C’è un film di David Cronenberg del 1986 intitolato La Mosca, dove un giovane Jeff Goldblum interpreta uno scienziato, di nome Seth Brundle, che inventa la macchina per il teletrasporto. Si tratta di due cabine: una scompone in atomi quello che ci metti dentro e lo trasmette all’altra, che lo ricompone come nuovo. Dopo un po’ di esperimenti la prova su di sé, ma non si accorge che nella cabina di partenza, insieme a lui, è entrata una mosca. Quando arriva tutto intero dall’altra parte è bello soddisfatto del risultato, ma dopo un po’ inizia a cambiare: perde pezzi, mangia roba molto zuccherata, si trasforma, e per il resto del film noi assistiamo a questa trasformazione nell’ibrido chiamato Brundlemosca, fino al finale abbastanza prevedibile.

Il cambiamento è graduale, prima perde i capelli, le unghie, i denti, poi si gonfia e si deforma, alla fine è un insetto antropomorfo, ma c’è una fase, più o meno a metà, quando non ha ancora perso del tutto le fattezze umane, in cui è identico a una mia collega che si chiama Barbara.

The many stages of the transformation from Seth Brundle (Jeff Goldblum) to the grotesque Brundlefly in "The Fly" (1986) from body horror master David Cronenberg
In una delle fasi successive diventa anche Ministro dell’Interno, tifoso della Sampdoria e infine lettore di Libero

L’altra mattina Barbara è entrata in ufficio a chiedermi di allargarle il buco.
Non c’è niente di sessuale, voglio specificare, si tratta di lavoro: io lavoro in una ditta che vende buchi; li produciamo con delle macchine specifiche capaci di realizzarne diverse centinaia nell’arco di una giornata, di diametro e profondità variabile, poi li confezioniamo e li spediamo ai nostri clienti. Vi sarà capitato di imbattervi in un buco, una volta o l’altra, e magari vi sarete chiesti chi l’ha fatto. Sette volte su dieci siamo stati noi, la mia ditta è fra le prime dieci produttrici di buchi in Europa, in Italia siamo primi per fatturato.

Il mio compito è di fare in modo che le dimensioni del buco prodotto corrispondano a quelle richieste dal cliente. Se ciò non avviene non si può modificare la macchina, perché richiederebbe troppo tempo, bisognerebbe fermare la produzione, si butterebbero via un sacco di soldi, e allora si modifica la richiesta del cliente. Ed è lì che interviene il mio ufficio, aprendo la richiesta e modificandola per farla corrispondere col prodotto che stiamo producendo. I clienti non si lamentano mai, le modifiche sono millimetriche, e poi se uno va a guardare dentro un buco è perché cerca qualcosa, quindi abbiamo un altro ufficio che si occupa di lasciare qualcosa sul fondo dei buchi che consegnamo. Molto spesso si tratta di spazzatura, carte di merendine che consumano i miei colleghi sulla linea di produzione, note scherzose che dicono Steven Suca o Carmine Buliccio (un giorno dovrò scrivere un post in difesa della bellissima parola buliccio, in via di estinzione per ragioni che sono indiscutibili, le condivido tutte, ma che impoveriscono il linguaggio), ma se la modifica è eccessiva e c’è il rischio che il cliente se ne accorga, bisogna andarci giù pesante. A mali estremi estremi rimedi, diceva coso: se vuoi spostare l’attenzione dal buco occorre depositare sul fondo dei buchi oggetti di valore, o molto delicati, come reperti archeologici, tubature fognarie e certe volte addirittura cadaveri. In questo caso abbiamo un altro ufficio che si occupa di tutti quei depositi che avranno conseguenze giudiziarie, ma con loro non lavoro mai, stanno all’ultimo piano e hanno una macchinetta del caffé che non usa nessun altro.

Uno degli articoli che vendono di più

L’altra mattina, quando Barbara è venuta a portarmi la richiesta sul modulo apposito, si è fermata a chiacchierare, e mi ha affascinato osservare la sua struttura aliena, quella testa gonfia, le protuberanze sulla faccia, le zampette sempre in movimento. Mi sono chiesto se gli esseri umani stiano continuando il loro processo evolutivo, e dato che immagino di sì, quanto ci metteremo a notare le differenze. Credo che sarà un cambiamento lentissimo, e che i risultati saranno visibili quando gli umani del futuro confronteranno sé stessi con quelli di un milione e mezzo di anni prima, cioè noi, e ci chiameranno primitivi, e poi torneranno a occuparsi delle loro faccende tipo se è il caso di esonerare l’allenatore della squadra ultima in classifica e chiamare Ballardini.

Però potrebbe succedere che il cambiamento sia repentino, come nei fumetti degli X-Men, e che fra noi si aggiri già qualche esemplare di una nuova specie, dotata di poteri che noi neanche ci sogniamo. Spero che quello di Barbara non sia leggere nel pensiero, o prima o poi mi mena con le sue zampe raptatorie.
Secondo questa teoria la nuova specie, più evoluta della nostra, sarebbe presto in grado di sopraffarci e condannarci all’estinzione, un po’ come fecero i Sapiens coi Neanderthal qualche anno fa.

L’assurdità è che il tema della sostituzione etnica sia entrato da tempo nella discussione pubblica come un fenomeno reale e non un tema da fumetti o da libro di antropologia. Certo, se è capitato allora perché non dovrebbe succedere di nuovo, si domandano i sostenitori di questa tesi, senza considerare che la sostituzione etnica di 400.000 anni fa, nei modi in cui può essere avvenuta, che ancora non conosciamo, ci ha messo dai 2.500 ai 5.400 anni, durante i quali le due specie hanno convissuto.

Non ho voglia di occuparmi di questa faccenda, chi la usa lo fa sempre e solo per giustificare il proprio razzismo, e con quelle persone non discuti, le eviti finché puoi e poi le meni forte. Torniamo a parlare del mio posto di lavoro, che ci sono un sacco di personaggi interessanti che vale la pena conoscere.

Uno di questi è Gioele, uno che se fosse un personaggio dei fumetti diresti che l’autore non si è sforzato granché per disegnarlo, ha preso un biker americano ciccione con la barba e gli ha messo addosso la divisa dell’azienda. Gioele è pelato, come tutti i bikers ciccioni americani con la barba che di solito indossano il casco a forma di elmetto nazista, e ha gli occhi sporgenti come uno affetto da esoftalmo, anche se nel suo caso si tratta di stupefazione: Gioele si stupisce di tutto, come i bambini, perché vive perennemente scollegato dalla realtà, e ogni volta che qualcosa ce lo riporta lui si guarda intorno e si meraviglia. È piacevole da guardare, all’inizio, ti mette di buonumore. Gli racconti dell’ultimo disco che stai ascoltando (Gioele è un grande appassionato di musica di qualunque genere) e lui sgrana gli occhi pieno di gioia, e per quanto la tua giornata sia stata fino a quel momento orribile ti senti contagiato e inizi a sorridere. Si dice che il contagio potrebbe estendersi ai tuoi genitali se avessi la malaugurata idea di accoppiarti con lui, dato che è un grande frequentatore di prostitute, ma sono bugie basate su pregiudizi, la maggior parte delle prostitute si prende cura della propria salute e ti obbliga a indossare il preservativo. Me l’ha detto Gioele mentre mi inculava.

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Io e Gioele condividiamo solo alcuni generi musicali, perché a me piace il pop melodico mentre lui predilige una variante del death metal molto incazzata col mondo e che ti induce una fortissima depressione, chiamata Maurizio Belpietro. Ma è un’altra condivisione che ci sta creando dei problemi che alla lunga potrebbero minare il nostro rapporto cordiale, e sono i ritmi biologici: io e Gioele, sebbene molto diversi fisicamente, ci mettiamo lo stesso tempo a trasformare ciò che mangiamo in materia fecale, e quindi capita spesso che quando uno dei due ha bisogno del bagno ci trovi dentro l’altro e si metta a smadonnare fortissimo, perché io e lui lavoriamo in due reparti che condividono uno spogliatoio diverso da quello destinato agli operai di produzione, e abbiamo di conseguenza il nostro bagno personale.

Potremmo usare quello dello spogliatoio della produzione, ma nessuno sano di mente farebbe mai una cosa simile, alla gente che lavora a stretto contatto coi buchi si strappa a poco a poco il tessuto della realtà, e dopo qualche anno cominciano a trasparire mondi paralleli con cui normalmente non entriamo mai in contatto; ci sono altre dimensioni oltre la nostra, e gli operai della produzione le frequentano tutte. Nel loro spogliatoio si annidano creature che neanche Lovecraft seppe immaginare, se non sei preparato potresti uscire pazzo o non uscire affatto.

Anche dei ragazzi della produzione avrei da raccontare parecchio, ma magari su questa storia dei colleghi ci torniamo un’altra volta.

Tante, e neanche me le ricordo tutte, e neanche so se era poi questo di cui volevo parlare, perché stasera che ho cenato presto e non ho più niente da guardare con l’ansia di chi è stato lasciato a metà di una sparatoria, ho più che altro voglia di sentire i tastini quadrati fare quel rumore clik clik clik che non è già più il suono pulito tk tk tk che facevano appena comprato il portatile, e forse sarebbe ora di cambiarlo, ma coi miei problemi economici vi annoierò un’altra volta, stasera facciamo che vi racconto di qualche cosa che ho visto negli ultimi tempi, e se mi viene in mente altro pianto lì e cambio discorso.

L’altra sera ho visto Dredd. Che sarebbe quel film che se lo racconti a un amico va pressappoco così:

– Ieri sera ho visto un film di fantascienza su un poliziotto violento in una megalopoli del futuro.
– Ah, Robocop!
– No, in questo combatte contro le gang ferocissime.
– Eh, è Robocop.
– No, questo ha un elmetto che gli copre mezza faccia.
– Robocop.
– No, questo ha una pistolona che spara qualunque cosa ed è violentissimo.
– Anche Robocop.
– No, questo dice tre parole in tutto il film e ha la collega bionda.
– Guarda che mi stai descrivendo Robocop. È ambientato a Detroit?
– No.
– Aah! Ma allora è Dredd!

Mi sono divertito, e per tutto il film ho pensato che Stallone in fondo fa la sua figura, e che mostra anche un bel po’ di umiltà a non mostrare la faccia per tutto il film. Poi nei titoli di coda c’è scritto che sotto l’elmetto di Dredd c’è Karl Urban, che ho già sentito nominare solo perché ne ha parlato Ortolani in una sua rubrica di cinema riguardo a non so più che film. Stamattina ne ho parlato col mio collega che vive in un mondo parallelo, ve ne ho già parlato:

Il terzo personaggio ha la mia età e si chiama Atarumoroboshi. È un pazzo con due soli hobby, l’aeromodellismo e i cartoni animati porno giapponesi. Di entrambi conosce tutto, ma solo i secondi, quando te ne parla, gli fanno tremare la voce e muovere le mani come pinzette. Neanche lui, come Muttley, ha mai avuto una fidanzata, e questo lo ha portato a idealizzare la sua donna ideale in una ragazza vestita da scolaretta, con due tette come pentole a pressione Ariston formato ospedale da campo, gli occhi da manga e la possibilità di pilotarla tramite telecomando entro un raggio di due chilometri.

Gli racconto del film, della faccenda di Stallone, di questo attore che invece era uno che non conosco, e mi viene in mente Ortolani, ma non glielo dico. Lui mi risponde che sto facendo casino, il film con Stallone è un altro, questo è il remake. Stasera vado a vedere il blog di Ortolani dove parla di Karl Urban e scopro che anche lui ne parlava a proposito di questo film, e la sua recensione è anche più bella della mia.

Ormai in una locandina di film d’azione te lo scordi il cielo sereno. Sarà l’inquinamento.

Allora niente, siccome di Dredd ne ha già parlato lui provo ad accendere la stufa a pellet, non perché abbia particolarmente freddo, ma perché voglio vedere se mi fa di nuovo lo scherzo dell’Esorcista. Ah ma voi non sapete dello scherzo dell’Esorcista, devo fare un passo indietro.

Lo scherzo dell’Esorcista

Venerdì sera sono andato al cinema a Ronco, che inauguravano il proiettore nuovo. Funziona così nei piccoli paesi dell’entroterra, non avendo discoteche o teatri che iniziano la stagione non possiamo invitare una nota soubrette o un personaggio politico. A Milano per esempio sono fortunatissimi perché in entrambi i casi chiamano la Minetti a ballare sul cubo, ma noi dobbiamo arrangiarci invitando quello che c’è. È comunque andata bene, il proiettore è una roba che quello del multisala più grosso di Genova si è rotto per la vergogna, alla fine c’era anche Burlando che ha detto che doveva essere altrove, ma ha saputo che da noi nascono un sacco di funghi, e i miei amici cinematografi hanno infilato nei trailerz della prossima stagione anche il loro corto che fa il verso ad Apocalypse Now, ma in versione valligiana.

Tornando a casa, sotto una leggera pioggerella, mi godo la solitudine del paese, non c’è proprio nessuno, non passano neanche le macchine. Ad un certo punto, quasi sotto casa mia, sbuca uno con una camicia bianca parecchio estiva, le mani in tasca, e mi fa:

“Ciao, scusa, hai la macchina? Me lo dai un passaggio fino a Isola? Non ci sono più treni.”

Isola sarebbe Isola Del Cantone, il comune che confina col mio. Sono meno di dieci minuti in macchina e io non ho niente da fare, ma sticazzi, neanche provi ad introdurre il discorso, mi chiedi un passaggio come se fossi lì apposta a scarrozzare sconosciuti avanti e indietro per la valle.

“No, non ce l’ho la macchina.”
“È che piove.”
“Eh già. Per fortuna che io abito proprio qui. Ciao eh.”

Appena entro in casa c’è un caldo africano, perché nel pomeriggio ho montato il tubo insieme a un amico che fa queste cose di mestiere, oltre a vendere ferramenta che però quando gliele chiedi gli arrivano giovedì; prima di uscire per andare al cinema ho acceso la stufa per vedere se il tubo perdeva fumo, e l’ho lasciata accesa.

Niente fumo, il lavoro è stato fatto bene, che soddisf.. un momento.. che roba è quella??

Dietro alla stufa, sul pavimento, una grossa macchia rossa, un lago di sangue che cola dal tubo e si infila sotto la lavatrice. La prima cosa che penso, ovviamente, non è “si è rotta la stufa”, ma “poltergeist!”. Per essere proprio sicuro che non si tratti di un guasto vado ad affacciarmi alla finestra, certo di ritrovare il mio amico scroccone in mezzo alla strada a fissarmi negli occhi, con una strana espressione in volto.

Non c’è nessuno, la strada è sempre deserta. Allora dev’essere un guasto.

Poi niente, ho scoperto che era semplice acqua e il colore rosso era dovuto alla cenere del pellet, ma da dove sia uscita non l’ho mica capito.

Fine dello scherzo dell’Esorcista

E quindi niente, stasera provo a riaccendere la stufa e mi si riempie la cucina di fumo. Eccheccazzo, penso, e torno ad affacciarmi alla finestra.
Nessuno, come al solito, allora estraggo il tubo con la mia proverbiale cautela e ci guardo dentro.

Oh, mi ero scordato di tirare via la carta che ci abbiamo infilato durante il trasloco! A questo punto il mistero è come abbia fatto a funzionare la prima volta!

Vabbè, la prossima volta vi racconto che è finito Breaking Bad e sono tristissimo, ma non ve ne posso parlare perché sennò vi rivelo delle robe e voi che lo state guardando in italiano su AXN (esiste un canale che si chiama così? Boh?) poi mi odiate perché vi rovino la sorpresa.

Comunque Luke era suo figlio.

Il pollo ai peperoni non è il piatto più indicato per la cena, almeno non se si intende dormire entro le successive ventiquattro ore comodamente sdraiati in un letto. Dato lo stato di pesantezza in cui ti lascia sarebbe necessario addormentarsi in una posizione meno orizzontale, così da agevolare lo stomaco nel suo lavoro, già tanto difficile. Per esempio in piedi come i cavalli potrebbe essere una posizione conveniente, o appesi a una gruccia nell'armadio.

Una buona passeggiata dopo il pasto aiuta la digestione. La maratona di New York è particolarmente indicata per smaltire le porzioni bibliche che mi sono trangugiato poco fa. Sempre che corra da qui fino alla linea di partenza, naturalmente.
È che mi sento come se lo stomaco si fosse vestito da palombaro, con scafandro e scarponi di piombo, e si stesse immergendo in qualche abisso oceanico. Se chiudo gli occhi li vedo quei pesci orribili con la mandibola di fuori, piantati davanti a me a fissarmi con quelle bocce luminescenti che hanno ai lati della testa. Anche se li apro davanti a uno specchio li vedo, e in più sono spettinati e con la barba lunga, e si lamentano, dicono che no, il secondo piatto non avrebbero dovuto mangiarlo.

Di andare a dormire non se ne parla, mi rivolterei nel letto tutta la notte, alternando stati di veglia nervosa a brevi sonni costellati da incubi, ma di quelli brutti, tipo che lavoro ancora alla fabbrica di materassi e sono sposato con la mia collega, ma non quella un po' zoccola con le belle tette, sua sorella il cinghiale coi baffi, una specie di Maurizio Costanzo con la permanente alle setole. Neanche uno zombi che venga a salvarmi in quei sogni lì, mi sveglio sudato con un grido strozzato in gola: “Come sarebbe che non hai preso la pillola??”

Mioddio. Piuttosto che affrontare simili demoni passerei la notte sveglio, ma a fare cosa? I videogiochi me lo menano da un po', i porno neanche quello, mi tocca fare da solo, e in entrambi i casi dopo un paio di minuti compare la scritta game over.

Potrei scrivere, il libro è finito, ma ho già un altro progetto fra le mani, la storia di uno che.. no, un momento, non vi aspetterete mica che ve lo racconti, vero? Filate a comprarvi Acapistrani, piuttosto! Ce l'avete già? Traducetemelo in inglese, che ci faccio un ebook e mi ritiro a scrivere romanzi digitali invece di andare a lavorare in macchina.

Ma lo sapete che da casa mia al posto di lavoro ci vogliono venticinque minuti se esco di casa alle settemmezza, ma solo dieci se esco alle setteventicinque? Escono tutti di casa insieme da queste parti, e in un attimo intasano la strada, che è stretta e attraversa tre centri abitati piuttosto affollati prima delle otto di mattina. Quindi ho da scegliere, o arrivo alle otto in punto rischiando il ritardo o arrivo alle sette e trentacinque e sto a rompermi le balle fino alle otto insieme ai miei colleghi che sono bravi, ma basta.

Non ve ne ho ancora parlato dei miei colleghi? Dunque, c'è Muttley, un quarantacinquenne perennemente accigliato come il cane di Dick Dastardly, ha in antipatia tutti i suoi colleghi tranne me, in particolar modo odia Bradipo, che sfotte tutto il giorno facendogli il verso quando non lo vede. È bravo nel suo lavoro, è sicuramente quello che ci mette più impegno e si guadagna le lodi del titolare, che però non sopporta. Vive con la madre, non ha fidanzate né cellulare, esce il sabato sera con gli amici e vanno al pub sotto casa, a parlare di bici.

Poi c'è Bradipo, un ventierottenne pigro, grassottello e antipatico, col quoziente intellettivo di un fisico quantistico dopo che gli è passato sopra il pullman del fan club di Max Pezzali di ritorno da un concerto. Non parla praticamente con nessuno, tranne col suo telefono, con cui passa tutto il tempo prima e dopo il lavoro, spesso anche durante. Trascorre il resto delle sue giornate ciondolando dietro ai macchinari dove nessuno possa disturbarlo. È in grado di raggiungere stati di alienazione mistica osservando per ore un cestino uscire da una centrifuga e infilarsi in quella accanto. Se gli chiedi cosa sta facendo davanti a una macchina che va da sola ti risponde che controlla che non si fermi. Pare essere stato assunto per quello, e infatti non ha voglia di fare altro, ma la sua vera ambizione è lavorare in magazzino. Il magazzino esercita su di lui un fascino particolare, quando ha la possibilità di passarci del tempo cambia completamente aspetto, diventa veloce, estroso, intelligentissimo. Peccato che in magazzino ci lavori già io e l'idea di passare del tempo con un tale imbecille mi ripugni, così ogni volta lo spedisco via a calci nel culo e il suo talento si perde nell'oblio.

Il terzo personaggio ha la mia età e si chiama Atarumoroboshi. È un pazzo con due soli hobby, l'aeromodellismo e i cartoni animati porno giapponesi. Di entrambi conosce tutto, ma solo i secondi, quando te ne parla, gli fanno tremare la voce e muovere le mani come pinzette. Neanche lui, come Muttley, ha mai avuto una fidanzata, e questo lo ha portato a idealizzare la sua donna ideale in una ragazza vestita da scolaretta, con due tette come pentole a pressione Ariston formato ospedale da campo, gli occhi da manga e la possibilità di pilotarla tramite telecomando entro un raggio di due chilometri. Da quando Bradipo è entrato a far parte del gruppo l'aeromodellismo è un po' calato nei suoi interessi, ora nutre una curiosità viscerale verso il nuovo collega, che esamina minuziosamente da lontano, per poi commentarne il comportamento con Muttley. Lo odia in un modo che solo certi medici possono capire, ma secondo me la notte se lo sogna in topless, mentre gli svolazza attorno con un'antenna ficcata nel culo.

A completare il quadretto c'è Droopy, un ometto dell'età di Muttley, all'apparenza il più normale. Ha una famiglia in continua espansione, ogni anno fa almeno due figli, va in ferie, fa il pendolare, sul lavoro non ha grossi problemi con nessuno, pare andare d'accordo perfino con Bradipo. L'unica peculiarità su di lui è che vive a Civitanova Marche e tutte le mattine si smazza 560 chilometri per venire a lavorare. Quando gli chiedi perché non si trova un posto più vicino ti mostra il suo sorriso triste e se ne va.

Ecco, io lavoro in un posto così, e quando mi sveglio la mattina mi ritaglio venti minuti mezz'ora per frugarmi nella testa e trovare le parole. La mattina ci riesco meglio, perché nel sonno le parole ti scivolano tutte sul lato della testa che appoggi al cuscino, e quando è poco che sei sveglio riesci ancora ad acchiapparle prima che tornino a nascondersi nelle pieghe dei pensieri. Quando torno da lavoro è un casino scrivere, che il baccano che fanno le macchine mi fa un sacco di confusione in testa, e i miei colleghi mi fanno venir voglia di star zitto.

Come adesso, che l'unico rumore che si sente è il ticchettare delle dita sulla tastiera e quello della legna nella stufa. Il calore della cucina ce lo dividiamo io e Frida, come un segreto fra compagni di banco. È bello essere qui, stasera, ad ascoltare questo silenzio ticchettante. Fa venir voglia di mangiarsi dell'altro pollo coi peperoni.