissà quante piccole cose mi porto dietro del tempo che abbiamo trascorso insieme, e non parlo della raccolta dei Litfiba che mi è rimasta nei cidi, che quella non so come ci sia finita e mi fa pure cagare, e oltretutto io non trovo più Achtung Baby degli U2, e mi pare che semmai nel cambio ci ho perso. Comunque alla fine non siamo rimasti amici, siamo tornati i due estranei che eravamo prima di incontrarci, e non mi sto lamentando, che se volessi investire altro tempo su quella persona magari proverei a chiamarla, e invece sticazzi, si vede che mi sta bene così. Non c’è rancore in questo ragionamento eh? Che poi uno lo legge e pensa che, è solo che stavo riflettendo su come i rapporti prendono delle curve inaspettate ed escono di strada e non sai se il loro destino sarà sfrantarsi contro un pioppo o scoprire una strada nuova e più interessante, e stavo pensando alle amicizie che certe volte nascono fra due estranei e crescono e altre che sono il risultato di un sentimento più forte che si è esaurito, come due ascensori che si incontrano a metà di un edificio e uno sale e l’altro scende, ma a parte quello sono due ascensori, che razza di associazione di idee mi fai fare, meglio se continuavo a parlare della chitarra. È che poi uno lo legge e pensa che forse volevo dire qualcosa e non trovo le parole, che è anche vero, che l’altra sera ho fatto degli esercizi sull’empatia che mi hanno fatto tornare a casa che non avevo neanche più un pensiero al suo posto, e da allora sto rimuginando sul senso di un bel po’ di cose e sui rapporti umani e sulle persone, su alcune più che su altre, e credo di essere una persona molto fortunata e molto sfortunata e sono contento e non lo sono e adesso prendo la chitarra ma non mi metto a studiarla, resto lì e la guardo e poi la metto via e continuo a guardarla, che magari imparo a suonarla per osmosi, come fai a sapere che non funziona, ci hai mai provato, ci ha mai provato qualcuno, hai letto delle pubblicazioni, tipo? No? E allora? Magari basta mettersi lì e farlo per tanto tempo e alla fine la chitarra si stressa di averti sempre lì davanti che la fissi e si arrende e si fa imparare senza esercizi, basta che ti levi dalle balle. Con le persone a volte funziona, ci diventi amico perché non ne puoi più, e passa il tempo e non ti senti amico di quella persona più di quanto ti ci sentivi all’inizio, ma hai capito che è una brava persona e ti fidi e quando questa persona ti dice che è bello averti come amico e ti confida tutti i suoi cazzi e ti chiede aiuto dentro di te pensi si vabbè ma sticazzi, però alla fine ti comporti come faresti col tuo migliore amico, perché sono cose che hai e darle agli altri non ti fa mica male. Però i miei amici quelli veri non li vedo da un po’ e la cosa mi pesa, soprattutto stasera che mi sono messo a scrivere perché mi è successo qualcosa che mi ha scrollato abbastanza da farmi scivolare di dosso la coperta, oppure per una ragione qualsiasi, tipo che mi annoiavo, che avevo voglia di scrivere o che mi è venuta in mente una cosa che valeva la pena raccontare.
Poi penso ai miei lettori recenti, quelli che hanno cominciato a gironzolare qui sopra da poco e hanno capito più o meno come funziona e da qualche giorno girano e annusano e sentono che sta arrivando il post introspettivo serio mascherato da post minchione, e guardano l’ora e dicono vedrai che adesso arriva, e finalmente se lo trovano davanti e lo leggono e ghignano perché lo sapevano che finiva così, e io lo sapevo che loro lo sapevano, e qua posso darvi l’idea di stare parlando a qualcuno in particolare, ma giuro che (non) è così, è che quando ho delle cose dentro che non trovano posto devo mettermi lì e scriverle come sono, senza una forma, che poi le rileggo e forse riesco a trovargliene una, oppure no, le tengo così, confuse e spettinate, ma non importa, ci sono cose che non ci crederesti che sono importanti, che a vederle da fuori non gli avresti dato due lire, ma alla fine sono quelle che ti segnano e ti cambiano perché nella loro banalità e confusione e spettinatezza sono quelle cose che magari cercavi da tutta la vita, perché in mezzo a tanti aggeggi che ti sono passati per le mani e hai adattato per farli funzionare può capitarti di trovarlo per terra quel robo che ti fa funzionare tutto il casino là dentro, quello che non ci devi toccare niente, va bene così, e scusate, vado un attimo a prendere la chitarra.