Punxsutawney Phil può dire quello che gli pare, un inverno così mite non lo vivevo da anni. Sarà il discorso dei tedeschi che arrivano da Düsseldorf e vanno al mare a gennaio, ma oggi non l’ho seguita la diretta dalla città della marmotta (scusate la rima, non sono diventato improvvisamente un poeta, nei loro confronti mantengo la linea delle Storie di Ieri), l’unica storia interessante sul tizio che cerca la propria ombra l’ha scritta James Matthew Barrie un secolo fa.

Mi sono preparato un bel pranzo, invece, con primo e secondo e un bicchiere di bianco che tenevo in frigo, e ho ascoltato l’ultimo disco di Jamiroquai.

Perché ad un certo punto il freddo è solo freddo, ti metti un maglione più pesante e aspetti che passi. Credo sia quello il punto, aspettare che passi.

Il film della marmotta ci gioca con questo concetto, ti mostra un uomo cristallizzato in una realtà che non riesce ad accettare, ma dalla quale non riesce a tirarsi fuori in nessun modo. Per un po’ cerca di sfruttare la cosa a suo vantaggio, ma sono piaceri effimeri che non gli lasciano niente, per quante banche rapini e donne conquisti si ritrova sempre allo stesso punto la mattina dopo, da solo nel letto della sua camera d’albergo.

Quando non riesce più a sopportare la situazione prova ad uccidersi, ma la fuga non è mai la soluzione, i problemi bisogna affrontarli se si vuole ottenere qualcosa, così si lascia andare, investe su sé stesso: impara a scolpire il ghiaccio, a capire gli altri, a suonare il pianoforte. Diventa un uomo migliore, e alla fine la metamorfosi lo libera dalla gabbia in cui era finito e gli apre le porte al mondo. È una bella metafora del potere del tempo, della forza del cambiamento, e anche di certe situazioni che sto vivendo adesso, sospese come il paracadutista al primo salto, fra la voglia di buttarsi e la paura del vuoto.

Ho realizzato che il rancore non serve a niente, non fa che passare una mano di pittura verde acido su tutto quello che sta sotto, pensieri cattivi e bei ricordi, e li copre. Ma appena abbassi la guardia e smetti di masticarti la bile il dolore torna ad aggredirti e ti fa a pezzi, perché è sempre lì, come nuovo, ha ancora il cellophane.

Allora è meglio abbandonarsi e rassegnarsi al cambiamento, stare male quanto occorre, scoppiare a piangere mentre lavi i piatti, scendere fino in fondo, e quando lo raggiungi raccogliere un sasso, e conservarlo come portafortuna nella lenta risalita.

Ci vorrà del tempo, mi sveglierò mille volte con Sonny & Cher che cantano I got you babe, finirò coi piedi a mollo nella pozzanghera e dovrò sopportare le risate del venditore di assicurazioni, ma fa parte della sceneggiatura, gli ostacoli sono quelli che rendono il finale più gradevole.

Alla fine, nonostante tutto, avrò una casa mia, con una mensola in salotto, e un sasso su quella mensola, da prendere ogni tanto in mano e sorridere di tutto questo.

Buona festa della marmotta, Pablo.