Riassunto delle puntate precedenti:

Introduzione
Bruno Lauzi – Garibaldi
Peggy Lee – Why Don’t You Do Right?
Tony Bennett & Lady Gaga – The Lady Is A Tramp
Joni Mitchell – Chelsea Morning
Neil Young – Cortez The Killer
Banda El Recodo – El Corrido De Matazlan
Los Cuates de Sinaloa – Negro Y Azul: The Ballad Of Heisenberg
El Chapo Guzman – Los Tucanes de Tijuana
Cholo Valderrama – Llanero si soy llanero
Celia Cruz – La Vida Es Un Carnaval
Duke Ellington – The Mooche
Renato Rascel – Romantica
Igor Stravinskij – Pulcinella Orchestral Suite – Part I/III

Il Pulcinella è considerato la prima opera del periodo neoclassico di Stravinskij. Gli venne commissionato da Sergej Djagilev, fondatore dei Balletti Russi di cui ci sarebbe da raccontare parecchio, che la sua relazione con Nižinskij meriterebbe un post a parte, e mi permetterebbe di raccontare della mia visita al cimitero di Montmartre, dove il ballerino è sepolto. E invece resto su Pulcinella, tratto da un libretto attribuito un po’ a Giovanni Pergolesi e un po’ ad altri autori meno conosciuti, e messo in scena nel 1920 all’Opéra di Parigi. In quell’occasione l’allestimento delle scene fu curato nientemeno che da Pablo Picasso, ideatore anche dei costumi.

Cimitero bellissimo, peraltro. Roba che uno vorrebbe morire apposta per andarci ad abitare

Cimitero bellissimo, peraltro. Roba che uno vorrebbe morire apposta per andarci ad abitare

E sarà proprio lui il filo conduttore per il prossimo passaggio.

Io e Picasso abbiamo condiviso ben più del nome, fin da quella volta a Barcellona in cui mi trovai davanti a uno scarabocchio, forse un bozzetto per un menu, ed ebbi la sensazione che nella mia testa si sganciasse qualcosa. Credo che sia un po’ come quando ti togli il reggiseno. Non me ne sono mai tolto uno, ma quando mi riesce di sganciarlo mi sento più o meno come quella volta, come se la logica dicesse “vabbè, io aspetto fuori, ci vediamo quando hai finito”. Una liberazione dagli schemi, un liberi tutti. Da qualche parte nella mia testa ho sentito “Ah ma allora si può anche così! Bene!”.
Poi vabbè, altri pittori mi hanno dato sberle ancora più forti su quegli stessi schemi, e non vi dico le ragazze che il reggiseno non se lo volevano far togliere, ma il primo che me li ha allentati è stato sicuramente lui.
Degli incontri successivi di qua e di là dell’Atlantico non sto a raccontare, ma sono stati così numerosi che quando mi sono trovato all’ingresso di una sua mostra a Marsiglia, qualche tempo fa, ho preferito stare fuori a prendere il sole.

“Come, non sei entrato?”
“No, dai, due palle Picasso!”
“Due palle Pi.. Oh! Ma come ti permetti? E ti chiami pure come me! E il legame empatico che si è creato fra noi dove lo metti?”
“Ancora con questa storia? Non c’è nessun legame, ci chiamiamo allo stesso modo, punto. Neanche lo sai se mi chiamo così per te o per Neruda. Fra l’altro scrivo, e non so dipingere. Qualche dubbio ti sarà venuto?”
“Sei un ingrato! Chi ti ha introdotto a un diverso punto di vista sul mondo, io o quel piagnone di Neruda? Chi ti ha mostrato che si può essere diversi da tutti gli altri e avere ragione, io o quel cileno di merda? Non mi aspettavo un voltafaccia del genere, sono davvero deluso!”
“Ma deluso di che? Ho visto tutto quello che hai fatto, sono stato perfino a Guernica!”
“E al Guggenheim? Ci sei venuto al Guggenheim?”
“Non ho avuto tempo”
“Sei stato due volte a New York e non hai trovato il tempo di entrare al Guggenheim!!”
“Ho visto quello di Bilbao, vale?”
“Stronzo!”

Ogni volta così. Capirete che dopo un po’ uno si scogliona pure.
È per questo che la nuova puntata di centotre-e-tre sarà dedicata a un pittore che amo.

Badass old men

Badass old men

Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz y Picasso nasce a Malaga nel 1881, e trascorre i primi dodici anni della sua vita a imparare il proprio nome per intero. Nel 1895 si trasferisce a Barcellona, dove si vede costretto a imparare il proprio nome anche in catalano. Ormai ha deciso di diventare un pittore, non ha più tempo per questi studi a suo dire inutili, e se ne va a Madrid.
Qui diviene un assiduo frequentatore del Quatre Gats, una taverna bohemiènne sullo stile del Chat Noir parigino, uno di quei posti dove vai a vedere che aria tira e ti ritrovi con degli sconosciuti a bere vino siciliano, decantando il fantastico palinsesto di Radio3 e la settimana prossima andiamo a vedere la mostra di Leighton a Tarragona, vieni?
Guarda, verrei volentieri, che coi preraffaelliti ci vado sotto di brutto, ma ho dei dipinti da finire, vorrei organizzare una mostra, se trovassi il posto.

In quel momento passa di lì il gestore del locale, Pere Romeu, che lo prende per un braccio e gli fa “Senti ricciolino, con questo aglianico il tuo conto arriva a diciassettemila pesetas belle tonde. Ho capito che sei uno spiantato come la maggior parte dei clienti di questo bar, maledetto me e quando ho deciso di dare rifugio agli artisti invece che agli agenti di borsa, e allora ti faccio una proposta: io ti faccio allestire la tua mostra qui dentro, tu mi porti amici danarosi e il tuo debito lo azzeriamo, che ne dici?”

Si organizza la mostra nel febbraio del 1900, e a settembre di quello stesso anno Picasso si trasferisce a Parigi, braccato dai sicari di Romeu.

Insieme a lui il poeta Carlos Casagemas, che come tutti i poeti si strugge d’amore praticamente per chiunque se lo caghi. A Barcellona si innamora della cameriera del Quatre Gats, che parla come un portuale e rovescia il vino addosso ai clienti. Dice che di lei ama il temperamento sanguigno, e che una donna così saprà scaldare il suo cuore ghiacciato da troppe delusioni. Quando Picasso si rifugia a Parigi se lo porta dietro, sperando che il cambiamento d’aria lo riporti sulla via della ragione, ma la ville lumière sembra fatta apposta per accentuare i problemi di cuore, e il povero Carlos perde la testa per la bella Germaine, la classica faccio cose vedo gente che si cerca e gli riempie la testa di illusioni.
Ovviamente finisce malissimo: una sera, al ristorante, Carlos ordina la tarte tatin, ma gli portano un pasticcio alla panna. Lui tira fuori la pistola e si spara alla tempia.

Picasso ci resta così male che butta via tutti i colori della sua tavolozza e tiene solo il blu, colore della malinconia, dell’inquietudine e del vivere male. Non è un caso che il tasso di suicidi nel villaggio dei Puffi sia così elevato.

Quadri che ti vengono a strappare delle cose dentro senza farsi notare

Quadri che ti vengono a strappare delle cose dentro senza farsi notare

La svolta cubista è a un passo: Les Demoiselles D’Avignon è del 1907, io mi ci sono trovato davanti nel 2011, centoquattro anni più tardi, e ancora il suo autore aveva delle cose da dirmi.

“Allora? Ti piacciono? Eh? Sono o no più bravo io di Dalì?”
“Vabbè, siete diversi, che ti devo dire..”
“Diversi un cazzo! Vai a vedere se il MOMA le espone, le sue opere! Vai a vedere se le espone il Guggenheim, ingrato de mierda!”
“In realtà sì e sì”
“Coma mierda”

Il resto della vita di Picasso ve lo lascio scoprire da soli, non sarà difficile. Io mi prendo una pausa, magari meno lunga dell’ultima volta, e vi lascio con un brano che ci porta, finalmente, in Inghilterra.

(continua)

A parte che ogni volta devo cercare come va l’accento su cinéma, scrivere la recensione di un film come Francofonia non è facile per uno la cui comprensione dell’arte si ferma a questa è una statua e quello è un quadro. Fosse l’ultimo Guerre Stellari mi sentirei di esprimere un giudizio più approfondito, direi che JJ Abrams ha girato un film magnifico che ci restituisce l’epica della trilogia originale, ma resta un omino patetico.

Come patetico? Come sarebbe a dire?”
Avevi un fracco di soldi, un universo intero da cui prendere spunto e perfino gli stessi attori, potevi fare un capolavoro e ti sei limitato a riproporci le stesse situazioni. Non è un film, è un tributo.”
Oh, ho fatto un film magnifico che restituisce l’epica della trilogia originale, non è che posso pure inventarmi una storia!”
Se George Martin avesse pubblicato un romanzo in cui i personaggi rifanno le stesse cose del primo volume lo avremmo crocifisso. Ne ha pubblicati due dove fondamentalmente non succede un cazzo, ma almeno è stato onesto. Tu no, hai cambiato due facce, due sfondi, e ci hai riproposto lo stesso film. Sei un cialtrone.”

Vabbè, non è che la trilogia originale fosse così originale, eh?”

Prendere delle idee altrui e adattarle al proprio lavoro è legittimo, è da quando dipingiamo bisonti nelle grotte che lo facciamo. Ma se prendi il tema del tuo compagno di banco e ci metti la tua firma sotto non si chiama più ispirazione, è plagio.”

Ecco, se avessi dovuto scrivere la recensione del Risveglio Della Forza sarebbe stato facile, avrei potuto riempire pagine solo insultando Abrams, ma qui stiamo parlando di un prodotto complesso, che viaggia tutto sul filo dell’interpretazione: cosa vuol dirci il regista quando ci mostra la nave nella tempesta e Napoleone che cazzeggia per il Louvre? Perché la critica considera più riuscito il suo film precedente, Arca Russa, che a me ha fatto venire voglia di arruolarmi nell’Isis solo per avere una cintura esplosiva?

Forse non dovrei accostarmi a queste forme di arte, ci sono un sacco di Topolini che aspettano di essere raccontati, ma quando sono uscito dal cinema avevo gli occhi pieni di quadri, tessuti e tetti di Parigi, e se non mi mettevo a scrivere queste righe correvo il rischio di mangiare crème brulèe fino alla fine dell’anno, e io non la so fare la crème brulée, ci vuole il lanciafiamme per formare la crosta di zucchero e non trovo nessuno che me lo venda di contrabbando. Mi sono messo con una fumatrice per poterle rubare gli accendini mentre dorme, ma non è la stessa cosa, se lo tieni verso il basso la fiamma lambisce lo zucchero ma ti brucia le dita, e se rovesci la tazza spargi tutta la crema sul tavolo e l’accendino si spegne.

a me comunque piace di più la locandina coi due protagonisti di spalle

francofònia o francofonìa?

Francofonia ci racconta del sodalizio di due uomini molto diversi, il responsabile di tutta la cultura francese durante il dominio nazista, il direttore del Louvre Jacques Jaujard, e il responsabile di tutta la cultura nazista durante l’occupazione francese, il conte Franz Wolff-Metternich. Entrambi vogliono salvare il museo e le sue opere, ma è il nazista che rischia di più: i gerarchi del partito vorrebbero mettersi in casa la Gioconda, e gli ordinano di requisirla, e lui che capisce l’inestimabile valore delle opere e la fine che andrebbero a fare, si inventa la scusa di non sapere il tedesco. Goebbels gli dice portami un quadro di Gericault che ci rifodero i quaderni di mia figlia e lui Uot? Himmler gli dice portami due mummie che le nascondo nel letto a Göring vedrai le risate e lui sge parl pà lallemòn. Alla fine Hitler in persona vuole visitare il Louvre, e Metternich glielo impedisce sfruttando il doppio piano narrativo del film: quando il cancelliere arriva all’ingresso sposta tutta l’azione al presente e ci mostra uno che comunica via skype con una nave portacontainer; nel successivo cambio scena la bigliettaia francese è stata sostituita con quella che sta alla cassa agli scavi di Pompei, che si mette subito in pausa pranzo. Tempo che torna e il film è finito, il Louvre è salvo!

lei sarà pure Marianne, ma l'avrei presa a testate

saranno bizzarri, ma almeno non fanno la bocca a culo di cane davanti ai quadri

I primissimi piani ti fanno notare delle opere che quando ci sei stato tu hai snobbato allegramente: “ah, questa statua ha novemila anni? Questo mi fa ricordare che ho ancora un branzino in congelatore”. L’inquadratura in notturna, lenta, della tomba di Philippe Pot mette i brividi, con quelle figure incappucciate che adesso si girano e ti dicono che sarai il prossimo. La Nike di Samotracia non indossa le scarpe omonime, lo capisci benissimo quando la inquadrano sotto la tunica.

Insomma, per me Francofonia è un grosso sì, l’Episodio VII un grosso vabbè e Macbeth una grossa erezione, e non solo per la presenza sullo schermo di Marion Cotillard, ma di questo parlerò la prossima volta.