Riassunto delle puntate precedenti:

Introduzione
Bruno Lauzi – Garibaldi Blues
Peggy Lee – Why Don’t You Do Right?
Tony Bennett & Lady Gaga – The Lady Is A Tramp
Joni Mitchell – Chelsea Morning
Neil Young – Cortez The Killer
Banda El Recodo – El Corrido De Matazlan
Los Cuates de Sinaloa – Negro Y Azul: The Ballad Of Heisenberg
Los Tucanes de Tijuana – El Chapo Guzman
Cholo Valderrama – Llanero si soy llanero
Celia Cruz – La Vida Es Un Carnaval
Duke Ellington – The Mooche
Renato Rascel – Romantica
Igor Stravinskij – Pulcinella Orchestral Suite – Part I/III
David Bowie – Pablo Picasso
Prince – Cream
Wu-Tang Clan – C.R.E.A.M.
Frances Yip – Green Is The Mountain
VIXX – Error
Ili Ili Tulong Anay – Mvibe
Mahani Teave & Viviana Guzman – Flight Of The Bumblebee
Martina Trchová – U Baru
ZAZ – Qué Vendrá
Incubus – Megalomaniac
Cartola – Alvorada
Yes – The Revealing Science of God (Dance of the Dawn)
No – Meet Me After Dark
Moby – My Weakness
Waka Flocka Flame feat. Drake – Round Of Applause
Sugarcubes – Hit
Kassav’ – Zouk-la sé sel médikaman nou ni

L’ultima volta che ci siamo visti abbiamo parlato dei Kassav’, e non sto a ripetervi chi sono stati perché se ascolto un altro pezzo di zouk finisce che mi iscrivo a un corso di danza caraibica. Avevo un amico che frequentava questi corsi, ogni volta che eravamo in giro, ovunque fossimo, se sentiva un ritmo familiare iniziava a sculettare e fare i passetti, ci faceva fare certe figure, le ragazze si allontanavano. Abbiamo dovuto smettere di portarcelo dietro perché la nostra vita sessuale si stava azzerando. Poi abbiamo scoperto che non era mica colpa sua se non rimorchiavamo, ma oramai era troppo tardi per riprendercelo, il bastardo si era sposato con una modella brasiliana conosciuta in un salsodromo.

Nel 1984, mentre nell’omonimo romanzo Winston e Julia consumavano la loro storia d’amore segreta in una stanza del Prolet, i Kassav’ pubblicavano il loro ottavo album Ayé. Non furono gli unici a pubblicare un album, sennò il 1984 ce lo ricorderemmo per la sua aridità musicale invece che per un romanzo distopico, e non furono gli unici a pubblicare l’ottavo disco, dato che nello stesso anno uscirono sia Note’n notes di Michel Petrucciani che Berserker di Gary Numan.

Se dovessi scrivere una puntata dedicata al pianista francese la chiuderei con Caravan, un brano di Duke Ellington che Petrucciani incise nell’unico album live che possiedo, così potrei raccontarvi che quando mettevo il suo disco in macchina nelle serate con gli amici ce n’era uno che mi chiedeva sempre di saltarla. Il fatto è che si era lasciato da poco con una ragazza, e proprio quel pezzo lo faceva soffrire, non so perché, cose loro, forse lo usavano come colonna sonora dei loro incontri sessuali. Forse vi interesserà sapere che anni dopo si sono rimessi insieme, poi si sono sposati e poi hanno anche divorziato, e spero che Caravan sia stato un brano fondamentale anche in quelle occasioni, così perlomeno adesso non chiederà ai suoi amici di saltare altri brani di altri dischi.

Invece vi parlo di Gary Numan, che si collega un po’ a quella vicenda anche lui, ma non vi posso spiegare perché, è troppo personale. Fidatevi.

Fidatevi è anche il titolo di un album dei Ministri, ma ho già detto che parlerò di Gary Numan.

Gary Numan probabilmente lo conoscete già se avete fra i 50 e i 60 anni e possedete tutti i dischi dei Depeche Mode, altrimenti potreste non averlo mai sentito nominare. È stato tuttavia un pilastro del synth pop, autore di uno dei suoi brani più conosciuti, Cars, con cui rubò la vetta delle classifiche dei singoli inglesi al più popolare cantante del Regno Unito, Sir Cliff Richard. Durò una sola settimana, e quella dopo anche lui dovette cedere il passo a dei cazzo di fenomeni che seppero dominare il decennio successivo e un po’ anche i successivi, ma dei Police casomai parliamo un’altra volta.

Cars è anche il suo unico pezzo ad avere avuto un certo successo oltreoceano, tanto che è finito anche nella colonna sonora di un videogioco Marvel, insieme ad altri brani dell’epoca.

E con questa informazione credo di avere esaurito quello che avevo da raccontarvi su Gary Numan. Anche su wikipedia non c’è molto, dice che dopo quei 15 minuti di celebrità si è spento come la candela del motorino e da allora spinge. Continua a buttar fuori dischi, ma il trionfo di allora non è più tornato. Un po’ come quando lei ti dice che vuole prendersi una pausa ma che non c’è bisogno che cancelliate la prenotazione della vacanza a Praga.

Però c’è una storia su Gary Numan che è fighissima, e riguarda le bibite gassate.

Nel 1982 la 7-Up, la bevanda che qui da noi è conosciuta come “la gazzosa in lattina che non è la Sprite”, contattò il nostro musicista per fargli comporre tre jingle da utilizzare in altrettanti spot pubblicitari. La cifra pattuita fu di 10.000 sterline, e il testo ce l’avrebbero messo loro. Numan si mise al lavoro e compose una roba molto orecchiabile, di quelle che ti rimangono in testa, ma non riuscì a convincere i suoi committenti.

La cosa assurda fu che loro quella musica non la ascoltarono neanche, perché il giorno dell’incontro negli Stati Uniti l’artista non si fece vedere. I dirigenti della 7-Up se la presero tantissimo e decisero che non avrebbero più lavorato con Numan in futuro, guarda te sto stronzo chi si crede di essere.

Numan, dal canto suo, ci aveva anche provato ad arrivare in tempo all’appuntamento, ma il suo aereo era rimasto senza carburante e dovette effettuare un atterraggio di emergenza prima di lasciare l’Europa.

Poi uno dice vabbè, gli è caduto l’aeroplano, rimandi l’incontro, la prodduzione slitta di una settimana e va tutto a posto, che ci vuole? Oggi basterebbe un messaggio di whatsapp, “Buongiorno, scusate ma non potrò essere presente all’appuntamento di domani perché sono precipitato su un’isola deserta e adesso devo schiacciare in sequenza una serie di tasti altrimenti il fumo nero distruggerà il mondo”, ma allora le cose erano molto più complicate, i produttori di bevande gassate erano parecchio permalosi e per una cazzata come rischiare di morire ti toglievano anche il saluto.

Per esempio mi ricordo di una nota azienda che nei primi anni 2000 era finita sotto processo perché alcuni suoi operai che lavoravano in filiali sudamericane erano stati uccisi dopo avere chiesto salari più umani. Non dico che li avesse uccisi lei, la nota azienda, anche perché alla fine era stata assolta, però a quei tempi si sentivano spesso queste storie di sindacalisti spariti, operai picchiati alle manifestazioni, studenti caricati dalla polizia, e c’era stato un momento in cui l’indignazione per questi abusi aveva cominciato a incanalarsi in un movimento uniforme; in molte città nascevano comitati che raccoglievano studenti e lavoratori che avevano in comune il fatto di essere incazzati. Non c’era incontro fra capi di stato che non vedesse un suo doppio popolare a manifestare poco distante, c’era tensione e stava crescendo. Poi c’è stato l’11 settembre e il mondo ha svoltato in un’altra direzione, e di queste tensioni non si è saputo più niente.

Certo, anche oggi ci sono persone che si riuniscono per protestare, ma è tutto più scollegato, l’opinione pubblica non li segue, e in genere chi ha il potere non si sente granché minacciato da chi quel potere lo subisce, e fa un po’ il cazzo che gli pare senza più doverne rendere conto. Le bibite gassate hanno ancora il potere di fare e disfare, e possono aumentare il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera per avere la materia prima a basso costo da infilare nelle bollicine, e ancora oggi decidono se a capo del più grande impero moderno ci starà Ratzinger o Francesco (questa mi hanno detto di scriverla così, non la capisco neanch’io), ma sopra di loro oggi ci sono poteri più forti, venuti fuori dopo il 2001 e di cui anche i più attenti fra di noi, tipo i cazzo di nazisti simpatici sciroccati di Byoblu, sono del tutto ignari. Oggi perfino i grandi leader mondiali delle bibite gassate sono costretti a piegare la testa di fronte a giganti più grossi di loro, e se non sapete di chi sto parlando mettetevi seduti perché sto per fare un nome grosso e del tutto inaspettato.

Le macchinette distributrici. Sono loro le vere depositarie del potere occulto, coloro che oggi hanno in mano il destino del mondo, e da dietro il loro accogliente vetro ci osservano e imparano e decidono. Sono in tutti gli edifici dove si amministra il potere, hanno contatti quotidiani con tutti i principali leader mondiali, ma di più, danno letteralmente loro da mangiare. E sono sempre loro a decidere l’umore di chi comanda, e a influenzare così le loro decisioni; sono sempre loro, infatti, a decidere se la lattina te la vogliono erogare o magari te la incastrano a metà del binario, e per quel giorno ti devi accontentare della barretta ai cereali. Per noi potrebbe esseere un inconveniente da poco, ma immagina se proprio quel giorno devi presiedere a un incontro con un altro capo di stato con cui sei ai ferri corti per questioni noiose e complesse come il passaggio di un tubo che porta olio raffinato indispensabile per il sostentamento di un’etnia minoritaria che ti sta pure sul cazzo perché ha inventato il tormentone estivo con cui tua figlia ti ha ammorbato i timpani per tutte le ferie, e invece di presentarti con la bocca rinfrescata dalle bolle zuccherose di una bevanda lievemente aromatizzata al limone ci vai con la bocca asciutta e impastata di crusca, una sete che ti berresti l’Adda e le balle girate, e quello che poteva essere il primo importante cenno di distensione su una situazione che sta tenendo il mondo in apprensione si rivela l’ulteriore passo verso una crisi che potrebbe avere conseguenze drammatiche per milioni di persone.

E non è che la risolvi chiamando il servizio clienti e chiedendo un rimborso, perché se ci provi ti risponde una segreteria che ti chiede di scegliere in un labirinto di risposte multiple col chiaro intento di farti rinunciare, e anche nella rara ipotesi in cui riuscissi a mantenere la rotta e farti passare un operatore finiresti nelle mani ostili di Adelina dall’Ungheria, che ti legge delle risposte standard dal manuale che ha in dotazione e di cui ignora il significato, e quando riattacchi sei più insoddisfatto di prima e nutri un odio viscerale verso i curdi.

Che poi, riattacchi, anche lì ci sarebbe da dire. Una volta, coi telefoni a cornetta si diceva riagganci, o riattacchi, perché per interrompere il collegamento dovevi riappendere la cornetta dentro a cui parlavi all’apposito sostegno, ma oggi cosa riattacchi, al limite schiacci, sfreghi, scrolli, e dato che il cellulare ti permette di fare un sacco di altre cose questi verbi non sono più legati esclusivamente a chiudere una conversazione, puoi in effetti schiacciare e sfregare per ogni possibile utilizzo dell’apparecchio. Ci serve un verbo apposta per quando chiudi la conversazione, bisognerebbe parlarne a Gary Numan, che magari ci scrive una canzone apposta, diventa una hit internazionale e ottiene finalmente quel riscatto che gli manca dai tempi della 7Up, e questo lancia un segnale occulto ai grandi vecchi che governano il mondo, che si rendono conto che da questa parte qualcuno ha capito come stanno le cose e sta cominciando una controffensiva, e magari anche i distributori di lattine rimettono la testa a posto e perlomeno sostituiscono Adelina con qualcuno che capisce cosa cazzo gli stai dicendo.

(continua)

Le bevande delle macchinette automatiche hanno tutte lo stesso sapore. Quella al gusto di caffè, quella al cioccolato, il tè, il cappuccino, ti lasciano sempre lo stesso gusto in bocca, di qualcosa di finto, di messo insieme alla svelta per rassicurarti che la broda calda che ti sta scendendo nell’esofago non ti ucciderà. Quel sapore è la Bevanda™.

Leggiamo sull’etichetta “Bevanda al gusto di” e associamo al termine Bevanda il significato imparato a scuola: un liquido compatibile col nostro organismo. Ma è qui che i produttori di macchinette ci fregano, perché la loro Bevanda™ è un marchio registrato, un prodotto creato apposta come base per ogni bevanda (questo sì, minuscolo) messa in commercio.

Ma di cos’è fatta questa Bevanda™?

Di zucchero, prima di tutto. Lo zucchero è la droga che il tuo organismo ti chiede con forza appena varchi la soglia del posto di lavoro, e loro lo sanno, e te ne danno in quantità. Vuoi una prova? Schiaccia il bottone “senza zucchero” quando ordini il tuo caffè, ce ne troverai comunque un cucchiaino abbondante. Poi acqua, per forza, sennò la macchinetta si fonderebbe cercando di erogare marmellata. Tu non ci faresti neanche caso, il tuo cervello la vedrebbe come una sostanza ancora più zuccherosa e ti prenderebbe a gomitate per fartela assumere più in fretta.

Acqua e zucchero insieme richiamano gli abitanti più numerosi del pianeta, che di questi elementi sono ghiotti: le formiche.

Le formiche costituiscono un buon 30% di un bicchiere di Bevanda™. Si arrampicano lungo la parete, penetrano all’interno e intasano il tubo finendo nel bicchiere. Sai quando prendi la cioccolata e senti sulla lingua i pezzettini di cacao che non si è sciolto? Ecco. La stessa cosa succede nell’azienda che produce la Bevanda™, quelle formiche finiscono nei vasconi e danno al prodotto quel retrogusto mandorlato che ci troviamo in bocca dopo un bicchiere ogni mattina, di tè o cioccolata, e che non sappiamo definire.

È così che inizia la mia giornata, e sono sicuro che anche la vostra varia pochissimo. Ma cosa succederebbe se domani decidessimo di bere un prodotto migliore, più genuino? Esistono delle alternative?

Certo che esistono, ma non in Italia.

In Germania la Getränke, azienda leader nel settore dei palliativi da lavoro, utilizza per le sue macchinette automatiche un liquido fermentato a base di luppolo e succo di ribes, a cui viene aggiunto il sapore richiesto dall’utente. Nelle loro fabbriche e negli uffici nessuno beve caffè o cappuccino, quindi i gusti disponibili sono diversi dai nostri. Quelli che riscuotono il maggior successo sono il Müller-Thurgau e il purè di patate.

Anche la Francia ha una sua ricetta per la bevanda base, con cui rifornisce i distributori automatici. È composta principalmente di bordeaux, ma va detto che nel Sud del Paese alcune aziende prediligono l’uso del pastis. È per questo che la classe lavoratrice francese è sempre così frizzantina quando scende per strada a protestare.

In Italia come siamo messi?

Nel nostro Paese il monopolio del prodotto base per i distributori automatici è detenuto da un’azienda di Torino, la Delbrucchi, che rifornisce tutto il territorio nazionale grazie a una licenza rilasciata in esclusiva nel 1954 dall’allora governo Scelba. L’anno prima il fondatore dell’azienda, Ansio Delbrucchi, era tornato da un viaggio negli Stati Uniti con un’idea che avrebbe rivoluzionato le giornate lavorative degli italiani. Allora le fabbriche erano dotate di un piccolo spazio in cui gli operai trascorrevano la pausa pranzo, dotato di cucina a gas e, naturalmente, di caffettiera. Delbrucchi fu il primo a vedere le possibilità di crescita in un mercato ancora da creare, e gli fu facile ottenere una licenza dall’allora ministro dell’industria e del commercio Bruno Villabruna.

Come gli riuscì di trasformare la licenza in un contratto di esclusiva non si sa. Qualcuno sostiene che i due, Delbrucchi e Villabruna, avessero stretto amicizia a Torino quando il secondo ne divenne podestà nel 1943.

Quel che è certo è che da allora la Delbrucchi si è enormemente avvantaggiata, moltiplicando i propri guadagni in linea con l’aumento del settore manifatturiero e dei servizi: per ogni ufficio, fabbrica, officina o sala d’aspetto che viene aperta l’azienda ottiene un nuovo punto vendita in cui piazzare la Bevanda™.

Con l’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea l’apertura dei mercati ha però causato alla Delbrucchi un grosso problema: il contratto in esclusiva firmato nel ’43 non garantisce all’azienda alcuna posizione privilegiata nei confronti di società estere, che possono così penetrare il mercato con prodotti di qualità decisamente superiore.

La prima a farsi avanti è stata la Bonjour Boissons, un’azienda di Lione che produce una bevanda base di alto livello, al sapore di menta e camomilla.

Nel tentativo di salvare l’azienda, il suo attuale proprietario Stefano Delbrucchi, si è iscritto nelle fila del M5S, e sta facendo pressioni sui suoi amici al governo affinché estendano i diritti di esclusiva anche al territorio europeo.

Il problema è che questo è vietato dallo statuto dell’Unione, e il governo lo sa bene. Che fare allora?

E qui veniamo alle notizie odierne, agli attacchi frontali al governo d’oltralpe, alle dichiarazioni dei nostri ministri che danneggiano anni di buoni rapporti commerciali con la Francia senza alcun guadagni apparente. Non è un caso che Toninelli abbia dichiarato che di andare a Lione “non ce ne frega niente”, né che Di Maio abbia incontrato i rappresentanti dei Gilets Jaunes invisi all’Eliseo. Fa tutto parte di una strategia precisa, e a farne le spese saranno, ancora una volta, i lavoratori italiani. Gli stessi che questo governo, peraltro, l’hanno votato.