Mi considero una persona abbastanza equilibrata. Ho i miei punti di forza e le mie debolezze, come tutti. Diciamo che sono nella media, che non vuol dire niente, è dove sta chiunque tranne Pietro Pacciani e il Dalai Lama.

Però ho un buco. Mi manca un pezzo. Non è una debolezza, qualcosa che si può rinforzare, è proprio che non c’è. Se un medico potesse guardarmi con una macchina che legge lo spettro psicologico, emotivo, il software toh, vedrebbe in un punto non meglio determinato, un punto che chiameremo comodamente “laggiù”, una grossa macchia nera. Se fosse una tac ci sarebbe da cagarsi addosso, ma per fortuna non è una presenza aliena, è piuttosto un’assenza. È un buco. Ci guarderebbe attraverso e vedrebbe il suo assistente di laboratorio fare lo stesso dall’altra parte.

In quella casella vuota ci dovrebbe stare la sicurezza di sé. Dico ci dovrebbe, perché in realtà nel mio caso non ci ho mai messo niente. Più o meno. Da ragazzino mi è venuto il dubbio che tenersi un buco laggiù non fosse una cosa sana, così ci ho lasciato nidificare una colonia di topi. Però squittivano, non mi lasciavano dormire, e dopo un po’ l’ho liberato di nuovo. Credevo che con la maturità sarebbe arrivata anche la sicurezza. Un po’ come i peli, no? Non è successo. Però ho ricevuto doppia razione di peli, e forse avrei dovuto reclamare allora, ma non sapevo a chi rivolgermi, e poi quando sei in piena pubertà hai un sacco di altre cose da scoprire, mi sono distratto, ho lasciato perdere. Ho sperato che non succedesse niente a tenermi il buco.

Devo dire che sono stato un po’ in ansia, certe notti mi svegliavo e mi chiedevo se mi stavo ammalando, mi toccavo la fronte, mi ascoltavo il cuore, muovevo le dita dei piedi. Mi sembrava tutto in ordine, trovavo solo qualche pelo nuovo.
Passa un anno, ne passano venti, e sono sempre vivo. Nessuna malattia psicosomatica, nessun organo marcito. Vabbè, tranne il fegato, ma quello dice il dottore che basterebbe uscire meno il sabato sera.
Mi sono rilassato, ho pensato che un buco laggiù non è una cosa così grave, e dopo un po’ ho anche smesso di pensarci.

Quando si sono manifestati i primi effetti non li ho collegati al buco, a tutti capita di non avere il coraggio di buttarsi da uno scoglio, e non provarci con una che ti piace è un po’ la stessa cosa: è vero che nessuno sbatte sugli scogli, ma se ogni tanto qualcuno muore vuol dire che è solo una questione di probabilità.
Poi è stato il momento di continuare gli studi, e mi sa che non me la sento. Io mica ne ho voglia, magari mi trovo un lavoro, che è più facile. Poi il lavoro che avevo trovato mi sembrava troppo complicato per me, e ne ho cercato uno più alla mia portata, solo che neanche quello mi andava bene, e scendi che ti riscendi sono finito a farne uno dove ci lavorava anche il mio compagno di scuola ritardato. Va detto che lui lo fa meglio di me, comunque.

La mia vita sentimentale non è andata meglio, per evitare di sbattere sugli scogli mi sono sempre accontentato di stare fermo in spiaggia ad aspettare che qualche ragazza meno sveglia delle altre mi inciampasse addosso. Non che mi lamenti, eh? Ho avuto una sfilza di fidanzate straordinarie dalle quali ho imparato un sacco di cose utili. Per esempio so cucinare il gallo pinto, che sarebbe un piatto a base di fagioli neri e riso, e adoro Calvin & Hobbes. Però, ecco. Per esempio quella di terza A che mi piaceva tantissimo non sono mai riuscito a parlarle, neanche quando ho scoperto che mi stava dietro. Bloccato, proprio. E allora ho capito che quel buco lì non ci doveva stare, che la sicurezza di sé è importante per spronarti a cercare il meglio per te stesso e non accontentarti di quel che arriva, perché se ti accontenti di quel che arriva non otterrai mai niente di buono. E mi sono detto che avrei cambiato le cose e sarei diventato finalmente padrone della mia vita!

È stato allora che ho scoperto il demone della procrastinazione. Perché io la volevo cambiare la mia vita, cazzo! Solo che prima dovevo scrivere delle cose, perché nel frattempo avevo scoperto di essere bravo a scrivere, o perlomeno che senza alcuno sforzo potevo tirare fuori delle cose decenti. Se ci fosse stato da sforzarmi non l’avrei mai fatto, perché tutti gli sforzi che faccio per portare a termine qualcosa finiscono rigorosamente nel buco, e pianto lì.

Sono arrivato a tre anni fa che mi era rimasto ancora qualcosa da scrivere, ma avevo quasi finito eh, poi mi sarei dedicato a cambiare la mia vita, e la mia fidanzata ha deciso che la vita me la cambiava lei, e mi ha spedito di casa. L’ho presa malissimo, ho fatto scenate, rotto le balle a tutti i miei amici e ai suoi, l’ho insultata, le ho detto che non la volevo vedere mai più, ma la verità è che avevo solo paura del mio buco. Cosa potevo fare se non sapevo fare niente? Chi lo avrebbe voluto uno con un buco laggiù? No, stavolta avrei fatto qualcosa di buono. E qualcosa di buono l’ho fatto, mi sono scelto un passatempo, e piano piano il buco è sembrato rimpicciolire, e col passatempo ho trovato anche una ragazza che il mio buco non l’aveva notato, oppure sì ma non sembrava dargli importanza, perché ne aveva uno grosso anche lei.

Fico! Magari riusciamo a riempirceli insieme! Poi mi sono reso conto che la frase si prestava a un casino di malintesi e sono arrossito. Lei ha riso e io mi sono innamorato del suo sorriso, perché era il sorriso più bello del mondo. Siamo stati innamorati come due adolescenti per esattamente 54 giorni, 17 ore, 51 minuti e 10 secondi, e sono stati il periodo più felice della mia vita, perché per una volta non ero stato fermo a farmi scegliere come nell’ora di ginnastica quando il prof decideva due capisquadra e loro chiamavano a turno quelli bravi, poi quelli decenti, poi gli stazzi, poi quelli che proprio non si potevano guardare, poi la bidella, poi il quadro svedese, e poi finalmente io. No, finalmente avevo voluto una cosa e mi ero sbattuto per ottenerla! Poi vabbè, sbattuto, le avevo detto che mi piaceva e lei aveva risposto anche tu, capirai, è stato più che altro culo, ma non toglie che sia stato un periodo in cui vedevo la mia vita a una svolta e mi sentivo pronto a raddrizzare ogni cosa, avrei cambiato lavoro, avrei cambiato città, animale domestico, marca di automobili, titolo di film, sarebbe stato fighissimo!!
Lei si è limitata a cambiare fidanzato. Ma neanche, si è ripresa quello che aveva prima.

È stato il momento in cui il mio buco che si era ridotto fino a sparire è diventato così grosso che ci sono caduto dentro, e per tirarmene fuori ho dovuto buttare via tutto quello che avevo nelle tasche, e poi tutto quello che avevo nella pancia, e poi tutto quello che avevo in testa, ed era veramente tantissimo. Ci ho buttato cose di me che neanche pensavo di avere, ci ho buttato altre persone, ci ho buttato mio padre, ci ho buttato famiglie di rospi e la colonia di topi che credevo se ne fosse andata e invece era ancora acquattata dietro la bile, ci ho buttato anche la bile, e il fegato, che tanto era da cambiare. C’è voluto un sacco di tempo, ogni volta che mi sembrava di riuscire a tirar fuori la testa scivolavo di nuovo e dovevo ricominciare, ma alla fine mi sono liberato, e mi sono sentito più forte di prima. Sarà che il buco era talmente pieno di roba che ci avevo buttato dentro che credevo si sarebbe limitato a sparire.

Mi sono messo a fare altre cose da capo, pensando che se era servito la prima volta sarebbe servito di nuovo, e infatti ho trovato altri stimoli, conosciuto altre persone, e quando è stato il momento di rimettermi in gioco ho sentito muovere delle cose laggiù, e ci ho trovato il mio amico buco. Si era mangiato tutto quello che ci avevo buttato dentro, e mi sorrideva. “Che c’è per cena?”, chiedeva.

“Eh, ci sarebbe questa ragazza..”
“Un’altra? Devo ricordarti com’è finita l’ultima volta?”
“Ma questa è diversa, dai. Mi sta dando prove certe che.. insomma.. sembra che ci tenga davvero”
“Certo, come quell’altra. Te lo sei fatto lasciare un curriculum?”
“Bah, non mi sembrava il caso..”
“Bravo scemo! E il libretto sanitario? E la fedina penale? E le referenze dei fidanzati precedenti? Che ne sappiamo che non è una scammurriata che scappa col malloppo appena ti giri?”
“Per quel che c’è da rubare, oramai. Ti sei mangiato tutto tu.”
“Metti che è una ladra di buchi!”
“Mi pare che ne abbia uno bello grande anche lei, se devo dirti.”
“Ah! Pure! E allora lo fai apposta! Hai visto cosa succede con quelle lì! Perché non te ne trovi una diversa, per cambiare?”
“Eh, non tutte le ragazze escono col buco.”

A dire il vero non lo sapevo se qualche ragazza si sarebbe detta disposta a uscire con un portatore non troppo sano di buco, mi ero di nuovo messo lì da una parte ad aspettare di vederne inciampare qualcuna, avevo notato questa e mentre ero lì che decidevo se ero pronto a buttarmi mi era crollata addosso, decretando così l’inizio della nostra relazione e anche un’ottima ragione per terminarla.
E sì perché la sicurezza di sé è una roba che quando costruiscono le persone non ce n’è mica abbastanza per tutti. Sarà che qualcuno fa il giro due volte e se la frega, ma secondo me il conto non torna comunque, perché quelli che non ce l’hanno sono troppi, e sembra che li incontro tutti io. Nella gara delle insicurezze certe volte arrivo secondo, ma non vinco un cazzo ugualmente.

C’è questo buco, laggiù, che si mangia qualunque cosa. Si mangia i tentativi che fai di vivere una vita normale, di avere una relazione stabile, un lavoro appagante. Si mangia la dignità di dire basta quando ti rubano dalle tasche, quando ti trattano come un cretino, quando ti usano. Si mangia il futuro perché non ti permette di immaginarne uno, si mangia il passato e te ne lascia una copia falsificata male, dove tutto era migliore di ciò che hai, anche quello che volevi buttare via.
L’unica cosa che non si mangia sono i topi, quelli non se ne vanno mai, e squittiscono e ti mordono le dita, e di notte non ti lasciano dormire più.

Succede che sono caduto in un buco. Non sto a spiegare come e perché, il punto è che ci sono e devo tirarmene fuori, così ieri sera sono andato a fare una prova di improvvisazione al Teatro Della Gioventù, dove per tutto luglio si tengono queste lezioni one shot senza iscrizione, paghi e provi e se vuoi torni.

“Perché l’improvvisazione e non per esempio l’autoaiuto, che ti farebbe tanto meglio?”, si chiederà qualcuno. Perché i gruppi di autoaiuto si riuniscono il pomeriggio e io il pomeriggio lavoro, e poi perché voglio uscire dal buco, non allargarlo.

È che a me l’improvvisazione piace, e domani dovrei anche cominciare questo corso di un mese presso la mia scuola di riferimento, ma son successe delle cose che alla fine non lo so mica se il corso lo faccio, che se vai a fare una cosa che ti diverte e tieni i musi tutta la sera forse è meglio se vai a fare dell’altro. Io poi non so fingere di essere felice, mi sgamano subito.

Insomma che vado a fare questa roba, ma siccome non sono convinto staziono per un po’ vicino all’entrata e mi guardo intorno per annusare l’aria. Ci sono due tizie, Pleurite e Gas Intestinali, che mostrano più o meno la mia età, seppure appartengano a un altro sistema solare e quindi non si può dire con certezza. Passa una ragazza molto carina e spero tanto che si infili nel cortile del teatro, ma tira dritto e mi lascia di nuovo lì con la mia faccia da meh.

Arrivano due signore sui tardi cinquanta e loro si che entrano, ed entra anche una mamma con figlio ventenne, e due reduci della battaglia di Solferino, e la mummia di Tutankhamon, e ci sarebbe anche una di quelle vecchiette che si spostano col girello, ma per fortuna rende l’anima a dio sul marciapiede e almeno quella ce la siamo evitata.

Mi avvicino lo stesso, attratto dal cicaleccio che proviene dal cortile, magari c’è un’altra entrata, penso, e intanto che effettuo la mia manovra discreta si apre una porta e ne esce l’insegnante, una mia coetanea discretamente carina, che cerca di far passare in secondo piano il fatto di essere un’attrice di teatro. Va in giro tutta vestita di bianco e vaporosa, e ride e gesticola e parla con la voce affettata, e proprio non lo indovineresti mai che di mestiere fa l’attrice di teatro, e magari è anche brava, però io sono più impostato sullo sticazzi, e quell’odore di mela cotta che aleggia intorno mi ha già fatto venire voglia di andarmene, e difatti mi giro e sto scivolando via col telefono in mano per cercare di aggiustare la serata, ma sbatto dentro Marcella.

Marcella è una mia ex compagna al corso di portoghese, ed è quella che mi ha parlato di queste lezioni, e mi piglia per un braccio e mi riporta dentro, che tanto cos’hai da perdere e vedrai che ti diverti, e in effetti divertirmi è una cosa che mi servirebbe, e insomma entro e pago e faccio il corso.

Viene fuori che le ragazze giovani e carine si riducono a me, e ho detto tutto, ma l’atmosfera da unitre è allegra, e c’è affiatamento e qualche bella risata me la faccio, e quando salgo sul palco con una signora bassina ci troviamo subito in sintonia e facciamo una bella figura, e anche la mia autostima se ne torna a casa soddisfatta. Beata lei, io per finire in positivo esco a metà di un esercizio di gruppo che si sta rivelando un bagno di sangue, che contare fino a due è un compito gravoso quando superi i cinquanta, e vado a visitare un laboratorio di odontoiatria e mi faccio una birra con Medusa, che è sempre bello avere degli amici su cui contare in quella scala di necessità che va dall’alleggerimento della coscienza alla ricostruzione dell’arcata dentaria.

Stasera gioca l’Italia, solo che io stasera ho un altro impegno col mio fegato, gli ho promesso di portarlo fuori a bere, che se me lo devo mangiare almeno che sia bello marinato.

Stasera gioca l’Italia, ma io ho un appuntamento con la sarta, che mi deve ricucire quel grosso buco che ho nella pancia, ma prima lo riempirà di sassi, che se devi andare a fondo è bene andarci zavorrato.

Stasera gioca l’Italia, e se perde ha poco da lamentarsi, che c’è gente che in quella condizione ci si trova da un sacco di tempo, e almeno lei ha la scusa di aver giocato di merda.

Stasera gioca l’Italia, e non è la cosa più azzurra a cui sto pensando.

Stasera gioca l’Italia, ma la notte scorsa hanno bruciato San Giovanni in piazza e me lo sono perso, perciò stasera recupero e brucio tutte le lettere che mi hai spedito, solo che me le hai spedite in digitale, mi toccherà bruciare il pici. Dovrò tenere le finestre aperte perché la puzza di plastica fusa è tossica e si impregna alle tende, solo che non ho neanche le tende, dovrò farla impregnare al gatto.

Stasera gioca l’Italia, saranno tutti a casa a guardare la tele, chissà se troverò posteggio.

Stasera gioca l’Italia e non ho una televisione per guardare la partita, ma non l’avrei guardata comunque, non ho visto neanche le precedenti, mi annoiano questi mondiali, o forse sono solo distratto da altre cose, vivere, smettere di.

Stasera gioca l’Italia, il cielo è sereno, la temperatura sopportabile, sarebbe bello essere al mare invece che al lavoro, ma adesso che ci penso col fatto che stasera gioca l’Italia non c’entra granché.

Stasera gioca l’Italia, ed è un peccato non seguirla, mi fornirebbe un’ottima copertura per le madonne che tirerò.

Stasera gioca l’Italia e tornerò a casa godendomi la strada deserta, e canterò una canzone allegra che però poi finisce.

Ragazzi, io ci sto provando ad aggiornare il blog, davvero, ma ultimamente le cose che mi escono quando mi siedo davanti alla tastiera somigliano all’ultimo Die Hard, un casino di botti per coprire la tristezza che trapela dalle schioppettate, e non so voi a leggerlo, ma a me scrivere così fa cagare, e allora preferisco non scrivere proprio.

Fra l’altro avrei anche un lavoro da preparare per un amico, una specie di racconto corale in cui mi sono scelto il personaggio e mi sono fatto una mezza idea di dove andare a parare, poi ho iniziato a scrivere e la pagina bianca ha avuto la meglio.

L’avete mai notato il fascino che ha una pagina immacolata? Non importa se di carta o di pixel, quella superficie intatta come il campo da calcio dopo la neve ti mette soggezione se non sei abbastanza veloce e abbastanza sicuro di te da lasciarci subito una pedata e spezzare l’incantesimo.

Il campo da calcio secondo me ti frega anche senza la neve, quel verde che ferisce gli occhi è in grado di ipnotizzare le menti deboli, piglia questi poveretti e li annichilisce, fa dimenticare loro dove si trovano e cosa devono farci lì, e dev’essere così per forza, sennò non mi spiego metà della formazione del Genoa.

Comunque sono qui, tiro giù due righe per farvi sapere come va, e anche per togliere dalla vista quello sfogo polemico di prima, che poi arriva uno che gl’interessa sapere cosa scrivo, che ha letto il mio nome su internet (il mio nome gira un casino su internet, ce la battiamo io e un pittore argentino), capita qui e mi prende per un rancoroso mugugnone.

Cioè, lo sono davvero, soprattutto rancoroso, ho dei tempi biblici per superare certe cose, otto anni sono solo il tempo necessario a metabolizzare l’accaduto, poi devi farne passare altri nove minimo, e alla fine fai prima a metterci una pietra sopra, che se aspetti che mi passi finisce che la pietra vengono a metterla sopra a te. Di quelle con la data e la foto ovale, non so se hai presente.

Però insomma, son cose mie, non voglio tediarvi, e non riguardano neanche il tizio che arriva qui interessato da quel che ha letto di me nei fascicoli della questura, soprattutto nei suoi confronti ci tengo a fare bella figura, metti che poi passa il mio profilo alla troupe del tigicinque e quelli mi dipingono come un malato di mente e pure violento.

Questo ci tengo a precisarlo, non sono violento. Cioè, quasi mai. Prima della volta per cui la troupe del tigicinque verrà a cercarmi (e che riguarderà, voglio sperare, una banca, una macchina sportiva e un largo uso di armi automatiche) non ho mai picchiato nessuno, a parte un tizio che però finora non l’ho ancora picchiato, quindi neanche conta.

Capito, quindi, signor interessato a quel che scrivo? Né violento né rancoroso, non si faccia fregare da quel post qui sotto, redatto in un momento di grossa crisi per fortuna passata, che ce li abbiamo tutti i momenti così, non mi dica che a lei non è mai capitato di aprire la porta di casa una sera e trovarsi a guardare dentro una pupilla gigantesca, mentre una voce fuori campo ti introduce al nuovo episodio spiegandoti che esiste una particolare zona che.

Chiarito questo punto che mi premeva chiarire possiamo andare avanti tirando giù una specie di prossimamente su questi schermi, un piano d’azione che ovviamente non rispetterò.

Intanto vorrei riprendere centotre-e-tre, che mi sono arenato in Colombia, o in Messico, uno di quei posti che improvvisamente mi è passata la voglia di bazzicare, sarà che a me non mi ci hanno mai invitato in quei posti lì, e ci sono rimasto male. No, è che avevo pianificato tutto abbastanza bene, luoghi, nomi, agganci, poi ho fatto una deviazione che mi sembrava potesse starci e mi sono impantanato come al solito, e mi dispiace, perché in cantiere c’è la vecchia Europa, dove ho fretta di tornare per raccontare delle cose che mi piacciono di più, i locali in cui sono cresciuto, la fila ai cancelli del palasport, gli articoli di giornale del giorno dopo, il ritorno a piedi in stazione.

Io l’America Latina, in fondo, non la conosco proprio per niente.

E poi ci sarebbe una puntata redatta insieme a Zuccannella, che rappresenta il mio primo esperimento riuscito di scrittura collettiva. Dovrebbero uscirne altre due puntate, ma quella là si è messa a leggere i romanzi porni e non mi scrive più.

Sempre sulla questione scrittura c’è il grosso progettone segreto al quale però non riesco più a collaborare come vorrei perché ho una connessione internet.. posso dirlo? Del cazzo.

Sto usando una chiavetta di mio padre che ogni tanto funziona e ogni tanto no, che ha un credito potenzialmente illimitato, visto che posso caricarla quando mi pare, ma che mi concede solo alcune ore di navigazione alla settimana e poi, invece di pescare dal credito residuo, mi estrae un rene.

E questo mi porta all’altro aspetto complicato della mia vita, la casa.

Non credo occorra spiegarvi che non abito più dove stavo prima, quella vita è finita il giorno in cui mi sono svegliato e c’erano un sacco di tizi con la faccia piena di cerone e i vestiti colorati che mi saltavano intorno tirandosi torte in faccia e facendo smorfie.

Ho fatto su i miei stracci e mi sono trasferito, non senza mugugnare e rancorare, che ve l’ho detto come sono fatto, ma non ce l’ho ancora una casa tutta mia.

Fino al 24 febbraio sarò ospite da mio padre, tanto lui è a fare la bella vita in Asia. Mio padre è un agente segreto che indaga su casi pericolosissimi che potrebbero destabilizzare l’ordine mondiale, tipo le scie chimiche e le brocche di plastica col filtro. Generalmente sventa ogni caso spinoso in un paio di giorni, perché è proprio bravo, ma si fa pagare la trasferta per tutto il mese e passa il resto del tempo in spiaggia.

In teoria dovrei stare cercando una casa in affitto, in pratica l’ho già trovata, ma la ricerca della casa e le tappe che mi condurranno ad andarci a vivere dentro, e l’arredo, e le pulizie, e tutti i passi verso il luogo prediletto da Carite vorrei raccontarli in una rubrica nuova e pronta ad essere trascurata tanto quanto le vecchie, rubrica che per il momento non ha ancora un nome.

Mi piaceva Rinascita, come la più bella storia mai scritta di Daredevil, ma rischiava di sembrare polemico, e l’ho scartato, che io non sono polemico, sono rancoroso.

L’ho scartato a malincuore, perché sono innamorato di quel ciclo di storie e tutti dovrebbero leggerlo, anche Bagonghi.

Un altro nome affascinante è Argo Vaffanculo, che rappresenta lo sforzo per costruire una cosa destinata al fallimento, ma necessaria al conseguimento di un obiettivo più grande. Se avete visto il film sapete già di cosa parlo, se non l’avete visto vedetelo, se pensate che Ben Affleck sia un coglione siete ancora fermi al film su Daredevil (mioddìo) e dovreste guardarvi le produzioni successive (e poi strapparvi gli occhi e dimenticare di avere visto una simile porcata e poi andarvi a leggere Rinascita, che dovrebbero leggerlo tutti, anche Bozo). E comunque il coglione sono io, Quel Coglione Di Pablo è il mio nome d’arte sulle chat di facebook, dovevo sceglierne uno che restasse in testa e facesse simpatia, e Pol Pot era già preso.

Insomma, non lo so ancora come si chiamerà, né quando mi metterò a scrivere seriamente, già buttare giù questi pensieri sparsi mi è costato una certa, e il risultato è ancora quello che “magari questa non la pubblichiamo, eh?”, però poi mi sono detto che io adesso scrivo cose così oppure non scrivo niente, e se il blog è mio è anche giusto che ne parli, di come sono io, e per il momento sono così, stattene. Magari domani cambia, magari no e scrivere cose incazzate è il mio modus operandi, solo che io non userei mai termini orrendi come modus operandi, ma chi cazzo è che dice modus operandi, un detective della Sûreté ? Chi?

E poi ci sono già passato una volta attraverso questo ciclo di post incazzati e sottotitolati, e ne sono uscito, e ne sono uscito alla grande, e allora chissà che non debba passare proprio da qui la strada per uscirne di nuovo. Inoltre confidarsi con degli estranei dicono che funzioni, ci sarà pure qualcuno che mi legge che non conosco, a parte i miei soliti quattro amici, no?

E perlomeno io sono sincero.

 

– Senta, Renzi. Quella faccenda di scrivere senza apparire polemico e rancoroso, se la ricorda?
– Si, certo. Ne abbiamo parlato ancora ieri. Mi ha detto che mi devo impegnare e l’ho fatto, no?
– Ecco, la prossima volta, magari, invece di impegnarsi si guardi un bel film.

In questo limbo fuori dalla realtà in cui mi sono venuto ad esiliare, negli ultimi giorni di questo 2012 terremotato, ho avuto modo di riflettere sulla natura delle persone in un modo non sempre neutrale, e su come questa possa evolvere, o involvere, a seconda del lato in cui la si guarda.
Fuori dai miei denti digrignati la città si preparava a chiudere i conti con l’anno vecchio in maniera poco più sfarzosa, giusto qualche luce e un paio di buoni sentimenti in più. Si vede che sotto sotto anche lei nutriva la sua dose di rancore.
Non dobbiamo denigrarlo, il rancore. È dove raccogliamo le forze per sganciarci da quel passato che ci tiene la testa sott’acqua. Ci sono persone che non sanno cosa sia, e per darsi la spinta verso l’alto sono costrette ad appoggiarsi a chi trovano intorno, ma qualunque bagnino potrebbe dirti che è un comportamento pericoloso, per sé e per gli altri.
Il rancoroso no, va avanti abbattendo muri per non girarci intorno, rifiuta di ragionare, ma alla fine paga di persona, si salva o annega da solo.
La mia resa dei conti col 2012 si tiene in un piccolo appartamento molto affollato, dalle parti della Columbia University. Ci sono belgi, olandesi, francesi, un cinese senza mento e il sosia di George Lucas, che prova a raccontarmi della gioia di aspettare un figlio, e l’unica cosa che vorrei chiedergli è “ma che bisogno c’era di una seconda trilogia?”.
A mezzanotte saliamo sul tetto a brindare. C’è una luce che potrebbe essere pomeriggio, è straniante.
Mi domando dove sarò fra una settimana, un mese, il prossimo capodanno. La vita come la conoscevo è cambiata, non so ancora se in meglio o in peggio, ma per me il detto “anno nuovo vita nuova” è parecchio vero.
È curioso, ci sono persone che non amano i cambiamenti e ad un certo punto cambiano tutto, la casa, il modo di vivere, gli amici; poi ci sono altri che fanno del cambiamento la propria regola di vita, sono sempre a spostare cose, ma poi non cambiano mai davvero niente, e anche quando decidono di rivoltare il proprio mondo, ricominciare da capo, un’altra esistenza, stavolta davvero, tutto quello che fanno è mettere il proprio passato in un sacco e lasciarlo fuori dalla porta, aprire le finestre e continuare a vivere la vita di prima, uguale precisa.
È un po’ come pensare di cambiare il mondo mettendo un fiocco al proprio profilo facebook, quei piccoli gesti che ti fanno sentire a posto con la coscienza.
Ecco il mio consiglio del 2013 per voi, rivoluzionari da divano:
Il mondo se ne fa un cazzo di voi, se volete cambiare davvero le cose alzate il culo e datevi da fare. Ma sul serio. Cambiate casa, città, lavoro, mettetevi in discussione, ripartite da zero dove zero significa proprio non tenere niente. Nessuna soluzione di comodo, quando si va alla rivoluzione bisogna sporcarsi le mani, non si può pretendere che siano gli altri a farlo per noi.
In pratica il mio consiglio per questo 2013 è di cambiare vita, ma non quella di chi vi sta intorno, la vostra.

Quando comincia la bella stagione mi capita di trovarmi in macchina in viaggio verso Genova, e finire improvvisamente imbottigliato in una di quelle code che sai quando ci entri e non sai quando ci esci, e non è mai una bella sensazione. All’inizio magari si, abbassi i finestrini, ascolti l’allegro cinguettio dei gas di scarico del camion alla tua destra, e speri di cavartela con dieci minuti di ritardo, ma ci sono delle volte in cui scopri che ce ne devi aggiungere qualcuno di più prima di arrivare a destinazione.
Io per esempio l’altra sera ce ne ho aggiunti centodieci. Due ore per andare da Ronco a Nervi, e va bene che si chiama Nervi, ma non significa che deve per forza farmici arrivare nevrastenico. Aggiungete poi una buona mezz’ora per arrivare a San Desiderio, che quando comincia a farsi l’ora di cena e sei a stomaco vuoto e sei inscatolato in macchina da ore, è più di un santodesiderio, somiglia a una specie di allucinazione mistica.

Io lo so chi è che provoca le code, ne ho anche già parlato da qualche parte qui sopra, probabilmente in una stagione simile a questa, sono i Milanesi Che Vanno Al Mare. Sono la categoria peggiore che esista, anche più dei famigerati Tedeschi In Gita Sul Lago. Se dovessi stilare una classifica dei mezzi di trasporto più lenti che si possano incontrare per strada questa vedrebbe i Tedeschi In Gita Sul Lago soltanto secondi, e il Carro Dei Monatti addirittura terzo. I primi sono sempre loro, i maledetti Milanesi Che Vanno Al Mare, sfreccianti giù per la A7 nei rettilinei fino a Serravalle, ora ribattezzata Serravalleautlet, cauti nelle prime curve fino a Busalla, paralizzati nel tortuoso tratto appenninico. Non importa che siedano su macchine dotate di ogni sicurezza, dall’abs alle ruote cingolate, ogni volta che incontrano una curva, sebbene di lieve entità, frenano in corsia di sorpasso, scalano quinta seconda, avanzano ai quindici all’ora nonsisamai metti che dietro la curva si apre un baratro pieno di coccodrilli un camion ribaltato in fiamme un chiosco abusivo di gelati o piadine, che quelli delle piadine sono inarrestabili, li aprono ovunque, in continua concorrenza con l’arabo dei kebab. E tu dietro non puoi far altro che assecondarli, maledicendo l’ingegnere della motorizzazione che li ha patentati, e aspettare che si degnino di liberare la corsia e andare a parcheggiare nelle apposite piazzole.
Ma no, loro possiedono auto di cilindrata a sedici zeri e prezzo a ventiquattro, non si abbasserebbero mai a occupare la corsia di destra, non è sufficientemente nobile per i loro lussuosi e potenti veicoli, così mostrano tutta la propria incapacità nella corsia più esterna, impedendo il sorpasso a chi si trova dietro.
Quando dietro ci sono solo io pazienza, mi tolgo la soddisfazione di restituire loro gli abbaglianti con cui mi hanno allietato nel breve rettilineo qualche chilometro prima, e appena possibile mi gonfio come un tacchino facendomi strada con la mia modesta lanciaipsilon; ma quando dietro c’è tutta la Valle Scrivia, il Basso Piemonte e buona parte di Lombardia con qualche accenno di Svizzera, Francia e Germania, allora sono cazzi. Allora basta uno di questi figli di una tangenziale per paralizzare tutto il paralizzabile.

Questa considerazione la posto alla vigilia di un esodo che si prospetta lungo e difficoltoso, fino a Moneglia, in una domenica assolata e trafficata, ma soprattutto di ritorno da Moneglia, quando il uicchend lungo sarà agli sgoccioli, e tutti i Milanesi Che Vanno Al Mare si trasformeranno nei non meno pericolosi Milanesi Che Tornano Dal Mare, e si immetteranno in autostrada tutti insieme con le loro grosse macchine che non sanno stare a destra, e tutti vorranno sorpassare chi gli sta davanti, e si creerà un lunghissimo ingorgo nel quale, ci scommetto, verrà a trovarsi una piccola indifesa lanciaipsilon, che non aveva altra colpa che di essere stata invitata a un matrimonio in Riviera.

Stavolta però mi faccio furbo, mi porto dei fumetti e un panino.