Tempo fa, non ricordo esattamente quanto e non ho voglia di andare a verificare, decisi che il mio vecchio blog non aveva più ragione di esistere, e lo potai, come si fa con l’alloro. Me l’ha insegnato mio papà, per far crescere sano e forte l’alloro bisogna potarlo; solo che lui non è capace, e l’ultima volta ha ridotto una rigogliosa pianta in un insieme di rametti logori e rinsecchiti.
Io ho imparato da lui, dicevo, e nella fretta di liberarmi della zavorra accumulata in anni di scazzi, ho buttato via tutto.
Certo, una copia per me l’ho conservata, vuoi che non trovi il modo di appagare il mio narcisismo? Di quel che scrivo conservo tutto, anche i bigliettini della spesa, si sa mai che un giorno possano essere venduti all’asta per milioni di euri..
Oggi scopro che qualcun altro ha fatto lo stesso, e mi faccio un tuffo all’indietro, al 2003..

Incontrando una vecchia collega ho saputo che Valeria, una ragazza con cui lavoravo fino all’anno scorso, ha avuto una bambina. Non sapevo neanche fosse rimasta incinta, sebbene me l’aspettassi, era sempre stato il suo desiderio, e dopo il matrimonio immaginavo sarebbe stata solo questione di tempo.

Non posso e non voglio chiamarla per esprimerle le mie congratulazioni, i nostri ottimi rapporti si sono rovinati tempo fa, dopo che ha cercato di piantarlo nel culo a me e ad altri colleghi.

Ciononostante sento il bisogno di felicitarmi, in nome di un’ottima amicizia che andava ben oltre il rapporto professionale, per cui penso che scriverò due righe per lei, nell’eventualità che leggesse ancora il mio blog.

Valeria,
ho saputo che sei diventata mamma, e sono davvero molto felice per te, ma resti comunque una gran troia.

Pablo

La faccio breve, c’è in giro l’ennesima catena, e siccome alcuni dei miei amici sono dei sadici bastardi, sono stato tirato dentro.

Il regolamento prevede che riveli 7 segreti del mio passato, cose che non ho mai raccontato neanche a mia mamma, informazioni per cui i servizi segreti israeliani ucciderebbero, e le riveli qui, come se parlassi della ricetta migliore per fare un dolce al cioccolato.

Vado, ma ve ne pentirete.

  1. Sono stato un transessuale brasiliano. Mi chiamavo Candy Candy, per gli amici Candy, abitavo nei sobborghi di Pinerolo, e mi guadagnavo da vivere facendo il prostituto di alto bordo. Un giorno conobbi il Presidente Del Consiglio Di Amministrazione della Pozziginori, che si faceva un giro fra i travoni in cerca dell’ispirazione per i nuovi modelli di cessi, e appena mi trovai la bocca libera gli lasciai il mio curriculum. Mi assunse come modello per il gabinetto modello 500, e in poco tempo, grazie alle mie capacità, feci carriera e cominciai a guadagnare un bel gruzzolo. Spesi il primo mucchio di soldi per farmi operare e cambiai sesso, credendo che quella doveva essere la mia naturale crescita, ma mi accorsi presto che mi sbagliavo, la vita da donna non faceva per me: cominciai a provare un piacere assurdo a leggere rubriche cretine sulle riviste patinate, a guardare vetrine di scarpe, a criticare le acconciature delle mie amiche, e in poco tempo mi trovai a chiedermi se per caso non avevo commesso un terribile errore. Mi licenziai, e col denaro della liquidazione tornai a operarmi, diventando un metalmeccanico siciliano coi baffoni.
  • Ho sventato un golpe in Nicaragua. Ero in spiaggia a Managua, che pucciavo i piedi nel lago omonimo, quando mi si avvicina un generale dell’esercito e mi chiede se ho da accendere il suo sigaro. Capisco subito quali sono le sue intenzioni, da che mondo è mondo un generale col sigaro in bocca ha intenzioni bellicose, e telefono alla redazione del quotidiano locale denunciando l’accadente. Subito una troupe televisiva si mette sulle sue tracce, e appena lo trova lo infila nella casa del grandefratello come superpartecipante. Dopo un paio d’ore si è già scordato del golpe e si sta tacchinando una studentessa di architettura, che come recita il luogo comune, sono tutte fighe.
  • Ho vinto il Gran Premio di Montecarlo. Una volta stavo uscendo dal baretto di fronte al palco della premiazione e incrociai Ayrton Senna che correva in bagno, perché le vibrazioni del sedile gli avevano irritato la vescica. Ne approfittai biecamente prendendo il suo posto sul gradino più alto del palco. Lui se ne accorse appena tornò, ma a quel punto avevo già fra le mani il bottiglione di champagne e gli sparai il tappo nei denti, tramortendolo. Quella notte festeggiai con una studentessa di architettura locale.
  • Conosco la ricetta migliore per fare un dolce al cioccolato. Metti il cacao in un pentolino e lo fai sciogliere con un goccio d’acqua a fuoco moderato. Ripeti la stessa operazione in un altro pentolino con lo zucchero fino ad ottenere uno sciroppo (a fiamma bassa). Mescoli il cacao allo sciroppo e fai raffreddare prima di unire delicatamente la panna montata e la vanillina. Versa in una coppa di vetro e guarnisci con frutta candita o scaglie di cioccolato. Conserva in frigo.
  • Ho il numero di cellulare di Uma Thurman. Solo che è sbagliato.
  • Ho fatto quindici al totocalcio. E quando sono andato a ritirare la vincita dal tabacchino quel fesso ha chiamato i carabinieri! Roba da pazzi! Per fortuna che mi trovavo in una città dove non mi conosceva nessuno e sono riuscito a defilarmi, sennò chissà cosa sarebbe successo! Per un pezzo mi è anche corso dietro gridando mascalzone, poi è sbucata una macchina da una via laterale e lo ha travolto. Subito volevo tornare indietro e dirgli prova a ripeterlo adesso, ma mi fa senso la vista del sangue, e lì ce n’era davvero un casino.
  • Sono solito interrompere le catene di merda. E’ più forte di me, quando ricevo una catena di qualsiasi genere, magari ci partecipo per passarmi dieci minuti, ma poi la interrompo sempre. Non so perché, forse perché la considero una stronzata e non mi va di scassare le balle ad altri, chissà.

A parte questo ringrazio sentitamente Paoletta per avere pensato a me, anche se detesto le catene mi ha fatto piacere che mi abbia scelto, e mi sono anche divertito.

Ma la prossima volta le spezzo l’altra gamba.

“Ho visto che il 18 settembre c’è la Notte Bianca a Roma, ci andiamo?”, mi propone Lorenzo da una panchina dei giardinetti di Busalla, mentre intorno a noi risuonano le note dell’Orchestra Spettacolo Mariateresa Villabuona Fu Dimitri. Sono i festeggiamenti del Nome di Maria, ogni anno la seconda settimana di settembre i Busallesi si interrogano su quale possa mai essere il nome di Maria, forse Giovanna? Forse Lucrezia? E mentre se lo chiedono fanno festa, che per i Busallesi sedersi a un tavolo e pensare è noioso, molto meglio scendere in strada e far cagnara.

“Non so”, gli rispondo. “Sono senza soldi, sennò stasera invece che al Nome di Maria me ne andavo al Nome di un locale qualsiasi di Genova e mi prendevo la vecchia ciucca del venerdì sera, che è un’abitudine che ho un po’ perso.”

“Se fossi andato al Nome di un altro locale di Genova non avresti incontrato noi e avresti perso questa fantastica opportunità di andare a Roma alla Notte Bianca sabato prossimo!”, mi risponde Pino.

Pino è un amico di Lorenzo, il mio amico Lentese che ho incontrato ieri sera a Busalla. Ci conosciamo da poco anche con lui, non è un tipo cattivo, dice che se conoscessi sua zia cambierei idea.

“Sai cos’è? Che la Notte Bianca mi piace poco, ho delle esperienze strane riguardo quella notte lì, non è che mi vada tanto di parteciparvi”.

“Racconta”, mi dice Pino, “Racconta”, mi dice anche Lorenzo. Racconto.

L’anno scorso si tenne per la prima volta a Roma la Notte Bianca, spettacoli, negozi, musei aperti tutta la notte, mezzi pubblici a profusione, una grande iniziativa da non perdere. Solo che Roma non è Ronco, o Lento, che se fanno spettacoli tutta la notte e tengono aperti i negozi le strade si riempiono di un migliaio di persone e c’è vita e son tutti contenti e incontri gli amici e andate a bere e ci si passa tutti una bella serata. A Roma se fai una cosa così intasi la città, soprattutto se poi si mette a piovere, e soprattutto se da qualche parte un albero cade sull’unico traliccio che rifornisce tutta la penisola, e l’intero Paese resta al buio.

Io quella notte ero al Milk, che inaugurava la stagione, e mi stavo divertendo un casino. Era un periodo strano quello, avevo da poco ripreso i contatti con una ragazza, stavamo cercando di riprendere un certo discorso, era molto delicato, e proprio in quei giorni lì era andata a Roma per lavoro, e non l’avevo più sentita. Era viva? Era morta? Chissà.

“Non vi sto a raccontare tutto il preambolo sennò arriviamo a domenica e ci perdiamo i fuochi, che sarebbe anche una bella cosa, visto che i fuochi di Busalla fanno pena”, dico loro, e proseguo col mio racconto. Lorenzo e Pino sono interessati, la panchina è confortevole, l’Orchestra Spettacolo Mariateresa Villabuona Fu Dimitri attacca il suo cavallo di battaglia, La Cesarina, e i vecchietti fan la ola.

Stavo ballando su un vecchio pezzo di Iggy Pop quando accadde. La musica si fermò di colpo, e il locale si illuminò delle luci sinistre dei riflettori di emergenza. “Già finita la serata?”, si chiedeva Andrea, “Già saltato l’impianto?”, mi chiedevo io, “Che chiusure di merda, era meglio il digei dell’anno scorso!”, borbottava un habitué del locale.

Visto che la musica non accennava a ripartire dichiarammo chiusa la serata Milk e uscimmo in cerca di nuove avventure, e fu allora che si potè avere chiara l’entità dei danni. Tutta la città era al buio, gli amplificatori del Milk avevano mandato in corto l’impianto elettrico dell’intera Genova.

“Ma no, è Pericu che non ha pagato la bolletta!”, mi spiegò Andrea, sempre più informato di me su queste cose cittadine.

Poco più tardi, seduti su un muretto a guardare uno dei più bei cieli stellati che mi ricordi, riflettevamo sui grandi misteri della vita.

“La morte e l’aldilà?”, mi chiede Lorenzo. “La figa”, gli risponde Pino che ha già capito.

“Niente, non c’è molto altro da raccontare, la luce è tornata il giorno dopo, la ragazza in questione ancora dopo, il Milk ha ripreso a funzionare regolarmente..”

“E con la ragazza com’è andata a finire?”, mi chiede Pino.

“E’ andata a finire”, gli rispondo. “Probabilmente il giro di boa l’abbiamo fatto chissà quando, magari in una parola detta al telefono, uno di quei momenti che passano del tutto inosservati, ma mi piace credere che sia stata quella sera lì, la sera del black out, ad avere spento la luce su noi due. Da lì in avanti stavamo già scrivendo un’altra pagina, eravamo già i protagonisti di due racconti diversi”.

“Sei bravo a raccontare le storie”, mi dice Lorenzo. “Dammi un altro bicchiere di sangria e vedi cosa ti invento!”, gli rispondo, e abbandoniamo la panchina per tornare al bar del Diplodoco, mentre dietro di noi, l’Orchestra Spettacolo Mariateresa Villabuona Fu Dimitri attacca la Polka della Gigia.