lunedì

Non esiste una parafrasi elegante per descrivere un gatto col pelo lungo e la diarrea.
Posso immaginare una ninfa dai vaporosi capelli rossi che corre su un prato, vestita solo con un lungo drappo color avorio. Regge sotto il braccio un cestino di vimini da cui pesca petali di rosa, che getta a manate dietro di sé ridendo, innocente e virginale; e i suoi piedini affondano in gigantesche merde di vacca, che esplodono in grossi schizzi marroni.

La mia giornata è cominciata così, aggirandomi per casa con una spugnetta per disinnescare le mine seminate dal gatto un po’ ovunque, desiderando di morire perché oltretutto è lunedì e si ricominciava a lavorare.

E da un certo punto di vista è un bene che sia successo, perché mi dà qualcosa con cui interrompere la pausa che dura ormai da più di una settimana. Che poi me li vedo i miei ventimil trecent settan tre lettori che si guardano (perché i miei tre lettori abitano tutti nella stessa casa, ma si connettono da tre computer diversi per aumentarmi il numero delle visite, sapendo quanto ciò mi faccia piacere) e una sbuffa “Ci risiamo, ha di nuovo smesso di scrivere. Lo sapevo che non poteva durare.”, e l’altro “Meglio così, dai. Ultimamente era diventato tetro, manco faceva più ridere.”, e il terzo “Ma che voi lo leggete per davvero? Io apro la pagina solo per regalargli una visita, ma mica me li leggo quei pipponi. Almeno mettesse una foto!”

La verità è che sto scrivendo tantissimo, ma non posso pubblicare niente sul blog perché vincolato da un contratto miliardario con un’importante casa editrice.
Eggià.
Non volevo dirvi niente per godermi la vostra faccia quando avreste trovato il mio libro in vetrina da Feltrinelli con la fascetta Sedicesima Ristampa – Oltre un miliardo di copie vendute (il mio libro uscirà già in sedicesima ristampa, è una clausola che sono riuscito a strappare all’editore), ma poi ho pensato che tanto mi leggete in tre e passate la vostra giornata chiusi in casa a scrivere commenti feroci su facebook, navigare su siti porno e giocare a Candy Crush, quindi davanti a Feltrinelli non ci passerete mai.

La settimana scorsa mi hanno invitato a una trasmissione radiofonica in cui un digei brizzolato e uno minchione mi facevano domande tra il serio e il non ho capito un cazzo chi sei io sono qui solo perché fa ridere, e fra un paio di giorni dovrei vedere un importante regista italiano che vorrebbe girare un film ispirato a uno dei racconti del libro, anche se non è ancora uscito, perché lui è così importante che lo ha letto in anteprima, l’editore gli ha fatto avere la decima ristampa.

Insomma, è un periodo ricco di impegni, ma riesco a scrivere una decina di pagine ogni giorno, ho un sacco di cose che mi esplodono dentro con una velocità tale che riuscire a fermarle in una parola è quasi impossibile, tanto che sto cominciando a dettare appunti al telefono, che però è gestito dall’applicazione vocale di google e capisce una frase su tre. Non vi dico la fatica a ricostruire l’idea iniziale, certe volte la abbandono e seguo il senso precario di quello che mi ha scritto il telefono, e devo ammettere che ogni tanto funziona pure meglio.

Oppure non è vero niente, e non pubblico solo perché la roba che sto scrivendo adesso è troppo lunga per metterla qui sopra. Decidete voi, io intanto vado a lavorare.

Ah, la storia del gatto non è vera.

E dimmelo, dai, lo so che ci tieni

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