2.

Scendi dalla macchina e corri mentre dietro di te lo schiocco degli spari somiglia a quello dei popcorn nel pentolino e non pensi a Tano Catarella accasciato sul sedile non pensi ai tuoi amici saranno dietro saranno fermi li avranno visti non pensi a niente pensi ai popcorn pensi alle piastrelle della cucina alle sedie coi cuscini deformati vuoi tornare a casa non ti interessa altro fanculo a Tano Catarella fanculo questa città fanculo voglio vivere nascondermi vivere cazzo vivere!

Non poteva scendere, lo sapeva. E non poteva restare lì a guardare mentre ammazzavano una persona, chiunque fosse.

Non pensò a niente, allungò una mano e la piantò sul clacson e restò lì con gli occhi sbarrati ad aspettare che succedesse qualcosa, la morte. Qualcosa.

Le due figure dietro il furgone corsero via senza voltarsi e si infilarono in un vicolo lì accanto. La macchina di Catarella fece fischiare le gomme e superò quella dei tre ragazzi sparendo in fondo alla strada.

Silenzio.

“Raga”
“…”
“Raga siamo vivi”
“…”
“Raga siamo vivi!”
“Cazzo”
“RAGA SIAMO VIVI! PORTIAMO VIA IL CULO!”

In quel momento bussarono nel vetro.

Enzino, che stava seduto dietro, si voltò a guardare e c’era la canna di una pistola che lo fissava. Non disse niente, si voltò, si mise composto e aspettò di morire come un bravo cristiano.

Toni, che stava seduto nel sedile del passeggero, continuava a sbraitare partipartiparti e non si accorse di niente, così la pistola bussò più forte, e stavolta se ne accorse, e nella macchina si diffuse un vago odore acido.

Dal finestrino del guidatore, che era abbassato, comparve la faccia di un uomo.

“Voi chi siete?”

Tutti e tre alzarono le mani, anche se l’uomo non li stava minacciando altro che col proprio dito. Dal finestrino opposto erano scomparse le armi, adesso sembrava una semplice conversazione notturna fra un uomo in strada e tre ragazzi su un’auto. Auto che puzzava sempre più di piscio.

“Siamo amici di Toni. Lui è Toni. Abita qui. Lo stavamo portando a casa. A Toni. Abita qui Toni.”
“Siete stati voi a suonare?”
“Minchia è uno di quelli col mitra siamo fottuti”

L’uomo si fece da parte e nel riquadro del finestrino prese il suo posto il nasone di Tano Catarella.

“Vi devo ringraziare”, disse. “Se non li facevate scappare adesso io stavo all’altro mondo”.

Il giorno seguente, intorno all’ora di pranzo, i tre furono ricevuti da un boss in canottiera in un modesto appartamento dall’altra parte della città. Offrì loro vino e salame e spiegò che quello vicino a casa di Toni era uno dei tanti rifugi di cui si serviva per non essere trovato dai suoi nemici.

“Certe volte mi domando chiccazzo me lo fa fare, sapete? Ma che volete, sono fatto così. E poi ho tante persone che mi vogliono bene, e se smettessi li renderei infelici. Così sopporto tutti sti scazzi e vado avanti. E grazie a voi adesso ci sono tante persone che possono continuare a volermi bene invece di venire al mio funerale, che i funerali sono una tale rottura di coglioni, mamma mia! Gli avete fatto un grande favore a queste persone, e vi voglio mostrare riconoscenza. Chiedetemi quello che volete.”

Nessuno rispose.

“Allora? Che volete?”
“È che tutto quello che vogliamo è tanta roba, non è facile decidere”, balbettò Enzino.

“Basta che non mi chiedi di diventare un astronauta, che quello non lo posso fare. Vuoi diventare astronauta?”
“Beh no”
“Allora che minchia vuoi?”
“Mi.. piacerebbe cambiare macchina..”
“Tutto lì? Scegli la macchina e domani ce l’hai. Nuova. Vuoi altro?”
“Posso chiedere altro?”
“E se te lo dico!”
“Vorrei un appartamento in centro.”
“Allora ti metto in una delle mie case in centro. Tranquillo, è tutto a spese mie, non mi devi pagare affitti o cose così. Ci stai dentro quanto vuoi, pure per sempre se ti va. E voialtri?”

Toni, che aveva capito come funzionava, ebbe meno esitazioni.

“Vorrei lavorare in un grosso albergo. Alla reception. Essere vestito bene e incontrare le attrici che vengono in città per il festival.”
“Bravo furbo. Così che si ragiona. Nient’altro?”
“E voglio farmi un viaggio in America!”
“Allora vai a casa e prepara la valigia. E quando torni vai a lavorare al Majestic. Conosco un amico che può farti entrare. Nessun problema.”

Dino sapeva cosa chiedere, e ottenne la promessa di un bell’appartamento in centro vista mare. Ma poi non gli sembrò di poter chiedere altro, e disse che bastava così.

“E basta?”, insistette Catarella. “Tu sei quello che ha suonato il clacson, a te voglio fare il regalo più grosso.”
“Ma le cose che voglio io non si possono comprare”, cercò di spiegargli Dino.
“Amico, io posso comprare tutto. Cosa vuoi?”

Fu Toni a spiegarlo al posto suo.

“A Dino piacerebbe diventare uno scrittore. È bravo! Però si è convinto che un meccanico di Santo Vito non può diventare uno scrittore, e le cose che scrive le fa leggere solo a noi.”
“Allora Dino lo facciamo diventare uno scrittore. Domani mandi le tue cose all’editore Brancucci, che mi deve dei favori, e lui ti ci fa uscire un libro.”
“E se poi non gli piace la roba che scrivo?”
“E noi gliela facciamo piacere.”

Ci sarebbe stato anche il terzo desiderio, ma anche se sei l’uomo più potente di Santo Vito non puoi convincere Dolores a innamorarsi di qualcuno, specie di qualcuno che non conosce. Così non chiese altro e dopo un po’ i tre vennero congedati.

3.

Sei mesi più tardi Dino contemplava il mare dalla piccola terrazza del suo appartamento.

Il boss era stato generoso, la vista era impagabile: tutto il golfo si apriva davanti a lui, e se guardava in basso poteva vedere gli atleti della squadra di canottaggio che rientravano dall’allenamento.

Anche l’altra metà della promessa era stata esaudita: ora Dino aveva un agente che gli organizzava incontri quasi ogni giorno, e un contratto in cui l’editore si impegnava a pubblicare e promuovere i successivi tre romanzi che avrebbe scritto, uno all’anno.

Il casino era che adesso doveva scriverli, e non sapeva da dove cominciare.

All’inizio aveva cercato di essere metodico: sveglia presto, tre ore al computer, pranzo, passeggiata distensiva, altre tre ore, resto della giornata libero. Gli sembrava un buon piano di lavoro, ed era riuscito a rispettarlo per tre giorni interi, ma la sera del terzo aveva litigato con Dolores, e il resto della settimana l’aveva passato a scrivere a lei invece che il suo romanzo.

Già, alla fine l’aveva conosciuta.

Era successo un paio di mesi prima. Con Toni dall’altra parte del mondo aveva messo da parte gli scrupoli e aveva scritto a Enrica per chiederle aiuto.

Avevano organizzato un’uscita a quattro, Enrica e Dolores, lui ed Enzino, che in questa cosa si sentiva parecchio a disagio, e mentre andavano all’appuntamento continuava a ripetere “Vabbè, ma io che ci guadagno, scusa? Una piace a te, e non è che posso mettermi con l’ex di Toni, quello mi ammazza”.

Era stata una serata piacevole, Dino aveva sfoggiato il suo nuovo ruolo di scrittore single con appartamento in centro, e Dolores quello di ragazza che sta vedendo uno ma non è una cosa seria e ha sempre nutrito la curiosità di conoscere da vicino uno scrittore single con appartamento in centro.

Si erano visti ancora da soli, e le cose avevano preso una piega interessante, e da lì era nata una frequentazione cui ognuno dava un nome diverso: per Dino era la Storia Importante, per Dolores non c’era modo di capirlo, ogni giorno sembrava viverla in modo diverso, e questo li portava a litigare più o meno sempre, con le conseguenze di cui sopra.

Dino chiamò il suo confidente di fiducia e lo aggiornò sul contenuto dell’ultima discussione.

Dall’altra parte del telefono Enzino trovò il nome adatto a quel rapporto complicato:

“Ancora!! Minchia ma questo è l’inferno! Ma perché non la mandi affanculo a quella? È evidente che non state bene insieme, lasciala e mettiti a scrivere che hai un romanzo da finire!”
“Ma che ne sai tu di come stiamo insieme, Enzino. Tu non ci sei nella mia testa, non lo sai come mi sento io quando le cose funzionano. È che è difficile farle funzionare, tutto lì.”
“Io non lo so cosa ci sia nella tua testa, ma so cosa c’è nella mia da una settimana. E ci siete voi due, minchia, non ne posso più! Tutti i giorni trovate una scusa per litigare, ma non vi volete lasciare e continuate a litigare. Ma ficcate almeno, ogni tanto? Lo trovate il tempo?”
“Sì, ogni tanto lo troviamo.”
“E allora basta! Fate quello e state sereni! E finisci sto libro! Quando lo devi consegnare?”
“Devo mandare una bozza la settimana prossima.”
“E ce l’hai?”
“No.”
“E lo sapevo io.”
“Non riesco a concentrarmi, ogni volta che provo a mettere giù due righe mi sembra di scrivere cazzate. Sono troppo incazzato per scrivere.. Senti Enzino, ma secondo te il boss ci ha fatto un regalo? Perché a me sembra che stavo meglio prima.”
“Ma quando? Quando smontavi carburatori? Ma sei scemo?”
“Non lo so, forse le cose bisogna guadagnarsele, se ti arrivano tutte addosso da un giorno all’altro vai fuori di testa. Prima era più facile.”
“Ma ti sembra che Toni stia male?”

Toni aveva fatto il turista negli Stati Uniti per tutta l’estate, poi si era reso conto che non voleva più tornare, e così aveva scambiato il posto in albergo con un po’ di contante, e si era aperto una pizzeria in California. Era contento, stava imparando a fare surf e non gli veniva più in mente Santo Vito, Catarella e tutti i casini e la miseria che aveva lasciato a casa. No, lui non stava male per niente, e se lo avesse sentito fare certi discorsi gli avrebbe dato dello stronzo.

“Dino, le occasioni bisogna saperle raccogliere quando arrivano, non c’entra niente come succede. L’importante è che succede, e a te è successo. Adesso vuoi mettere la testa a posto e lavorare o preferisci buttare tutto nel cesso e pentirti per il resto della tua vita? Perché è quello che farai se molli ora, sappilo.”

Dino tornò a sedersi al computer, scrisse un’altra mezza pagina, ma il ronzio nella testa era così forte che copriva tutto. Non gliene fregava niente del suo romanzo e del contratto con l’editore, pensava solo a dov’era e a come ci era arrivato. Pensava al diavolo che ti illude di darti quello che vuoi, ma ti regala solo illusioni. Pensava a Dolores, a quello che avevano messo via in quei pochi mesi che avevano trascorso insieme.

Prese tutto il lavoro che aveva fatto fino a lì e lo buttò nel cestino. Non era lui quello lì dentro. Poi aprì una nuova pagina e scrisse una lettera a Dolores, in cui le chiedeva scusa, ma questa storia doveva finire perché stava distruggendo tutti e due. Perché in quei pochi mesi insieme quello che avevano saputo mettere insieme era niente. Non era lui neanche in quel frangente.

Poi raccolse tutta la sua roba e uscì a cercare degli scatoloni per infilarcela dentro. Inutile restare chiusi in una scatola che non ti contiene, se prendi una decisione la prendi fino in fondo.

Mentre camminava per la strada con le mani in tasca si chiese chi era lui, se non era tutte quelle cose, e cosa avrebbe fatto adesso, ed entrambe le domande restarono senza risposta.

FINE

Santo Vito è un quartiere alla periferia di una grande città del Sud Italia. Una vecchia frazione di campagna che la città ha corteggiato a lungo, fino a ingravidarla di palazzi e lasciarla ad accudire i suoi figli senza padre. Poi ti stupisci che in periferia vengono su tutti delinquenti.

Dino è uno di qui. Da ragazzo ha mollato gli studi e si è messo a lavorare in officina, ma non si è mai immischiato in brutti affari, più per timidezza che per onestà. Mentre i suoi coetanei tentavano la prima rapina alla lottomatica lui era a casa a scrivere racconti. Perché Dino sogna di fare lo scrittore. Ha quaderni pieni di storie che fa leggere agli amici, e ripete che un giorno le spedirà a un editore e diventerà famoso. Sarà il giorno in cui mollerà l’officina, il quartiere e andrà a vivere in città, in un bell’appartamento vista mare lontano dal degrado di qui, dai tossici nel sottopassaggio della stazione, dalle facce sconfitte che incontra ogni giorno sul binario. Di quelli che hanno gettato le armi ancora prima che il nemico dichiarasse guerra.

E sarà il giorno in cui si presenterà a Dolores.

L’ha conosciuta una sera in un bar del centro, era con la ragazza del suo amico Toni. L’ha guardata tutta la sera, ma non ha avuto il coraggio di dirle niente. Gli è piaciuto come beveva la birra dalla bottiglia, come si guardava intorno senza vedere nessuno, e quando si è tolta i capelli dagli occhi non avrebbe più saputo dire se gli erano piaciuti più i suoi occhi scuri da araba o quelle mani piccole come le hanno solo certe bambole di porcellana. Aveva pensato subito alla porcellana, a come trasmetta messaggi dal passato, ti parli di case grandi e di mobili antichi che hanno attraversato gli anni fino ad arrivare a te con una dignità che ti mette soggezione, al punto di provare una certa reverenza a buttare il giubbotto sulla sedia imbottita.

Quella ragazza parlava di malinconia, di cassetti pieni di cose raccolte in una vita curiosa. Parlava di porte chiuse su stanze dove non entrava nessuno. Parlava un sacco, per una che non aveva pronunciato una parola in tutta la sera. Ma Dino era bravo ad ascoltare anche il silenzio, e quelle cose era sicuro di averle capite.

Si era innamorato di Dolores la prima sera, e aveva dovuto tenersi quella passione nel cuore, perché la prima sera era stata anche l’ultima: Dolores non si era fatta più vedere.

Toni si era lasciato con la ragazza una settimana più tardi, e non ci pensava neanche a organizzare un incontro. Gli diceva “Guarda che quella non è cosa, è una sofisticata”, e non aggiungeva altro. E che voleva dire?

Attraverso molte insistenze era riuscito a farsi rivelare almeno dove abitava: stava nel Bronx, che sarebbe una delle zone malfamate della città, un posto da sparatorie. Il vero nome del quartiere era un altro, ma ormai tutti lo chiamavano così. Se volevi spedire una cartolina a un amico che abitava lì scrivevi

Ciccio Panella
Palazzo sopra il macellaio
Bronx

e la cartolina arrivava. Se non arrivava era perché avevano di nuovo sparato al postino, tu non c’entravi niente.

Dino aveva un paio di amici d’infanzia con cui passava il sabato sera: Toni ed Enzino. Erano sempre insieme, prendevano la macchina di Enzino e scendevano in città. Ultimamente avevano preso il giro di fare i sofisticati pure loro: da quando Dino si era fissato con l’idea di incontrare Dolores passavano il fine settimana a frequentare il giro degli intellettuali, sperando di incontrarla.

Non era male evitare i posti più modaioli, spesso rischiavi di incontrare qualche tuo compaesano planato in città a caccia di prede. Parlavano tutti a voce troppo alta e gesticolavano tantissimo, e se ti incontravano mentre parlavi con una ragazza ti si fiondavano addosso e ti piallavano le spalle a pacche amichevoli finché non gliela presentavi. Ovviamente lei si ricordava di avere un impegno dopo un paio di minuti.

L’incubo ricorrente di Dino era di incontrare uno di quei predatori molesti mentre cercava di parlare a Dolores, così si teneva alla larga da quei posti, correndo il rischio che fossero proprio quelli i locali preferiti dalla sua amata, e vanificando così per sempre ogni possibile incontro.

Alla lunga ci avevano preso gusto, era stimolante. Toni, che era coatto perso, stava cominciando a coltivare una passione per il whisky scozzese, e pure Enzino un giorno si era fatto beccare da Feltrinelli a comprarsi un libro.

Una sera stavano in macchina sotto casa di Toni, a discutere di quello che avevano appena sentito a una conferenza sulla Siria.

“Oh Dino, va bene l’amore e tutto, ma una serata così io mai più, eh?”
“Ma dai, è stato interessante!”
“La prossima volta si entra, si guarda se c’è la tua bella e se non c’è VIA. Da Scannabuoi stasera suonava quel matto francese, quello che suona tre chitarre per volta.”
“Ma poi a te chi te lo dice che quella frequenta ste rotture di cazzo?”
“Me l’ha detto una”
“Chi?”
“Eh una.. una”
“Una chi?”
“Enrica”

Toni quasi saltò sul sedile davanti. “Minchia Enrica? Hai visto la mia ex? Brutto bastardo, e non me lo dici? Infame dimmerda!”
“Ma no, le ho mandato un messaggio. Le ho chiesto di aiutarmi, sto girando a vuoto da settimane, e mi ha detto che forse veniva qui. Non le ho chiesto nient’altro, lo so che ci stai male.”
“Ma chi è che ci sta male, oh! Io non ci sto male! Semmai sarà lei che ci sta male! Sta zoc..”
“Ehi ma che fa quello?”

Guardarono tutti e tre nella direzione indicata da Enzino, e in fondo alla linea invisibile tracciata dal suo dito c’erano due figure vestite di scuro con un passamontagna sulla faccia, che si stavano aqquattando dietro un furgone con qualcosa in mano: potevano essere telai di biciclette per nani o armi automatiche.

“Porca troia, lì ci sta Tano Catarella!”
“Minchia, vogliono far fuori il boss!”
“Minchia che facciamo? Se ci vedono siamo morti!”
“Andiamo via!”
“E come cazzo andiamo via senza che ci vedano!”
“Se stiamo qui siamo morti!”
“Anche se andiamo via!”
“Minchia!”

In fondo alla strada comparvero le luci di una macchina. Tutti desiderarono fortissimo che fosse la polizia.

Era una BMW grigia.

Era Tano Catarella che tornava a casa.

(continua)