Image for Le pablog au cinèma: The Book Of Eli hits The RoadÈ sabato mattina, sei lì a menarti l’ukulele davanti al computer, e finisci sulla pagina di Kekkoz che recensisce l’ultimo Mission Impossible, e all’improvviso ti aumenta la salivazione: è uscito?? Ma no, dai, sarà una vaccata. Per esempio a lui è piaciuto il quarto e pure del terzo non dice orrori, e io ogni volta che penso a quei due capitoli della serie mi si forma nel cervello l’immagine della scimmia che suona il tamburo, non so neanche più di cosa parlano, ricordo giusto una scena con Tom Cruise che blocca una strada in centro a Roma e gli automobilisti in coda che lo trattano con cortesia: Mission non saprei, ma Impossible di sicuro.

Vabbè, io la scena di lui appeso all’aereo me la voglio vedere, che se c’è una cosa che mi piace di questo attore basso e dalla morale discutibile è che non usa le controfigure: nel secondo capitolo ha mandato nel panico John Woo perché in una scena di lotta c’era il serio pericolo che si conficcasse un pugnale nell’occhio, cadesse da un burrone, facesse recitare suo cugino. Qui si appende al portellone di un airbus a 1.500 metri da terra, superando anche la sua scalata al Burj Khalifa del film precedente, e difatti tutta la campagna promozionale è stata incentrata su quei 90 secondi di film.

Ecco, il giorno dopo posso dire che pure le restanti due ore e passa reggono bene, Rogue Nation è un film divertente e vale il prezzo del biglietto.

Poi oh, la storia è un’accozzaglia di fuffa e situazioni che ti giri verso i tuoi amici e tutti insieme vi chiedete ma perché, ma è girata molto bene, le sequenze d’azione sono fighe, gli inseguimenti rendono l’idea della velocità, le battute simpa che ultimamente in questi film spopolano qui sono contenute, nonostante Simon Pegg, oppure i doppiatori ci hanno risparmiato l’agonia di vedere ovunque quei cazzo di Minions. Jeremy Renner sembra il figlio ciccione dell’Alec Baldwin ciccione, Rebecca Ferguson è una bella donna elegante, il capo del servizio segreto britannico sembra il mio ex insegnante di teatro, Tom Cruise è un vecchio, e mi viene da chiedermi come sia possibile che dopo aver salvato il mondo per quattro volte di fila non sia mai riuscito a fare carriera, è sempre un agente sul campo e per di più è sempre inseguito dai suoi colleghi che lo pigliano per il cattivo. O loro sono veramente di legno e non si fidano proprio di nessuno ma nessuno, o lui è ancora più stronzo di quello che sembra nella realtà.

I ruoli dei personaggi secondari non mi sono chiari, c’è quello nero col cappello buffo che dovrebbe essere l’hacker della squadra, ma allora Simon Pegg che fa, l’hacker scemo? Jeremy Renner è il capo, ma non tanto capo quanto Anthony Hopkins, infatti accompagna gli agenti sul campo e protesta che questo non si può fare e quello neanche. Ma allora stai a casa, no? Poi ci sono i doppiogiochisti, triplogiochisti, gente che cambia partito tante volte da confondere perfino i più scafati politici nostrani, e i cattivi col piano diabbolico che sanno prevedere ogni mossa dell’avversario e poi si fanno pigliare come fidanzati di Teresa. Questo in particolare è cattivissimo, ma la cosa peggiore è che non gli hanno fatto il mento. Non ce l’ha, ha un affarino appiccicato lì davanti che non capisci come fa ad appoggiarsi la mano quando deve ordire i suoi piani diabbolici, gli scivola via e sbatte sul tavolo, forse è per questo che è diventato così cattivo.

Comunque la recensione migliore resta quella di Honest Trailers.

E niente, il tempo passa, sono andato in ferie e ho visto dei posti incantevoli. Ci tenevo a usare la parola incantevoli, non ho molte occasioni di farlo, non posso dire a una ragazza che è incantevole, si monta la testa e corre a pungersi con un fuso, e per altri cent’anni non la vedi più. Le scrivi su whatsapp e non compare neanche la doppia spunta, le scrivi su facebook e non riceve i tuoi messaggi, provi a chiamarla e il cellulare è spento. Il dubbio che ti abbia bloccato ti viene, anche se non ne vedi la ragione, le hai solo detto che è incantevole, maledizione, vedi a non saper scegliere bene le parole? E ti nascono un sacco di fisime che finiscono per condizionare le tue storie successive.
Io per evitare queste situazioni imbarazzanti sfogo il bisogno di parole inusuali sul blog, così posso continuare a mandare a puttane relazioni soddisfacenti col solo fatto di essere una testa di cazzo.

Essere una testa di cazzo è un lavoro a tempo pieno, non te la cavi in otto ore, e ti sfianca parecchio, così quest’anno ho accettato l’invito di una coppia di amici e sono andato con loro in Puglia, a Rodi Garganico, che si distingue dall’altra Rodi per non avere nessun colosso di guardia al porto, solo Peppino che vende la verdura con l’ape, che non è un particolare ortaggio addizionato di insetti melliferi da accompagnare con un ottimo mezcal col verme, ma sono cassette di vegetali trasportate da un veicolo a motore dotato di tre ruote e una marmitta particolarmente molesta, specie quando ti transitano tutta la notte sotto la finestra e tu non puoi chiudere per non rinunciare a quell’unico refolo d’aria che forse ti permetterà di dormire, forse no, c’è pure il gatto Paposcia che si aggira per le stanze e viene a farsi le unghie sul tuo materasso.

Il viaggio fino a Rodi è stato lungo ma piacevole, tranne quando Paola ha voluto ascoltare la musica irlandese. La musica irlandese è stata classificata molto nociva in una scala di pericolosità sociale che va da “non condivido la tua opinione ma mi batterò affinché tu possa esprimerla sempre liberamente” a “Heil Hydra!”, e quando viene diffusa all’interno di una Yaris che sta facendo Ferrara-Poggio Imperiale la conversazione prende pieghe filosofiche e si finisce inevitabilmente per chiedersi cosa c’è dopo la morte.

Per fortuna Paola ha accettato di ascoltare qualcos’altro e non abbiamo dovuto scoprirlo, e dopo sei ore di viaggio monotono più una di giri a vuoto sui colli bolognesi cercando di ritrovare la retta via senza imbatterci in Gianni Morandi, che da quelle parti ha il proprio feudo e ci sono i suoi tirapiedi che ti fermano per strada e ti chiedono se ti sei perso e ti dicono “ciao, un abbraccio”, siamo arrivati a destinazione, e ci siamo ricongiunti con l’altra metà del gruppo, quella che comprendeva una sedicenne e non voglio pensare a cosa abbia dovuto penare la loro autoradio. Era ancora presto e il sole picchiava come il protagonista di Banshee, ma senza la sua espressione ebete, e ce ne siamo andati a vedere com’è tuffarsi nel mare garganico, le cui acque cristalline ce le invidiano perfino i Greci, che però va detto che in questo periodo non hanno tutta questa voglia di andare al mare.

Tuffarsi nel mare garganico è difficile, non esistono onde e l’acqua t’arriva alle ginocchia anche quando sei così lontano dalla riva che la guardia costiera croata ti chiede i documenti, ma se ti porti la paperella e la spazzola puoi sentirti come nel bagno di casa tua.
Io mi ci sono proprio sentito, come nel bagno di casa tua, e ho fatto quel che faccio sempre nel bagno di casa tua, ho cagato nel lavandino. O credevi davvero che fosse il gatto?

Poi questo non è un post sulle vacanze, sono successe un mucchio di cose, se le elenco tutte devo scriverne sei, e chi ne ha voglia di scrivere così tanto? Ho un ukulele da suonare, perché mi sono comprato un ukulele una sera che sono andato a vedere De Gregori e i suoi arrangiamenti erano così noiosi e banali che ho pensato che perfino io sarei stato capace di fare meglio, e in realtà me lo volevo già comprare prima, ma vuoi mettere la scusa di imparare per migliorare gli arrangiamenti a vecchi cantautori?

Che poi De Gregori non lo suono neanche, mi limito al ritornello di Honolulu Baby come lo faceva Oliver Hardy, che sarebbe Ollio di Stanlio e Ollio, ma la mia vocazione segreta è imparare la colonna sonora di Into The Wild, solo che la cosa si complica perché mi hanno regalato un violino, e su youtube ho trovato delle lezioni di violino, e sai cosa viene benissimo col violino? La musica irlandese.

Capisci perché non esco più di casa? Ho paura di essere finito in un episodio di Ai Confini Della Realtà, se apro la porta mi trovo davanti un occhio gigante che poi sarebbe quello di Paola che mi scruta minacciosa e mi vuole picchiare col suo flautino irlandese, che a dimensioni normali non fa male, ma così sarebbe grosso come il Chrysler Building!

Per prepararmi allo scontro ieri sera sono andato a vedere Ant Man, e ho scoperto che cambiare dimensioni modifica tantissimo anche il peso e la massa di un oggetto: se una persona diventa piccolissima mantiene la stessa forza di una normale, mentre se un trenino di plastica diventa gigante diventa pesante come un treno vero; i carri armati saltano giù dal secondo piano di un palazzo ma sono ancora leggeri come quando avevano le dimensioni di un portachiavi, perciò non si danneggiano assolutamente, e le formiche grosse come un labrador perdono la loro voracità di formica e diventano mansuete come gattini, ma quest’ultimo è uno dei principi fondanti della fisica Disney, qualunque animale compaia nei suoi film diventa un pacioccone pigolante, speriamo che non produca mai un film su Cthulhu.

Insomma, io non lo so dove volevo arrivare con questo post, sono confuso, vado a dormire.

Pre-mi-tap

Per la seconda volta da quando frequento il Club Dei Sociopatici ho vinto la mia naturale ritrosia e ho partecipato a un mitàp, che sarebbe quella cosa dove gli affiliati si incontrano in una città e si presentano: “ciao a tutti sono Antonio, sto su tumblr da sei anni e questa è la prima volta che esco di casa e parlo con qualcuno”, “mi chiamo Katia, ho una dipendenza da gif di gattini e pornografia”, “sono Rino, suono l’ukulele”.

La volta scorsa sono andato fino a Bergamo per incontrare i miei simili, quest’ultimo era più vicino, ma non si può dire che sia andata meglio, perché la città in cui si svolgeva il mitàp era Milano. Non so se avete presente il rapporto che hanno i genovesi con Milano, la gente di riviera e quella dell’entroterra come me, coi milanesi.

Diciamo una roba così, ma con Casalino (quello al centro) che dice uè figa:

Non mi dilungherò oltre su quest’antica diatriba, non vorrei offendere qualcuno, magari un milanese si incazza e viene a cercarmi e arriva alla prima curva di Serravalle Scrivia e pensa che in fondo la vendetta non è una ragione sufficiente per rischiare la vita sui tornanti micidiali della A7, esce al casello e si fionda all’outlet, come tutte le domeniche.

Io comunque parto con le migliori intenzioni, perdo la mattinata a smadonnare sull’impasto dei biscotti che non vuol saperne di stare attaccato, e alla fine parto con un sacchetto pieno di brasadè alla quellagranputtana, che non è il nome originale della ricetta, ma se l’è guadagnato sul campo.

Il lettore mp3 mi lascia prima di Tortona, ho scordato di caricarlo, e per il resto del viaggio mi sintonizzo su Radio3, che mi offre interessanti aneddoti con cui arricchire le mie conversazioni:

  • l’uso corretto dell’apostrofo;
  • lo sapevate che lo scacciapensieri esiste anche in Russia e si chiama рана языка?
  • tutto quello che avreste sempre voluto sapere su Antonín Dvořák, ma non avete mai osato chiedere.

…………………..

Arrivo a Famagosta, che mi ha suggerito una dei sociopatici di cui sopra, scambio la macchina con un vagone della metro e mi porto in centro, puntuale come la tua ragazza quel giorno in cui le hai detto “credo sia la prima volta che arrivi in orario a un appuntamento” e lei “perché non voglio stare con te un minuto di più, è finita, ciao”.
Davanti alla statua del tizio a cavallo, fuori dal Duomo, non c’è nessuno.
Cioè, c’è un casino di gente, ma nessuno che riesca a identificare come sociopatico.
No, non è corretto neanche così, perché ci sono decine di personaggi che portano addosso i segni di una vita di solitudine, primo fra tutti un turista giapponese armato di cavalletto per farsi le foto da solo.

“Scusa, ma che ne sai? Magari sua moglie era in giro per negozi e lui non aveva voglia di accompagnarla e si è portato dietro il cavalletto e ne ha approfittato per farsi un paio di autoscatti!”
“Cazzo vuoi, la storia è mia e il giapponese lo gestisco io, va bene? Si chiama Masahiro Matsumoto, è l’uomo più solo del Giappone e se ne ho voglia poi ti racconto, ma adesso devo parlare del mitàp.”

Inquadro un gruppetto di diciotto-ventenni e tremo. Avevo letto che l’età media era più bassa che a Bergamo, ma se sono loro me ne vado senza farmi riconoscere!
Un po’ più in là arriva un gruppetto di tizi con delle antenne rosse di carta crespa, e sto per lanciarmi a capofitto giù per le scale della metro.
Aspetto, giusto per sicurezza, ed entrambi i gruppetti si allontanano. Allora chiamo l’organizzatrice, che ha un nickname come tutti i sociopatici di tumblr, ma che per ragioni di privacy chiamerò Irene. O Ilaria, non mi ricordo.

“Ciao, sono Pablo, sono seduto sotto il cavallo, sto gesticolando come un forsennato verso nessuno in particolare e c’è un giapponese col cavalletto che mi si è appena messo accanto per farsi una foto”
“Ciao, sono Irene! O Ilaria, non mi ricordo! Ti sono di fronte a neanche un metro, vieni che ti presento agli altri!”

Mi-tap

Comincia così, con me e il mio sacchetto di brasadè che veniamo introdotti al quartetto già presente, ci stringiamo la mano, parlottiamo del più e del meno e aspettiamo che arrivi altra gente. Quando siamo un numero abbastanza cospicuo ci spostiamo al mi-tap vero e proprio, che si tiene in un posto con delle colonne romane che si chiama, pensa un po’, Colonne Di Un Santo Che Però Adesso Scusa Ma Non Mi Viene. Vista da qui Milano sembra perfino piacevole.

Qualcuno ha i biscotti e li fa girare, qualcuno i biscotti non li ha portati, allora raccoglie della ghiaia e prova a bossarsela, quello che si chiama Tiresia, ma che per questioni di privacy chiamerò Ragazzo In Camicia Nera E Occhiali Con Mosca Sotto Il Labbro estrae da uno zaino d’amianto tre arbanelle: una contiene della roba bianca in un liquido verde, una della roba bianca in un liquido rosso e una della roba bianca in una pasta marroncina. L’ultimo decido subito che si tratta di un feto extraterrestre in formalina, e te lo assaggi te, ma gli altri due mi incuriosiscono proprio. Cosa sarà mai?

Ragazzo In Camicia Nera E Occhiali Con Mosca Sotto Il Labbro apre quello verde e dal tappo si dissolve nell’aria una nuvoletta turchese: “Questi sono zuccherini al mojito!”
“Uuuh! Aaah!”

Straordinari, un concentrato di alcool che ti picchia nel naso come il Frecciarossa, solo più puntuale!

Poi Ragazzo In Camicia Nera E Occhiali Con Mosca Sotto Il Labbro apre quello rosso, e la terra trema, si sente un lamento lontano, le porte della chiesa alle nostre spalle sbattono fortissimo, uno strano bagliore sul suo volto gli dipinge un’espressione luciferina, ma probabilmente è solo suggestione: “questi sono al peperoncino.”

No, illusione stocazzo, quell’uomo è il Male incarnato, dovete fermarlo! Vi rendete conto che mentre noi siamo qui a raccontarci scemenze c’è un criminale che produce zuccherini imbevuti di peperoncino e li offre agli incauti? Lo sapete che dopo il primo avevo la lingua talmente infuocata che ho dovuto infilarla in gola a una ragazza per evitare che si sciogliesse? E la ragazza era un tizio col giubbotto di pelle che si chiama Valarfuckingmorghulis! E gli è pure piacuto, mi ha toccato il culo!

Poi sono arrivate le facce conosciute, che per questioni di privacy chiamerò Marianna, Federica e Ristoratrice Parmense Con L’Hobby Del Parkour In Bici Sennò È Troppo Facile, e la serata si è subito animata, tutti che abbracciavano tutti, tette che abbracciavano tutti, ingegneri aeronautici che offrivano biscotti, zuccherini dati alle fiamme, sesso orale nel senso che se n’è parlato molto.

Vabbè, andiamo a mangiare, e dove, sui Navigli, minchia fin là, ma se è qui dietro, e va ben.
Coda al buffet, saltano fuori gli ukuleles che iniziano a intonare il loro canto di morte, arriva altra gente, provo a spiegare a Irene! O Ilaria, non mi ricordo! che faccio un po’ di fatica a comunicare con le persone, che sai, è un momento che non mi riesce molto di spiegarmi, ma è un momento che non mi riesce molto di spiegarmi, e dopo dieci minuti la ragazza si scogliona e se ne va. Allora mi metto a parlare di fumetti con quello che per ragioni di privacy chiamerò Ragazzo Bergamasco Con Buffe Basette Che Lavora In Fumetteria E Si Chiama Marco e di concerti col suo amico che però scusa ma non mi ricordo più come ti chiami, ma che per ragioni di privacy fingerò di ricordare e nominerò Luca.

C’è anche una ragazza dal sorriso molto dolce che ci troviamo a raccontarci cose senza importanza, ed è lì che cerco di sfruttare gli insegnamenti di Radio3 e per rompere il ghiaccio le racconto che il compositore ceco Antonín Dvořák nutriva una passione sfrenata per le locomotive e i piccioni, ma non riuscì mai a fonderle in un unico hobby perché i suoi adorati pennuti volavano via dai binari quando lo sentivano arrivare.
Ovviamente se ne va senza avermi neanche detto il suo nome, maledizione. Ma tanto per ragioni di privacy non avrei potuto scriverlo, limitandomi a chiamarla Ragazza Dai Capelli Rossi E Dal Cappotto Che Ricorda Un Arredamento Anni 70.

Di nuovo in quel posto con le colonne, e siamo ancora di più, ci sediamo per terra, parapiglia, non scatta il gioco della bottiglia, a mezzanotte scappo sennò mi chiude la metro e a Famagosta ci torno davvero. Vengo a sapere dopo che appena sono andato via si sono spogliati tutti e hanno cominciato un’orgiona generale.

Ringraziamenti in ordine sparso

Irene! O Ilaria, non mi ricordo! che ha organizzato tutta questa roba, e non era facile; Elena, che voglio vedere le sue foto e suoi video. E anche quelli del mitàp; Ilaria, che non è Irene e mi ha spiegato come arrivare e dove lasciare la macchina, ed è una ragazza molto gentile e sul suo tumblr mette le cose di pornografia, che è sempre bello da vedere; Federica, un nome che mi fa sbandare e lo so io perché, e in questo caso appartiene a una ragazza che ha da mostrare più di quel che dice, e mi piacerebbe vederla in un’altra città, magari insieme a Marianna, che parla poco, ma sono sicuro che è una cosa passeggera; Rino e i suoi consigli su un possibile mitàp genovese (magari in primavera però, che adesso piove sempre); Valarfuckingmorghulis che non ha detto neanche a me come si chiama, ma ha apprezzato i miei brasadè; Dettaglio che vive a Genova, e credo sarebbe un ottimo compagno di bevute. Fatti vivo, vecio; chi mi ha parlato e chi mi ha notato senza parlarmi, chi ha cominciato a seguirmi e chi mi ha scritto per dirmi che cazzo avrebbe voluto esserci. A Catastrofe e a Mizaralcor, che non vengono ai mitàp, ma sono i miei tumbleri preferiti; agli altri, che non ricordo, scusate, devo togliere le polpette dal forno.

La prossima volta non so dove sarà, ma sarò fra amici.