Cina, agosto 2018 (9/12) – memorie di Shanghai

Giovedì 16 agosto

C’è sempre un giorno, durante una lunga vacanza, in cui non fai assolutamente niente. Giovedì non stavo mica tanto bene, dovevo aver mangiato qualcosa di cattivo, forse per strada a Guiyang, forse sono state tutte le bibite gelate a disturbarmi, ed è stato quel giorno lì per me, in cui ti svegli tardi e ciondoli per l’appartamento fino al ritorno della tua fidanzata, mangiucchiando roba pescata dal frigo e facendo frequenti visite al gabinetto spingendoti tuttalpiù al supermercato in fondo alle scale.

Non avendo nulla da raccontare su questo giorno, tranne una dettagliata descrizione delle mie deiezioni, allitterata in d perché mi fa sentire più un figo, ne approfitto per pubblicare le mie impressioni su una delle mete della mia vacanza invernale: quindi oggi non siamo a Pechino il 16 agosto 2018, ma a Shanghai, nei giorni di fine 2017.

Sull’aereo il comandante ci comunica che farà il possibile per portarci a destinazione. Come inizio è rassicurante, niente da dire. Poi ci elenca la lista dei divieti a bordo, e ci ricorda che non rispettarli può portare a multe o all’arresto. E io stamattina ho letto un articolo che parlava delle epurazioni messe in atto da questo governo verso gli oppositori o chi si mette in generale contro i suoi interessi. Nel dubbio spengo il telefono e raddrizzo il sedile.

Shasha, accanto a me, dorme senza ritegno con la testa appoggiata alla mia spalla. A lei delle violazioni dei diritti umani praticate dal suo governo interessa poco, stiamo andando a Shanghai a trascorrere l’ultimo dell’anno in una delle poche città del Paese in cui questa tradizione occidentale viene festeggiata, ed è molto eccitata. Cioè, lo sarebbe se fosse sveglia.

Sul volo China Eastern, che è parecchio più bello di quello ucraino che mi ha portato qui, passano a darti da bere quattro hostess secche secche. Shasha le trova carine, a me sembrano dei portaombrelli.

Atterriamo vivi e interi, nonostante lo scetticismo del pilota, ma nessuno gli fa l’applauso; siamo solo noi italiani a mantenere vivi questi riti idioti. E già che ci siamo vi pregherei di smetterla, ovunque stiate volando, o perlomeno di limitarne la pratica a quella volta in cui l’aereo starà precipitando ma riuscirete a salvarvi all’ultimo momento grazie al sangue freddo dell’equipaggio e a una prodezza miracolosa di chi sta in cabina di comando. 

Ritiriamo lo scarno bagaglio, prendiamo la metro e cerchiamo di non perderci fino all’hotel.

In giro per la città si vedono un sacco di macchinoni, e la gente è vestita meglio che a Pechino. In generale si respira un’aria più rilassata, perfino nella metro i controlli sono meno accurati, le persone neanche si tolgono lo zaino nel passare il controllo. È una città più ricca, molto più vicina all’occidente della sua collega a nord, e non deve sostenere l’immagine seriosa di una capitale.

E poi il clima più caldo aiuta, è chiaro.

Il 30 dicembre la città è immersa nella nebbia, piove, fa freddo. Esattamente il tempo che abbiamo lasciato a Pechino. Ce ne andiamo a Pudong, il quartiere degli affari, a visitare uno dei grattacieli. Shasha ha comprato due biglietti per quello più alto, a forma di apribottiglie, lo Shanghai World Financial Center, solo che quando arriviamo lì realizziamo di essere in ritardo di almeno dieci anni, e nel frattempo il grattacielo più alto del mondo è diventato il settimo. Il suo vicino, la Shanghai Tower, lo sovrasta di 140 metri, posizionandosi al secondo posto fra gli edifici più alti del mondo dietro il Burj Khalifa. Mi viene una gran voglia di tornarmene a casa. Insomma, una cosa dovevi fare, una, e non ne sei stata in grado. E adesso me lo spieghi cosa ci salgo a fare sul settimo palazzo più alto del mondo? Che vista ci potrà essere da lassù sapendo che non sei neanche nel punto più elevato della città? Ma che poveracciata, dai!

Gli ultimi due piani del palazzo, che fanno da cornice al grosso buco rettangolare cui l’edificio deve il proprio nome, costituiscono un percorso panoramico che inizia e finisce in un atrio molto ampio appena sotto. Cosa ci sia di panoramico in una giornata del genere non lo so, le ampie vetrate mostrano tutte la stessa cappa lattiginosa impenetrabile perfino dalle luci elettriche.

Sono sicuro che l’attico della Shanghai Tower è così alto da superare la coltre di nuvole, e sta regalando ai visitatori più avveduti di noialtri una vista incantevole.

Saliamo all’ultimo piano e lo troviamo invaso di turisti che provano a guardare fuori, o camminano sul pavimento di vetro sperando di sbirciare un pezzetto di mondo esterno. Non c’è niente da fare, non si riesce neanche a vedere il soffitto del corridoio sottostante. Allora scendiamo, più con l’idea di andarcene che di aspettare una schiarita, ma passando davanti a una vetrata ci accorgiamo che laggiù in fondo si intravedono delle luci fioche. La finestra ce l’abbiamo tutta per noi, in cinque minuti le nuvole si alzano e il tetto della Jin Mao Tower circondato dall’illuminazione cittadina mi fa sentire in una scena di Blade Runner.

Abbiamo una guida in città, un ex compagno di università di Shasha di cui non ho mai capito il nome, J-qualcosa.

Lo raggiungiamo in un ristorante all’ultimo piano di un mall. Come scoprirò in seguito ha una vera passione per i centri commerciali, in un fine settimana ce li fa vedere tutti. Non che per me faccia qualche differenza, i centri commerciali cinesi sono tutti uguali, tranne l’Oriental Plaza di Pechino, che conosco solo grazie alla mia fidanzata, e quello giapponese visitato a Shanghai, più che altro perché prima di allora non ero mai stato su scale mobili a chiocciola.

J-Qualcosa è coetaneo di Shasha, ma sembra molto più giovane. Considerato che io ho 20 anni più di loro mi sento vecchissimo per la maggior parte del tempo. Per fortuna non capisco i loro discorsi, gossip universitario o così mi dicono, sennò mi sentirei ancora di più fuori dal loro mondo.

Così invece posso dare la colpa alle barriere linguistiche e guardarmi intorno con la faccia di chi si è perso.

È un ragazzo molto gentile, non parla una parola di inglese, ma anche così fa il possibile per mettermi a mio agio.

È anche un appassionato di buona cucina, e ci porta in tutti i ristoranti migliori. Per non trasformare questo post nell’ennesima lista di piatti cinesi mi limiterò a segnalare il ristorante fusion, che non so cosa voglia dire, ma ci ho mangiato la carne con lo zucchero filato e le caramelle, mentre su uno scaffale faceva bella mostra di sé una biografia di Bob Marley.

Ricordo anche un altro posto, ma per la ragione opposta: ci ho mangiato il pesce col ketchup, povera bestia!

Ma non è ketchup, lo facciamo con l’aceto di riso!”

È rosso, sa di ketchup, è ketchup. Vergognatevi!”

Il tempo trascorso a Shanghai non si rivela solo un tour di ristoranti e negozi e centri commerciali, J-Qualcosa ci porta a visitare anche edifici di interesse storico,come un ex mattatoio risalente al 1933: un edificio molto bizzarro, pieno di scale e passerelle che lo fanno somigliare a un quadro di Escher. Adesso è stato trasformato in una specie di centro commerciale stiloso, ospita negozi, bar e gallerie d’arte, ma l’aspetto surreale dell’edificio è ancora evidente, e i richiami art-deco sono una gioia.

Il pomeriggio del 31, al calare dell’oscurità, facciamo in modo di trovarci in prima fila sul lungofiume, a scattare le stesse foto che fanno tutti in questa città, e a cercare di non morire di freddo.

Vicino a noi una sposa mezza nuda indossa un bellissimo abito rosso, col quale immagino che verrà inumata fra qualche ora, se non si sbriga a mettersi qualcosa di più pesante.

Ma morire sul Bund è un po’ una tradizione qui in città, nel 2014 una ressa di 300.000 persone causò 36 vittime. Per questo da allora la città ha bandito i fuochi artificiali, e per la stessa ragione noi, un po’ prima delle otto, schiodiamo verso la metro, che poi la chiudono.

La polizia ha già cominciato a chiudere le strade e intruppare la folla; proviamo a tagliare attraverso un mall e finiamo in un viale, imbottigliati in una folla tipo film apocalittico quando un meteorite sta per distruggere Philadelphia e ti fanno vedere che evacuano la città, con queste lunghe colonne di persone che sciamano sulla pianura coi palazzi alle spalle.

I meteoriti cadono anche su NewYork, ma i suoi cittadini non vengono mai mostrati mentre se ne vanno, perché Manhattan è un’isola, e per abbandonarla devi attraversare i ponti e i tunnel, soluzione molto meno spettacolare quanto a impatto visivo.

Per questo di solito i newyorkesi muoiono tutti, mentre nelle altre città della costa est risultano pochissime vittime.

Se doveste trovarvi a comprare casa da quelle parti ricordatevi di questo post, in caso di apocalisse potrebbe salvarvi la vita.

Riusciamo a saltare al volo sull’ultimo treno e torniamo in albergo, dove ci scoliamo una bottiglia di spumante come tre rockstar maledette. Non scassiamo tutto perché sennò ce lo fanno pagare, ma diciamo un casino di parolacce.

C’è una festa in terrazza, e ci presentiamo in perfetto orario per la ciucca di fine anno.

Avete presente un veglione di capodanno in Cina? No? Beh, neanche loro.

L’atmosfera è quella di una cena aziendale dove tutti i colleghi si stanno sul cazzo, e in più il capo fa il simpatico al microfono.

Mucchi di cinesi buttati sui divanetti a giocare col cellulare, camerieri impassibili che servono ciotole di manzo piccante con le arachidi, imbonitori da fiera che provano a coinvolgere un pubblico che palesemente ne ha per i coglioni, e in mezzo io e Shasha che ci scassiamo di negroni e pomiciamo come due ragazzini. J-Qualcosa non festeggia il capodanno, si siede su un divano e guarda fuori, chiedendosi fra quanto potrà andarsene senza risultare scortese.

Alla festa c’è una collega della mia fidanzata, che per fortuna parla inglese e beve in abbondanza, fornendoci un’alternativa ai limoni: ehi, posso anche parlare con qualcuno! Che festa fantastica!

Torniamo in camera a un’ora decente, in condizioni indecenti. Buon anno a tutti!

Il giorno dopo J-Qualcosa viene a salutarci in stazione e ci regala un sacco di provviste per il lungo viaggio in treno che dovremo affrontare: sono quasi tutte merendine.

Ci si abbraccia, ci si promette di rivedersi e ci si saluta dal finestrino, e poi sono cinque ore di pianura monotona inframezzata da assurdi complessi residenziali di palazzoni da venti piani, tirati su in mezzo al niente, dieci alla volta. Ho letto in un articolo che costruire palazzi in Cina è una delle rendite più sicure, e siccome lo spazio è enorme e le regole non sembrano rappresentare un problema parecchi imprenditori si sono buttati nel mercato. Poi in giro per Pechino capita di imbattersi in quartieri del genere, di cinque sei edifici identici; vista l’espansione rapida delle città potrebbe essere conveniente costruire in questo modo, a grossi complessi residenziali senza niente intorno, e poi lasciare che l’urbanizzazione li inglobi. Dal treno sembra uno sfondo di qualche vecchio videogioco da bar degli anni ’80.
Poi cala il buio e non si vede più niente.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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