Riassunto delle puntate precedenti:
Ci sono due che parlano parlano e non succede mai niente.

“Eravamo appena sbucati sulla strada che costeggia il lato nord di Central Park, io cercavo sulla cartina una stazione della metro che ci riportasse verso casa, e ho commentato che quella parte della città si chiamava Uptown. Dopo cinque minuti ci siamo ritrovati tutti e due a canticchiare Uptown Girl e fare passetto e calcetto in mezzo al marciapiede. È stato spontaneo, ed è tutta lì la bellezza del ricordo. In quel momento eravamo una persona sola e tutto sarebbe stato perfetto.
Cerca di capire, non si tratta di conoscere le stesse canzoni, è parlare la stessa lingua, è riconoscersi come appartenenti al medesimo branco. È tutto lì. Può funzionare anche fra persone diverse, o finire a puttane due giorni dopo, ma se non sapete neanche giocare insieme, se vi accontentate del tempo condiviso davanti alla tele, o al ristorante, o a letto, vi state solo accompagnando in giro.”

“Come sei negativo, madonna!”

“Ma guarda che è così. Non state parlando, vi dite delle cose. C’è una differenza. Non costruite niente, e prima o poi vi crollerà tutto sulla testa.”

“Vabbè, dici così solo perché sei incazzato con me.”

“Non sono incazzato con te.”

“Sì che lo sei. Perché sono stata con Piergigi invece di venire a Roma con te.”

“Casomai perché me l’hai detto la sera prima, e non sono il tuo pupazzo. Ma va bene, i miei amici non mi hanno chiesto delle penali per avere annullato la tua prenotazione. A casa loro non usa, per fortuna. Com’è andata?”

“Ma te l’ho detto com’è andata”

“Intendo com’è successo che ti sei lasciata fregare di nuovo quando sapevi chi avevi davanti e avevi già preso la tua dose di calci in faccia. Cosa ti ha fatto pensare che stavolta sarebbe stato diverso?”

“Lo so da sola di essere una cretina, non c’è bisogno di infierire”

“Invece credo che ci sia bisogno eccome. Non ci credo a queste storie che si trascinano per mesi senza ragione.”

“Ma chi te l’ha detto che sono senza ragione? Due persone possono avercene mille ragioni, per stare insieme. Perché si piacciono, perché si fidano l’uno dell’altra, non basta?”

“Perché si accontentano.”

“Ma che ne sai?”

“Nel migliore dei casi ce n’è una che ci crede davvero e l’altra che approfitta di una situazione che sa benissimo non essere quella che desidera, ma se la tiene ben stretta perché poco e male è comunque meglio di niente. Finché non gli scoppia in mano, e allora te la trovi in casa a piangere e a chiederti perché non ha funzionato. E come faceva a funzionare? Lo sapevi benissimo e hai fatto finta di niente, eravate due estranei che vanno nella stessa direzione. Se ti siedi su un treno e guardi gli altri passeggeri la capisci la differenza fra quelli che condividono un’esperienza e quelli che stanno solo andando nello stesso posto. Il vostro problema è che non volete vedere. Dite che va tutto bene finché funziona, vi raccontate delle balle per non ammettere i problemi. Siete dei pavidi.”

“Ah ecco cos’è, ti ho disturbato coi miei problemi da ragazzina. Beh, scusa, credevo che fossimo amici, di solito fra amici ci si aiuta.”

“Ti sto aiutando. Hai cercato di far funzionare qualcosa che non poteva funzionare. Te l’avevo detto anche prima, non mi hai dato retta.”

“Spero di arrivare alla tua perfetta consapevolezza un giorno, così saprò tutto e non sbaglierò mai. Anzi, sai cosa? Spero di no, perché non voglio diventare una persona cattiva, arida e sola come te!”

Lascia la porta aperta quando esce, e neanche la sento sbattere il portone Scendo a chiuderlo prima che il gatto del vicino si butti in strada. Lo lascia girare libero per le scale, quel deficiente. Tutti i giorni tiro via matasse di pelo dallo zerbino.
Drusilla ha lasciato mezza birra sul tavolo. Una radler, quelle porcherie aromatizzate al limone. Quando viene a trovarmi ne porta qualcuna, poi non le beve e mi restano in eredità. Quella ragazza ha un sacco di pregi, ma non quello di saper scegliere gli alcolici.

La butto giù senza respirare, sa di detersivo per i piatti. Apro un’altra bottiglia delle mie. Sarà una lunga notte.

…….

Il messaggio di scuse di qualche ora prima non ha sortito alcuna risposta. Ho dormito poco e male, mi gira la testa e la bocca sa di caramelle al limone, quelle più economiche.
Avevo promesso a Beonio che sarei passato da lui, magari fare due passi mi farà sentire meno stronzo.

Per le scale incontro il gatto dei vicini. Non è lui che si è mangiato Chico Buarque, quello è morto, aveva trovato il portone aperto ed era uscito, finendo sotto una macchina. La mia. Anche il portone l’avevo lasciato aperto io. Verso questo gatto non provo alcun rancore, è simpatico. Gli gratto la testa, si struscia sulla gamba lasciandoci un tappeto di peli rossi. Lui non mi trova cattivo né arido.

Vado a trovare Beonio nel suo studio. È un ingegnere. Non so come mai ho solo amici ingegneri, forse sono una categoria affidabile. Puoi tenerli ore a raccontargli i tuoi problemi e non smettono mai di ascoltarti, tanto non hanno niente da dire. Sono persone noiose, perlopiù.
Beonio no, è divertente, soprattutto quando beve. A lui piace la figa, ne è soggiogato. È capace di scendere a qualunque bassezza, accettare compromessi morali che farebbero vergognare un eroinomane in crisi, se alla fine lo potrà buttare a qualcuna.
Non è neanche troppo esigente, gli piacciono tutte purché ancora in vita e dotate di tutti e quattro gli arti.

“Perché hai dei peli di gatto sulla gamba?”
“Mi sono preso un gatto”
“Tu? E che te ne fai?”
“Il ragù”

Mi ha chiesto di accompagnarlo a cena con la sua ultima conoscenza, una ragazza che ha conosciuto al supermercato. Lei per accettare l’invito gli ha imposto la presenza di un’amica, così adesso gli serve uno chaperon.

Non sono entusiasta di mettermi nello stomaco cose che potrebbero venire sparate fuori all’improvviso, cercherò di tenermi leggero e stare lontano dal vino.

“Dove andiamo a mangiare?”
“Dal messicano”
“Le fanno le insalate?”

Gallo Pinto – Cocina latina, dice l’insegna, abbellita da un galletto dipinto uguale sputato a quelli di Barcelos.

“Messicano o portoghese?”
“Messicano”

Sento puzza di fregatura. Beonio mi indica due ragazze vicino all’ingresso. Una è bionda, tre metri senza tacco, mascella vichinga e spalle da rugbista. L’altra è la sua borsetta, le arriva a malapena al ginocchio, scura di pelle, lunghi riccioli neri e viso tondo, incorniciato da un paio di occhiali dalla montatura pesante.

“Qual è la mia, il pioppo o il cespuglio di more?”
“La mia è Francesca, la bionda. L’altra dovrebbe essere Anna, la sua coinquilina. Non farmi fare figure!”

Francesca è di Padova, Anna di Lecce.

A Francesca piace correre la mattina prima di colazione, ad Anna la colazione al bar.
Francesca ama sperimentare in cucina e odia lavare i piatti. Anche Anna odia le pulizie, e anche gli esperimenti culinari della sua coinquilina.
A Francesca piacciono i gatti, viaggiare, ascoltare radio commerciali, la discoteca, il mare, la discoteca al mare, la palestra, i romanzi di Andrea De Carlo, quelli di Jane Austen, Frida Kahlo, Jack Savoretti, i film d’azione e quelli di supereroi, le commedie romantiche, la poesia nella vita.

Anna ama il blues, i fumetti, John Coltrane, le giornaliste incazzate, il Salento ma non d’estate, quando si riempie di punkabbestia, Douglas Adams, Cesare Pavese, i pittori boh gli impressionisti, dormire.

Di Beonio noi che lo conosciamo, i suoi amici, sappiamo che ama la figa, le commedie sboccate coi comici della televisione e le modelle in tanga, la pizza, il Movimento 5 Stelle, la birra rossa e il calcio. Tuttavia si dimostra un abile venditore di sé stesso, dichiarando di apprezzare l’onestà, l’amore e la semplicità nelle cose di tutti i giorni.
Sorrido, so che nel suo caso quest’ultima voce significa scorreggiare senza trattenersi, ma le ragazze sembrano colpite. Aggiunge di amare la buona cucina, le poesie di Apollinaire (EEH??), le lunghe passeggiate da solo, in mezzo alla natura.

L’immagine di Beonio all’alba in un bosco, a rompere il silenzio con lunghi bramiti del culo, mi perseguiterà per il resto della serata.

“Non lo conosco Apollinaire”, gli dice Francesca.

Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna
E i nostri amori
Me lo devo ricordare
La gioia veniva sempre dopo il dolore

Mi cade la faccia nel piatto per lo stupore.

“E tu ce l’hai un poeta preferito?”, mi chiede Francesca. È solo lei a portare avanti la conversazione, la sua amica sposta l’attenzione nel tragitto più breve da noi al piatto, dove si ferma a lungo a riflettere. Sembra persa in un suo dramma interiore, o forse si è resa conto di avere sbagliato a ordinare.

Io non ho voglia di rispondere a questionari sulla mia vita, ho voglia di margarita frozen, uscire ubriaco, chiamare Drusilla e scusarmi, dimenticare questa serata e queste due. Ho deciso che Francesca mi sta sul cazzo, è come una cantina illuminata con un faro da stadio, troppa energia sprecata in futilità. La sua amica non esiste, è depressa. Sono depresso anch’io, ma almeno sto chiuso in casa, non vado in giro a mettere in imbarazzo il prossimo.

Beonio risponde al posto mio:

“Ah ma lui le poesie le scrive! Ma non chiedetegli di recitarle, lo fa solo da ubriaco”
“Perché è lo stato in cui le scrivo”

“E che genere di poesie scrivi?”, chiede Anna, uscendo dallo stadio pupale.
“Di rabbia”, abbozzo.
“Politiche?”

Nero
Come il dolore che ostenti
L’orgoglio che ti inchioda
I capelli che ti nascondono
La coscienza sporca.

Nero
Come il futuro
Che vedi coi tuoi occhi neri
Che non cerchi di cambiare
Se non per renderlo più nero.

Di azzurro avevi il cielo
Ma si è depresso
Per il troppo frequentarti
È diventato nero.

“Più o meno”

Dopo il ristorante Beonio si offre di accompagnare a casa qualcuno, e Francesca accetta volentieri in maniera del tutto casuale. Nessuno l’aveva capito che sarebbe finita così, carrellata della telecamera sulle nostre facce sbigottite.
No, vabbè, seriamente, ma chi volete fregare? La parte fastidiosa è che così sono obbligato ad accompagnare a casa Anna, perdipiù a piedi, che la macchina se l’è portata a casa il mio amico.
In una scala di situazioni spiacevoli la colloco appena sotto la tua azienda che “La Sua figura per noi è molto importante e il Suo rendimento ineccepibile, per questo abbiamo pensato di ricollocarLa presso una nostra sede decentrata dove le Sue risorse e competenze sapranno donare nuova vitalità e generare profitto. Siamo certi che, come noi, vedrà in questa promozione una grande opportunità di crescita presso la nostra azienda, e ci auguriamo che possa trovare nel popolo siriano l’accoglienza e il calore che merita”.

Non è perché per tutta la cena è stato come avere vicino un portaombrelli, sono sicuro che a darle tempo risulterebbe simpatica, o perlomeno viva; non è neanche il suo aspetto, è molto carina sotto quella mascherona da studentessa sfigata delle medie. È che non ho voglia di conoscere un altro essere umano, attivare dei meccanismi di corteggiamento dimenticati in cima a qualche armadio chissà dove e che oramai neanche funzioneranno più. Io e la seduzione frequentiamo ambienti diversi, abbiamo sentito parlare l’uno dell’altra, ma non ci siamo mai incontrati. Se dovessi provarci con questa ragazza non saprei da dove cominciare. Eppure il motore si accende da solo, e mi accorgo di avere cambiato tono di voce, di guardarla in quel modo là.
Maledetto istinto, perché non possiamo essere puro intelletto? Hai fatto solo guai finora, lasciami in pace!

La accompagno fino a casa sua, per fortuna non è lontano. Ci domandiamo che fare se Beonio e Francesca fossero nell’appartamento, sarebbe imbarazzante trovarli nudi sul divano.

“È capitato?”

“Un paio di volte. È proprio davanti all’ingresso, non puoi evitarlo. Qualche volta la sento da fuori e non entro, ma se non fa troppo rumore..”

Restiamo un po’ appesi a vedere che succede, e non succede niente. Mi saluta, si trattiene un secondo appoggiata alla mia guancia, e in quell’attimo di esitazione passano tutti i messaggi necessari a farmi capire cosa sta per succedere.
Me ne vado, porto in tasca la promessa di qualcosa che non so se desiderare, e un bel po’ di confusione.

(va avanti ancora un po’)

Riassunto delle puntate precedenti:
Chico Buarque non è chi pensate voi, anche perché i canarini non hanno le dita per suonare la chitarra e il si bemolle gli viene malissimo; Drusilla non lo so, dipende molto da chi pensate.

Drusilla non la sentivo da un po’. Segno che stava bene. Di solito quando mi cerca è perché sta passando un periodo di crisi sentimentale, o ne è appena uscita e si annoia.
Per questo quando mi ha scritto “Ci vediamo domani sera?” non ho risposto va bene, ma “Non starci male, se la tirava e comunque cantava di merda”.

Poi la sua reazione è sempre di stupita negazione, come se fossi sceso da un albero appena ieri e non sapessi capire chi mi sta davanti. Mi infastidisce un po’ quando mi considerano un insensibile idiota. Cioè, idiota sì, ma vi leggo dentro abbastanza bene, sapete?
Nel suo caso dura poco, passa quasi subito a un’ammissione rassegnata e alla fine mi racconta tutto perché comunque aveva bisogno di buttarlo fuori, ‘sto rospone.
Si tratta di Piergigi il cantante maledetto, come non aveva capito proprio nessuno. È in tournèe, non si fa sentire, non risponde ai suoi messaggi, è uno stronzo egocentrico e bugiardo, ma meglio così.

Drusilla è molto intelligente, deve solo fare esperienza: nella vita abbiamo tutti un quantitativo di stronzi da affrontare prima di imparare a riconoscerli al volo ed evitarli. Non so bene a che età si raggiunga questa consapevolezza, ma ad un certo punto ti accorgi di non averne più intorno, e dato che sono considerati la specie più resistente dopo gli scarafaggi, significa che hai imparato a tenerli a distanza. Oppure che lo stronzo sei tu.
Non le dico che sarà un percorso lunghissimo e probabilmente non ci riuscirà mai e prenderà una facciata dopo l’altra e la sua vita sarà una merda, perché le voglio bene, e anche perché uno può sempre decidere che in fondo la felicità non è così importante come credeva, puoi ottenere lo stesso risultato con la ricchezza e le benzodiazepine.

Andiamo ai soliti giardini Dimarzo, assunti a nostro rifugio estivo nonostante la pochezza delle bevande. È la musica che li salva, di solito.
Stasera suona Dj A-Zo V-Rax, un ragazzetto sui venticinque con grosso naso e occhiali enormi, sepolto in una giaccavento diventata oggetto di alta moda dopo che per decenni mi sono sentito uno sfigato a indossarla mentre i miei amici affrontavano il temporale con giubbotti supertecnici.
Sebbene io non l’abbia mai sentito nominare e neanche mi senta troppo sicuro a pronunciarne il nome sembra conosciuto dal resto del pubblico: parecchi gli stanno intorno a guardarlo mentre armeggia sulla strumentazione, più trascinati dal personaggio che dai suoi dischi. Drusilla gli batte le mani da un po’ più lontano, appena oltre la schiera dei fedelissimi. Dalle casse viene fuori una melodia orecchiabile, coperta da un giro di bassi e batteria che renderebbero irriconoscibile anche fra martino campanaro.

“Raga! Dj A-Zo V-Rax pompa abbestia ai giardini Dimarzo!”

Il pubblico risponde ieeea.

“A-Zo V-Rax! La A è privativa perché io il fuoco di Sant’Antonio.. (pausa teatrale) ..ve lo faccio venire!”

Il pubblico ripete ieeea ancora più forte.

“Ragah!!”

Non ci credo che sto ascoltando questo demente.

Se Drusilla fosse la mia ragazza avrebbe senso, l’amore ti fa sopportare le serate più atroci. Io stesso una volta avevo accompagnato la mia compagna a vedere Viola Valentino ubriaca che cantava in playback fuori sincrono vecchi successi di Vasco Rossi a una festa gay. Mi si era starato il trashometro, ma l’avevo fatto volentieri, e poi conoscevo gente che si era sbuttanata anche peggio solo per un po’ di fonchia, in fin dei conti mi era andata ancora bene.

“Raga! Il presobenismo sarà la nuova religione! Fare solo quello che ci gusta! Basta menate, tutto si aggiusta! Sciallaaa!!”

E tutti in coro “Sciallaa!!”

Mette su un pezzo che dice dammela dammela dammela ammè me la devi dà ce la devo fa, e io che ho attraversato per intero gli anni ’80 una roba così becera non l’ho sentita mai neanche alla radio tamarra degli autoscontri.

Drusilla ne è conquistata come una ragazzina di fronte alla sua prima cotta adolescenziale per il cantante maled.. vabbè, ci siamo capiti.

“Dai, ha ragione! Siamo stati male anche troppo per degli stronzi! Adesso basta, quest’estate ci dedichiamo al presobenismo!”

Non riesco a trattenere un brivido. A parte che Chico Buarque non era affatto uno stronzo, se ti sei innamorata di un musicista di stocazzo sono problemi tuoi e basta, ma io ci sto bene nel mio stare male. È rassicurante, quando sei in quello stato devi solo preoccuparti di migliorare, il resto te lo puoi pure lasciare dietro. Per un pigro è un grosso vantaggio. Senza contare che quando stai morendo anche la morte è una notizia positiva, perché ti libera dai problemi.
È la classica situazione win-win.

“Dici così solo perché hai paura dell’ignoto. Buttati, vedrai che sarà divertente!”. Mi prende per un braccio e mi trascina a ballare sotto le casse.

Drusilla non ha mai mostrato interesse verso la danza, è la persona più statica che conosco dopo Stephen Hawkins. Non capisco cosa stia succedendo, ma sospetto il coinvolgimento di sostanze illegali.
L’effetto però è straordinario. La gonna larga le sventola come uno stendardo, la maglietta le scopre l’ombelico, distogliere lo sguardo dai suoi fianchi diventa difficile. Non mi ero mai reso conto della pienezza del suo seno. Drusilla ha smesso di essere una ragazzina parecchio tempo fa, e me ne sto accorgendo solo ora.

Ecco che fa un gran caldo ai giardini Dimarzo.
Dj A-Zo V-Rax si è perso in un trip anni 90 dove gli SNAP sono i protagonisti indiscussi. Meno male, se avesse lanciato Bryan Adams i miei ormoni non ce l’avrebbero fatta a portarmi fuori dalla zona limonella, sarei caduto sul campo come un eroe. Mi trascino al chiosco delle birre dove incontro il proprietario del locale, un tizio allampanato che ricorda la versione fricchettona di Pippo disegnata da Andrea Pazienza. Sta ballando soddisfatto, sposta a destra e a sinistra il baricentro, mentre il grosso culo rimane piantato al terreno. Sembra una pianta in vaso spinta dal vento, o un metronomo. È ipnotico, rimango a fissarlo scordandomi della sete, del caldo e del dj. Se adesso arriva uno e mi fa firmare delle cambiali ubbidisco senza fiatare, mi sento privo di volontà.

Invece arriva Drusilla e mi riporta alla coscienza col suo dito a punta. Mi chiede se mi diverto. Più che chiedermelo dichiara che no, sono inquietato, ci vuole una misura più drastica.

“Accompagnami a casa!”

La mascella mi cade così rumorosamente che si gira anche Pippo Fricchettone.

“No, intendo che la misura più drastica la tentiamo domani, adesso vado a dormire. Mi dai un passaggio, per favore? Ho la vespa dal meccanico.”

La serata anni 90 si rivela solo il primo passo di un lungo percorso edonistico applicato da Drusilla con un fervore quasi religioso. Ogni sera, di ritorno dal lavoro, trovo un suo messaggio in cui è illustrato il programma per il giorno successivo. Comprende visite guidate per la città alla scoperta di angoli dimenticati, proiezioni dell’ultimo capolavoro di un regista che neanche saprei pronunciare, teatro danza, poetry slam, jam session, altre robe con nomi difficili. Aspetto da un momento all’altro che compaia l’iridologia, e tremo all’idea di trasformarmi in un uomo dalla lunga barba bianca che indossa camicioni larghi e scrive oroscopi sorseggiando tisane al finocchio e verbena.
Rifiutare non è contemplato, Drusilla si offenderebbe e non la vedrei più per mesi, e in ogni modo l’alternativa sarebbe chiudermi di nuovo in casa a imbruttire solo.

Mi trascina per settimane in qualsiasi attività: il corso di portoghese organizzato da una nota marca di porto in tre lezioni super intensive in cui imparo solo a dire obrigado e distinguere un tawny da un ruby; la degustazione di sushi dove mi spiegano su quali piatti va aggiunta la salsa di soia e su quali prova a mettercela e sta mano poesse piuma ma poesse pure katana se semo capiti; la lettura delle poesie d’amore di Nazim Hikmet, segue un interessante dibattito con un politologo turco che ci spiega le ragioni dell’attuale burrasca che interessa il Paese, ma che però ce le spiega in turco e l’interprete non c’è perché ha avuto un improvviso mal di pancia, ma tanto il turco è simile all’italiano, di sicuro lo capite tutti. Non so gli altri, io sono fermo a obrigado.

Genova non è New York, prima o poi le mostre, i corsi e le poesie finiscono, i locali da aperitivi che ti fanno pagare un euro e cinquanta un piattino con due crackers sporchi di feta della lidl ti vengono a noia, le facce sono sempre le stesse e non hai più voglia di trovartele davanti. Per non parlare della birra schifosa propinata ai Dimarzo.
Insomma, viene il giorno in cui Drusilla ammette un po’ imbarazzata di non avere niente da proporti per il fine settimana. Come se prendersi due giorni di pausa annullasse tutti i progressi verso il nirvana presobenistico.

“Ti va di accompagnarmi a Roma? C’è una roba di street art che vorrei vedere.”

Che effetto buffo fanno i cellulari, mi è sembrato di sentire la mia voce che chiede a Drusilla di passare tre giorni con me a Roma!

“Che bello!”, risponde lei, il cui telefono deve avere lo stesso problema di distorsione sonora.

Mi ci vogliono dieci minuti per realizzare quanto sono cretino e sconsiderato e prendermi a schiaffi e chiedermi cosa mi sia girato di proporle una cosa simile e riprendermi a schiaffi perché tanto con me è inutile discutere.
E togliti quel sorriso deficiente dalla faccia, stupido!

(si ostina a continuare)

Riassunto della puntata precedente:
Per dimenticare un canarino vado in un posto che si chiama Palazzo Fava.
Giù in strada c’è Freud che mi suona con insistenza il campanello perché ha delle cose importanti da dirmi.

2.
Drusilla la rivedo una settimana più tardi. Sono ai Giardini Dimarzo col mio amico Beonio a bere pisciazza seduti dietro quell’uomo che grida gelati.
In effetti non lo so perché continuiamo a frequentare questo posto, la birra fa schifo e c’è pieno di ambulanti rumorosi.
Gli sto spiegando come il testo dell’omonima canzone di Battisti sia uno specchio dell’ontologia heideggeriana, in totale disaccordo, ad esempio, col superuomo di Nietsche, il quale verrà definitivamente estromesso dalla cultura musicale nel 1992, con l’avvento di Max Pezzali.

A Beonio questi discorsi non interessano. Lui vuole parlare di figa.
Mi indica tutte le ragazze carine che ci transitano davanti, di quelle brutte commenta “Eh però, due colpi..”

“Guarda quella con la maglietta a righe! Secondo te sta con quello lì che sembra un cattivo di Dragonball?”

È Drusilla, naturalmente. Il tizio che l’accompagna lo conosco di fama, canta in un gruppo di quelli coi testi complicati che non vogliono dire niente. Me ne ha parlato qualche volta, non sapevo che si frequentassero.
La birra che ho in mano fa schifo, abbandono il bicchiere e raggiungo la mia amica, subito tallonato da Beonio cui non sembra vero di poter avvicinare un esemplare privo di pisello.

“Ma tu solo magliette a righe quest’anno?”, le domando mentre mi impiglia alla barba un bacio leggero.
Mi presenta il cattivo di Dragonball, si chiama Piergigi e di persona sembra molto meno carismatico di quanto appare su youtube.

“Ciao, ho visto il video di Amore Lepidottero. Mi è piaciuta l’idea degli orsetti di peluche che invadono il pianeta, molto efficace.”

In realtà non me ne frega un cazzo, ma devo apparire gentile con gli amici di Drusilla, so che a lei fa piacere.

“È stata un’idea del regista. Noi volevamo mostrare gli occhi di un bambino che muore stritolato da un trattore guidato da centotrenta congolesi sotto il sole del Salento.”
“Eh, non credo che ve l’avrebbero passato su mtv”

Drusilla è parecchio su di giri, gli chiede se al concerto di stasera le dedicherà una canzone, lui dice Ogni Pesce Cerca Un Verme Dentro La Bottiglia, lei vorrebbe I Tuoi Capelli Distribuiscono Sigarette Automatiche, lui fa un sorriso pirata, lei si scioglie. Beonio ha capito che lì non ce n’è e dice che va a prendersi un’altra birra. Lo accompagno, troppi feromoni nell’aria mi fanno prudere il naso.

“Carina la tua amica. Perché non glielo butti?”
“Perché Clint Barton non glielo butta a Kate Bishop, tutto l’equilibrio della serie si basa su quello”
“Non ho capito”
“Non occorre che tu lo faccia”

Le bevande al bar dei giardini sono una peggio dell’altra, la birra è un’offesa al luppolo e i cocktails sono ghiaccioli privi di sapore. C’è gente che per riuscire a trangugiare qualcosa di decente è costretta a farsi servire l’amaro del carabiniere. Però la musica è ottima, tutte le sere suona qualche artista sconosciuto, ed è sempre qualcosa che ti cattura. Mentre aspettiamo che la ragazza al banco ci riempia il bicchiere di plastica con un’altra dose di urina osserviamo un trio parecchio gasato interpretare un vecchio successo di Zappa. Il chitarrista avrà sessant’anni, oppure trentacinque e una dipendenza pericolosa dagli stupefacenti, la maglietta sbiadita mostra ancora la scritta “Da vicino nessuno è normale”, che gli conferisce una certa rispettabilità fra noi amici di Basaglia. Gli altri due sono più canonici, uno mostra delle braccia toniche che gli invidio, oltre a una batteria che francamente non saprei dove mettere nella casa piccola in cui vivo, per cui mi limito ad ammirargli il fisico; l’altro è una ragazza bassa, capelli rossi e occhi azzurri, e suona la tromba, il sax, il clarinetto e il trombone slide. Ha l’aria di una che non si fa problemi a ottenere qualcosa, se lo vuole, e sembra di quelle che qualcosa lo vogliono sempre. Mi domando come si possa mantenere un equilibrio in gruppo con una bella donna inquieta, forse i due uomini sono una coppia, o lei è un androide. Forse sono io che mi faccio troppe domande inutili.

Ancora una volta è Drusilla che mi riporta alla realtà, entrando nel bar col suo amico e venendo diretta a ficcarmi le dita nelle costole.

“Mi hai lasciata sola!”
“Non mi sembrava che ti seccasse”

Se fossi un bravo attore le mie parole avrebbero sempre l’intonazione giusta, si farebbero capire sempre da tutti compresi quelli in ultima fila, e nessuno sgranerebbe occhi color laghetto estivo trovandole ostili. Sono gli allievi di poche speranze come me che devono giustificarsi di fronte al sopracciglio interrogativo delle ventisettenni perplesse, e fare free solo come Alain Robert sul Burj Khalifa, senza neanche i guantini appiccicosi del film.

“Secondo te la rossa sta con uno dei due?”, le chiedo per disinnescare l’imbarazzo.
“Perché dev’esserci sempre un’implicazione sentimentale? Non potrebbero essere semplicemente tre amici che amano suonare insieme?”
“Perché è più divertente”
“Mescolare il lavoro e il letto non è mai divertente”, commenta Cattivodidragonball, “E finisce sempre male.”

Drusilla gli si appende a un braccio: “Storie di vita vera! Racconta!”, ma Piergigi non vuole dire altro, gli è bastato dare un colpo di matita al tratteggio che vende di sé. Se si lasciasse avvicinare di più mostrerebbe le macchie di sugo sul colletto della camicia.
Decido in quel momento che mi sta sul cazzo, lui e tutti i personaggi bidimensionali dei cartoni animati come lui. E la birra dei Giardinidimarzo mi ha rotto i coglioni, contiene esterasi leucocitaria, che denota una possibile infezione batterica del barista, e io di prendermi i suoi malanni grazie ma mi bastano già i miei, che stasera mi pesano particolarmente, meglio se me ne vado a casa.

“Ma no, dove vai?”, dice Beonio.
“Ma no, dove vai?”, dice anche Drusilla.
“Mi piace Bologna mi piace la Spagna mi piace uno sguardo mi piace un abbaglio”, dice il poeta maledetto a una biondina, accendendo fastidi diffusi.

Vado a casa a piangere perché non c’è più Chico Buarque a proteggermi dagli stronzi che si prendono la scena e non rispettano il pubblico, né a capirmi quando ho una cosa che non riesco a far uscire se non dagli occhi e ormai ci sono più impagliatori di sedie ciabattini maniscalchi che lettori di occhi, né a regalarmi i suoi la sera in macchina quando nessuno parla per non disturbare il ticchettio della pioggia e perché non si parla mentre si legge.
Dove ritroverò quella sintonia? Di certo non qui, e allora cosa ci resto a fare.

(continua)