5.

Qui è dove mi alzo la mattina carico di ottime intenzioni e decido di smetterla con questa vita priva di stimoli e amici ignoranti e sopravvivere trascinandomi nella mediocrità e musicadimerda e teatro come se il teatro fosse l’unica cosa che mi salverà dalla buzzurra in cui ciabatto da anni, con le crocs.
Qui è dove vado a visitare il museo di arte contemporanea di Porto.

Perché va bene leggere, suonare, tutta l’arte è importante, ma signori miei, è solo nell’arte contemporanea che l’uomo trova le sue risposte. Quando ti trovi in una stanza tutta bianca, con delle vetrate che si affacciano su un parco stupendo, e la luce di una calda mattina invernale inonda le pareti spoglie, e tu sei lì, unico testimone di quell’incontro fra l’umano e il divino, e osservi una tavola da surf segata in quattro, che incombe su quel vuoto come il monolite di 2001 Odissea Nello Spazio, in quel momento lo capisci: l’arte non è appesa ai muri, l’arte sei tu. È tutto quello che ti attraversa e viene metabolizzato e rimesso in circolo, il messaggio, il significato, l’ispirazione sono tutte chiacchiere, sei tu quello che rende quel pezzo di poliuretano l’espressione di una sensibilità artistica, tu che sei lì e lo osservi. L’ha capito benissimo Christo quando ha intruppato migliaia di buoi con lo zainetto e il cellulare su una piattaforma galleggiante in mezzo a un lago. Se ti fa prendere il treno apposta per farti ore di coda e ti fa tornare a casa felice di essere stato partecipe di una passeggiata scomoda e umida e lentissima che se fossi andato a camminare ai giardinetti spendevi meno e ti restava anche il tempo di guardarti un film e pulire casa, non ci sono cazzi, quella è arte. Se domani vai a Venezia a fotografare l’autografo di Melina Riccio sul muro della stazione in fondo al ponte di Calatrava rendi arte anche Melina Riccio, e non solo una sciroccata che imbratta i muri di Genova. Che poi che differenza ci sarebbe fra lei e Banksy, a parte che uno disegna e l’altra scrive in un italiano discutibile?

E la forma più paracula di tutte le arti è proprio l’arte contemporanea. Quattro cerchietti disegnati a biro su un foglio a quadretti incorniciato in una cornice ikea di quelle più economiche fanno bella mostra di sé in un percorso dedicato a un artista scarno, Michael Krebber. Devi vedere la visione d’insieme, è un provocatore, è una tappa di un percorso, c’è un significato. Sticazzi. Lo decido io il significato, se me lo spiega lui mi addormento dopo due minuti, anche perché me lo spiega in tedesco. E la spiegazione che mi do io mi appaga, e mi godo tutta la sua opera con calma, senza sentirmi come se mi fossi perso un passaggio. Per quello è arte paracula, perché se non capisci qualcosa viene subito a batterti sulla spalla e a dirti va bene così, rilassati, non sei tu, tranquillo.
Giotto è molto più pretenzioso, per dire. Con lui fatichi a identificarti nel processo, ti dice delle cose e pretende che le capisci, che ti studi la storia della prospettiva, la simbologia, il contesto storico. I contemporanei montano una passerella gialla sul lago e ti chiedono solo di camminarci sopra e farti due foto, segano una tavola da surf, tagliano una tela. A posto così, il resto metticelo tu.

famo a capisse

Li adoro i contemporanei, appartengono a una generazione che si esprime secondo un linguaggio che pesca nello stesso calderone da cui raccogliamo tutti. Abbiamo un retroterra comune, e questo facilita il dialogo. Ogni volta che esco da Genova vado a cercare il museo e mi ci perdo. A Praga, a Milano. Oltretutto l’edificio è sempre interessante quanto il suo contenuto, e Serralves non fa eccezione: art deco e modernismo, qualunque cosa significhi, io il massimo che capisco è questo è il pavimento e quello no, devi camminare qui. Ma che bello lo stesso camminare per il parco e infilarsi nella palazzina a curiosare la mostra di Mirò e non capirci un cazzo e sentirsi in pace col mondo. C’era una scopa con gli occhi! Mirò usava dei colori carichi che ti fanno venire voglia di indossarli, ma di più, di averceli dentro sempre, anche i neri sono neri carichi, neri neri. Poco tempo fa uno scienziato ha inventato un colore nero capace di assorbire il 99.965% della luce, che ne fa il nero più nero esistente al mondo, almeno finché a qualcuno non verrà in mente di estrarre il cuore della mia ex. Mirò non lo sapeva e ha usato un nero molto meno nero e più lucido, ma è così ricco il nero di Mirò che il vantablack non lo paragono neanche.

Marzia dovrebbe farsi i capelli blu

Di meno bello c’è solo arrivarci, al museo di Serralves. La guida ti dice di scendere con la metro a Casa da Musica, un altro edificio figo che non ci crederesti, e prima o poi lo vado a visitare anche dentro, e poi di andare in quella direzione. Quello che non ti dice è che in quella direzione ci devi andare finché non superi la frontiera col Belgio, poi giri a sinistra. Ho camminato lungo un viale dritto e lungo che mi ha fatto finire in mezzo a palazzoni così tetri che sembrava la pagina del modernismo socialista, e ho pensato a Marzia che leggerà queste righe e mi prenderà per il culo per il mio solito superpotere, ma che se fosse stata con me mi avrebbe ringraziato per averla portata davanti alla sede del partito comunista portoghese ad ammirare il murale molto comunista, ma poi mi avrebbe insultato senza neanche prendere fiato da lì fino al museo. Quindi vedi che bello è viaggiare da soli? Niente insulti, ti fermi a fotografare i palazzoni tetri e ti godi il fascino della banlieue, che anche in portoghese avrà il suo nome ma che secondo me non è evocativo come banlieue e soprattutto non richiama alla mente film memorabili.

superbloc

Già che sono al museo e non ho idea di come tornare in centro e piuttosto che farmela a piedi chiedo se posso restare a vivere lì che oltretutto in una sala ho fatto amicizia con una custode così carina che restare a vivere lì non mi sembra neanche un’idea tanto assurda, vado a mangiare al ristorante del museo. Perché c’è anche un ristorante, ed è contemporaneo pure lui, pensa che figata. Se vai al museo degli impressionisti non sperare di mangiare un’insalata dell’800 perché è finita nella spazzatura da un paio di secoli. Al Dox di Praga c’è un baretto che fa anche da mangiare, ma è un baretto. Qui c’è il baretto da scappati di casa al piano interrato, e al primo piano c’è il ristorantone buffet con vista sul parco e camerieri che ti vengono a servire il vino e ti chiedono come stai e tu non capisci perché dei camerieri portoghesi dovrebbero essere gentili con te, visto che storicamente i camerieri portoghesi non sono gentili mai ma mai (qui la storia dei camerieri portoghesi raccontata dal mio amico Alessandro), e considerata la strada lunghissima che hai fatto per arrivare ti sembra plausibile che da qualche parte lungo Avenida da Boavista ci fosse un posto di frontiera e nessuno ti abbia chiesto i documenti perché Schengen o perché erano in pausa colazione, che da queste parti è serissima, visto che come abbiamo già visto i dolci portoghesi sono una roba che ti ci vuole una settimana a finirli.

Dopo pranzo mi affaccio alla balaustra nell’atrio per capire seriamente se dovrò rifarmi la strada a piedi, rubare una macchina, chiedere ospitalità, chiamare un taxi o buttarmi di sotto, e in quel momento esce dalla sala di Klebber la custode carina di cui sopra, che mi vede e mi fa un cenno di saluto. Allora scendo e le chiedo come tornare in città. Le chiederei anche come si chiama e se è fidanzata e cosa fa stasera, ma sono pur sempre Pablo il Sociopatico, e dopo che mi ha spiegato come scendere al fiume in cinque minuti e prendere il tram non riesco a reggere l’idea di me che la sto fissando con la faccia ebete e mi ricompongo e scappo lontanissimo. Poi dici che non conosci mai nessuno.

(continua)

Riassunto delle puntate precedenti:
A parte che se volete sapere cos’è successo ve lo leggete, che basta scorrere col mouse verso il basso, non è difficile neanche per dei ritardati come voi, ma ho deciso di mettere un riassunto perché avevo lasciato la storia a metà di un punto in cui era facile perdersi per chiunque, figurarsi per dei decerebrati come i miei lettori. Non vi ci abituate, la prossima volta invece del riassunto capace che ci metto un quiz a domanda multipla, giusto per vedere se siete stati attenti. Siete delle bestie.

Dicevo il riassunto: Preso il porto di Porto andiamo in stazione a vedere due orari, che c’è da partire, e già che ci siamo cerchiamo una bottiglia di roba bevibile, che quella che abbiamo nel sacchetto è una sbobbazza da turisti.

L’imponente edificio si trova dietro Praça da Libertade, in una zona bombardata dalla crisi e da quella misteriosa voglia di scappare che ha contagiato la città: tutti i negozi chiusi, tutti i palazzi vuoti. Di fronte all’ingresso un leone di pietra sbadiglia di noia a dover sorvegliare una facciata piena di finestre sfondate. Un po’ più in là un palazzo suggerisce di recarsi da lui per comprare bene e a poco prezzo, ma sbirciando le vetrine al pianterreno ti accorgi che dentro non c’è nient’altro che polvere e ragnatele.

Il piazzale della stazione è delimitato da un corrimano in pietra, su cui un distinto signore si appoggia per osservare il viavai dei tram. Ha lo sguardo severo, forse giudica frettoloso quest’abbandono del quartiere, ogni tanto si infila in bocca uno spicchio d’arancia per meglio sopportare la solitudine.
Quando gli passo vicino rigurgita una pallina di bolo arancione giù dal muretto e si mette a sputazzare semi e sugo con un rumore liquido. Entro velocemente in stazione.

L’atrio è sontuoso, tutto ricoperto di azulejos, decorazioni liberty, un bell’orologio in ferro battuto, i barboni se lo devono proprio godere un posto così.
Troviamo l’ufficio informazioni e ne chiediamo alcune per il nostro viaggio dell’indomani a Viana Do Castelo, dove si tiene una delle feste più importanti del Paese.
L’impiegato deve aver passato la giornata ripetendo sempre quello, perché appena gli siamo davanti ci mette in mano un foglio con tutti gli orari utili e inutili, prima ancora che apriamo bocca.
Bene! Lodi sperticate all’efficienza portoghese, che non paga sugli autobus ma ci fa prendere il treno! Andiamo a cercare una bottiglieria!

Dalla stazione giriamo di là, poi andiamo in su verso una strada che non conoscevamo, poi di nuovo in là, e di colpo ci troviamo in un viale pedonale pieno di gente, baretti, negozi di marca, ristoranti, cinema.. La via dello struscio! Ecco perché Porto è sempre deserta, vengono tutti qui!

Ormai è ora di chiusura e metà dei negozi hanno le serrande abbassate, ma c’è ancora molto viavai, la strada è lunghissima, ci vuole un po’ perché si svuoti. Maledizione, abbiamo scoperto l’isola del tesoro a libro ormai concluso, questa volta Jim Hawkins dovrà tornare a mani vuote dalla sua povera mamma. Domani andremo via senza aver fatto neanche un giro in questa parte di città così spendereccia. La lista delle cose da fare nella prossima visita in Portogallo si sta allungando.

Prendiamo una via laterale e arriviamo di fronte al Mercado do Bolhão, e proprio lì accanto notiamo una vetrina piena di leccornie, formaggi di capra, prosciutti affumicati e bottiglie di porto.
Il gestore è un signore molto disponibile che ci fa assaggiare un mucchio di roba mentre la commessa impacchetta la bottiglia di Ramos Pinto che cercavamo. Ecco un altro negozio da tornare a visitare in futuro.

Si è fatta l’ora di cena, contattiamo i nostri amici per darci appuntamento in piazza e andiamo prepararci.
Poco dopo siamo di fronte al McDonalds Imperial di Porto a guardare Alessandro con facce interrogative.

Come sarebbe che sta male? Cosa le è successo?”
Abbiamo passato la giornata a visitare cantine, ci saremo scolati tre bottiglie di porto in due. La poverina non regge l’alcool.”
Ha vomitato?”
Tantissimo. E faceva dei versi orrendi tipo BUAARGH! SBLEEEEUGH!”
Ma che schifo!”
E questo è niente! Quando ha cercato di tenere la bocca chiusa per limitare il rumore sono venuti fuori dei sibili gorgoglianti che mi hanno fatto temere di essermi fidanzato con una creatura inventata da Lovecraft, roba tipo HSSGLGLGLSSSRRRGHSSSGLGLRGH! Senza contare che per la pressione ha spruzzato tutto attraverso i denti, imbrattando le pareti del bagno in un modo che solo a pensarci mi viene voglia di andare a dormire da un’altra parte! Persino il barbone che dorme con noi si è lamentato, ed è uno abituato a vivere duramente.”
Ma se sapeva di non reggere l’alcool perché ha bevuto così tanto?”
Ma ha bevuto pochissimo, giusto mezzo bicchiere, il resto me lo sono calato io. Eppure è bastato quello per farla uscire di testa, prima si è messa a ridere e a cantare stornelli in romanesco in mezzo alla cantina, non vi dico la figura, poi ha insultato il cameriere perché insieme al vino ci voleva anche i popcorn. Figuratevi questo, nella cantina più esclusiva della città una romana ubriaca gli chiede i popcorn, come pensate che possa aver reagito?”
Le ha ricordato chi è il suo presidente del consiglio, suppongo.”
No, ha fatto finta di non vederla. Si è messo a fissare un punto del locale e ci ha ignorati per il resto della degustazione.”
Tipico dei camerieri portoghesi. E poi?”
E poi basta, quando sono riuscito a schiodarla da lì l’ho trascinata fuori.”
Ha dato ancora in ecandescenze?”
No, poi le è venuta la ciucca triste e si è messa a piangere, ha detto che nessuno la capisce, che non ha più l’età per fare la scema, che vuole adottare un gattino e Lazio merda.”
Scusa ancora una cosa, Alessandro..”
Dimmi pure”
Perché sei tutto sporco di sangue?”

Dopo un paio di giri a vuoto optiamo per un ristorante dietro la piazza, un posto mediocre che sta accanto a uno superlussuoso e a una bettola ignobile. Il cameriere è fin troppo gentile, quasi servile nei suoi modi, probabilmente ci odia, anche perché Alessandro gli sta gocciolando sangue sul pavimento da quando siamo entrati.

20/8

Dacci oggi la nostra agonia quotidiana

È il giorno della gita fuori porta, appuntamento in stazione per andare a Viana Do Castelo, dove si tiene la festa annuale di Nossa Senhora De Agonia. Si tratta di una processione, un pellegrinaggio o romaria, come lo chiamano qui. Ci sono donne col foulard in testa e la vetrina dell’orefice appesa al collo, ci sono dei tizi mascherati da giganti, ci sono le bancarelle che vendono prosciutto affumicato, ma soprattutto ci sono i tamburi. A decine, a centinaia, i tamburi sono ovunque, e li senti da lontano col loro incalzare minaccioso, come un battaglione di Uruk-Hai.

La nostra mattina invece comincia col suono più amichevole della macchinetta del caffè del bar in faccia alla stazione. È buono il caffè in Portogallo, non so se l’ho già detto. Il mio preferito è il Delta. Il barista è organizzatissimo, ha coperto il banco di tazzine, ognuna col suo cucchiaino e la sua bustina di zucchero, solo che Marzia vuole due bustine, e ne prende una da un piattino vuoto. A quel punto il barista, che nota l’incongruenza nel programma, si gratta la testa perplesso, quindi sposta una bustina da un altro piatto, ma non risolve il problema. Ne prende una da un terzo piattino e la pone al posto di quella che ha tolto, ma ancora non va. Non si capacita di come possano esserci tanti piattini, tante tazzine, tanti cucchiaini e una bustina di zucchero in meno. Alla fine decide di tirar via tutto dal banco e ricominciare da capo, ma a quel punto noi siamo già andati via.

Arriva della musica dalla stazione, e che sarà? È anche venerdì mattina, non il momento migliore per mettersi ad ascoltare la radio a quel volume che distorce tutto.
Avvicinandoci realizziamo che non viene dalla stazione, ma da un pulmino parcheggiato davanti pieno di bandiere rosse al vento: sono i comunisti portoghesi che distribuiscono volantini. Nella mia vita ho già avuto a che fare coi socialisti di Velletri, ora mi mancano solo i democristiani del Punjab.

Alessandro e Lucilla ci aspettano davanti alla biglietteria, anche loro col volantino rosso in mano. Non c’è niente da fare, per un italiano incontrare un comunista è come trovarsi di fronte un panda nano, lo tratta con ogni riguardo per paura che gli si estingua davanti.

C’è ancora un po’ di tempo prima del treno, giusto quello che occorre per una bella colazione a base di.. “quel tortino lì che mi sembra tanto gustoso”.
Gustoso lo è, niente da dire, ma la carne tritata alle sette e mezza è un ostacolo un po’ difficile da superare.

Il treno portoghese è diverso da quelli italiani, intanto per cominciare funziona, tutto, non una carrozza si e due no, e poi ha le porte che si aprono, i sedili interi, e nonostante questi bonus riesce anche a rispettare gli orari.

Durante il viaggio, che dura un’ora e mezza, si riempie all’inverosimile, tanto che ad un certo punto il controllore deve aprire uno spazio extra in testa al convoglio, dove di solito si tengono le merci ingombranti, tipo le biciclette, o le bare, nel caso di funerale in treno locale, che ultimamente va un casino, ne hanno parlato anche su una di quelle riviste di trend, che è il termine con cui si definisce una moda legata alle ferrovie, trend.

Fra i vari personaggi che vanno alla romaria di Viana notiamo una signora col testone vestita da materasso e la ragazza di Pippo, che è una che conosco io che sta con uno del mio paese, perciò la cosa andrebbe classificata come gossip locale, ma trovandoci su un treno che fa tutte le fermate ci sta.

“Senti un po’..”, mi dice Marzia ad un certo punto, distogliendomi dall’osservazione dei passeggeri,
“Non ti sembra che Lucilla abbia qualcosa di strano?”

La guardo perplesso, poi guardo Lucilla, che è seduta un po’ più in là e dorme col cappuccio della felpa tirato su, poi riguardo Marzia.

“Si, ora che me lo fai notare quel cappuccio la fa sembrare uno degli avvoltoi di guardia al castello del Principe Giovanni, nel Robin Hood della Disney.”
“Ma no, guarda meglio!”

Riguardo meglio, ma continuo a non vedere niente di strano.

“Ha il push-up?”, azzardo.
“Secondo me non è lei.”
“Come non è lei? E chi dovrebbe essere?”
“Ieri sera Alessandro è venuto al ristorante da solo, dicendo che lei stava male, ed era tutto sporco di sangue.”
“Si, ha detto che si è ferito radendosi.”
“Ma non si era fatto la barba! Non ti sembra una cosa strana?”
“No, anch’io di solito mi ferisco radendomi e poi non mi faccio la barba, perdo tanto tempo a ricucirmi le ferite che non me ne resta più per fare altro.”
“Io credo invece che l’abbia uccisa e poi sostituita con un sosia!”
“Quando torniamo a casa ti tolgo la televisione, vedi troppo Chilavisto!”

Al momento di scendere passiamo per il compartimento extra di cui sopra, che alla fine del viaggio ospitava fra le settanta e le ottocentoventi persone, ha raggiunto una temperatura e un tasso di umidità che neanche in India e quando si aprono le porte ed entra l’aria più fredda dell’esterno comincia a piovere.