Il funzionamento ramingo di explorer mi lascia sempre più perplesso, ma d’altronde se voglio scrivere su splinder e visualizzare anche la barra degli strumenti googlechrome non va bene. Perlomeno una pagina me l’ha aperta, vedrò di sfruttarla.
La giornata di sole mi spinge ad essere breve e cacciarmi sulla sdraio mezz’ora, il libro procede lentamente come sempre, è intorno alle tredici pagine, forse quattordici, che corrispondono a boh, quaranta? e non so come fare a farlo stare in duecento, ma questo è un calcolo che non ho voglia di spiegare.
Ho voglia di espatriare. Vado a farmi un caffè.

Il mio romanzo ha superato finalmente la boa delle 10 pagine, e considerato che ho iniziato a scrivere a metà aprile si può tranquillamente prevedere che sarà pronto per l’anno prossimo. Non c’è problema, la fiera del libro è a maggio, ha tutto il tempo di diventare un best seller.
Contravvenendo alla regola d’oro che mi sono imposto stamattina, ho deciso di rendere pubblico quello che ho scritto finora, i primi due capitoli, e li ho spediti al mio editore con le manone, temendo di vederle prima o poi piovere sulla mia nuca con un rumore secco tipo ghiaccio che si spacca.

Marzia invece non lo leggerà, ho finito l’inchiostro nella stampante e finché non compro una cartuccia non ho modo di provarle che davanti al pici faccio anche altro oltre a giocare a warhammer e cercare foto di donne nude. Hai un bel dirle che potrebbe sempre leggerlo sul monitor, lei dice che è faticoso, che non rende, che si perde, e io francamente non riesco a darle torto, che leggere un mio racconto sul monitor è come apprezzare un monet facendoselo raccontare.

Tanto per mantenere un basso profilo.   

Il mio romanzo ha superato finalmente la boa delle 10 pagine, e considerato che ho iniziato a scrivere a metà aprile si può tranquillamente prevedere che sarà pronto per l’anno prossimo. Non c’è problema, la fiera del libro è a maggio, ha tutto il tempo di diventare un best seller.
Contravvenendo alla regola d’oro che mi sono imposto stamattina, ho deciso di rendere pubblico quello che ho scritto finora, i primi due capitoli, e li ho spediti al mio editore con le manone, temendo di vederle prima o poi piovere sulla mia nuca con un rumore secco tipo ghiaccio che si spacca.

Marzia invece non lo leggerà, ho finito l’inchiostro nella stampante e finché non compro una cartuccia non ho modo di provarle che davanti al pici faccio anche altro oltre a giocare a warhammer e cercare foto di donne nude. Hai un bel dirle che potrebbe sempre leggerlo sul monitor, lei dice che è faticoso, che non rende, che si perde, e io francamente non riesco a darle torto, che leggere un mio racconto sul monitor è come apprezzare un monet facendoselo raccontare.

Tanto per mantenere un basso profilo.   

Il racconto procede spedito dieci righe al giorno, e ha già raggiunto l’incredibile lunghezza di due pagine e un po’. Ora che me ne mancano solo settantotto mi sento più tranquillo, posso farcela.
Basta che il termine di consegna non sia domani.

Il resto procede, grazie, ieri sera ho riacceso la stufa a legna, che faceva un freddo assassino, solo che non essendoci più legna ho dovuto bruciare il tavolo.
Adesso la cucina ha un aspetto molto giapponese, ma forse è solo perché dobbiamo mangiare sul pavimento.

Succede cose da queste parti. Succede, per esempio, che due amici mettano su una casa editrice e mi chiedano di scrivergli una roba, solo che la roba che mi chiedono di scrivere è qualcosa che non mi sarei mai immaginato di dover scrivere, e questo comporta un lavoro diverso dal sedersi alla tastiera e cominciare a pigiare finché c’è idee. Ci vuole una cosa che si chiama pianificazione, e io che non pianifico neanche cosa mettermi per uscire questa cosa mi fa un po’ impressione. Però lo faccio, che ci tengo a dare soddisfazione ai miei amici, e anche a mettermi alla prova scrivendo qualcosa in un modo che non ho mai fatto prima, tirando giù un soggetto e lavorando su quello, invece di inventarmi la storia strada facendo. E’ un modo nuovo per me, l’ho detto, e la cosa ha degli effetti inaspettati, qualcuno positivo, qualcuno meno. Quelli positivi sono evidenti, devo infilare parole in uno spazio che c’è già, ma questo mi porta a considerare sempre il lavoro come "già fatto, basta solo mettermi lì e finirlo, cosa ci vuole? Posso farlo domani", e non vivendo su un’isola deserta con un computer che contenga solo ed esclusivamente word sono soggetto a distrazioni, tipo stare alzato fino alle duemmezza per finire un quadro di Warhammer, o guardarmi quella vaccata incredibile del nuovo film sul Punitore, o leggermi una vecchia storia di Devil, o giocare con la playstation, oppure, ma è raro, fare qualche lavoro di cas, tipo una lavatrice o falciare (ma sarebbe meglio dire strappare) l’erba in giardino.

O andare a cercare un cacciavite e aprire sta cazzo di tastiera che non funziona per cercare di pulirla, o piantarcelo dentro fino a distruggerla definitivamente. Cazzo.

 

Bello questo utilizzo del blog per raccontare un po’ di cazzi miei, tipo il diario elettronico che tenevo durante quegli anni bui in cui sventavo golpe in Nicaragua solo per scoprire che si riformavano uguali il mattino seguente.

“Ahimè”, si lamentava il povero giovane non più tanto giovane, e intanto aggiungeva dolore al suo dolore per quella giovinezza che si era ormai fuggita tuttavia, senza neanche lasciargli il tempo di essere lieto, troppo preso a considerare le incognite del suo domani.

“Ahimè”, ripeteva, considerando i mali che lo affliggevano, e rimirando fuori dalla finestra in cerca almeno di un qualche stormo di uccelli neri come esuli pensieri nel vespero migrar. Macché, solo pioggia. Con quel tempo gli uccelli neri com’esuli pensieri non migravano affatto, se ne stavano ben rintanati al caldo dei loro nidi.

Anche lui se ne stava rintanato nella tana, con la sola compagnia di tre gatti e un cane, sette occhi in tutto, neanche la soddisfazione di guardarlo con sguardi pari gli concedevano quei quattro stronzi, e intanto si lamentava che la casa era fredda e umida, e solitaria era, soprattutto solitaria, che la sua fidanzata l’aveva lasciato un’altra volta per correre dietro a fortuna e gloria sulle bancarelle di una fiera al Porto Antico.

“Ahimè”, si lamentava il poveretto, mentre il cane saltava sul divano ad asciugarsi le zampe ancora bagnate di pioggia della passeggiata appena terminata. La sua fidanzata avrebbe trovato la casa in ben misero stato, quando sarebbe tornata, di lì a quindici giorni, e allora la disperazione del giovane non più tanto giovane (ahimè!) si sarebbe tramutata in dolore acuto, trafitta dai dardi feroci che la terribile padrona di casa gli avrebbe scagliato contro, intanto che raccoglieva panni sporchi e disordini diffusi in giro per il pavimento lercio.

Non avrebbe potuto evitarlo, lo sapeva, che la sua natura aliena di creatura sporchevole era difficile da domare, impossibile da reprimere, e non sarebbe servito neanche trascorrere quindici giorni immobile sul divano a giocare alla pleistescio senza mangiare nè andare in bagno, che di certo il modo per incasinare casa lo avrebbe trovato lo stesso.

“Ahimè”, pianse il tapino, guardando la pleistescio che gli lanciava occhiate cariche di voluttà, suggerendogli di fare un’altra partita al gioco appena imprestato, così abile a trascinarlo in una spirale di violenza e corse spericolate da dove non riusciva mai a riemergere prima di trenta secondi, o undici ore. Lo sapeva che presto avrebbe ceduto, e allora sarebbe stata la fine, gli animali si sarebbero impossessati della cucina, avrebbero tirato fuori il sacco dei croccantini dalla credenza e li avrebbero disseminati per il pavimento, quindi avrebbero scagazzato allegramente sul tavolo, ricoprendo il resto del mobilio di peli impalpabili ma moltissimo visibili e appiccicosi.

“E in più fuori piove”, pianse il derelitto, che sperava almeno di distrarre sè stesso e il cane ciclope con una passeggiata distensiva fino a casa di papà, dove avrebbe potuto scroccare una cena senza sbattersi a cucinare.

“Ahimè”, disse allora, ma di certo i lettori più svegli l’avevano già intuìto, e pubblicò le sue ultime cazzate sul blog, mentre dalle casse i Beatles intonavano una Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band molto adatta alla situazione.