E’ sabato, fa troppo freddo per uscire a piedi, ma di stare in casa non mi va, così prendo la macchina e vado a guardare qualche faccia. Non esco mai così, senza meta, e forse è per questo che la realtà mi appare diversa da quella che vedo ogni giorno andando al lavoro. In qualche modo mi sembra più reale, ma non per questo migliore: dal mio punti di vista privilegiato scivolo accanto alle desolazioni delle persone, e ne conto i segni che lasciano sulle loro facce.

Ecco Carmine, ballonzola la pancia giù per la strada delle cascine, giacca aperta e sguardo di chi non sa dove si trovi; da quando ha perso suo fratello passa le giornate così, camminando per strada. Chi non lo conosce non ci crederebbe che una volta è stato un campione di biliardo. Quando entravi nella sala che gestiva in paese ti saltavano agli occhi le coppe nella bacheca, le sue foto accanto a qualche attore di teatro che si spingeva fin lì dopo lo spettacolo per fare due tiri.
La disperazione l’ha investito con una forza tale da strappargli di dosso perfino l’andatura elegante.

Qualche metro più in là incrocio la pazza. Non conosco il suo vero nome, ma per come la vedo strepitare di tanto in tanto, lanciando maledizioni contro gli automobilisti, credo che il nome che ho scelto per lei sia buono quanto il suo. Lei gira tutto il giorno col cane, non parla con nessuno, se le rivolgi la parola ti risponde un po’ brusca, ma educata. L’importante è che non la contraddici mai, altrimenti attacca a strillare e ti insulta. Non importa di cosa stiate discutendo, qualunque cosa sia ha ragione lei e basta. E basta! Come sia diventata così non lo so, sono diversi anni che la conosco, e già da subito mi ha fatto capire che era meglio starle alla larga.
Una mattina tornavo da scuola con mio cugino, facevamo le medie, e lei era davanti a noi, l’aspetto di una qualunque studentessa del liceo, forse un po’ più grande, ma con qualcosa di indefinito che ci faceva pensare che fosse meglio starle alla larga. Eppure non indossava il cappello di Napoleone, nè parlava da sola; certo, gli occhiali da sole sotto quel cielo scuro non la facevano passare inosservata, o il modo in cui strattonava il cane, ma probabilmente sono particolari di cui mi accorgo solo ora che so quel che accadde.
Accadde che a un certo punto questa si voltò e cominciò a gridare che la stavamo seguendo, e che ridevamo di lei, e lei non si faceva prendere per il culo da nessuno, e adesso ce l’avrebbe fatta pagare.
Accadde che io e mio cugino non vedevamo l’ora di farci una bella litigata con una sconosciuta paranoica, quando sei un ragazzino delle medie impari molti più insulti di quanti ti riesca di usare, e ogni occasione di sfoggiarli è sempre accolta con gioia.
Accadde che questa si mise a fare voci, e che da chissà dove saltò fuori una sua amica grossa e brutta, che oggi assocerei all’istante col Mickey Rourke di The Wrestler, ma allora non potevo, e ciò mi confuse, e con la confusione addosso e le manone di Mickey Rourke che si avvicinavano strette a pugno decisi che era ora di pranzo e mia mamma si sarebbe arrabbiata se fossi arrivato in ritardo, e si vede che mia zia doveva avere lo stesso pessimo carattere, perché anche mio cugino desistette dallo scontro e tutti e due ci avviammo sulla via di casa a passo svelto. Le due isteriche non si arresero, e ci scortarono fin sotto casa mia aggiornando il nostro vocabolario di parolacce con termini che, ripetuti a scuola, ci avrebbero fatto guadagnare la stima dei compagni.
Oggi la incontro spesso, lei non sa di avere di fronte il ragazzino di allora, o forse se ne frega, ha la faccia sempre incazzata, indossa ancora degli occhiali da sole e strattona sempre il suo povero vecchissimo cane. Sempre che sia un altro cane, altrimenti avrebbe le sue ottime ragioni per non voler camminare. A lei è morto un fidanzato, diversi anni fa, l’unico al mondo in grado di starle vicino. Da allora non l’ho mai più vista insieme a nessuno.

Poi c’è una signora, completamente rincoglionita, che una volta si è sposata lo scemo del paese, che le ha dato due bambine prima di farsi venire un infarto e lasciarla da sola. Lei almeno non mostra di essersi arresa alla disperazione, sembrava la testimonial della legge Basaglia anche prima.

Scendo dalla macchina e guardo la mia faccia nel vetro. Coi capelli così corti somiglio a un militare in licenza. Ho ancora in testa le vittime di poco prima, penso che tutti riceviamo la nostra dose di disperazione, e che qualcuno ne resta travolto, ma gli altri tornano a casa e ne fanno tesoro.
"No, nessuna licenza", penso tornando alla mia vita fin troppo tranquilla, "preferisco considerarmi in congedo".