La cosa buffa è che per provare come funzionano i vari spazi che vado occupando qua e là per la rete finisco per scrivere cose che mi danno più soddisfazione di quelle che scrivo generalmente qui sopra, in quella che mi ostino a definire la mia pagina ufficiale, ma che di fatto è forse quella che trascuro di più.

No, a pensarci bene ce n’è una che considero ancor più ufficiale e che in effetti fa le ragnatele da tempo immemorabile, tipo da quando i dimetrodonti passeggiavano tranquilli per le praterie, incuranti dei piccoli saltopi che si spappolavano sotto le loro zampone.

Pazienza, va così, e non ci si può fare niente. Non posso io, che armeggio con la tastiera come se battere lettere una di seguito all’altra fosse l’unico modo per sincronizzare il ritmo naturale dei miei pensieri con la lentezza dell’esecuzione. E non può Jack, che se ne sta sul divano incerto se aspettare ancora un po’ per vedere se lo porto fuori ancora una volta o se arrendersi e andarsene a dormire sulla brandina al piano di sopra, dove l’altra padrona, quella meno simpatica, lo sta già aspettando in compagnia del nuovo arrivato. E non può neanche il nuovo arrivato, il rosso Mikowski, sebbene i suoi insegnamenti anarchici lo abbiano abituato a credere che ciò che la volontà vuole la volontà ottiene e non ci sono ordini e disordini e capi e sottocapi che tengano, e difatti ogni volta che qualcosa non gira come gli aggrada non sta a cercare maniere diplomatiche per dirtelo, e ti mostra in sequenza denti e unghie. E se proprio vogliamo dirla tutta non ne può niente neanche Tony Binarelli, che con la sua cadenza da borgataro non riusciva neanche a pronunciare bene la sua formula magica “Tiki Tiki”, e la storpiava in un grottesco “Tighi Tighi”, eppure riusciva lo stesso nel numero di illusionismo, segno che la magia quello lì la dominava sul serio, sennò sai quante pernacchie.

L’unico che forse, ma non so, è Eraldo Panciamolla. Dovrei chiederglielo, comunque.

Era così giunto il venerdì, e con esso la fine degli obblighi settimanali di Don Pablotte verso i suoi orribili datori di lavoro.

Per prima cosa, appena giunse a casa, il nobile cavaliere provvide a un’accurata toletta della sua persona, per liberarsi d’ogni residuo di impurità della pelle e dell’animo.

Come sempre accade quando un corpo è immerso in un liquido, fin dai tempi in cui Archimede ne studiò cause ed effetti, e fors’anche da qualche giorno prima, ma non tanti, che mi ricordo era andato a trovarlo suo zio sarà stato martedì mercoledì al massimo e gli aveva portato una frittata di zucchine dell’orto dietro casa, suonò il telefono.

L’audace protagonista di questo libro e anche del prossimo e se Feltrinelli me li pubblica gliene scrivo minimo altri cinque, non si perse d’animo, e come un sol uomo qual era ma più grosso sennò non si capisce il paragone, balzò fuori dal bagno e afferrò la cornetta mentre stava esalando l’ultimo squillo, si capiva che era l’ultimo perché finiva col punto invece che con la virgola.

“Pronto”, pronunciò il prode protagonista della presente.

Un gelido alito di morte si alzò dall’apparecchio, e una voce gorgogliò dall’oltretomba:

“Ciao, sono Francesco, sono a Ronco, ci sei stasera?”

era Francesco, era a Ronco, gli chiedeva se c’era stasera.

Era costui un amico del nostro eroe, fedele compagno nelle più improbabili avventure, come quando avevano battuto a scacchi l’Uomo Supplì nella Terra degli Svaccopelisti, o avevano comprato Playboy in greco attratti dalle giunoniche forme della modella in copertina ed erano rimasti fregati perché anche le foto erano in greco e non si capiva più quali erano le tette.

Alcuni anni prima del tempo in cui si svolgevano le avventure ivi narrate, il tetro Francesco si era trasferito a Roma, dove aveva commesso villania con una ragazza del luogo ed era stato costretto dai genitori di lei a un matrimonio riparatore. Da allora le avventure insieme si erano diradate, ma era in programma un’ultima memorabile impresa, le loro gesta sarebbero state ricordate in eterno e i nomi dei due eroi incisi per sempre negli albi della Storia, o almeno si sperava non in quelli della Questura.

Quella sera si sarebbero discussi i dettagli del fantastico viaggio, tipo la spesa la facciamo di nuovo dai tedeschi o stavolta possiamo permetterci qualcosa di più delle solite buste di risotti da un euro?

L’audace Cavaliere Dalla Tirchia Figura acconsentì a incontrare l’amico in serata, si dilungò negli ampollosi rituali di saluto che l’etichetta impone quando ci si rivolge a persone della levatura sociale di Francesco che, non lo abbiamo ancora rivelato, ricopriva il prestigioso e assai invidiato ruolo di Primo Castrato Pontificio, professione che era sempre più difficile mantenere celata alla moglie, che lo credeva impiegato all’INPS e lo torchiava affinché gli facesse il sacro dono di un erede da battezzare con nome cristianissimo et improponibilissimo, e ritornò ciabattando al bagno, il nostro eroe, non Francesco, che era a casa sua con la moglie, capisco che con tutte le subordinate che ho aperto qualcuno dei lettori meno attenti non ci capisca più un cazzo.

A essi consiglio la lettura di un blog più lineare, quello di Rossano Segalerba, che lui è uno studiato che sa scrivere bene e dice un sacco di cose colte.

Per quelli invece che son rimasti a leggere vado avanti, che la cosa si fa interessante.

Era giunto in quel momento in casa il padre di Don Pablotte, Don Giovanni Renzi da Villavieja, il quale, notando come il pavimento fosse disseminato di pozzanghere come se invece di un cane l’animale domestico fosse stata una foca, formulò all’istante due soluzioni per quel bizzarro fenomeno: la prima, che l’appartamento fosse stato svaligiato dall’Uomo di Atlantide, sembrò anche a lui come a noi scarsamente credibile, in quanto detto supereroe erede indiscusso del Batman di Adam West era poco avvezzo al furto, perché a differenza del suo grigio e panciuto predecessore non aveva mantelli o bislacche automobili in cui celare la refurtiva, ma girava esclusivamente in mutande, arrecando notevole imbarazzo alle feste dei vip, dove dopo un po’ smisero di invitarlo, gli preferirono il più brillante Automan, e fu l’inizio del suo declino.

La seconda soluzione che trovò il genitore del nostro fu una perdita alle tubature, e per verificarne la veridicità si dedicò a un’esplorazione della rete idrica domestica.

Nel frattempo il Cavaliere Dall’Irsuta Figura aveva terminato la propria abluzione, e fu con una certa sorpresa che, uscendo dal bagno, si imbattè nel corpo senza testa di un uomo, chino sul pavimento, davanti al lavandino della cucina.

Per maggiore orrore l’inquietante figura agitava le braccia ed emetteva con voce cavernosa parole che non osiamo neppure ricordare figuriamoci poi ripeterle, tanta angoscia provocano nei nostri animi non avvezzi a cotali avventure, che mica cavalieri siamo noi, solo poveri e indegni cronisti di vicende che mai più si ripeteranno nei secoli a venire, che mai piedi così temerari calcheranno più suolo terrestre, forse se arrivasse dallo spazio Goldrake, ma ne dubitiamo.

Don Pablotte si chiese per quale portento un corpo senza testa spuntava da sotto il suo lavandino scotendo le membra come invasato e seminando improperi, contro la natura di ogni corpo senza testa che si rispetti, che in genere si limita a ciondolare un po’ in giro con le braccia tese in avanti o tuttalpiù va a cavallo a spaventare i Padri Pellegrini.

Simili stregonerie avvengono soltanto nei poemi cavallereschi, o su Dylan Dog, e manifestano sempre la presenza del Demonio, finché non vengono “ricacciati nell’inferno da dove sono venuti” con una formula magica o una pistolettata in testa.

Cavaliere era, ma senz’arme né armature, né scudieri baffuti al seguito che gliene lanciassero in caso di bisogna, e dovette ripassare a mente le formule magiche che conosceva, ed erano invero poche, che anche come uomo di arti magiche e stregonesche lasciava parecchio a desiderare, a scuola nei compiti in classe di incantesimi e incantagioni copiava sempre dal vicino di banco.

Silvan e Tony Binarelli erano maghi da conigli nel cappello, inadatti a frangenti rischiosi come quello, e meno male, perché Sim Sala Bim passi, ma Tiki Tiki gli era sempre sembrata una formula magica stronzissima.

“Klaatu Barada Nikto!” gridò il Cavaliere Dall’Harrypotteresca Figura, e come per incanto la testa del già presentato di lui genitore ricomparve da sotto il lavandino e il corpo, nuovamente integro, si sollevò in tutta la sua austera figura e lo apostrofò:

“Allora sei tu che hai allagato la cucina, non si è rotto un tubo!”

“No, è che è suonato il telefono e sono andato a rispondere, era Francesco che mi chiedeva se stasera esco perché..”

“Cosa ti porti da mangiare domani?”

“Domani è sabato, non lavoro”

“Lunedì lavori?”

“Si, lunedì lavoro, è l’ultima settimana, poi sono in ferie, e infatti stasera mi vedo con Francesco perché vorremmo andare..”

“Cosa ti porti da mangiare lunedì?”

“Non lo so, credo che ci penserò lunedì..”

“Stasera mangi qua o da tua mamma?”

“Appunto, pensavo di vedermi con Francesco per decidere se partire..”

“Domani?”

“Cosa?”

“Mangi qui o dalla mamma?”

“Non.. Non so.. Forse.. Qui?”

“Allora per domani c’è della verdura che ho fatto bollire, è tutta verdura dell’orto, ci ho messo patate, peperoni, piselli, pomodori..”

“..Ma forse vado via prima di pranzo..”

“..cavoli, carote, cavolfiori..”

“..andiamo a fare un’escursione in moto..”

“..ravanelli, radicchio, rape..”

“Vabbè, devo andare, ciao”

“..radici, rucola, rabarbaro..”