Che poi uno apre la finestra per scrivere delle cose a caso, preso da quella voglia perversa di sporcare una pagina, sono sicuro di non essere l’unico a sentirsi tirare da dentro quando vede un foglio bianco e una penna, siamo in tanti e ci riconosciamo dallo stesso modo di guardarci i piedi, e senza volere schiaccia, quell’uno di cui parlavo all’inizio, un bottone sullo schermo, e gli si apre una finestra che si chiama caratteri speciali, che già il nome è interessante, a me le persone con un carattere speciale piacciono molto più di quelle noiose col carattere codificato, che sai sempre cosa stanno per dire, e dentro la finestra, quell’uno di cui sopra, ci trova un sacco di simboli utilissimi, tipo la ã e la õ, che avere in casa un gatto portoghese ti obbliga a usare lettere non convenzionali ogni volta che scrivi di lui, e poco male se il mio è portoghese di Nervi, lui il fado ce l’ha dentro, suona il suo strumento e io mi commuovo, sarà che il suo strumento sono le unghie e me le suona addosso, ho un braccio che sembra google maps, oppure avevano ragione i Queen quando dicevano che pain is so close to pleasure, e qui bisognerebbe aprire tutto un capitolo sulle canzoni che affrontano il dualismo piangere dal ridere, e poi si passerebbe alla letteratura, che le canzoni altro non sono che riassunti di libri troppo lunghi per farli stare su un disco, si è trovata questa soluzione, funzionava, potevi farla anche dal vivo, e si è andati avanti così, e col tempo i libri e le canzoni hanno preso strade diverse, ma all’inizio era un po’ lo stesso, si andava per tentativi e i risultati erano epici, quando hanno fatto dal vivo Guerra e Pace ce lo ricordiamo ancora tutti quanti, altro che Genesis.

Che poi io i Genesis li adoro, quelli visionari di Peter Gabriel, non il gruppetto di scampati a una svendita di personaggi da telefilm, e sì che We Can’t Dance è un disco a cui ho legato un sacco di ricordi, me l’ero comprato originale in cassetta, le maledette cassette, a Padova, in un negozio che si chiamava Il Ventitré, dove dilapidavo la mia paghetta di militare, e il video di loro tre che ballano come i robottini di Ommioddìoh un robottinooh era uno di quelli che guardavo più volentieri quando Rebecca De Ruvo lo passava nella sua trasmissione su Mtv, quando ancora la M significava Music e non Macheccazzoèstaroba, o perlomeno così mi dicono, in questa casa ho ridotto l’arredo all’essenziale, come la casa di Rust in True Detective, solo che lui la tele mi pare che ce l’abbia, ha anche il crocifisso appeso alla parete, e quando il suo collega con le noci in bocca gli chiede se è credente lui risponde che gli serve per meditare sull’episodio dei Getsemani, quando Cristo viene a patti con la consapevolezza dell’inevitabilità della propria morte, o qualcosa del genere, non me lo ricordo tutto a memoria, io comunque il crocifisso in casa non ce l’ho, e fa ridere che l’immaginetta sacra della madonna di staminchia, che campeggiava sopra la porta della cucina, sia stata la prima cosa che ho rotto e buttato via appena entrato nella nuova casa, perché adesso attaccato al frigo ho un calendario magnetico di papa Francesco, il Simpapapa, in dodici pose piacione che ti fanno capire quanto la Chiesa stia investendo nello svecchiamento della propria immagine, il prossimo papa si farà chiamare The Cool One e sfoggerà un tribale sul bicipite palestrato, sostituirà l’amen col just do it e il segno della croce col cinque alto.

Che poi il calendario di papacecco me l’ha regalato una persona importante, ed è l’unica ragione per cui lo lascio lì, per amicizia e affetto e un sacco di gratitudine, che ogni palata di terra che riesco a buttare nel buco me la sta passando lei, e quando avrò finito ci spazzoleremo i pantaloni e usciremo da quel posto di cose morte e andremo a farci una birra al baretto coi tavolini in discesa e le sedie che se non ti tieni ci finisci sotto, e fossero solo le sedie.

Che poi io quando comincio un post con che poi lo so benissimo dove andrò a parare, anche se non come ci arriverò, che il chepoi è il segnale di liberitutti, quando scrivo perché ho bisogno di buttar fuori roba, ma c’è qualcosa che mi impedisce di farlo, sarà pudore, disciplina, le buone intenzioni che prima o poi nella vita bisogna cominciare a seguire, si può mica vivere sempre così come capita, ma c’è che una volta mi sarei messo lì con Jeff Buckley a farmi da bisturi e mi sarei aperto il cuore in due, e adesso invece lo lascio passare e non mi tolgo neanche la maglietta, che c’è uno spiffero va a finire che mi piglio qualcosa, e questo camminare a passi contenuti me lo spaccio come un indizio di saggezza, come se derivasse dal greco camminareapassiconteneus, e mi dico che diventare grandi ha i suoi vantaggi, tipo che puoi entrare nei cinemi porno senza dover mostrare un documento, ma questo è un vantaggio che ha terminato di essere tale, che con l’avvento dell’internet la maggior parte di cinemi porno è stata trasformata in un negozio di cineserie, e per comprare un bellissimo giubbotto grigio in similpelle con disegnata una tigre nella fodera non ti serve la carta d’identità, ma al limite google traduttore, che due su tre non capiscono cosa gli vuoi comprare e cercano di propinarti il ventilatore tascabile che quando gira compone la frase ♥ Ti Amo ♥ illuminata di rosso, che io una cosa così brutta non ci credevo esistesse finché non me l’ha mostrata un punjabi nei vicoli, mi ha detto che la fidanzata avrebbe apprezzato, e io gli ho risposto che non ce l’ho la fidanzata, e che se l’avessi avuta avrei cercato di conservarla, ma lui non ha colto il sarcasmo, che il sarcasmo finisce nel Punjab indiano mentre lui è di Lahore, ha messo via il ventilatore e ha cercato di vendermi un barattolo quattro stagioni e una scure, ed è stato lì che ho capito che se vai in giro con sette cappelli colorati infilati in testa uno dentro l’altro non puoi essere privo di un certo senso dell’umorismo.

La prossima volta magari vi racconto di quando io e Pitbull ci siamo mangiati tutto l’ordine degli ungulati compreso l’oritteropo.

Riassunto delle puntate precedenti:

Introduzione
Bruno Lauzi – Garibaldi
Peggy Lee – Why Don’t You Do Right?

Tony Bennett & Lady Gaga – The Lady Is A Tramp
Joni Mitchell – Chelsea Morning

Eccoci pronti a una nuova tappa del viaggio con la radio in valigia. L’avete lette quelle due righe che ho scritto qualche giorno fa dove dicevo che insomma sarebbe meglio che le leggeste perché non ho nessuna intenzione di riassumerle? Fatemi sapere cosa ne pensate, che c’è molta carne al fuoco, come dicono gli allevatori guardando la stalla distrutta da un incendio.

Questa settimana restiamo in Canada, e restiamo nell’ambito Musicisti che fanno anche altre cose, perché non si può non parlare del re dei tuttofare, lo scienziato pazzo della musica canadese, Neil Young, detto anche “One of you fuckin’ guys comes near me and I’m gonna fuckin’ hit you with my guitar”.

Lui e Joni Mitchell sono legati, oltre che da un’antica amicizia e dall’essersi detti delle cose attraverso le canzoni, anche dall’aver contratto lo stesso ceppo di poliomielite nel 1951. e come facevo a non collegarli?

Joni Mitchell insieme al papà de La Casa Nella Prateria.

Io Neil Young lo conoscevo pochissimo fino a qualche anno fa. Ai tempi gloriosi delle radio libere (siigh!), quando con un gruppo di disperati tenevamo in vita Radio Studio 93, mi era capitato fra le mani l’allora nuovo Harvest Moon, di cui conoscevo il singolo per averlo visto sull’altra grande novità di quei tempi: Mtv.

Non so se fra voi lettori ci sono anche dei ventenni, ma nel caso credo di dover spiegare di che si tratta. Vent’anni fa in Italia alcune reti private iniziarono a trasmettere il segnale della giovane Mtv Europe per alcune ore ogni giorno, permettendo a noi pischelli che abitavamo in posti dove non si prendeva Videomusic di godere finalmente della visione dei videoclips dei nostri gruppi preferiti.

Fu una rivoluzione, e lo fu anche per quelli che se la tiravano da Io guardo videomusic tutti i giorni, perché Mtv era davvero qualcosa di nuovo. Innanzitutto trasmetteva da Londra, quindi i conduttori parlavano solo inglese, e in quegli anni era l’unico assaggio concreto di Unione Europea che potevamo permetterci senza fare l’interrail; e poi l’impatto visivo era straordinariamente diverso da quanto visto fino ad allora, ti catturava con la sua energia, vinceva a mani basse su qualunque produzione locale. Poi vabbè, c’era la musica. Lo so che a questo punto i miei lettori più giovani mi prenderanno per cretino, ma dovete credermi, una volta Mtv trasmetteva solamente musica: videoclip, documentari, telegiornali riguardanti la musica, trasmissioni dedicate ai vari generi, quella ficata incredibile che era Mtv Unplugged, e Beavis & Butthead, che era un cartone animato, ma comunque parlava di due ragazzetti impallati con l’heavy metal.

Steve Blame, Ray Cokes, Rebecca De Ruvo erano gli animatori dei pomeriggi doposcuola (actually, Ray Cokes andava in onda la sera, ma il concetto è quello), e il fatto che capissi una parola su cinque me li rendeva più simpatici dei loro omologhi attuali, anche se magari dicevano delle castronerie inimmaginabili.

Presentatori impresentabili

Neil Young cominciai ad ascoltarlo allora, quando dopo l’ultimo video degli Edelweiss si ritornava ad atmosfere più morbide, e un uomo che spazzava il porticato sotto la luna dava il tempo al singolo più recente dell’artista canadese.

Della sua produzione artistica non racconto niente, è sconfinata e se non vi interessa il genere diventa anche noiosa, e poi se volevo scrivere una roba uguale a wikipedia mettevo al posto del titolo un banner con Jimmy Wales che vi domanda dei soldi.

Quello che interessa a me è l’altro Neil Young, quello che non suona.

Ce ne sono diversi Neil Young che non suonano, uno è un attivista politico, uno accudisce il figlio, ma il migliore di tutti resta il Neil Young inventore.

Credo di non essere l’unico che da piccolo si metteva più comodo in poltrona quando, sfogliando l’ultimo Topolino, vedeva Paperino prendere la strada verso il laboratorio di Archimede Pitagorico.

“Ora ne vedremo delle belle”, pensavamo, mentre ci tornavano in mente i fantastici frutti dell’ingegno del nostro scienziato preferito: il paracadute ascensionale, le car-can, il lapis bicolore che da una parte taglia i metalli e dall’altra li salda.

Insomma, le invenzioni in casa mia erano di casa, anche se poi non riuscivo mai a rimontarla, quella sveglia, e ci toccava comprarne una nuova; capirete che non potevo non appassionarmi al vecchio canadese (quello senza gli artigli), che spende un pacco di soldi per convertire in auto ibrida (elettrica/biodiesel) la sua vecchia Lincoln e la battezza Lincvolt, si lancia in una campagna a favore del bio-carburante e si fa tutta una tournèe alimentando i suoi camion con l’olio vegetale.

Poi vabbè, ad un certo punto la Lincvolt è andata a fuoco e gli ha bruciato un magazzino pieno di roba costosa, ma pare che non fosse dovuto a errori di fabbricazione.

Una macchina che va a Neil Young? Corro subito a comprarla!

L’ultimo progetto dell’Emmett Brown di Toronto si chiama Pono, uscirà l’anno prossimo e dovrebbe rivoluzionare il mercato della musica digitale.

Da quanto ho capito si tratta di un nuovo formato audio che garantirebbe una qualità che a confronto l’mp3 è uno di quei peti silenziosi, ma letali, tanto che le principali case discografiche si sono dette disponibili a riconvertire il proprio intero catalogo. Staremo a vedere, a me Neil Young piace un casino, ma se mi brucia la casa mentre ascolto l’ultimo disco di Capossela vado a cercarlo col badile.

La canzone che andiamo ad ascoltare si chiama Cortez The Killer, e ci racconta del massacro degli aztechi da parte dei soldati spagnoli, anche se girano parecchie interpretazioni più personali, e lo stesso Young, intervistato a riguardo, ha dichiarato “Ma non mi rompete il cazzo stronzi”, o qualcosa del genere.

Prima di chiudere credo di dovervi spiegare la frase in inglese all’inizio del post:
risale al festival di Woodstock, nel 1969, quando Young si esibì insieme a Crosby, Stills & Nash; ai cameramen che cercavano di filmarlo durante l’esibizione si rivolse col tono affettuoso che da sempre lo ha contraddistinto, minacciandoli di picchiarli con la chitarra.

Neil Young e Grumpy Cat sono parenti? Noi di Voyager crediamo di si.

Il mio eroe.

(continua)