Il cazzo di cancello

Il cazzo di cancello segna il confine fra Hyde Park e Kensington Gardens e non ha altra particolarità se non quella di essere citato nel libro per saputelli che Marzia sta leggendo durante la vacanza. Si tratta di un grosso cancello in ferro battuto che originariamente introduceva a un enorme padiglione in vetro costruito per l’Esposizione Universale del 1851, un’inezia rispetto a quello veramente grande che sta davanti a Buckingham Palace, ma ci facciamo a piedi tutta la strada da Lancaster Gate a Knightsbridge prima di trovarlo.

Buckingham Palace
La residenza reale è anonima, e non la distingueresti da un comune palazzo se non fosse per le guardie dal grosso cappello che stazionano nel cortile. Ti accorgi che c’è qualcosa verso mezzogiorno, quando i turisti si assiepano a centinaia davanti al cancello e in tutta la piazza di fronte per assistere al cambio della guardia, una cerimonia piuttosto banale, anche fastidiosa se sei stato costretto a ripeterne una simile per un anno durante il servizio militare. Ci sono due plotoni che si incontrano e si salutano, la banda che arriva da fuori, i soldati a cavallo che fanno un’improvvisata, due foto e tutti a casa a mangiare, e basta. Noi ci guardiamo la banda sfilare in piazza,ma giusto perché abbiamo trovato un posto davanti, poi andiamo a fotografare le papere a St.James Park.

St.James Park
Rispetto a Hyde Park non c’è proprio storia, questo parco sembra uscito da una cartolina, e la vista fra gli alberi sul palazzo dove alloggiano i soldati a cavallo (Royal Cavalry Parade o qualcosa del genere) te la tira via la foto, non puoi evitarla. Al limite puoi farla male, ma non tutti sono stazzi come me. E poi ci sono le oche. Di tutte le razze e colori, ti seguono da dietro l’aiuola in cerca di cibo e si avvicinano fiduciose. I tre pellicani, invece, si fanno i cazzi loro; probabilmente hanno letto il cartello che vieta ai turisti di dar loro da mangiare.

Westminster
L’edificio che più rappresenta la città nell’immaginario dei turisti è il complesso di Westminster, sede della camera dei lord, della camera dei comuni e dello stanzino delle scope. C’è il Big Ben, che non è la torre (St.Stephen’s Tower) né l’orologio (Rock Around The Clock), ma la campana più grande del complesso (The Beatles). L’orologio pesa come tre madonne tirate giù da uno scaricatore di Ponte Dei Mille quando perde a cirulla, e per metterlo al suo posto ci vollero quattro anni, durante i quali fu necessario anche ricostruirlo, perché la prima volta che lo caricarono su un carro per portarlo alla torre cadde a terra spaccandosi. La seconda volta chiamarono un italiano, che lo mise un’ora indietro poi raggiunse il marciapiede sottostante in largo anticipo raccolse al volo l’orologio ed in sostanza vinse.

Subito lì dietro c’è Westminster Abbey, la chiesa dove si incoronano e seppelliscono i reali, generalmente non nello stesso momento. L’interno è sontuoso e pieno di cappelle, ma facendone già tante io non sono entrato a vederle. E poi costa tipo diciassette sterle, e va bene che sono anglicani e non cattolici, ma non glieli do lo stesso.


10, Downing Street
In questa via corta e protetta da due cancelli e una trincea e un muro di acciaio e quattro cannoni e una torre tesla e svariate guardie armate e coccodrilli ci vive il Primo Ministro, ma se non ti interessa vedere le guardie o la gente che guarda le guardie puoi tranquillamente farne a meno.

The Red Lion
48 Parliament St
Questo pub si trova davanti alla residenza del primo ministro, e questo lo ha portato a trasformarsi da pub tradizionale senza pretese a trappolone per turisti. I prezzi sono più cari che altrove, la cucina peggiore e il servizio scadente. La cameriera era insopportabile al punto da mettersi in competizione coi suoi omologhi portoghesi. Via via!


South Bank
A Londra se vuoi salire sulla ruota panoramica più grande del mondo devi andare a South Bank, un tratto di lungofiume che sta di fronte a Westminster e somiglia al Porto Antico di Genova, ma senza gli indiani che ti vendono cose luminose da tirare per aria. Ci sono ristoranti, bar, discoteche, sale giochi e code per salire sul London Eye, tutto immerso in una piacevole atmosfera da pista da skateboard. Se decidi che sulla ruota panoramica ci andrai un’altra volta, e prosegui lungo South Bank, incontri i mimi di strada, che sono quei tizi che si cospargono di tintura per la pelle e stanno fermi su un piedistallo a farsi fotografare. A parte che non vedo proprio cosa ci sia di così interessante in un tizio imbrattato in piedi su una scatola da spingerti a fargli una foto da mostrare agli amici, ma sono sicuro che sotto casa tua ce ne sono altre decine di tizi identici, solo in un’altra tonalità di grigio. Quelli di South Bank, poi, sono particolarmente squallidi, così poveri di idee da stare fermi anche quando qualcuno, impietosito, scuce loro una moneta; ma il più squallido di tutti, il re dei mimi squallidi, è il Grande Puffo.


St. Paul’s Cathedral
La cattedrale cattolica di una città protestante. Credo. C’è una grossa cupola che ricorda San Pietro, il sagrato e le strade adiacenti occupate dai manifestanti indignados, che non sono la versione più sofisticata dei punkabbestia, ma gente che ci crede davvero. Il problema è che quando si organizza una cosa del genere a Genova accorrono solo i punkabbestia a chiederti se hai una siga e quelli dei centri sociali a dirti che l’hanno fatto prima loro e che tu non vali un cazzo a confronto. Sarà per quello che St Paul alla fine mi è piaciuta realtivamente poco e che dentro non ci sono neanche entrato. No, non ci sono entrato perché la mia fidanzata mi ha fato firmare un foglio che dice che se in vacanza la porto ancora dentro una chiesa mi lascia e si porta via il cane, e se per lei ci potrei anche stare per il cane no, mi si spezzerebbe il cuore.


Tate Modern
Bankside
Davanti alla cattedrale, separata solo da un ponte dalle fattezze moderne e da un colpo d’occhio che di notte te le strappa proprio dalle mani le fotografie, si erge la Tate Modern, il museo di arte moderna londinese, ubicato in una vecchia fabbrica di grissini e ruote per locomotori a vapore (non chiedetemi perché, l’Inghilterra vittoriana era tutta un accorpamento selvaggio). L’ingresso, manco a dirlo, è gratuito, e c’è pure il wi-fi per quelli che davanti a un quadro vogliono bullarsi della loro cultura enciclopedica e leggersi la sinossi dell’opera di nascosto sullo smartfono. Dentro non sto a raccotarvi cosa c’è, che potete immaginarvelo da soli se siete già stati in un museo di arte moderna di una certa importanza, ma una cosa voglio mostrarvela: questa.

E’ un’opera di Ai Weiwei un artista cinese, ideatore fra le altre cose del nuovo stadio di Pechino a forma di nido. Sono cento milioni di semi di girasole in porcellana, fatti e dipinti a mano uno per uno da milleseicento artigiani. Sono stati esposti per un certo periodo proprio alla Tate Modern, almeno finché qualcuno non si è reso conto che la polvere della porcellana è dannosa per la salute. Adesso, invece di una gigantesca stanza ricoperta di semi, ce n’è un cumulo in una sala a parte, delimitato da cordoni di sicurezza, ma l’emozione di trovarteli davanti quando non te l’aspetti è esattamente la stessa.

L’uscita in salita dal museo, attraverso i portelloni di carico originali, fa molto The Wall.


Mandarin Kitchen
14-16 Queensway

Un ristorante cinese pescato a caso fra i moltissimi che si affacciano sulla stazione di Queensway, la più vicina al nostro albergo, ma non è stata una brutta scelta, anzi. Premesso che a me la cucina cinese piace poco

Per evitare i tediosissimi resoconti di viaggio cui ho abituato i miei lettori (due o tre, gli altri seimila che erano soliti passare di qui sono scappati via urlando quando hanno capito di che si trattava) ho deciso questa volta di limitarmi a piccoli paragrafi slegati fra loro, come farebbe una guida turistica per persone che non hanno voglia di leggere.  Auguri.


Low cost
Viaggiare con i low cost è generalmente una merda: non puoi portare bagaglio da stiva se non paghi, non puoi sceglierti il posto se non paghi, parti e arrivi dalla periferia dell’aeroporto e per giungere a destinazione, una volta atterrato, devi prendere un altro aereo. RyanAir o EasyJet fa poca differenza, la prima ti lascia a Stansted, la seconda a Gatwick, per arrivare in centro ci metti quasi quanto il volo fin lì. Va bene, Londra dista solo un’ora e mezza, non è un gran sacrificio e il prezzo è decisamente inferiore a quello proposto dalle compagnie di linea, però una volta che ti abitui a viaggiare comodo è difficile tornare indietro. Inoltre quella del bagaglio a mano è una gran rottura di balle, devi infilare il trolley nella vaschetta per misurarne il volume: se ci passa puoi caricarlo, sennò va nella stiva.
Se però al check-in ti trovi in fondo alla coda può essere che il tuo bagaglio a mano finisca nella stiva comunque, perché le cappelliere sono tutte occupate. Com’è possibile, se il volume a disposizione è uguale per ogni passeggero? Non lo so, forse qualcuno si porta dietro le valigie disidratate, che una volta riposte nel loro vano si gonfiano come le spugne e rubano il posto a quelle degli altri.

La menata più grossa è che se vuoi comprarti qualcosa nel luogo di destinazione devi sempre considerare lo spazio che occuperà al ritorno, oppure pagare il supplemento bagaglio, che sono comunque quei trenta euri.


Ostello
Se per viaggiare mi piace la comodità è un bel paradosso che sull’alloggio mi faccia così pochi problemi: lo Smart Hyde Park View ci offre una stanza minuscola all’ultimo piano con l’ascensore rotto. Non c’è il tavolino, ma se è per quello non c’è neanche l’armadio, e lo spazio intorno al letto è così esiguo che per alzarti devi scavalcare il bagaglio. Il bagno però è in camera ed è pulito, e se per arrivare al lavandino devi stare in piedi nella doccia è solo perché il piatto è molto largo.

Il personale è disponibile, la camera viene rimessa in ordine tutti i giorni, ma per farti cambiare le lenzuola probabilmente devi chiedere. La colazione è essenziale, tè, latte, cereali, marmellata, pan carrè, prosciutto e formaggio. Pagando ottieni anche qualcosa di più.
La posizione è interessante, Leinster Terrace si trova a Paddington, fra le stazioni di Queensway e Lancaster Gate, una zona molto tranquilla incuneata fra i ristoranti cinesi e le botteghe indiane e i palazzoni eleganti appena dietro. C’è una fermata dell’autobus proprio in fondo alla via, e il ristorante greco che incontri appena la imbocchi manda un profumo di carne alla brace che ti fa venir voglia di cenare anche alle tre del pomeriggio.

Clima
A Londra fa freddo e piove sempre, bisogna vestirsi pesante, giaccone e scarponcini, poncho impermeabile e cappellino, e speriamo che non nevichi.
Poi arrivi e ci sono sedici gradi, non cadono mai più di due gocce e c’è gente che gira in sandali. Il due gennaio. Coi sandali. Vabbè, ma quelli sono malati, la maggior parte delle persone si copre, che quando si alza il vento e cala il sole la stagione si sente eccome. Però gli scarponcini erano di troppo, guarda. E anche il poncho, che a parte quei dieci minuti di pioggia vera quando siamo andati alla National Gallery non ce n’è mai stato bisogno.

Estate in gennaio a Hyde Park

Portobello Road
“Quante stupende sorprese ci son, troverai cose oltre l’immaginazion alle bancarelle di Portobello Road”. Ve la ricordate? La cantava lo Spazzacamino in Pomi D’Ottone E Manici Di Scopa. Boh, forse non era lo Spazzacamino.. Forse non era neanche quel film lì e mi confondo con Mary Poppins. Vabbè, tanto la canzone è scaduta, a Portobello Road ci sono gli stessi negozi di ciarpame fabbricato in Thailandia che puoi trovare a Camden Town, a Barcellona, a Genova e ovunque ci sia un po’ di movimento. Gli stessi prodotti si ripetono vetrina dopo vetrina, cambia solo la fantasia del negoziante nell’esporli, e forse un po’ il prezzo; perfino i turisti sono fatti con lo stampino: coppie sulla cinquantina e ragazze molto truccate dall’accento romano.
L’unica eccezione è un negozio di prodotti scozzesi dove mi sono fatto tentare da una coppoletta, ma non c’era la mia taglia.

Londra o Roma o Parigi o Barcellona o

Saldi
A Londra il due gennaio di quest’anno sono cominciati i saldi. Ogni negozio, dal buco merdoso al grande magazzino, espone il suo bel cartello col numero a due cifre e il simbolo di percentuale. French Connection in Oxford Street ha tirato su una scritta cubitale tipo insegna di cinema che recita “I am the sale.”, quello di fronte ne ha messa una in risposta che dice “No, the sale it’s me, go fuck yourself!”.

Fra parentesi, French Connection in Gran Bretagna abbrevia il proprio nome in FCUK, che sta ovviamente per French Connection United Kingdom, ma avrei preferito leggere French United Connection Kingdom, fa più ridere.

Sui marciapiedi dello struscio non cammini, e io vado in giro con un’ossessa che sbava davanti a ogni vetrina e guaisce per ogni cappotto colorato a metà prezzo.

Per me invece è un dramma, vado da HMV e sono assalito da orde di cofanetti di dvd a meno di dieci sterline (il cofanetto definitivo di Father Ted te lo mollano a dodici, tipo), e non li posso comprare perché a casa non ho posto dove metterli. Da quando ci siamo sbarazzati della televisione, poi, diventa superfluo anche l’acquisto di videogiochi, perciò non ci passo neanche davanti allo scaffale che mi dice SuperMegaOffer, e corro fuori asciugandomi gli occhi.

Oxford Street
La via dello struscio economico, dei grandi magazzini, dei vestiti a badilate, dei pachistani che regalano borse e telefonini, dei negozi di cianfrusaglie per turisti; la via dei turisti, dei ragazzetti di periferia, delle orde di londinesi con una mano bianca dipinta in faccia e i canini che sporgono dalla mandibola, di gente che entra ed esce e si incrocia con quella che va avanti e indietro, e se ti trovi in mezzo alla corrente non c’è neanche il bagnino a salvarti; la via dei bigmac, dei bigwhoopers, dei kingroyal, dei cibi di polistirolo e della puzza di fritto e detersivo. Non ci ho mai trovato niente di interessante in questa strada, mai niente di appena originale, le uniche cose che ti fanno capire di essere a Londra e non a Parigi, tipo, sono le bandiere inglesi esposte nelle vetrine di souvenirs.

Vorrei che ti aprissi, Oxford Street, e ti portassi via tutta questa marmaglia. Io la odio questa strada.

Eat.
Londra è piena di ristoranti legati a qualche catena, e trovare da mangiare quando hai delle esigenze particolari non è per niente difficile. Capita così che ci si infili in un locale che si chiama Eat., nel senso di Eat-punto, e ci si abbuffi di cibi appartenenti a quella categoria salutista che va un casino negli ultimi tempi. I prezzi sono contenuti, sulle confezioni sono ben visibili gli ingredienti e l’avviso se sono compatibili con la dieta vegana, o celiaca o di quelli che hanno solo i cazzi loro ma ci tengono a ribadirli ovunque.

Uno zuppone low fat con dentro pollo, germogli di soia, spaghetti e del peperoncino incredibilmente piccante garantisce un’ottima parentesi nella città del fish&chips, e permette al tuo fegato di rimandare un pochino la disintegrazione.

Notting Hill
Mi ricordo che c’era questa strada in salita piena di negozietti e bancarelle di frutta e verdura, che sembrava di essere sul set del film con Hugh Grant, che fra parentesi è stato girato quasi tutto negli studios compresa buona parte degli esterni, però non l’ho trovata. In compenso ho trovato un negozio di ciarpame thailandese Notting Hill con l’insegna che riprendeva la locandina del film, e una ragazza molto truccata dall’accento romano che la fotografava.

Però nei pressi di Notting Hill Gate c’è un bel negozietto di libri e fumetti usati, dove si ascolta del buon swing e la proprietaria sembra competente: ha uno scomparto apposta per Alan Moore e uno per Garth Ennis, e nel reparto “decidi tu se vale la pena o è una cazzata” c’è una vecchia ristampa di Tex.

Per poche sterle mi porto via Hitman di Ennis, che mollo a metà, il primo volumone di una serie in bianco e nero che alcuni anni fa ha vinto un Eisner Award e si chiama Queen & Country (questo lo divoro proprio) e un libretto per un amico che potrebbe trovarci qualche spunto interessante.

Kensington Gardens
Ve lo dico subito, Peter Pan lo trovate sulla sponda del Serpentine, il lago che divide i Giardini di Kensington dal più selvatico Hyde Park; sta poco più giù dell’Italian Fountain, e francamente potrebbe tornarsene all’Isolachenonc’è, è molto più bella la statua di Alice a Central Park.

Un’altra delusione di questo posto è rappresentata dal cartello riguardante la fauna del laghetto, che ti elenca fra le specie presenti la bellissima anatra mandarina, e invece puoi passarci la giornata a cercarla, e quella stronza non si fa vedere. Secondo me l’ultima è finita nella pentola di uno dei tanti ristoranti cinesi della zona.

L’ultima grande delusione è rappresentata dal Princess Diana Memorial Playground, un grande parco giochi pieno di meraviglie, fra cui voglio ricordare il tepee degli indiani e il galeone dei pirati, accessibile ad un prezzo ragionevole, ma ahimè, solo ai bambini e agli adulti che li accompagnano. Il fastidio di non avere mai un figlio quando serve!

Per il resto il parco è più curato del suo vicino di fronte, il laghetto rotondo è sempre al sole (oddio, per quanto si possa essere sempre al sole in Inghilterra) ed è un piacere sedersi a guardare gli uccelli, e laggiù in fondo c’è il Kensington Palace, che è più bello dei bagni pubblici di Hyde Park.

Peter Pan e Wendy ricordano i vecchi tempi ai Giardini di Kensington

(continua)

Foto del Subcomandante Marzia.

Tutti i diritti riservati.
Guarda che non scherzo.
Sono tutti cazzi tuoi.
No, davvero.
Tu non hai idea.