Ero partito per scrivere un pezzo su lastfm, ma la televisione mi ha riversato addosso Cristiano De Andrè che canta A çimma e all’improvviso parlare dei miei problemi coi social networks è diventato secondario, che a me un milanese che canta in genovese fa sempre senso, anche se il milanese in questione è il figlio di colui che la canzone l’ha scritta; e poi c’è una vena di tristezza nel vedere un musicista dover parlare sempre e solo di suo padre e mai del proprio lavoro.

E ora, finalmente, posso dedicarmi a quello che mi premeva, che poi non è molto.

http://www.lastfm.it/user/grugef

Non sono più su facciaabuchi, non ho voglia di tornarci, ma ogni tanto mi fa piacere bazzicare qui sopra, e qualche volta scriverci pure. Di musica, naturalmente, che qui sopra non si diventa fan della cacca, ma di artisti, e si ascolta pure della roba.

Poi vi dirò anche cosa succede a mostrazzi, ma con calma, che tanto vedo che vi siete allineati tutti al ritmo blando con cui scrivo, e se va bene a voi figuriamoci a me.

E’ inutile, ormai devo ammetterlo anche con me stesso, e non solo coi giornalisti che affollano il mio vialetto: il Pablog non ha più senso di esistere, tanto vale chiuderlo.

Perché il blog è un mezzo di comunicazione ormai superato, ci sono i tumblr, c’è feisbucc, c’è twitter, strumenti con cui puoi dire quel che ti pare in una riga, senza doverti sbattere a comporre frasi, mettere la punteggiatura, addirittura andare a capo!

E poi non c’è questo cazzo di impaginatore automatico di splinder che ti fa saltare una riga ogni volta che schiacci invio, poi no, poi si di nuovo, in base a come si svegliano la mattina i gestori del sito.

E basta, via, non c’è più speranza per i blog, oramai viviamo in un mondo frenetico in cui nessuno ha più voglia di andare a capo, si usano le k al posto delle ch, per essere amico di qualcuno ti basta sapere cosa sta facendo in quel momento in tre parole, e dei blog non frega più niente a nessuno.
E’ naturale che anche il Pablog subisca la crisi in corso, e accetti il suo declino come un inevitabile segno dei tempi.

Peccato, perché mi sarebbe piaciuto continuare a scrivere le mie cazzate e magari diventare uno scrittore famoso, magari essere interpellato un giorno sul treno da una fanciulla fascinosa che passa, mi vede, si ferma e mi fa:

– Ma tu sei Alessandro Baricco!
– Veramente no – faccio io, un po’ scazzato. Che non mi va di spacciarmi per un altro e rifulgere dell’altrui gloria. E poi proprio Baricco, dai, con tutti gli scrittori simpatici che ci sono!

Solo che lei insiste – Ma si che sei Baricco! Hai i riccioli! – come se gli scrittori si dividessero in due categorie, quelli pelati e Alessandro Baricco. In un mondo così gli scrittori dai capelli a caschetto non sarebbero considerati tali, e ci sarebbero frotte di malintenzionati parrucchieri appostati davanti a casa di Federico Moccia, armati di pettine e phon.

– E stai anche scrivendo su un quadernino!

Non mi va di spiegarle che sto andando allo stadio, e sul quadernino appunto magari la probabile formazione, o faccio il sudoku, e lei si siede. E cosa può fare un povero scrittore sconosciuto seduto su un treno con una bella ragazza che non chiede altro che di conoscerlo e poi magari giacere con lui, anche se probabilmente non lì, che i sedili sono tutti sporchi e chissà che malattie si possono prendere due che ci giacessero insieme sopra?

– Vabbè dai, sono Alessandro Baricco.
– Lo sapevo! – esulta lei, battendo le mani tutta eccitata – Vai a Genova per lavoro?

Evidentemente una sciarpa rossoblù, un berretto con un grosso grifone sopra e un maglione con scritto a caratteri cubitali Gradinata Nord non le fanno venire in mente altro che uno che sta andando a lavorare. Non sarebbe neanche sbagliato, se fosse la società calcistica a pagare me e non il contrario.

– Più o meno. Sai, vado a girare un po’, in cerca di ispirazione.. Qua e là..
– Per il tuo nuovo romanzo! Di cosa parla? E’ ambientato a Genova? Quando esce? Che personaggi assurdi ci sono? Un conte che ha perduto la memoria delle scarpe? Una donna incinta di un quadro? Un bambino che gioca col suo babau? E come si intitola? E sarà più fantastico di Oceanomare? Più sognante di Seta? Più arrabbiato di Castelli Di Rabbia? Più noioso di City?

Si, ma io mi aspettavo una bella ragazza compiacente e più che altro silenziosa, che si limitasse ai fondamentali: “Sei Alessandro Baricco! Scopami!”, non uno spruzzatore fonetico! Per farla smettere di parlare dovrei spararle, e ho soltanto una penna. Forse potrei piantargliela in un occhio..

E’ un fiume ininterrotto di sillabe quello che mi sta riversando addosso, cerco di infilare un piede, piano piano, per passare di là, ma la corrente è impetuosa e finirebbe per trascinarmi via.

– Il.. il titolo.. il..

Niente da fare, non si ferma mai, e dove vai a Genova, e conosci qualcuno, e io ho lavorato in una libreria, e hai mai letto questo, e hai mai visto quest’altro, e checcazzo! Le mollo un calcione su uno stinco, e prima che possa riprendere attacco a parlare io.

– Il titolo non ce l’ho ancora, di solito lo decido alla fine. E anche la trama, per adesso è più che altro un’idea. Per questo sto andando a Genova, per..
– Assorbire l’atmosfera! E’ così! E poi la trasformerai, la plasmerai in quel modo così unico che hai tu di raccontare le cose, fatto di sensazioni così solide da poterle toccare, e quei personaggi così incredibili, che non li troveresti mai in nessun altro libro, perché solo nei tuoi trovano una loro ragione di essere, con quelle atmosfere rarefatte che solo tu sai descrivere così bene, con quei colori tenui come un quadro ad acquerello..

Ma chi ho incontrato, una bella ragazza incredibilmente logorroica o la versione letteraria della Cancellieri? Riattacca a parlare e ancora una volta quello che dall’esterno potrebbe sembrare una conversazione amichevole si trasforma in un monologo ossessivo. Sta cominciando a rompermi il cazzo questa qui, bella o no, preferivo come stavo prima, con la sola compagnia del mio quaderno con l’elastico e la penna che scrive male.

– La conosci bene Genova?
– Si, certo – rispondo meccanicamente, prima ancora di rendermi conto che ha smesso di parlare.
– E perché la conosci bene, se sei di Torino? Ci hai abitato?
– Ci ho abitato? Ah si, certo, ci ho abitato. Da studente, sai..
– Ah, e dove abitavi?

Non è che voglia proprio inventarmi una balla gigantesca; certo, la propensione innata a raccontare fesserie mi spinge sempre a portare ogni dialogo sulla supercazzola, ma stavolta ci sono trascinato di peso. Un disegno sempre più preciso si delinea in me, per ogni parola che aggiungo. Non devo fare altro che raccogliere i pezzi che la mia mente mi offre, e legarli insieme.

– Stavo con una persona che abitava alla Foce.
– Ah si? – fa lei – Con una persona?
– Si, è stato il mio amore più grande, sai, una di quelle passioni travolgenti che ti avvolgono come una slavina su una pista da sci, e ti fanno sentire freddo, bagnato e senz’aria, ma che sono così belle che non puoi farne a meno.

Mi guarda con la bocca spalancata, già partita per vivere il nuovo romanzo di Baricco confezionato solo per lei. A quanto pare le storie d’amore tormentate esercitano sempre una forte attrazione sulle menti deboli. Come un novello Obi Wan Kenobi piloto i suoi pensieri verso una direzione che io ho stabilito..

– Sai, era una persona veramente speciale, così piena di passione, di stimoli, forse è a lei che devo il mio mestiere di scrittore. Forse ho cominciato a riportare i miei pensieri perché ne producevo così tanti da non riuscire più a contenerli.
– E come si chiamava questa persona? – mi chiede con voce sognante.
– Luigi.

Il ritorno alla realtà è così violento che le fa sbattere la schiena contro il sedile. Mi guarda come se l’avessi schiaffeggiata, il suo scrittore preferito, colui che cucina i cuori delle donne nella fricassea dell’amore ha avuto un’esperienza omosessuale!
Continuo a parlare, bene attento a non cambiare tono di voce, cerco di trasmetterle quella carica di sentimento che anela di ricevere, e pian piano la vedo che si lascia andare, si abbandona ancora una volta alla fantasia.

– La cosa incredibile era che la differenza di età fra di noi sembrava sparire. Era così intelligente, e dolce, e premuroso, e aveva delle mani talmente leggere, mioddìo..

La ragazza torna a dondolarsi nel cuore del racconto, una fantastica storia d’amore più forte di ogni pregiudizio; si abbandona un’altra volta, socchiude gli occhi, e capisco che è arrivato il momento della spallata finale:

– Non avrei mai creduto che un ragazzino di dodici anni possedesse tanto amore. Credo che la mia passione per i minorenni sia nata allora.

Si alza di scatto, prende la borsa e la giacca e fa – Devo scendere alla prossima, arrivederla! – e io posso tornare a scrivere le mie cazzate in santa pace.

In fondo mi spiacerebbe non diventare uno scrittore famoso, quasi quasi il blog lo tengo aperto ancora un po’.

ANSA- Giovane ucciso a Genova: omicida di 17 anni confessa
GENOVA – A soli 17 anni ha chiuso la bocca per sempre, con una sola coltellata al cuore, al rivale di 22 che gli aveva soffiato la fidanzatina di 15. Sia l’omicida, che e’ stato fermato in poche ore dagli agenti della squadra mobile ed ha confessato, sia la vittima sono sudamericani, immigrati regolari e ben inseriti a Genova: il minorenne e’ uno studente ecuadoriano, il morto Marcos Javier Camarena Jimenez, era di Santo Domingo, operaio attualmente disoccupato.

 

Ero lì che aspettavo che mi venisse sonno sufficiente da convincermi a staccarmi dal monitor, o sufficiente noia, o mal di testa, nausea o tutte quelle cose che di solito ottengo dopo una lunga permanenza al pici, quando mi imbatto in una cosa scritta dal sempre bravo Scrotodifango , riguardante le categorie in cui possono essere inseriti praticamente tutti i post di tutti i blog di tutti gli universi compreso quello popolato solo da creature fatte di vapore che si struggono perché la loro incorporeità non permette loro di infilarsi le dita nel naso.
In pratica cosa dice il nostro amico Mudcrotch? Che quando uno scrive su un blog finisce sempre per rientrare in una categoria, e ne analizza alcune. Certo, non può infilarcele tutte, che ce ne sono tante che uno per leggerle dovrebbe stare sveglio cinque notti e guidare cinque giorni.. no, guidare cinque notti e dormire cinque giorni.. neanche.. vabbè, tanto la capirei solo io..

Per esempio ha lasciato fuori la categoria Letteraanonimadellopsicopatico, pubblicata solitamente sul blog del tizio che scrive, sotto pseudonimo, di essere perdutamente e dolorosamente innamorato di una che non se lo caga tanto e per compensare lo piglia troppo per il culo, finchè lui si scazza e decide di andare a casa di lei e farla a pezzi con una motosega, e di spedire le sue orecchie a uno dei suoi amichetti, magari quello che fa il figo e se la tira da artista un po’ romantico un po’ puttaniere.

(Anche questa la capisco solo io, ma stavolta non la troverete su google come avete fatto prima)

Il tizio in questione è solito postare le sue confessioni sul blog anonimo di cui sopra, a uso e consumo del commissario, che farà intervenire la polizia postale e la scientifica per riuscire a beccarlo, ma lui è un furbo che sa quel che fa, e ci sta anche prendendo gusto, così ci riprova e stavolta sbudella la sua amichetta delle medie, una che gli aveva preferito il bambino con gli occhi verdi che gioca da dio a pallone e si chiama Sansone di cognome, e di nuovo sfida le autorità e lo racconta in tutta la sua efferatezza.

Ecco, quella categoria di post lì il mio amico Crutchcrutch non ce l’ha messa, ma ce ne ha messe tante altre, e la cosa tremenda è che io mi riconosco praticamente in tutte! Quella in cui caccio su un video senza commento perché non so cosa scrivere e lasciare il mio blog abbandonato un mese e mezzo fa sciatto; quella dove mi metto a raccontare di quella volta in quarta elementare in cui mi ero innamorato di una mia compagna di classe di nome Chiara, e ne ero rimasto rapito fino in prima media, quando conobbi Francesca, che mi piaceva molto di più, ma che ahimè andava dietro a uno che si chiamava Sansone; per non parlare di quella categoria in cui racconto che ho visto un film, letto un libro, giocato a un giochino, comprato una motosega! Doncrutch parla proprio di me!

E allora mi viene voglia di mettermi lì e non andare neanche a dormire, anche se è già tardi, e mettere su una musichina tranquilla, tipo gli Eels, che fanno ggiovane senza sembrare quattro coglioni con una base e la vocina caldaeromanticamaanchegrintosadafigochelasalunga che fa impazzire le pulzelle e che personalmente ammazzerei anche se sono consapevole che tale comportamento antisociale nei confronti della musica da tinèiger mi classifica come uno di quegli adulti invidiosi che i ragazzini incontrano per strada e salutano dicendo buongiorno invece che ciao.
E mettermi a scrivere pigiando leggero sui tasti per non svegliare Marzia, che sennò viene giù e mi picchia con le ciabatte.
E andare a capo.
Continuamente.
Perché quello che vorrei fare.
E’ un post.
Diverso.
Che comprenda tutti i generi sopraelencati, in modo da non poter essere catalogato, etichettato, classificato, infilato, schiacciato, costretto, soffocato, ammazzato in nessuna delle voci di cui scrive Mudcruk.

Solo che non ne ho voglia.

E allora scrivo ancora un po’, giusto perché ho già detto di non avere sonno, ed è solo l’unaedieci, e Jack è già uscito a fare i suoi porci comodi, e aspetta alle mie spalle che mi alzi per andare a dormire nella sua cuccia su in camera.
Che poi, aspetta.
Più che altro se la dorme qui invece che su.
E russa pure.
E pure forte.
Tipo che non riesco a sentire la musica, che me la copre, e allora alzo, ma allora è lui che non si sente più russare, e allora russa più forte, e io alzo ancora, e lui pure, e alla fine si alza pure Marzia, e ci ciabatta tutti e due, ma a me più forte, che sono più grosso e le ciabattate leggere non le sento neanche.
Lo dice lei che non le sento neanche, l’ultima volta mi ha lasciato un livido sul collo che al lavoro mi prendono per il culo ancora adesso, dicono che mi faccio fare i succhiotti dalle idrovore.

Che ci ho anche provato a nascondergliele, le ciabatte. Gliele ho sotterrate in giardino e le ho sostituite con un paio di morbide, calde pantofole in feltro, poi mi sono messo al computer e ho pestato come un matto, TAKATAKATAKATAKATAKATA.
La prima pantofolata mi ha fatto il solletico.
La seconda mi ha steso che stavo ancora ridendo. Quella stronza ci ha infilato dentro un portacenere.

Che poi cosa ce ne facciamo di un portacenere, che non fuma nessuno. Anche El Bastardo ha smesso, da quando ci siamo fatti recapitare la posta su una casella postale riusciamo ad intercettargli le scatole di sigari che gli spediscono i suoi ammiratori sudamericani, e l’aria è tornata respirabile.

Che poi non è vero che è tornata respirabile, che El Bastardo, per rappresaglia, si nutre da un mese di pasta coi ceci, e tira delle bombe talmente spesse che ci inciampi dentro.
Capirai, col freddo che fa non possiamo neanche aprire le finestre..

Che poi non è neanche necessario aprirle, che con gli spifferi che ci sono è come abitare in giardino, e questo mi fa venire in mente una partita a Sims 2, dove avevo creato una famiglia che viveva in giardino, coi mobili sparsi per il prato e il nonno che passava tutta la notte a suonare il pianoforte.
E andava anche bene, solo che nessuno dei membri della famiglia andava mai in bagno, se la tenevano fino a non poterne più, e la mollavano dove capitava.

Un po’ come faccio io quando Marzia non c’è, ma almeno io ho la scusa che da bambino ho subìto un trauma..

..Potrei andare avanti tutta la notte..

Ero lì che aspettavo che mi venisse sonno sufficiente da convincermi a staccarmi dal monitor, o sufficiente noia, o mal di testa, nausea o tutte quelle cose che di solito ottengo dopo una lunga permanenza al pici, quando mi imbatto in una cosa scritta dal sempre bravo Scrotodifango , riguardante le categorie in cui possono essere inseriti praticamente tutti i post di tutti i blog di tutti gli universi compreso quello popolato solo da creature fatte di vapore che si struggono perché la loro incorporeità non permette loro di infilarsi le dita nel naso.
In pratica cosa dice il nostro amico Mudcrotch? Che quando uno scrive su un blog finisce sempre per rientrare in una categoria, e ne analizza alcune. Certo, non può infilarcele tutte, che ce ne sono tante che uno per leggerle dovrebbe stare sveglio cinque notti e guidare cinque giorni.. no, guidare cinque notti e dormire cinque giorni.. neanche.. vabbè, tanto la capirei solo io..

Per esempio ha lasciato fuori la categoria Letteraanonimadellopsicopatico, pubblicata solitamente sul blog del tizio che scrive, sotto pseudonimo, di essere perdutamente e dolorosamente innamorato di una che non se lo caga tanto e per compensare lo piglia troppo per il culo, finchè lui si scazza e decide di andare a casa di lei e farla a pezzi con una motosega, e di spedire le sue orecchie a uno dei suoi amichetti, magari quello che fa il figo e se la tira da artista un po’ romantico un po’ puttaniere.

(Anche questa la capisco solo io, ma stavolta non la troverete su google come avete fatto prima)

Il tizio in questione è solito postare le sue confessioni sul blog anonimo di cui sopra, a uso e consumo del commissario, che farà intervenire la polizia postale e la scientifica per riuscire a beccarlo, ma lui è un furbo che sa quel che fa, e ci sta anche prendendo gusto, così ci riprova e stavolta sbudella la sua amichetta delle medie, una che gli aveva preferito il bambino con gli occhi verdi che gioca da dio a pallone e si chiama Sansone di cognome, e di nuovo sfida le autorità e lo racconta in tutta la sua efferatezza.

Ecco, quella categoria di post lì il mio amico Crutchcrutch non ce l’ha messa, ma ce ne ha messe tante altre, e la cosa tremenda è che io mi riconosco praticamente in tutte! Quella in cui caccio su un video senza commento perché non so cosa scrivere e lasciare il mio blog abbandonato un mese e mezzo fa sciatto; quella dove mi metto a raccontare di quella volta in quarta elementare in cui mi ero innamorato di una mia compagna di classe di nome Chiara, e ne ero rimasto rapito fino in prima media, quando conobbi Francesca, che mi piaceva molto di più, ma che ahimè andava dietro a uno che si chiamava Sansone; per non parlare di quella categoria in cui racconto che ho visto un film, letto un libro, giocato a un giochino, comprato una motosega! Doncrutch parla proprio di me!

E allora mi viene voglia di mettermi lì e non andare neanche a dormire, anche se è già tardi, e mettere su una musichina tranquilla, tipo gli Eels, che fanno ggiovane senza sembrare quattro coglioni con una base e la vocina caldaeromanticamaanchegrintosadafigochelasalunga che fa impazzire le pulzelle e che personalmente ammazzerei anche se sono consapevole che tale comportamento antisociale nei confronti della musica da tinèiger mi classifica come uno di quegli adulti invidiosi che i ragazzini incontrano per strada e salutano dicendo buongiorno invece che ciao.
E mettermi a scrivere pigiando leggero sui tasti per non svegliare Marzia, che sennò viene giù e mi picchia con le ciabatte.
E andare a capo.
Continuamente.
Perché quello che vorrei fare.
E’ un post.
Diverso.
Che comprenda tutti i generi sopraelencati, in modo da non poter essere catalogato, etichettato, classificato, infilato, schiacciato, costretto, soffocato, ammazzato in nessuna delle voci di cui scrive Mudcruk.

Solo che non ne ho voglia.

E allora scrivo ancora un po’, giusto perché ho già detto di non avere sonno, ed è solo l’unaedieci, e Jack è già uscito a fare i suoi porci comodi, e aspetta alle mie spalle che mi alzi per andare a dormire nella sua cuccia su in camera.
Che poi, aspetta.
Più che altro se la dorme qui invece che su.
E russa pure.
E pure forte.
Tipo che non riesco a sentire la musica, che me la copre, e allora alzo, ma allora è lui che non si sente più russare, e allora russa più forte, e io alzo ancora, e lui pure, e alla fine si alza pure Marzia, e ci ciabatta tutti e due, ma a me più forte, che sono più grosso e le ciabattate leggere non le sento neanche.
Lo dice lei che non le sento neanche, l’ultima volta mi ha lasciato un livido sul collo che al lavoro mi prendono per il culo ancora adesso, dicono che mi faccio fare i succhiotti dalle idrovore.

Che ci ho anche provato a nascondergliele, le ciabatte. Gliele ho sotterrate in giardino e le ho sostituite con un paio di morbide, calde pantofole in feltro, poi mi sono messo al computer e ho pestato come un matto, TAKATAKATAKATAKATAKATA.
La prima pantofolata mi ha fatto il solletico.
La seconda mi ha steso che stavo ancora ridendo. Quella stronza ci ha infilato dentro un portacenere.

Che poi cosa ce ne facciamo di un portacenere, che non fuma nessuno. Anche El Bastardo ha smesso, da quando ci siamo fatti recapitare la posta su una casella postale riusciamo ad intercettargli le scatole di sigari che gli spediscono i suoi ammiratori sudamericani, e l’aria è tornata respirabile.

Che poi non è vero che è tornata respirabile, che El Bastardo, per rappresaglia, si nutre da un mese di pasta coi ceci, e tira delle bombe talmente spesse che ci inciampi dentro.
Capirai, col freddo che fa non possiamo neanche aprire le finestre..

Che poi non è neanche necessario aprirle, che con gli spifferi che ci sono è come abitare in giardino, e questo mi fa venire in mente una partita a Sims 2, dove avevo creato una famiglia che viveva in giardino, coi mobili sparsi per il prato e il nonno che passava tutta la notte a suonare il pianoforte.
E andava anche bene, solo che nessuno dei membri della famiglia andava mai in bagno, se la tenevano fino a non poterne più, e la mollavano dove capitava.

Un po’ come faccio io quando Marzia non c’è, ma almeno io ho la scusa che da bambino ho subìto un trauma..

..Potrei andare avanti tutta la notte..

Già ero.. seccato (esiste un termine più fedele per “disappointed”?) che il post che volevo scrivere se lo fosse preso qualcun altro, e senza neanche la possibilità di lamentarmi, che non puoi protestare quando il tuo pensiero emigra nella testa di chi ti vive accanto, conferma solo che siete molto simili, ma il pezzo che avevo cominciato, e che si intitolava Impressioni di Settembre, è stato inghiottito dalla rete per colpa di un errore di splinder che non sto a spiegare perché non sono un noiosissimo ingegnere. Parlava del perché non scriverò quello che mi gira in testa da giorni, riguardante le bellissime sensazioni che mi riaccendono certe canzoni.
Che tutto è cominciato da quando ho cambiato la musica nel telefono, che me la ascolto in treno, la domenica, mentre vado allo stadio, e poi ancora allo stadio, mentre aspetto il mio socio, anche se lì è più complicato, con tutta la gente che parla chiama grida canta offende Cassano, ci vorrebbero delle casse grosse così.
E’ un peccato che non possiate leggere che i primi due brani di cui avrei parlato se il mio post precedente fosse ancora vivo fossero quelli di cui non avrei potuto parlare perché già recensiti dalla mia fidanzata, perché secondo me, quando passa in cuffia, Last Minute è una perla elettrica, in cui ogni componente, la musica, le parole, l’arrangiamento, la metrica, contribuiscono a farne una delle più belle canzoni italiane degli ultimi anni. E non vedo l’ora di essere seduto nelle prime file del Carlo Felice (in galleria no, che ha un’acustica che fa cagare) per ascoltarla dal vivo.
Poi sarà perché viene subito dopo nella lista di brani, o perché le chitarre producono un suono molto simile, ma ultimamente ogni volta che ascolto quella canzone mi viene da andarmi ad ascoltare Cowgirl in the Sand.
Che io Neil Young l’ho scoperto tardi, durante un rigetto per tutta la musica che avevo in casa, e che conoscevo ormai a memoria. Ricordavo di lui una vecchia ballata, Harvest Moon, uscita in quel 1992 foriero di tante novità, prima fra tutte Mtv Uk, che mi arrivava attraverso le frequenze di Telecittà. Fu una rivoluzione per me, che non avevo mai visto un videoclip intero, e muovevo allora, con molto ritardo, i primi passi nel mondo della musica oltre quelle tre quattro cassette che giravano per casa.
Ecco, la passione per quel canadese anarchico è rimasta in incubazione per più di quindici anni, e adesso sta maturando.

E poi, se volessi scrivere ancora quel post a tema musicale, chiuderei con un brano che mi gira nelle orecchie almeno un paio di volte al giorno, e che sarebbe il titolo di un post che non scriverò probabilmente mai: Sympathy For The Devil.
E di cosa puoi parlare in un pezzo che si intitola così? Di Berlusconi? Di Ming The Merciless? Naah, anche riferendosi al più subdolo dei manigoldi faresti un torto al più elegante, astuto, affascinante dei cattivi, il Grande Cornuto, e di conseguenza anche a questo pezzo, che del personaggio ispiratore mantiene inalterata la classe, che scuote senza eccedere, che trasmette tutta l’energia di quarant’anni fa, esattamente il 6 dicembre 1968, senza mostrare la tela neanche su una nota.

Ecco, mi sarebbe piaciuto scriverlo, un omaggio alla “musica che mi gira intorno”, ma è già mezzanotte passata, e quello che avevo cominciato a scrivere è andato perso.

Pazienza, sarà per un’altra volta.

Già ero.. seccato (esiste un termine più fedele per “disappointed”?) che il post che volevo scrivere se lo fosse preso qualcun altro, e senza neanche la possibilità di lamentarmi, che non puoi protestare quando il tuo pensiero emigra nella testa di chi ti vive accanto, conferma solo che siete molto simili, ma il pezzo che avevo cominciato, e che si intitolava Impressioni di Settembre, è stato inghiottito dalla rete per colpa di un errore di splinder che non sto a spiegare perché non sono un noiosissimo ingegnere. Parlava del perché non scriverò quello che mi gira in testa da giorni, riguardante le bellissime sensazioni che mi riaccendono certe canzoni.
Che tutto è cominciato da quando ho cambiato la musica nel telefono, che me la ascolto in treno, la domenica, mentre vado allo stadio, e poi ancora allo stadio, mentre aspetto il mio socio, anche se lì è più complicato, con tutta la gente che parla chiama grida canta offende Cassano, ci vorrebbero delle casse grosse così.
E’ un peccato che non possiate leggere che i primi due brani di cui avrei parlato se il mio post precedente fosse ancora vivo fossero quelli di cui non avrei potuto parlare perché già recensiti dalla mia fidanzata, perché secondo me, quando passa in cuffia, Last Minute è una perla elettrica, in cui ogni componente, la musica, le parole, l’arrangiamento, la metrica, contribuiscono a farne una delle più belle canzoni italiane degli ultimi anni. E non vedo l’ora di essere seduto nelle prime file del Carlo Felice (in galleria no, che ha un’acustica che fa cagare) per ascoltarla dal vivo.
Poi sarà perché viene subito dopo nella lista di brani, o perché le chitarre producono un suono molto simile, ma ultimamente ogni volta che ascolto quella canzone mi viene da andarmi ad ascoltare Cowgirl in the Sand.
Che io Neil Young l’ho scoperto tardi, durante un rigetto per tutta la musica che avevo in casa, e che conoscevo ormai a memoria. Ricordavo di lui una vecchia ballata, Harvest Moon, uscita in quel 1992 foriero di tante novità, prima fra tutte Mtv Uk, che mi arrivava attraverso le frequenze di Telecittà. Fu una rivoluzione per me, che non avevo mai visto un videoclip intero, e muovevo allora, con molto ritardo, i primi passi nel mondo della musica oltre quelle tre quattro cassette che giravano per casa.
Ecco, la passione per quel canadese anarchico è rimasta in incubazione per più di quindici anni, e adesso sta maturando.

E poi, se volessi scrivere ancora quel post a tema musicale, chiuderei con un brano che mi gira nelle orecchie almeno un paio di volte al giorno, e che sarebbe il titolo di un post che non scriverò probabilmente mai: Sympathy For The Devil.
E di cosa puoi parlare in un pezzo che si intitola così? Di Berlusconi? Di Ming The Merciless? Naah, anche riferendosi al più subdolo dei manigoldi faresti un torto al più elegante, astuto, affascinante dei cattivi, il Grande Cornuto, e di conseguenza anche a questo pezzo, che del personaggio ispiratore mantiene inalterata la classe, che scuote senza eccedere, che trasmette tutta l’energia di quarant’anni fa, esattamente il 6 dicembre 1968, senza mostrare la tela neanche su una nota.

Ecco, mi sarebbe piaciuto scriverlo, un omaggio alla “musica che mi gira intorno”, ma è già mezzanotte passata, e quello che avevo cominciato a scrivere è andato perso.

Pazienza, sarà per un’altra volta.

Io ho degli amici che scrivono. Cioè, tutti abbiamo degli amici che scrivono, noi stessi scriviamo, e poi ci leggiamo uno con l’altro, in una specie di masturbazione collettiva che ci rende un po’ dei pervertiti agli occhi di chi non vive questo strano mondo. Ma i miei amici che scrivono sono particolari, perché scrivono libri che la gente compra.
Cioè, anch’io una volta ho scritto un libro che la gente ha poi comprato, e stasera mi sono anche permesso di pubblicare la copertina qui a lato, ma il mio è stato più un caso estemporaneo, sono troppo incostante per farlo diventare un lavoro, anche solo per provarci. Questi miei amici invece scrivono come dannati, dappertutto, e soprattutto dannatamente bene. E come se non bastasse questo a renderli odiosi a noi poveri patetici pennaioli, questi miei amici hanno deciso di completare la serie e si sono inventati anche editori. Lettori, scrittori ed editori, tutto loro fanno. Ci manca che aprano un macero e si mettano a tagliare alberi..

E’ come se un macellaio si ingrassasse a fieno e poi si facesse a pezzi e si vendesse al banco, a pensarci fa un po’ senso, ma qui si ingrassano e sminuzzano le parole, ed è una bella cosa, se a uno piace leggere. Si incolla e rilega e disegnano copertine, come in una di quelle stamperie antiche che odorano di inchiostro e spago. Si producono poche preziose copie, che si distribuiscono a mano, per posta, una a una a chi le richiede, limitando i ricavi, ma anche mantenendo un rapporto col lettore che nell’editoria odierna te lo sogni.

E’ una libreria che potevi immaginarti duecento anni fa, e uno si chiederebbe chi glielo fa fare di aprirla ora, ma il Cino è fatto così, ci deve pensare un po’ prima di fare una cosa..

samiz.. samid.. macomecazzo..

Estate 1955, il sole picchia forte su Canelli, e sotto un pergolato il signor Gregorio Carosso, militante del Pci, rimbrotta il figlio dodicenne:
“Muzio, tu devi fare qualcosa di comunista!”
“Tipo mangiare i miei compagni di scuola?”
“No! Qualcosa che onori la Grande Madre Russia! Imparerai a giocare a scacchi!”
“Ma a me piace la briscola in cinque!”
“E chi se ne frega! Tu diventerai un grande scacchista! Guarda, ti ho comprato questo libro per insegnarti le regole del gioco che tutti in Russia praticano con successo!”

scacchi celtiE così, seguendo le lezioni di “Scacchisti in 24 ore”, Muzio Carosso intraprese i suoi primi passi in un mondo più vasto, diciamo 64 caselle.

Soltanto quattro anni più tardi è un Muzio Carosso molto diverso quello che si iscrive al torneo provinciale di scacchi. Ha la barba di pelomatto che lo fa somigliare a un mugik spelacchiato, sa recitare perfettamente l’internazionale comunista, e soprattutto ha battuto ogni avversario della sua scuola durante l’ora di ricreazione, guadagnandosi il nomignolo di “Gran maestro della scuola superiore di agraria Rino Gaetano”.

Data la giovane età gli iscritti al torneo non lo considerano un avversario temibile, loro provengono tutti da circoli prestigiosi dei dintorni, qualcuno arriva addirittura da Cuneo, sono abituati a scontrarsi con giocatori ben più sgamati.

Il primo incontro ufficiale Muzio lo gioca contro un certo Anselmo Giribauda, un professore col pizzetto e degli occhialini tondi che al giovane e indottrinato Carosso ricordano quelli di Trotzkij. Perscacchi incelti tutta la partita lo osserva affascinato, e quando mezz’ora più tardi il professor Giribauda gli impone il matto Muzio salta in piedi, gli stringe la mano ed esclama: “Grazie! La prego, venga a collettivizzarci l’orto!”

Per fortuna il torneo non prevede l’eliminazione diretta, e Muzio può ancora affrontare l’avversario che verrà in seguito ricordato come “Colui che subì la prima sconfitta da Muzio Carosso”, Enzo Scariello.
Dopo avergli mangiato l’alfiere a costo del cavallo, la torre perdendo la regina e la regina sacrificando una scarpa del padre, che indispettito dall’andamento della partita gliela scagliò addosso dalla tribuna, Muzio passò al contrattacco e ficcò il rimanente alfiere nell’occhio di Scariello, obbligandolo a ritirarsi.

scacchi delle apiEra una buona tecnica, e Muzio cercò di affinarla. Nella partita successiva si trovò presto in difficoltà e decise di arroccare, ma invece di depositare la torre accanto al re la serrò forte nel pugno e colpì l’avversario al setto nasale, mandandolo al tappeto.

Nessun regolamento prevedeva ancora il reato di violenza ai danni di un giocatore, quindi Muzio restò impunito e solo al tavolo di gioco, passando il turno.

Aveva creato l’arrocco violento, mossa per cui divenne celebre. In poco tempo nessuno voleva più battersi con lui, e quando lo facevano fuggivano urlando appena gli vedevano posare la mano sul re.
La fama dell’Arrocchino divenne internazionale, e nella graduatoria mondiale la sua posizione saliva sempre più.
Muzio Carosso cominciò ad arricchirsi coi tornei, e sentendosi finalmente importante scrisse libri e fondò scuole di scacchi in cui insegnava la tecnica che l’aveva reso famoso e altre, come quella del “Cavallo incaprettato”: prima dell’incontro mandava due sgherri a sequestrare un parente dell’avversario, quindi lo invitava a lasciarsi battere se non voleva subire conseguenze.scacchiccazzosiete

Fu una gloria che durò una decina d’anni, finché la Federazione istituì una regola che vietava l’uso della violenza e dell’intimidazione durante le partite, e la rese retroattiva.
Di punto in bianco Muzio Carosso si trovò privato dei titoli accumulati e della possibilità di partecipare a qualsivoglia manifestazione in cui comparisse una scacchiera, compresa la dama, il carnevale di Venezia e le rievocazioni medievali.

Impossibilitato a dedicarsi ancora alla sua attività preferita non gli restò che convertire le sue numerose scuole di scacchi in palestre di pugilato, e di lì in avanti non si sentì più parlare di Muzio Carosso lo scacchista, ma dell’ottimo trainer “Arrocchino pugno d’acciaio”.

Che certe volte cominci a scrivere e poi devi piantare lì perché è ora di andare a lavorare, e allora te ne vai, ma ti resta una specie di roba dentro che non sai identificare, e ti fa lavorare con l’umore immerso in una specie di colla appiccicosa, tipo marmellata, e magari un po’ di musica migliorerebbe sensibilmente, solo che la musica al lavoro non ce l’hai, ma a pensarci bene non credi cambierebbe granché, che quando sei di quest’umore lì non lasci finire una canzone, e sei sempre dietro a schiacciare effeeffevudì per sentire se quella dopo ti farà più piacere.

E allora rimandi a quando torni a casa, ma quando torni a casa ci sono altre cose da fare, da dire, da vedere, e viene l’ora di cena, e con la pancia piena quella sensazione si è un po’ attenuata, potresti anche buttarci su un film e sei sicuro che passerebbe, poi ti fai una doccia, te ne vai a dormire, e domani che è festa..

Solo che lo sai come funziona, il libretto delle istruzioni lo conosci a memoria, l’hai scritto tu, se lasci depositare la marmellata domani te la ritrovi impastata alla faccia, e non c’è sapone che tenga, ti inchioda lì a scalpellartela via martellando sulla tastiera, le casse alte che ti piantano note sullo sterno, il cane che ti implora di portarlo a pisciare e tu che gli rispondi in malomodo di tenersela, o almeno di imparare ad aprirsi la porta, che quando ti prende male è male per tutti. E allora lascia che mi metta qui dieci minuti, apra il rubinetto un filo e la lasci venir fuori lentamente, evaporare incolore nella stanza, fintanto che aspetto che la salma finisca il suo fumetto e mi dedichi qualche attenzione.

C’era una volta nel lontano paese senza le virgole un bambino privo di cervello ma con due grossi occhiali colorati che a guardarli da vicino potevano dare l’idea che oltre gli occhi ci fosse qualcosa di misterioso e che la maggior parte delle persone attribuiva a una profonda intelligenza mentre quel bambino sapeva benissimo che dietro i suoi occhi non c’era proprio niente e lo dimostrava il fatto che quando si voltava di scatto gli entrava l’aria dalle orecchie e si sentiva un fischio che al bambino piaceva e certe volte lo faceva apposta per sentir fischiare e quelli che lo vedevano stavano un po’ a pensare se per caso quella sensazione di profonda intelligenza non fosse solo un frutto della loro immaginazione perché un bambino che scrolla la testa così o è stupido perso o ha le spighe nelle orecchie come i cocker però il bambino non se ne curava e soprattutto non se ne curava quel giorno che stava andando a trovare suo nonno che gli aveva promesso di regalargli un cimelio di quando aveva fatto la guerra e il bambino sperava che quel cimelio fosse una porterei perché suo nonno aveva fatto il militare in marina ma non quella americana e difatti su una portaerei non c’era mai salito perché nella marina svizzera dove aveva prestato servizio lui l’avevano imbarcato subito su una capra e l’avevano fatto arrampicare su un monte con una radio e avvisare se vedeva arrivare i tedeschi che attraversavano il confine per andare a fregarsi la cioccolata che quella era la paura più grande per gli svizzeri perché non sapevano che i tedeschi avevano già deciso di invadere il piemonte perché secondo loro la cioccolata della novi era molto più buona e difatti molti anni più tardi un pubblicitario tedesco aveva fatto quella pubblicità dei due alpinisti che si incontrano in montagna e uno assaggia la cioccolata dell’altro e poi gli chiede se è sfizzera e lui gli risponde no novi come avrebbe potuto confermare il bambino che quella pubblicità lì la conosceva benissimo e la raccontava a tutti i suoi compagni di scuola e poi si faceva fischiare le orecchie e loro se ne andavano battendosi un dito sulle tempie ma il bambino non si sentiva mai solo perché quando questo succedeva lui mollava tutto come quel giorno lì e andava a trovare il nonno sperando di farsi finalmente regalare quella benedetta portaerei e non come l’ultima volta che gli aveva regalato una mela e l’aveva fatto andare e lui si era offeso di brutto e la mela gliel’aveva restituita tirandogliela contro la finestra della cucina e il nonno era spuntato e gli aveva gridato mascalzone se ti prendo e il bambino era scappato e ora stava tornando a trovarlo ma non aveva paura della collera del nonno perché il nonno soffriva di alzheimer e dopo venti minuti si era dimenticato tutto anche come si chiamava il bambino che tutte le volte doveva ripetergli che si chiamava Arturo e si sentiva rispondere Arturochi e lui gli diceva Arturo quello che gli devi dei soldi e il nonno scuciva e il bambino era rincoglionito ma aveva capito che facendo così ci poteva guadagnare e infatti piano piano gli stava fottendo tutta la pensione e il conto in banca ed era così estasiato a pensare al suo futuro di bambino ricco con le orecchie che fischiano che non si avvide che dal terreno era saltata fuori chissà da dove una virgola, e lui ci inciampò dentro e cadde battendo la testa e morì.