2. Dove non ci si aspetta l’inaspettato e trovare la verità diventa molto più difficile

I tavolini sulla terrazza erano quasi tutti occupati da possibili lettori di noir francese. L’ombra degli alberi e uno schermo acceso sulla partita riportavano quell’angolo di Francia a una dimensione più prosaica.
Ordinò una birra e un guacamole alla cameriera lesbica. Ce n’erano due, una che sembrava un camionista appassionato di boxe e l’altra appena saltata giù da un poster di pin ups anni ’50, con tanto di cerchietti rosa sulle guance paffute.

All’angolo opposto del bar un negozio specializzato in pastis suggeriva di assaggiare la bevanda tipica della città. Secondo Izzo bisogna berne tre per apprezzarne il sapore; Gabriele era convinto che bisognasse fermarsi prima. A zero.
Due negozi di carabattole turistiche si affacciavano sulla strada, entrambi offrivano variazioni sul tema della sardina. Perché la sardina a Marsiglia è considerata così importante? Sardine marinate nel pastis, chissà se ci aveva mai pensato qualcuno. Sarebbe potuta essere la svolta.

Un uomo invecchiato male, il cui odore di anice lo identificava come cliente abituale del negozio di pastis, andò a sederglisi vicino. Aveva una camicia cachi troppo grande a sventolargli sul petto rinsecchito, pantaloncini della stessa tonalità e sandali. Sembra un reduce della Legione disidratato dal sole sahariano. Doveva essere del posto, la cameriera pin up lo chiamò per nome. Stette qualche minuto a osservare distratto la partita, con un calice in mano pieno di liquido giallino, poi si alzò e fece un giro fra gli avventori della terrazza. Trovato uno che gli piaceva ne occupò la sedia accanto, senza troppe cerimonie, e si mise a raccontargli le sue disavventure. Così, senza aspettarsi alcuna risposta, raccontava per buttare fuori. Il suo interlocutore era chiaramente un turista straniero, forse inglese a giudicare dalla scottatura del viso. Era a disagio, si sarebbe alzato e avrebbe cambiato tavolo, o più probabilmente città, se non fosse stato un gesto maleducato. Così stava lì a dissimulare naturalezza livello condannato al patibolo.

Gabriele si sentiva in sintonia ora con uno, ora con l’altro. Aveva anche lui voglia di acchiappare qualcuno per un braccio e raccontargli di essere venuto fin lì per praticare un esorcismo, farsi rassicurare sull’esito positivo di una pratica così pericolosa, magari trovare un’anima compassionevole disposta ad accollarsi tutta l’operazione, vedere Naïma, convincerla che c’è ancora una speranza, farla innamorare ancora, cancellare tutto quel tempo inutile della loro separazione. Lui sarebbe rimasto in albergo ad aspettare, avrebbero bussato e dietro la porta ci sarebbe stato il turista inglese insieme a lei. Gli avrebbe detto è tutto risolto, e l’avrebbe fatta entrare, chiudendosi la porta alle spalle mentre se ne andava. Ci sarebbe stato un sottofondo di pianoforte, ad un certo punto della storia.
La parte in cui si sentiva tremendamente a disagio occupava il resto del tempo in cui non si perdeva in fantasie ridicole.

Avrebbe voluto scriverle ora, rompere quel silenzio e dirle che era lì, chiederle di raggiungerlo. Esserle amico, se proprio non poteva essere il suo compagno. Era per quello che si era sobbarcato sette ore di pullman, no?
Solo pensarlo glielo rendeva impossibile. Nella solitudine del suo tavolino in mezzo a una terrazza piena di gente nella seconda città più popolosa di Francia dovette ammettere che rinunciare a qualcosa che volevano entrambi gli era inaccettabile. Vederla con un altro uomo gli tirava fuori dei giudizi che non voleva più dare. Era stufo di quella guerra senza senso, e allora meglio stare lontano, dove non poteva nuocere neanche a sé stesso.

Ho cercato di ucciderti sperando che mi facesse meno male, e mi sono trovato a combattere contro i miei stessi desideri.
Sono seduto al tavolino del tuo bar e ho gli occhi lucidi. Dimmi se si può andare in gita così.

Il senso di ragno empatico squillò come una sveglia nella testa dell’ubriacachi, che si voltò di scatto a guardare Gabriele. I loro sguardi si incrociarono, la preda e il predatore.
Ogni pomeriggio all’ora dell’aperitivo, a Marsiglia, un avventore del 13 Coins si sveglia e sa che dovrà correre più in fretta dell’ubriacone molesto se vuole restare vivo.

Gabriele finì in un sorso la birra e abbandonò il guacamole quasi intonso, lo avevano fatto con la maionese, quei barbari! Colpa sua, nel Panier devi ordinare l’hummus.
Si alzarono insieme, ma le sue gambe non erano appesantite dall’alcool come quelle dell’avversario, e riuscì a guadagnare la strada prima di essere catturato.
Era ora di cena, il quartiere era ricco di piccole trattorie caratteristiche che ricordavano molto i locali intorno a Montmartre e quelli nella Plaka. I ristoranti nei quartieri turistici si somigliano tutti in tutto il mondo, stanno a metà fra l’atelier del pittore e la cantina di paese, e il menu è pieno di cifre sopra il 15.

In Rue du Refuge un signore vestito da cuoco allestiva un piccolo tavolino, mentre la moglie scriveva i piatti del giorno su una lavagna. L’etnia della coppia rispecchiava la selezione dei cibi: quella sera tajine e tarte aux pommes.

“Non ho prenotato. Posso sedermi?”. Era l’unico cliente. Il cuoco ridacchiò e gli indicò il tavolino.

Non aveva mai mangiato un tajine così buono: i ceci gli scoppiavano sotto i denti e davano solidità al sapore incorporeo della curcuma e della cannella, che potevano invaderti la bocca mentre la lingua era distratta dal sapore dolce delle prugne. La salsa piccante nel piccolo piatto di terracotta che porta il medesimo nome garantiva la fuga dalla realtà. Non era più una cena, era una rapina a mano armata, impossibile opporre resistenza.
Tuttavia qualcosa lo tratteneva lì, come la sensazione di uno sguardo posato su di lui. Una luce calda che lo avvolgeva, un refolo di brezza fra i capelli, qualcosa di familiare.
Il respiro gli restò bloccato in gola, si voltò come tuffarsi in un lago, certo di cadere dritto negli occhi di Naïma.

L’uomo in cachi restò a fissarlo in silenzio, dando il tempo alla sua faccia di ricomporre un’espressione adeguata.

“Kadir, mi puoi portare un succo all’ananas, per favore?”
“Certo Pierre, con ghiaccio come al solito?”
“Da un arabo non puoi farti servire alcolici decenti”, spiegò a bassa voce a Gabriele, indicando la bottiglia di Cagole in mezzo al tavolo.
“Sbrigati a finire il tajine, ti porto in un posto migliore”

Attraversarono il Panier verso il porto, seguendo una strada diversa da quella dell’andata. Ebbe una fugace visione della piazza in cui aveva abitato Naïma, ma Pierre non gli dava il tempo di fermarsi a sospirare, aveva un passo da fondista difficile da seguire.
Sbucarono sulla Grand Rue che erano quasi le nove. La basilica sulla collina era rossa, come il luogo di culto di qualche romanzo sanguinario. Gli sarebbe piaciuto vedere la città da lì, ma forse dopo il tramonto ci praticavano sacrifici umani.
E comunque il suo anfitrione sembrava dirigersi altrove.
“Vite! Vite!”, gli intimava quando restava indietro.
Ma perché aveva seguito un matto del genere?

Perché non avevi altro da fare che stare seduto a piangere davanti a una massa di sconosciuti, e allora perfino la compagnia di un matto alcolista diventa un’alternativa migliore.
Ah già.

“Non per sapere i cazzi tuoi, ma dove stiamo andando?”
“Vers la vie”, rispose Pierre, indicando le case dall’altra parte del molo.
Se non altro il rischio di venire sbudellato dagli adepti di R’hllor sembrava scongiurato, pensò Gabriele buttando un occhio alla collina, che aveva assunto il colore del sangue secco.

La loro destinazione risultò essere una piazza lunga e stretta dietro il porto, dal nome troppo lungo per essere ricordato. Un lato era occupato da locali pieni di ragazzi, la vie di cui parlava Pierre; l’altro era senz’altro le sommeil, palazzi silenziosi uso ufficio. Anche la redazione della Marseillaise sembrava deserta.

Un trio composto da sax, susafono e batteria proponeva una selezione di ottimi standard jazz fuori da una pizzeria. Era il Peano.
Gabriele si chiese se con l’apertura al capitalismo anche la Bodeguita del Medio sarebbe diventata uno Starbucks.
Le vibrazioni negative riattivarono l’empatia del compagno, che lo prese per un braccio e lo mise a sedere davanti a un vodka tonic.

“Adesso ci ubriachiamo e mi racconti cosa ti è successo”
“Ma non mi conosci neanche, cosa ne sai che mi è successo qualcosa?”
“Ho fatto l’assistente sociale a Belle De Mai per vent’anni. Mi sono trovato davanti ogni tipo di disagio, mogli picchiate e minorenni che si prostituivano per pagarsi la droga. Ormai il dolore lo riconosco da lontano. Non so perché cerco ancora di aiutarvi, deformazione professionale, idealismo, che ne so. Ma vi vedo questo peso addosso e devo cercare di togliervelo. Fammi indovinare, lutto o divorzio?”
“Ma tu sei scemo.”
“Dai dimmelo, lutto o divorzio?”
“Omicidio preterintenzionale”
“Divorzio rancoroso! Lo sapevo! È il mio preferito, racconta!”

Erano passate solo poche ore da quando si era ripromesso di non diventare mai un depresso alcolizzato rompicazzo, e guardalo adesso. Era davvero così privo di dignità?
Quel che si uccide si diventa, diceva Pavese.
Raccontò.

“È una storia bellissima, mi fa venire da piangere! E piangerei, eh? Ma un ubriaco che piange è talmente banale.. Adesso cosa fai, la chiami?”
“Pensavo di no.”
“Ma come no? Sei venuto fin qui apposta!”

Era stata un’idea del cazzo. Quando Naïma era tornata a Genova per prendere le sue cose si erano incontrati, avevano litigato per ore. Lui le aveva riversato addosso una cisterna di liquame puzzolente, era andato via giurandole che l’avrebbe rivista mai più. Ci voleva una bella faccia per presentarsi di nuovo.

“Sono passati mesi. Una persona cambia opinione nel frattempo. Ragiona, capisce di avere avuto torto.”
“Ma io non lo so mica se ho avuto torto. Non vorrei più litigare, quello no, ma ho paura che se ci confrontassimo tornerebbero le ragioni per cui ci siamo scontrati la prima volta. Quelle sono sempre lì, e sono sempre vere. Non si può alternare carezze e bastonate, se prendi una posizione devi mantenerla.”
“Quindi preferisci essere coerente con un comportamento anche se sai che è sbagliato? Mi sembra stupido.”
“L’orgoglio è stupido.”

Pierre attirò la cameriera con un gesto troppo ampio e chiese un altro vodka tonic. Gesticolava un sacco, un paio di volte aveva scontrato il suo bicchiere, e non erano finiti a bagno solo perché era già vuoto. Gesticolava troppo e beveva veloce. E parlava, parlava..
Era convinto che il rapporto fra Gabriele e Naïma andasse ricucito ad ogni costo, non c’era equilibrio e secondo lui le cose prive di equilibrio richiedono un’energia enorme per impedire loro di cadere. Non sembrava interessargli il sentimento fra loro due, per lui l’importante era smettere di sprecare energia. Parlava come un attivista di Greenpeace a cui avessero modificato il vocabolario, sostituendo l’ecologia con termini più legati agli affari di cuore.

“Stai tenendo in mano una pietra da tirarle addosso, non sai se la userai o no, ma preferisci tenerla in caso di necessità. Alla fine è un peso inutile, buttala. Dici che le ragioni sono ancora lì, ma quali sarebbero?”
“Il tizio, Grimaldi. Non riesco ancora ad accettarlo.”
“Perché ti aspetti ancora qualcosa da lei, è quello l’errore. Devi fare pace per te stesso, non per ottenere qualcosa.”
“Non puoi obbligarti a non desiderare.”
“Puoi desiderare senza soffrire. È a quello che devi arrivare. Adesso scusa, ma devo andare a pisciare.”

Si alzò con una certa difficoltà e sparì in mezzo a un gruppetto, urtando una ragazza e proseguendo senza scusarsi.
Dieci minuti più tardi la cameriera si presentò al tavolo col conto.

“Non stiamo andando via, il mio amico è in bagno”, le spiegò lui.
“Il tuo amico se n’è andato dieci minuti fa.”
“Ma no, è in bagno, ti dico!”
“Ti ha fregato, lo fa sempre. Cosa ti ha raccontato? Quella dell’assistente sociale o quella del malato che vuole vivere fino in fondo?”

Gli piombò addosso una voglia feroce di tornare a casa, come se qualcuno gli avesse ficcato un sacco in testa e spento la luce. Se ci fosse stato un pullman a quell’ora sarebbe corso a prenderlo. Guardò sul telefono se fosse possibile spostare la prenotazione per l’indomani mattina, e come succede sempre nei viaggi particolarmente economici scoprì che la minima modifica imponeva il pagamento di penali più care del biglietto stesso.

Pazienza, domani farò un giro in città, magari salgo sulla collina. Faccio venire le tre e torno a casa. Io e le mie idee del cazzo.

Si incamminò in una strada silenziosa e in un paio di minuti si trovò davanti all’imponente prefettura. Non era un edificio granché interessante, somigliava ai tipici palazzi francesi del’800 che ti stufi di vedere girando per Parigi. L’illuminazione però era perfetta, lo trasformava in una bomboniera.
Forse è l’illuminazione sbagliata, pensò. Magari vedrei la mia situazione molto meglio di così se solo la illuminassi meglio. Aggiungo due faretti sui sabati sera in città ricche di fascino, ne tolgo uno agli incontri fortuiti e deleteri, lascio al buio le storie passate e tengo una lampada accesa per vedere dove sto andando, e la prospettiva cambia di colpo e divento un figo che vive avventure esotiche e si tiene lontano dalla tristezza.

Ricontrollò le condizioni di viaggio di Flixbus, magari gli era sfuggita la clausola “Modifica del contratto di acquisto in caso di manifesta incapacità di vivere”.

(continua)

  1. Dove si piange la scomparsa di Jean-Claude Izzo e non solo la sua

Se questo fosse un romanzo di Jean-Claude Izzo comincerebbe con un uomo appena arrivato in città..

Il flixbus lo scaricò accanto a un campo da pallone polveroso e senza porte, fra capannoni deserti e palazzi sdentati con una finestra intera per piano.
Appena dietro il tetto in lamiera del lungo edificio a bordo strada si vedeva spuntare, lucida come un blocco di granito, la torre CMA, simbolo del rinnovamento che si stava mangiando la città come un virus. Il Panier, le case intorno alla cattedrale, il vecchio porto: Marsiglia stava diventando una piazza di cemento per diportisti e uomini di commercio. Più sicura e proiettata verso il futuro, era il motto. Il prezzo da pagare non era alto, soltanto l’anima.

E tu, Gabriele Di Raimondo, a quale voce darai ascolto? Scenderai al porto e raggiungerai il centro accompagnato dalle lusinghe dei cantieri, dal ronzio soporifero della nuova tramvia sopraelevata e dal fruscìo dei soldi che corrono da una mano all’altra? O abbraccerai il degrado della periferia, delle utilitarie ammaccate, dei negozi di magliette di plastica, degli alimentari halal, fino a trovare la strada che passa sotto l’Arco di Trionfo Delle Vittorie Generiche e diventa Canebière, e porto, e Marsiglia, quella che hai conosciuto sui libri e nelle parole di lei?

C’è sempre una lei nei romanzi di Izzo, e ce n’è una anche qui. Naïma.

Si erano conosciuti a Genova che era quasi un anno. Lei seguiva un master in architettura in un laboratorio prestigioso sulle colline fuori città, lui seguiva le serie tv americane sul computer dell’hotel in cui faceva il portiere, durante i turni di notte. Si erano trovati pascolando sui gradini di una chiesa nel centro storico, insieme ad altri avventori di un bar fighetto lì accanto.
Gabriele conosceva un paio dei colleghi di Naïma, si era avvicinato per salutarli e non se n’era più andato. Una settimana più tardi ci erano tornati insieme, sui gradini della chiesa, incuranti di ciò che accadeva oltre i loro sorrisi stupefatti.

Due mesi, poi lei era tornata a Marsiglia senza preavviso: un’assunzione al MUCEM, il museo più importante della città, era il sogno della vita, sarebbe stato folle rinunciarvi per una storia senza futuro come la loro. O perlomeno questo era ciò che le aveva detto con la faccia più convinta che era stato capace di venderle. Perché sarebbe stato egoista chiederle di restare per lui, e soprattutto sarebbe stata una responsabilità che non si sentiva pronto a sobbarcarsi.
Una decisione adulta, di cui non si era pentito per due settimane intere. Poi l’aveva chiamata e le aveva detto che erano degli irresponsabili, non si butta via una relazione così bella, potevano trovare lo stesso il modo di vedersi, magari la prossima settimana vengo a trovarti, eh?

“No”
“Come no? Dai!”
“Ho detto no, non ti voglio vedere”
“Ma ti sei offesa? Lo so che ti ho detto io di andare, ma cerca di capire, mi sembrava la decisione migliore per te”
“Ci ho pensato molto, e ho capito che con te non stavo andando nella direzione che voglio. Ho fatto una scelta, non cambio idea.”

E in un attimo si era trovato dentro un romanzo giallo: c’era il morto, c’era l’assassino, mancava solo il movente del delitto.
Per fortuna non ci vollero 350 pagine di indagini, bastarono un paio di domande dirette e qualche silenzio fin troppo eloquente perché saltasse fuori il nome di Serge Grimaldi, capo della sezione Sviluppo Culturale E Relazioni Internazionali. Naïma era mezza araba ed era stata assunta mentre viveva in Italia: sullo sviluppo culturale aveva dei dubbi, ma la relazione internazionale c’era tutta.

Dal romanzo giallo all’Harmony più becero. Povera Marsiglia, ridotta a cornice di una storiella così squallida.
Gabriele era più deluso che ferito, aveva giurato a sé stesso che non l’avrebbe cercata più: la memoria di Jean-Claude Izzo non meritava di essere accostata a certe vicende da portinaie. Avrebbe voltato pagina e si sarebbe costruito un’immagine nuova, più letteraria: un portiere d’albergo deluso dalla vita che cerca consolazione in fondo alle bottiglie. A proposito di clichès, eh?

Fino all’Arco di Trionfo era stato sfascio e miseria, poi si era trovato in cours Belsunce e l’impressione di stare in un film di Rossellini era svanita. Al di qua del monumento era di nuovo Europa, marche di negozi familiari, la linea del tram e un ampio viale alberato.
Non che prima si fosse sentito a disagio, comunque. Naïma gli raccontava che quando arrivi in città corri il rischio di venire scippato già sui gradini della stazione Saint-Charles.
Da Arenc a lì non se l’era cagato nessuno, forse il pericolo valeva solo per chi viaggiava in treno. Magari gli scippatori trovavano più da lavorare davanti alla stazione ferroviaria che a un campetto di periferia. Naïma era sempre un po’ melodrammatica, certe volte gli dava proprio sui nervi.

Svoltò sulla Canebière. Le parole di lei saltavano fuori nella descrizione dei suoi anni di ragazzina, quando percorreva quei marciapiedi avanti e indietro con le amiche, a farsi avvicinare dai ragazzi e ad allontanarli con sufficienza.
A quell’ora non c’era molta vita. Tre algerini si facevano foto improbabili davanti a ogni edificio vistoso, una signora anziana portava a spasso un cagnolino minuscolo. Un ragazzino gli passò vicino su uno scooter. Aveva il casco, ma per essere almeno un po’ contro il sistema stava in ginocchio sul sedile.

L’albergo era nella traversa dopo, schiacciato fra un kebabbaro e un bar di arabi. Per raggiungere il portone dovette farsi largo fra i tavolini che si estendevano lungo tutto il marciapiede, fin quasi alla strada.
Oltre il piccolo ingresso il portiere guardava in tv la partita degli Europei: giocavano Galles e Irlanda del Nord, e dalla sua espressione non si stavano impegnando granché.
Salì in camera, fece una doccia e stette per un po’ seduto sul letto a guardare la sua immagine nello specchio vicino alla porta.
Ma cosa ci faceva lì?

Una gita. Nient’altro. Non sono qui per vedere lei.
Poi, se è il caso, se me la sento, ci possiamo prendere un caffè insieme, parlare un po’.
Se capita, dieci minuti per cancellare la tensione, fare pace.
Non vale più la pena di mantenere questo stato di guerra, scommetto che pesa anche a lei. Sono sicuro che se la chiamassi per dirle che sono qui mi vorrebbe vedere subito.
Magari domani la chiamo, le chiedo come sta.
Se ne è valsa la pena.
Ma domani. Forse.
Stasera me la prendo per me.

Dieci minuti più tardi osservava perplesso l’area del vecchio porto. Lo specchio d’acqua davanti a lui era chiuso su tre lati da una spianata di cemento, e la vista sul mare è sempre stata nascosta dalla collina su cui sorge Notre Dame de la Garde. Barche da diporto coprivano una buona metà della superficie. Ebbe l’impressione di trovarsi in un parcheggio.

Marsiglia ospitava alcune partite del campionato europeo in corso in quel periodo. Per l’occasione erano state allestite nel piazzale una ruota panoramica e una scatola grande come un camion su cui campeggiava il logo della radio locale. Entrambe emettevano suoni molesti.
Sotto il cubo della radio quattro coppie di ballerini si destreggiavano in una dimostrazione di qualche danza latina. C’erano poche cose capaci di deprimere Gabriele come la musica latina. Quando la sua vicina di casa la ascoltava lui interrompeva qualsiasi attività e andava a mettere su i Clash.
Quel giorno aveva lasciato la musica in albergo, dovette allontanarsi in fretta verso uno dei dehors sul frontemare.

Scelse quello con la cameriera carina. Bionda, occhi chiari, un bel fisico. Una per cui perdere la testa, insomma.
Le fece un sorriso accattivante quando gli portò la birra. Ne ricevette uno cordiale e distaccato che lo fece sentire solo. E neanche due patatine.
Vuotò il bicchiere in fretta e riprese a camminare.

La freccia a destra diceva Panier. Una scalinata saliva verso delle case poco attraenti e ancor meno antiche. A meno che il centro storico non cominciasse subito dietro sembrava che anche quella parte di città avesse vissuto il trauma della ristrutturazione.
Esitò, quello era il quartiere di Naïma. Era nata lì, aveva abitato in Rue des Moulins prima di trasferirsi con la famiglia fuori città, verso Cassis. Se la sentiva di infilarsi in quel campo minato di malinconie?
D’altronde se avesse continuato a camminare in quella direzione sarebbe arrivato al MUCEM, dove probabilmente si trovava lei ora. Meglio affrontare il suo ricordo, almeno per il momento.

Place de Lenche. Il nome era familiare, probabilmente compariva in un romanzo, magari ci si sparava qualcuno, vai a sapere. Troppo pulita, piena di tavolini. Sembrava la tipica piazzetta genovese restituita alla movida del venerdì sera. Non c’era niente da vedere lì, tranne il piccolo Bar de la Place, dove un vecchietto leggeva La Marseillaise all’ombra della tenda rossa all’ingresso.
Non certo un locale da turisti quello, ma non ci si fermò lo stesso, se avesse voluto andare al bar della bocciofila ne aveva uno anche vicino a casa. Costeggiò la piazza per il lungo e proseguì in Rue de l’Évêché, lasciandosi guidare solo dalla curiosità.
Nessun ragazzino a fregarsi motorini, né puzza di piscio e sacchi dell’immondizia abbandonati agli angoli. La Marsiglia di Izzo sembrava essersi trasferita altrove.

Un negozio con la facciata dipinta attirò la sua attenzione. Lo conosceva, l’aveva visto su google maps una sera a casa sua. Alzò gli occhi, in cima alla strada i tavolini del 13 Coins gli fecero l’effetto di un pugno.

“Ti faccio vedere una cosa”, gli aveva detto, sedendoglisi in braccio. Si era messa ad armeggiare su internet e lui ne aveva approfittato per annusarle il collo, che sapeva di sandalo e tabacco. Le aveva infilato il naso fra i capelli, scoprendole un orecchio.
“Hai delle orecchie perfette”
“Che scemo, chi è che guarda le orecchie delle donne?”
“Io, e le tue sono perfette”. Ci aveva infilato la lingua.
Le mani erano scivolate sotto la maglietta, ad abbracciare la pancia rotonda.
“Dai, smettila. Lo sai che bar è questo?”
“No”, rispose lui senza guardare, per non disturbare il fiume di emozioni che stava ricevendo dagli altri sensi, tutti sveglissimi. Il corpo di Naïma era il suono di un pianoforte, le note morbide, talvolta sussurrate, altre gridate, erano piene e calde sotto le sue dita.
“Come no? Ma sei pazzo? È il 13 Coins, il bar di Izzo! È in tutti i suoi romanzi! Non mi avevi detto che ti piaceva?”
“Non me lo ricordo”, tagliò corto. La letteratura che aveva in mente in quel momento veniva venduta in librerie sordide con la luce bassa frequentata da uomini dall’aspetto equivoco. Ed era accompagnata da un sacco di fotografie.
Naïma gli piantò addosso i suoi occhi di onice nera.
“Gabriele Di Raimondo! Mi hai avvicinato parlandomi di Jean-Claude Izzo e adesso viene fuori che neanche conosci il 13 Coins? Era solo una scusa per rimorchiare?”
Restò un momento in bilico su quello sguardo, poi fece quello che faceva ogni volta che lei lo guardava. Ci cadde dentro.

(continua)