Riassunto delle puntate precedenti:

Introduzione
Bruno Lauzi – Garibaldi Blues
Peggy Lee – Why Don’t You Do Right?
Tony Bennett & Lady Gaga – The Lady Is A Tramp
Joni Mitchell – Chelsea Morning
Neil Young – Cortez The Killer
Banda El Recodo – El Corrido De Matazlan
Los Cuates de Sinaloa – Negro Y Azul: The Ballad Of Heisenberg
Los Tucanes de Tijuana – El Chapo Guzman
Cholo Valderrama – Llanero si soy llanero
Celia Cruz – La Vida Es Un Carnaval
Duke Ellington – The Mooche
Renato Rascel – Romantica
Igor Stravinskij – Pulcinella Orchestral Suite – Part I/III
David Bowie – Pablo Picasso
Prince – Cream
Wu-Tang Clan – C.R.E.A.M.
Frances Yip – Green Is The Mountain
VIXX – Error
Ili Ili Tulong Anay – Mvibe
Mahani Teave & Viviana Guzman – Flight Of The Bumblebee
Martina Trchová – U Baru
ZAZ – Qué Vendrá
Incubus – Megalomaniac
Cartola – Alvorada
Yes – The Revealing Science of God (Dance of the Dawn)
No – Meet Me After Dark
Moby – My Weakness
Waka Flocka Flame feat. Drake – Round Of Applause
Sugarcubes – Hit

Avevo chiuso la scorsa puntata promettendovi che di qui in avanti la mia rubrica di musica giramondo si sarebbe dedicata solo al mio grande e perduto amore Bjork, tanto oramai le visite al Pablog si sono attestate sulle tre alla settimana, non rischio certo un’emorragia di lettori. Solo che per scegliere quali canzoni proporre avrei dovuto ascoltare un sacco di roba di Bjork, e a casa quando metto Bjork troppo a lungo rischio il divorzio, quindi la scelta è diventata fra la mia arte e il mio matrimonio, quindi fra scrivere roba mediamente divertente a scrivere roba nera e incazzata. È per questo che oggi parlerò di un’altra band, collegata agli Sugarcubes per avere partecipato entrambi al Roskilde Festival, in Danimarca, nel 1988.

Del Roskilde Festival devo dire qualcosa. Intanto che è considerato il più vecchio festival musicale europeo: dal 1971 ha offerto un palco a una straordinaria lista di musicisti, dai nomi che conosci solo se sei un grande appassionato di jazz scandinavo fino a quelli che spaccano le classifiche ogni volta che fanno uscire un singolo. Per dire, l’edizione del 2022 ha visto sfilare Robert Plant e Alison Krauss, ma anche Dua Lipa e i Fontaines D.C., attirando nella fangazza in cui è solito sguazzare il pubblico sia i trentenni sia i sessantenni.
E poi devo dire che ci sono i nudisti. Lungo il perimetro dell’area campeggio si corre ogni anno la Roskilde Naked Run, una maratona che, come dice il titolo, punta più sull’aerodinamicità dei concorrenti che sulla loro preparazione atletica, si corre tutti nudi, giovani, anziani, sporchi di fango e non. Io credevo che in Danimarca facesse freddino d’estate, ma evidentemente mi sbagliavo.

L’edizione del 1988 vide esibirsi, fra i nomi più popolari, i Toto, Leonard Cohen, Sting e i Pogues. Al festival però, non alla maratona dei nudisti, ed è un peccato, perché esiste uno studio che dimostra come le orecchie di Shane Macgowan quando corre producano un suono che si avvicina molto al frullare di ali del dodo, un uccellone ormai estinto. C’era anche Ali Farka Touré, a cui ero tentato di dedicare questa puntata, ma alla fine ho deciso di buttarmi su suoni più caraibici, per cui oggi vi parlerò dei Kassav’.

Shane MacGowan of The Pogues, 1980s | The pogues, Irish punk, Irish music
Non una delle foto migliori di Shane Macgowan, oppure sì

C’è un apostrofo dopo la v, ma non è un errore di battitura. La band prende il nome dalla cassava, la pianta che noi conosciamo come manioca, e più precisamente da un piatto tipico delle Antille, l’area dell’America Centrale che comprende Cuba, la Giamaica, Haiti e parecchie isole minori. Nel 1979 sull’isola di Guadalupa, azzarderei intorno a mezzogiorno, è nata la band Kassav’, formata dal bassista Pierre-Edouard Décimus e dal cantante e chitarrista Jacob Desvarieux, un personaggio cresciuto fra la Francia, il Senegal e Guadalupa, dove si è caricato di ritmi che poi ha dovuto convogliare da qualche parte sennò non riusciva a tenere i piedi fermi e la gente lo trovava oltremodo molesto. A Parigi suonava l’heavy metal, e quando i due artisti si incontrarono, e Décimus chiese a Desvarieux se voleva aiutarlo a mettere su una band, quest’ultimo pensò che si trattasse di un altro progetto di roba che picchia, e accettò con gioia.

La prima volta che si ritrovarono in sala prove, Desvarieux arrivò con la maglietta degli Scorpions, perché nel ’79 gli Iron Maiden avevano pubblicato solo un EP, e anche Eddie, lo zombi protagonista di tutte le loro copertine, sarebbe arrivato solo l’anno seguente. Décimus, che veniva da un mondo jazz, funk e sale da ballo, si presentò con un abito bianco, papillon nero e gilet dorato. I due si guardarono e si domandarono entrambi se per caso non stessero facendo una cazzata.

Non la stavano facendo: quell’incontro li portò a creare un nuovo genere musicale, lo zouk, un mischione di diversi ritmi locali, che in breve ottenne un successo pazzesco fra gli espatriati creoli in Europa, e non li fece diventare una band popolare, di più, li trasformò in un simbolo identitario. Se eri creolo e vivevi fuori dal tuo paese ascoltavi lo zouk, e se ascoltavi lo zouk ascoltavi i Kassav’.

Successe un po’ la stessa cosa negli Stati Uniti fra gli immigrati italiani: ai matrimoni napoletani suonavano la tarantella, e a quelli lombardi oh quant’è bella l’uva fogarina, e dopo un po’ ai matrimoni lombardi non ci andava più nessuno perché ci si rompeva il cazzo, si ritrovavano gli sposi coi loro parenti in questi saloni vuoti, e intanto nel palazzo di fronte era tutta una festa, casino, gente che gridava, petardi. Era di un triste che le coppie lombarde smisero di sposarsi fra di loro, e iniziarono a cercarsi i coniugi fra le famiglie del meridione per potersi imbucare alle loro feste. Fu proprio dall’unione delle tradizioni lombarde con quelle napoletane che, fra le altre cose, nacque la pizza col gorgonzola.

Nel 1983 i Kassav’ pubblicarono il singolo Zouk La Se Sel Medikamen Non Ni (Zouk è la sola medicina che abbiamo), fu il primo disco antillano a vendere 100.000 copie, impresa resa ancora più memorabile dal fatto che allora non esistevano i no-vax ad appropriarsi del brano per una delle loro assurde campagne.

Con gli anni produssero più di 50 album, e nel 2019 celebrarono il loro quarantesimo compleanno.
Oggi Pierre-Edouard Décimus è ancora in giro e continua a produrre musica, mentre il suo compagno Jacob Desvarieux se l’è portato via il covid l’anno scorso, celebrato da tutto il mondo musicale come uno dei grandi.

Personalmente ho un rapporto conflittuale con la musica da ballo, vorrei muovermi a tempo e somigliare a una sinuosa baiadera, emettere energia come una lampadina e ispirare le persone intorno a me ad alzarsi dalle loro sedie e abbandonarsi al ritmo, fino a generare tutti insieme un unico grande organismo gioioso che farà finire tutte le guerre e porterà il genere umano verso una nuova era fatta di amore e rispetto, ma quando comincio a muovermi qualcuno pensa che abbia le convulsioni o un attacco cardiaco e chiama aiuto, poi scoprono che stavo solo ballando e mi accusano di avere creato un falso allarme e qualcuno mi mena pure.

Anni fa andavo a ballare in un locale genovese che si chiamava Milk Club e faceva girare solo pezzi rock e pop, una roba divertentissima. Eravamo sempre io, il Dottor Hardla e Panzon, che sono altri due bloggers di cui potreste aver sentito parlare, dato che ogni tanto vengono invitati in televisione a parlare della loro prostata.
Ci andavamo perché eravamo tutti e tre singles, e in quel posto bazzicavano parecchie studentesse universitarie, e sognavamo di finire la serata avvinghiati a qualche poetessa venticinquenne fuoricorso tedesca in cerca di emozioni. In realtà ci sarebbe andata bene anche una cassiera di supermercato bresciana annoiata dalla vita, ma se devi sognare tanto vale sognare in grande.

Arrivavamo al locale sul tardi, dopo una serata di vizi come i veri bohemiens, scotch e sigaro e seghe mentali, e quando prendevamo possesso della pista la gente si scostava per lasciarci passare. Perché Panzon era alto uno e ottanta, era grosso e pesante e a quell’ora la sua postura era già pesantemente minata da tutto l’Oban che si era trangugiato, e beccheggiava come una portacontainer in mezzo alla bufera. Avevamo i nostri pezzi preferiti, che cantavamo forte credendoci di più, e per qualche strana associazione mentale ci eravamo convinti che il modo migliore per esprimere la carica sessuale di cui eravamo colmi fosse roteare sul posto come dei dervisci fuori forma. Inutile dire che né poetesse tedesche né cassiere bresciane furono mai irretite dal nostro fascino, piuttosto quando arrivavamo noi il dj capiva che la serata era finita, metteva gli ultimi pezzi e ci mandava a dormire.

(continua)

“Ho visto che il 18 settembre c’è la Notte Bianca a Roma, ci andiamo?”, mi propone Lorenzo da una panchina dei giardinetti di Busalla, mentre intorno a noi risuonano le note dell’Orchestra Spettacolo Mariateresa Villabuona Fu Dimitri. Sono i festeggiamenti del Nome di Maria, ogni anno la seconda settimana di settembre i Busallesi si interrogano su quale possa mai essere il nome di Maria, forse Giovanna? Forse Lucrezia? E mentre se lo chiedono fanno festa, che per i Busallesi sedersi a un tavolo e pensare è noioso, molto meglio scendere in strada e far cagnara.

“Non so”, gli rispondo. “Sono senza soldi, sennò stasera invece che al Nome di Maria me ne andavo al Nome di un locale qualsiasi di Genova e mi prendevo la vecchia ciucca del venerdì sera, che è un’abitudine che ho un po’ perso.”

“Se fossi andato al Nome di un altro locale di Genova non avresti incontrato noi e avresti perso questa fantastica opportunità di andare a Roma alla Notte Bianca sabato prossimo!”, mi risponde Pino.

Pino è un amico di Lorenzo, il mio amico Lentese che ho incontrato ieri sera a Busalla. Ci conosciamo da poco anche con lui, non è un tipo cattivo, dice che se conoscessi sua zia cambierei idea.

“Sai cos’è? Che la Notte Bianca mi piace poco, ho delle esperienze strane riguardo quella notte lì, non è che mi vada tanto di parteciparvi”.

“Racconta”, mi dice Pino, “Racconta”, mi dice anche Lorenzo. Racconto.

L’anno scorso si tenne per la prima volta a Roma la Notte Bianca, spettacoli, negozi, musei aperti tutta la notte, mezzi pubblici a profusione, una grande iniziativa da non perdere. Solo che Roma non è Ronco, o Lento, che se fanno spettacoli tutta la notte e tengono aperti i negozi le strade si riempiono di un migliaio di persone e c’è vita e son tutti contenti e incontri gli amici e andate a bere e ci si passa tutti una bella serata. A Roma se fai una cosa così intasi la città, soprattutto se poi si mette a piovere, e soprattutto se da qualche parte un albero cade sull’unico traliccio che rifornisce tutta la penisola, e l’intero Paese resta al buio.

Io quella notte ero al Milk, che inaugurava la stagione, e mi stavo divertendo un casino. Era un periodo strano quello, avevo da poco ripreso i contatti con una ragazza, stavamo cercando di riprendere un certo discorso, era molto delicato, e proprio in quei giorni lì era andata a Roma per lavoro, e non l’avevo più sentita. Era viva? Era morta? Chissà.

“Non vi sto a raccontare tutto il preambolo sennò arriviamo a domenica e ci perdiamo i fuochi, che sarebbe anche una bella cosa, visto che i fuochi di Busalla fanno pena”, dico loro, e proseguo col mio racconto. Lorenzo e Pino sono interessati, la panchina è confortevole, l’Orchestra Spettacolo Mariateresa Villabuona Fu Dimitri attacca il suo cavallo di battaglia, La Cesarina, e i vecchietti fan la ola.

Stavo ballando su un vecchio pezzo di Iggy Pop quando accadde. La musica si fermò di colpo, e il locale si illuminò delle luci sinistre dei riflettori di emergenza. “Già finita la serata?”, si chiedeva Andrea, “Già saltato l’impianto?”, mi chiedevo io, “Che chiusure di merda, era meglio il digei dell’anno scorso!”, borbottava un habitué del locale.

Visto che la musica non accennava a ripartire dichiarammo chiusa la serata Milk e uscimmo in cerca di nuove avventure, e fu allora che si potè avere chiara l’entità dei danni. Tutta la città era al buio, gli amplificatori del Milk avevano mandato in corto l’impianto elettrico dell’intera Genova.

“Ma no, è Pericu che non ha pagato la bolletta!”, mi spiegò Andrea, sempre più informato di me su queste cose cittadine.

Poco più tardi, seduti su un muretto a guardare uno dei più bei cieli stellati che mi ricordi, riflettevamo sui grandi misteri della vita.

“La morte e l’aldilà?”, mi chiede Lorenzo. “La figa”, gli risponde Pino che ha già capito.

“Niente, non c’è molto altro da raccontare, la luce è tornata il giorno dopo, la ragazza in questione ancora dopo, il Milk ha ripreso a funzionare regolarmente..”

“E con la ragazza com’è andata a finire?”, mi chiede Pino.

“E’ andata a finire”, gli rispondo. “Probabilmente il giro di boa l’abbiamo fatto chissà quando, magari in una parola detta al telefono, uno di quei momenti che passano del tutto inosservati, ma mi piace credere che sia stata quella sera lì, la sera del black out, ad avere spento la luce su noi due. Da lì in avanti stavamo già scrivendo un’altra pagina, eravamo già i protagonisti di due racconti diversi”.

“Sei bravo a raccontare le storie”, mi dice Lorenzo. “Dammi un altro bicchiere di sangria e vedi cosa ti invento!”, gli rispondo, e abbandoniamo la panchina per tornare al bar del Diplodoco, mentre dietro di noi, l’Orchestra Spettacolo Mariateresa Villabuona Fu Dimitri attacca la Polka della Gigia.