Venerdì 10 agosto.

Stavolta ci riesco, mi alzo in tempo e vado diretto in piazza a vedere il morto. 

In realtà sono indeciso se visitare il mausoleo di Mao, la coda per l’accesso alla piazza sotto questo sole scoraggerebbe un cammello. In alternativa potrei infilarmi al Museo Nazionale: l’ho già visitato la volta scorsa, ma le esibizioni temporanee cambiano spesso, e al momento dovrebbe esserci qualcosa sull’arte primitiva australiana.
Una volta uscito dalla metropolitana realizzo che in ogni caso l’ingresso di entrambe le strutture è al di là della tonnara al posto di controllo, bisogna rassegnarsi.

Fa così caldo che dopo dieci minuti la mia camicia è passata dallo stato solido a quello liquido.
C’è una signora che si infila nella calca per vendere gelati, un’altra bottiglie d’acqua, la terza defibrillatori. Ma solo io sudo così tanto? I cinesi appaiono più rilassati, oppure smadonnano come me, ma nella loro lingua non li so capire.

Una volta superata l’estenuante trafila burocratica vado a vedere come si entra al mausoleo, che oramai sono qui e a dire la verità dell’arte aborigena mi frega pochino.

La coda è lunghissima, e si piega e ripiega su tutta la superficie della piazza. E stiamo parlando di una distesa ampia come la Città del Vaticano. Nonostante la lunghezza sembra scorrevole, le persone all’inizio della fila camminano abbastanza lentamente, ma camminano, e quelle all’estremità opposta vanno molto più veloci. Calcolo mezz’oretta al massimo di attesa. Dai, ce la faccio. Mi inserisco anch’io nel lungo serpentone di questo incredibile rito collettivo.
È pazzesco vedere persone arrivate da ogni angolo della Cina che si mettono in fila sotto il sole per rendere omaggio alla figura che incarna.. boh, il loro ideale? Il loro sogno di un Paese migliore? Lo stato sociale solido in cui vivono? Cos’è che rappresenta Mao per i cinesi, esattamente?

A leggere la sua biografia viene fuori una figura potente, capace di riforme che hanno aiutato la Cina a diventare quel colosso economico che è oggi. Ha combattuto e vinto le guerre interne contro i cospiratori che avrebbero infranto questo suo grande sogno, e per farlo ha compiuto imprese leggendarie, come attraversare a piedi 9600 km in testa alla sua armata, combattendo l’esercito del Kuomintang, per lanciare una controffensiva che si sarebbe rivelata vincente. Ha sconfitto l’analfabetismo, rilanciato l’economia, restituito la terra ai contadini.

Solo che la sua biografia l’ha scritta lo stesso partito che oggi governa il Paese senza elezioni né opposizione, e riduce a silenzio i dissidenti semplicemente facendoli sparire. Perseguendo la stessa politica cinica e violenta adottata dal Grande Timoniere Mao.

Il “Grande balzo in avanti”, la riforma epocale che avrebbe dovuto trasformare la Cina in una potenza economica, provocò la più grande carestia nella storia del Paese, lasciando sul terreno fra i 14 e i 43 milioni di morti, a seconda di chi te lo racconta. E quando, in seguito a questo fallimento, il partito decise di estrometterlo dalla carica, Mao lanciò la Grande rivoluzione culturale, un’insurrezione popolare che gli permise di liberarsi di tutti i suoi oppositori politici, e che ebbe, fra gli altri effetti, quello di distruggere gran parte della memoria storica dello stato.

Se oggi visiti una città qualunque della Cina sono pochi gli edifici più vecchi degli anni ’70, considerati in quel periodo che va dal 1966 al 1969 (ma pare che in realtà sia continuato fino alla morte del dittatore, dieci anni più tardi) un “retaggio della borghesia”.

A dirla tutta anche i grandi risultati ottenuti prima di sbarellare vengono considerati modesti, se paragonati a quelli, per esempio, di Taiwan, che è riuscita a ottenere gli stessi risultati senza ammazzare nessuno, o dell’India.

La Cina di Mao, dal 1949 al 1979, ha perso un numero di abitanti che a seconda delle stime varia da 20 a 80 milioni, fra carestie, epurazioni e guerre. I suoi successori hanno portato avanti le stesse politiche repressive, e ad oggi la Cina non può considerarsi un Paese libero né democratico, nelle sue prigioni si pratica ampiamente la tortura e gli attivisti per i diritti umani sono fra le vittime preferite della polizia.

Un centocinquantesimo della coda

Alla luce di queste considerazioni viene da chiedersi che cazzo abbiano i cinesi da riconoscere a questo tizio. Poi mi viene in mente un’altra cosa.

Il tasso di alfabetizzazione totale è di oltre il 96%, le città sono enormi monumenti al progresso, ma se esci dai grossi centri urbani la situazione cambia drasticamente, e non so quanto sia facile per l’abitante di un villaggio dello Xinjiang avere accesso a un’informazione diversa da quella ufficiale. Intendo un abitante di etnia Han, la più diffusa, perché se sei un uiguro non hai accesso a un cazzo di niente tranne giusto un campo di rieducazione.

Quindi tu sei un cinese che vive in qualche città di secondo piano, hai una discreta occupazione che ti permette di tenerti al riparo da sfratti improvvisi e un reddito sufficiente da permetterti qualche viaggio nella capitale. Dal tuo punto di vista la Cina post imperiale era una terra di briganti finché non è arrivato Mao a salvarla, ha cacciato i giapponesi, ha cacciato il kuomintang, ha dato il via a un processo di crescita che ti ha portato oggi a essere la più grande potenza economica al mondo.

E cosa fai, non lo vai a ringraziare uno così?

In effetti i Pechinesi non ci vanno a rendere omaggio a Mao, te ne rendi conto all’imbocco dei sottopassi e agli attraversamenti pedonali, dove stanno i tizi in divisa che gestiscono la fiumana di persone: ci sono sempre gruppetti di turisti che chiedono informazioni, qualcuno che si infila nel sottopasso contromano e fa smadonnare qualche centinaio di locali (sull’incapacità dei cinesi di stare al mondo dovrei aprire un capitolo a parte, ma non lo farò per gentilezza. Ci tornerò spesso,comunque), famiglie di sei sette individui che ciondolano con aria smarrita in mezzo alla piazza. Sono i cinesi di provincia, gli stessi che mi si avvicinano nei luoghi turistici e mi chiedono di fare una foto con loro perché non hanno mai visto un occidentale, perlomeno uno così peloso.

appena prima di entrare

Gli occidentali in coda non li ho visti, giusto una ragazza bionda piuttosto sgamata, che alla seconda curva aveva già superato tutti e si allontanava fendendo la folla. In compenso ogni genere di umanità dagli occhi a mandorla e i vestiti assurdi: durante l’ora e mezza di coda (la mia stima iniziale si è rivelata fin troppo ottimistica) mi sono transitati davanti come su una passerella alla Settimana della Moda Scrausa tizi vestiti da cowboy, magliette in un inglese improbabile, marche italiane taroccatissime, mamme con prole al guinzaglio e una nonna d’assalto che trainava il passeggino col nipote dentro.

A mano a mano che ci si avvicinava all’ingresso il passo si faceva più lento, fino a fermarsi del tutto in prossimità del cancello. Qui siamo stati divisi in due file e invitati a entrare in un piccolo edificio, dove vengono controllati i documenti e ritirate le bottiglie d’acqua. Di lì in avanti sarebbe vietato fare foto, ma almeno fino all’ingresso del mausoleo vero e proprio il massimo che ricevi è un richiamo verbale.

Al di là del recinto sei ancora in coda, e ci resterai fino all’uscita: il pellegrinaggio alla tomba di Mao non prevede soste, stai intruppato nella tua versione ridotta della Lunga Marcia fino alla fine. Lungo l’ultimo tratto del percorso alcuni venditori ti offrono un giglio con cui omaggiare la salma.Costa 3 RMB, 37 centesimi di euro. Molti lo prendono e una volta all’ingresso lo vanno a depositare nella prima sala, su un tavolo che ne è già pieno.

Considerato che sono stati comprati venti metri prima e sono ancora tutti confezionati intatti non mi stupirei se ogni tanto gli inservienti li facessero su e tornassero a venderli a quelli ancora in coda fuori.

Il resto della sala è composto da una statua di Mao benedicente circondata da vasi (quelli no, non li portano i fedeli). Qui fare le foto ti costa molto più di un richiamo: un tizio davanti a me è stato fermato, gli hanno controllato il telefono e cancellato lo scatto incriminato.

appena fuori

Poi si entra nella seconda sala, quella del sarcofago. Due lunghe file scivolano silenziose ai lati della teca di vetro che conserva la salma. La luce è bassa, ma il cadavere è illuminato a sufficienza. Ha la pelle di un colore che non è più quello dei vivi e non è mai diventato quello dei defunti, lucida come quella delle statue di cera. In effetti nessuno ti garantisce che la figura nel sarcofago di vetro sia mai stata viva, né hai modo di capirlo di persona, dato che ci passi parecchio distante e senza poterti neanche fermare. Ma tanto, per quel che mi riguarda, l’unico metodo che conosco per scoprire se un cadavere è vero o di cera è quello di aspettare l’apocalisse zombi e vedere se si risveglia. A quel punto gli spari in testa: se diventa uno zombi lo uccidi di nuovo, sennò gli metti uno stoppino nel buco in fronte e ci fai la candela più invidiata dai vicini.

Cinque minuti dopo sono fuori, sul retro del mausoleo. Davanti a me la porta di Qianmen e diverse bancarelle di souvenirs, che vendono gli stessi prodotti di quelle all’ingresso del santuario di Lourdes, solo con un personaggio diverso.

Per un paio di euri mi faccio una scorta di spillette con la bandiera cinese, la faccia di Mao e tante altre comunistezze su sfondo rosso.

Stanco ma appagato torno a casa, che c’è da chiudere la valigia. Stasera si parte per la Cina più profonda!