Oggi, per vincere il tedio da coronavirus, ci eravamo ripromessi di andare alla casa nuova a pulire la cantina, per fare posto alla montagna di roba che non stiamo usando e dovremo trasferire di là. Purtroppo le nuove disposizioni da una parte, e il controllo serrato della vicina del terzo piano dall’altra, ci hanno obbligato a chiuderci in casa.

Il casino è che avevo già un appuntamento con quella signora di cui vi ho parlato la volta scorsa, per organizzare una rivolta, o un torneo di calcetto, vediamo cosa viene meglio, e se non posso uscire per lavorare non posso neanche per diventare un rivoluzionario. Peccato perché avevo già ordinato un bel basco rosso su Amazon.

Io però di sottomettermi alle nevrastenìe della vicina non ci sto. Specie di una che quando ti incontrava per strada, nei bei tempi andati di quando si poteva ancora uscire, si fermava a fissarti dall’altra parte della strada e borbottava cose. Sempre. Con chiunque. Si fermava e ti fissava e borbottava. Sembrava una 126 ingolfata.
E adesso una così deve decidere come passo il mio tempo libero? Nossignora!

Sono sceso sul pianerottolo delle scale, e da lì mi sono calato sul terrazzo della vicina di sotto, che si affaccia sulla parete opposta a quella dove guarda la spiona borbottona, poi ho scavalcato in quello del palazzo accanto. È un appartamento molto grande, in cui vive un’anziana vedova, bloccata sulla sedia a rotelle. Ogni giorno sua sorella le porta la spesa, le fa da mangiare e si prende cura di lei, ma in questi giorni la sua presenza è annunciata dagli strepiti di quella del terzo piano, che la scambia per una che fa le passeggiate e la minaccia di denuncia. Se non sento nessuno gridare significa che sono al sicuro. Così ho spaccato un vetro e sono entrato.

Si è messa a urlare la padrona di casa, e ha cercato di investirmi con la sedia a rotelle. siamo andati avanti a urli e colpi contro i mobili per qualche minuto, poi dalla parete si è sentita la voce stridula della mia vicina di sotto, la cui camera da letto confina con l’appartamento della vedova.

“Allora la piantiamo o no? Voglio dormire, io ho fatto la notte, non sono mica come voi che state a casa!”

“Ma vaffanculo, cretina!”, le ho urlato dall’altro lato del muro. Mi sta veramente sul cazzo la mia vicina di sotto.
“Ma che cazzo vuoi, idiota!”, ha aggiunto la vedova. Poi ci siamo guardati stupiti e la tensione fra noi si è sciolta in una bella risata. Prima di lasciarmi andare via mi ha anche offerto il caffè.

Dall’appartamento della vedova sono sceso al giardino dietro il palazzo, e da lì ho scavalcato su un sentiero che porta al fiume. A quel punto potevo andare dove volevo!

Per prima cosa sono corso sotto la finestra di quella del terzo piano e le ho gridato fortissimo “Suucaaa!!”.

Sono andato a fare i miei lavori nella casa nuova, e alle undici di sera mi sono recato in tutta libertà all’appuntamento con la banda dei ribelli, nella cantina della signora che per ragioni di privacy chiameremo signora Longari. Non si tratta ovviamente della signora Longari che abita sopra la farmacia, questa signora Longari sta due portoni dopo il fruttivendolo, secondo piano scala B, interno 5 e suo marito lavora in un supermercato della zona.

La cantina era asciutta e pulita, dalle pareti non si staccava l’intonaco e dal soffitto non pendevano ragnatele. C’erano scaffali colmi di bottiglie di vino e salsa di pomodoro, e altri che custodivano scatole ben chiuse ed etichettate. Ho pensato alla mia cantina e mi sono vergognato. Poi ho pensato alla mia cucina, e non ho saputo trovare nessuna differenza con la mia cantina.

Non ero il primo ad arrivare, c’era ovviamente suo marito, che per ragioni di privacy dovrei chiamare con un altro nome, ma che continuerò a chiamare Piero perché mi sta sul cazzo, tutte le volte che vado al suo supermercato scopro che ha cambiato posto ai preservativi: si diverte a vedere le facce imbarazzate dei clienti costretti a chiedere.

Oltre alla coppia dei padroni di casa spiccava la presenza della vigilessa Ippopotama. Non aveva senso, era la più agguerrita agente della Municipale, il braccio armato del Comune, era assurdo che proprio lei volesse destituire il sindaco!
La sorpresa mi si leggeva in faccia, e la signora Longari si è affrettata a darmi una spiegazione:

“Ippopotama è qui perché non ne può più dell’atteggiamento dispotico della giunta comunale. Il sindaco ha emanato dei provvedimenti assurdi con la scusa dell’emergenza sanitaria, lo abbiamo visto tutti. Ma quello che non sapevamo ancora, o perlomeno non ne eravamo certi fino a oggi, era che questi provvedimenti facevano parte di un piano per staccare Lento dal territorio italiano e farne uno stato indipendente.”

“Fico!”, ho esclamato. “Potremo anche stamparci la nostra moneta?”

“Cerca di capire”, mi ha detto il professor Hans Delbruck, un pensionato che incontravo sempre la domenica mattina dal panettiere, vestito molto elegante come se fosse appena tornato dalla messa; adesso stava seduto su una sedia pieghevole da giardino, con la schiena appoggiata a uno scaffale di conserve, e indossava una tuta da ginnastica azzurrina. “Un comune piccolo come il nostro non avrebbe nessuna possibilità di mantenere l’indipendenza, non ha un esercito, non ha una propria sussistenza economica. Il piano del sindaco è un altro, vuole affamarci tutti, portarci via ogni ricchezza e poi scappare col malloppo.”

Maledizione, perché non ci avevo pensato io? Avrei dovuto candidarmi alle elezioni comunali quand’era il momento.

Il proprietario di un’impresa edile, Mario Frattazzo, è intervenuto coi suoi modi spicci, e ha chiesto cosa volevamo fare. Gli ho dato un’occhiata, se ci fosse stato da sparare non potevamo contare su di lui: la sua pancia ne avrebbe fatto un pessimo soldato, e un ottimo bersaglio.

Ippopotama ha tirato fuori dal borsello di ordinanza un pacco di fogli, protetti da una sovracopertina trasparente, e li ha distribuiti ai presenti.
Erano delle email, una corrispondenza fra Pepito Sbazzeguti, il sindaco di Lento, e Vladimir Putin. Sbazzeguti aveva ottenuto l’appoggio della Russia per rovesciare la giunta comunale e prendere il potere!

In realtà non era chiarissimo chi stesse chiedendo aiuto a chi, le email erano scritte in un inglese fetente, ma sembrava improbabile che fosse Putin il soggetto in difficoltà.

“Ho scoperto per caso questa corrispondenza: stavo lavorando al computer dell’ufficio dei vigili e sono finita per caso nella rete locale, poi per caso nel computer del sindaco e poi, sempre per caso, nella sua posta elettronica personale protetta da una password che per caso era il nome di sua figlia. A quel punto ho capito cosa stava succedendo e ho chiamato la mia amica signora Longari per chiederle consiglio.”

“Ma quindi adesso cosa facciamo?”, ha chiesto di nuovo Mario Frattazzo, che da costruttore di case si trovava in difficoltà con gli spiegoni, e se fosse stato per lui questa storia avrebbe avuto un capitolo solo, sarebbe iniziata già in piena battaglia per le strade e verso il terzo paragrafo il sindaco sarebbe stato sconfitto, e come ringraziamento la nuova giunta comunale gli avrebbe concesso di costruire una palazzina su un terreno del demanio.

Un personaggio che fino a quel momento stava nascosto nell’ombra è venuto fuori, e tutti abbiamo capito che quello era il personaggio preposto alle scene di azione, l’eroe.
“Adesso passiamo all’attacco”, ha detto la piccola Giorgia, una bambina bionda di dodici anni con l’apparecchio ai denti e la maglietta di Pippo. “Però non proprio adesso, perché è tardi e mia mamma mi ha detto di tornare a casa prima di mezzanotte, sennò la prossima volta non mi fa più uscire”.

Io lo sapevo che era una cazzata, e poi manco ci so giocare a calcetto.