La cosa brutta di viaggiare fino in America è che fra te e l’America ci sono veramente un botto di chilometri, e hai voglia a portarti dietro i giochi e i libri, fra quel che passi in treno e quel che aspetti in aeroporto e quel che te lo meni in volo ti ci vuole tutto un giorno, che non riesci a riempire neanche finendo bomberman e guardando l’inizio di Thor perché il resto è veramente una vaccata, o sarà che dopo il Signore Degli Anelli quando vedo un elmo di plastica penso subito a una roba per bambini, tipo la versione medievale dei teletubbies.

Però almeno ci arrivi con lo stomaco pieno, dici. Ti dirò, fra quel che ti danno a Londra e quello che passano sull’aereo mangi delle robe che come abbiano fatto gli inglesi a colonizzare mezzo mondo e non aver mai imparato a cucinare decentemente è un bel mistero, però anche quello aiuta a far passare mezz’ora, via. Chiaro che appena arrivo mi sbrano un doppio cheeseburger, che a confronto dei tortini di carne e verdure cotte è come farsi invitare a cena da Carlin Petrini.

Poi arrivi e c’è da passare l’immigrazione, che sono dei tizi in divisa schierati in quattro file, e per ognuna c’è da superare una prova difficilissima. La prima si chiama informescion, ti chiedono il passaporto, vogliono sapere dove abiti, quanto ci stai, di che colore sono le pareti del salotto e quale marca di maionese usa il padrone di casa. In realtà l’unica risposta che interessa al tizio è l’ultima, la barriera doganale è solo la copertura che usa questa famosa marca di condimenti per le sue indagini di mercato.

La seconda prova è vera e spaventosa, devi dimostrare di essere all’altezza degli standard americani mangiando un bagagliaio di patatine fritte condite con la maionese di prima, poi un vagone di anelli di cipolla fritti nell’olio delle patatine e solo alla fine mandare giù tutto con una cocacola però dietetica, sennò il colesterolo.

La terza prova è di cultura generale, devi farti interrogare da una maestra del bronx con l’hobby del pugilato su una materia a scelta. A scelta sua, però. Un turista friulano davanti a me si è sentito domandare come si chiamava la zia di George Washington e dove seppellì il suo cane quando morì avvelenato e che cosa lo avvelenò e su chi caddero i sospetti e quale fu l’origine dell’antipatia con questa persona. Purtroppo non si ricordava il secondo nome del vicino di casa e la maestra coi guantoni l’ha steso con un diretto in faccia che ho il livido anch’io che ero distante.

La quarta prova devi di nuovo mostrare il passaporto, ma non te lo dicono, stanno lì e ti guardano in silenzio con la faccia sadica e tu chissà cosa pensi che succeda.

Poi esci, e attraversi il Queens di notte e non c’è tanta differenza con una qualunque periferia europea fino a quando sei sul Queensboro Bridge, e c’è Manhattan davanti, ed è tutta illuminata.

(continua)

Ochei, ho pagato l’Esta, che sarebbe quella tassa che devi pagare se vuoi andare negli Stati Uniti per turismo, e insieme ho compilato il breve questionario che serve ai funzionari della dogana per inquadrarti meglio: “Vuoi venire negli Stati Uniti per commettere genocidi?”, “Sei appestato?”, “Hai intenzione di restare qui a fare un cazzo a spese dello stato?”, se rispondi no a tutte le domande puoi pagare quattordici dollari, ma ti avvisano che una volta arrivato là potranno decidere comunque di rispedirti a casa tua, metti che ti presenti alla dogana dell’aeroporto con una maglietta raffigurante la mamma del doganiere con un grosso vibratore fucsia infilato in gola. Non lo so dove l’hai comprata, ma hai l’aspetto di uno che potrebbe avercela una maglietta così, e metti che la stai indossando proprio il giorno del tuo arrivo al JFK. Potresti incorrere in fastidiosi grattacapi.

Io una maglietta così non ce l’ho, credo che ti lascerò sbrigare tutte quelle noiose formalità che richiedono le braghe calate e un guanto in lattice, e mi fionderò nella caotica vita della metropoli.

A New York voglio vedere:
* Il Flatiron Building * La casa di Martin Mystère * Il Palazzo della Marvel * Quello della DC * La panchina di Manhattan * Il ristorante dove pranza sempre Kingpin * La caserma dei vigili del fuoco di Ghostbusters * Il MOMA * La Statua Della Libertà * Il museo di Ellis Island * Il luna park fantasma di Coney Island * La portaerei, che va bene contro la guerra, ma un bestione così chi l’ha mai visto * Il graffito di Joe Strummer * La sede di Tumblr * Il Palazzo Di Vetro * Il Metropolitan Museum * Il più grande negozio di fumetti della città..

Insomma, per me New York è prima di tutto cinema, fumetti e cazzate, perciò voglio dedicare la mia visita a queste tre cose prima di tutto il resto. Poi certo, i musei, Les Demoiselles d’Avignon, dev’esserci anche un grosso Renoir in giro per la città, se non ricordo male. E a dirla tutta una sera suona pure B.B. King, e vuoi saltarti il re del blues? Però voglio fare il turista nerd nella città più nerd che conosco.
Accetto anche suggerimenti.

Insomma che ho fatto i biglietti, ad agosto si va a New York. Avevo pensato, dato che c’era il tempo, di vedere prima la vecchia York, ma mi hanno detto che non importa, tanto il sequel non ha nessun collegamento col primo episodio.

Io di New York so, per averlo imparato da Frank Sinatra, che è la città che non dorme mai, e che se puoi farla lì puoi farla dappertutto. Se dovessi collegare le due cose penserei che a New York i cessi sono così sporchi che la puzza ti tiene sveglio tutta la notte, spero di sbagliarmi, in ogni caso per sicurezza mi porterò il vasino.
Ogni altra informazione sulla città mi arriva dal cinema, quindi immagino di andare in una città piena di psicopatici che vogliono farla saltare per aria, di mostri che si aggirano fra i palazzi calpestando taxi (ma io li frego e giro in metro!), di aerei che ti portano direttamente in ufficio, insomma un gran casino. Spero che quindici giorni mi basteranno per vedere tutto e tornare vivo, ma devono bastarmi, il volo costa come due vacanze in Portogallo, non so quando potrò permettermi di tornarci.

(continua)

Anni fa, grazie al supporto economico della pro loco, fondai con i miei amici una specie di giornale di una sola pagina, ripiegato in tre come le lettere che la banca ti manda per farti sapere che ti chiuderà il conto dato che sei in rosso di svariati miliardi e ha pure il sospetto che sia stato tu a scassinarle il bancomat la settimana scorsa. Era il precursore del Foglio di Ferrara, e se lo avessi saputo col cazzo che partecipavo, ma allora eravamo puri, io e i miei amici, e ci mettemmo il cuore e l'impegno.
Si chiamava Ronco Scrive, quasi come il paese in cui abitavamo; ci occupavamo di cose di nessuna importanza, racconti, ricette, pensieri sparsi.. Io curavo una rubrica di consigli femminili che si chiamava I Consigli Di Renza, e mi firmavo invertendo nome e cognome: Pablo Renza. Dispensavo informazioni utili, tipo cosa fare se un cinghiale ti viene a vivere in bagno, o come nascondere il cadavere di tuo marito dopo che l'hai ucciso col frullatore, cose che possono sempre tornare utili a una casalinga di un piccolo paese.

Il giornale ebbe vita breve, da una parte il direttivo della pro loco voleva che scrivessimo quanto era bella la sfilata di natale cui partecipavano cinque persone compresi i tre membri dell'associazione più la moglie e il figlio di uno dei tre, dall'altra si era manifestata l'ostilità di alcuni lettori, che si sentivano vituperati dai nostri articoli.
E quando dico alcuni intendo dire uno, una signora che si chiamava Renza per davvero, e che temeva di venire scambiata per l'autrice delle mie scempiaggini.
Cosa volete che vi dica, in un piccolo paese ci sono così poche opportunità per svagarsi che ognuno si arrangia come può.
Mi telefonò un giorno per manifestarmi tutto il suo disappunto, e mi diffidò a firmarmi ancora col suo nome. Così feci, non mi andava di dare un dispiacere a una lettrice affezionata, e poi le sue ragioni erano talmente evidenti che come facevo a rifiutare? Scrissi subito un pezzo che venne pubblicato nel numero successivo, in cui le chiedevo scusa, ma non intendevo cambiare nome, e sai che c'è? Vaffanculo.

Chiudemmo comunque dopo un mese, ma almeno mi ero tolto una soddisfazione.

L'ho incontrata per strada poco fa, la vera Renza, col colbacco e gli occhiali da sole rotondi, sembrava Yoko Ono. E non mi ha salutato. Evidentemente mi serba ancora rancore per quell'episodio, ma bisogna capirla, sono passati tanti anni, ma il paese non ha migliorato la propria offerta in fatto di svaghi.

Ho pensato di omaggiarla, Renza, e contemporaneamente di mostrarvi un esempio della rubrica che curavo allora. Faceva più o meno così:

 

I consigli di Renza – Cosa fare se incontrate Yoko Ono per strada.

Care amiche, con l'avvicinarsi delle feste natalizie è probabile che alcune di voi decideranno di partire per un bel viaggio, e cosa c'è di meglio di New York, la città che non dorme mai, con le sue vetrine sempre luccicanti?
Le Maldive, per esempio, ma metti che ci siete già state.
Ma New York non è solo la città dello shopping, qui ci vivono molte delle celebrità che vedete sempre sui giornali più ricchi di questo, quelli che si possono permettere anche le foto!

Pensate, siete lì che camminate sulla Quinta Strada, il naso in su ad ammirare i grattacieli, e tutto ad un tratto vi trovate faccia a faccia con Yoko Ono! Non sarebbe incredibile?
Dovesse capitarvi non potete assolutamente rischiare di fare brutte figure, dovete cogliere l'occasione per lasciare il segno!

Innanzitutto cercate di assicurarvi che sia davvero lei: se ha gli occhiali scuri e un buffo cappello potete stare tranquilli, ma se indossa una camicia coreana e ha i capelli a spazzola correte via! È Kim Jong Il, il dittatore nordcoreano!

Una volta rassicurati sull'identità della signora potete fare le presentazioni. Occhio alla pronuncia, anche se l'aspetto potrebbe ingannarvi il suo nome si pronuncia con la enne, non con la emme. E per carità, se vi chiamate Chapman usate il cognome di vostro marito!

A questo punto, se avete giocato bene le vostre carte, la signora Ono si sarà fermata volentieri a scambiare due chiacchiere con voi: ditele che avete quasi tutti i suoi dischi, evitate di esagerare mettendoci anche Starpeace, capirebbe che la state prendendo per il culo.

Una volta ottenuta la sua fiducia siete pronte, tirate fuori una copia di quel capolavoro di buon gusto che è Season Of Glass e chiedetele di autografarvelo proprio sopra la lente insanguinata di John, quindi salutatela calorosamente e fate quello che tutti si aspettano dal 1980 ad oggi: andate ad aspettarla sotto casa con un revolver Charter Arms 38 Special e quattro proiettili.