A Milano è appena terminato il salone del mobile, e io non ci sono andato, e adesso me ne pento. Mi succede tutti gli anni, mi dicono salone del mobile e io penso a capannoni pieni di cassapanche frequentati da coppie dove lei indossa il golfino e i tacchi e tiene a tracolla una borsetta dolcegabbana e dice cose tipo guardaammore quello starebbe benissimo nella stanza di Cristiano Malgioglio III, perché i nomi americani tipo Chevin non piacciono più e le coppie moderne oggi cercano di darsi un tono senza però abbandonare quella vena nazionalpopolare che li fa sentire fieri della propria italianità che noi siamo un popolo che non si deve vergognare di fronte a nessuno e difatti non hanno nessuna vergogna proprio, e da altre coppie più appesantite dagli anni con figli al seguito che tengono gli occhi sulla chat dove stanno scrivendo roba tipo minkiakeppalle alle loro amichette e tu li devi evitare come i relitti alla deriva, ma senza cattiveria, che un po’ ti senti solidale con la loro noia, e neanche hai delle amichette a cui scrivere.

E invece il salone del mobile di Milano è quella roba fighissima di design sparato ovunque per la strada in stanze buie piene di sculture di legno e neon e glitter che ce n’è tanto che secondo me i tuoi pori lo assorbono e poi ti viene la leucemia e inaugurazioni di gallerie d’arte dentro ex stazioni ferroviarie dove omosessuali spiritosi passano il tempo a coniare neologismi che poi le nostre fidanzate useranno a sproposito per spiegarci come intendono decorare la camera da letto per la settima volta quest’anno.

Che poi ho visto le foto e sono sempre le stesse, il mio instagram è pieno di persone che sono state al salone del mobile e l’hanno documentato secondo il proprio gusto, e o tutti i miei contatti su instagram amano i baretti coi neon e i glitter della morte o il salone del mobile di Milano consta di due ambienti due e tutto intorno la solita città del resto dell’anno, solo più affollata e con molti più sacchetti dello stesso colore, ma quello succede anche quando ci sono i saldi da Zara, non ci si fa più caso.

Solo una mia amica ha postato delle foto di una roba che poteva essere una galleria d’arte, e che non ho visto fotografata da nessun altro: c’erano delle sculture tipo animali, mostri, creature uscite dalla fantasia di scrittori dell’occulto tipo Salvini, e tutte fatte con roba che sembrava balsa, sai quel legno piatto e leggerissimo che si usa per fare gli aeroplanini e i dinosauri, che li metti insieme incastrando i pezzi senza usare la colla e che in vetrina sembrano solidi e in grado di resistere alle ere geologiche e solo a te vengono fuori tutti traballanti che non li puoi toccare sennò si disfano e finiscono a morire su una mensola sepolti dalla polvere che oltretutto su quel legno lì ci si deposita che è un piacere? Il legno di balsa non so da che albero viene estratto, credo dall’albero della balsa, che sono piante leggerissime e piatte che tagli a fette della forma che ti pare, ma che in giro non si vedono mai perché prima devi scavare sotto quintali di polvere e chi ne ha voglia.

A Genova intanto siamo meno mondani che a Milano, ma un po’ di mondanità ce l’abbiamo anche noi, e questa settimana comincia euroflora, che per chi non è del posto sarebbe una fiera come quella del mobile però coi fiori, ognuno espone quello che conosce meglio, qui c’è la riviera dei fiori e abbiamo l’euroflora, là si fanno un sacco di seghe e c’è il salone del mobile. Anche la nostra città è tutta colorata e ricca di iniziative che rimandano all’attrazione principale, e per farla più colorata qualcuno ha deciso di appendere gli ombrelli aperti.

Come ad Agueda, in Portogallo, dove nel 2011 qualcuno ha avuto un’idea interessante e da allora non c’è città al mondo che non l’abbia ripetuto. Quest’anno è arrivata Genova, e tutti a scattare foto a sti cazzo di ombrelli aperti, che oltretutto siamo andati al risparmio e invece di coprire tutta la strada come nel progetto originale ne abbiamo appesi parecchi meno, e l’effetto tristezza è esploso come una bomba. Ma tanto i genovesi sono persone semplici, vedono un po’ di colore e lo fotografano, vedono un politico nuovo e lo votano, gli sembra sempre tutto nuovo e bello, beati loro.

Solo a Ronco, dove abito io, questo vento di novità non soffia mai, perché stiamo in fondo a una valle cupa e umida dove il cambiamento non riesce ad arrivare, le fiere di design ce le sogniamo e i fiori non hanno il coraggio di sbocciare perché appena va giù il sole torna l’inverno e gelano.

quando a Ronco c’era ancora qualcosa da vedere la gente ci si fermava, altroché! A fare benzina, ma ci si fermava!

Giusto per sentirmi più mondano ieri ho tolto il piumone invernale e ho messo quello di mezza stagione, ma ho dormito col pigiama di flanella perché non mi fido mica.

Dovrei anche mettermi a pulire casa, e invece sto qua a scrivere, ma mi sembra che il cambiamento vada affrontato un po’ alla volta, sennò stufa. D’altronde anche euroflora la facevano ogni cinque anni, poi per sette non si è più fatta, e adesso forse ricomincia e forse è una cosa estemporanea, vediamo se piacerà o no, io voto no, perché questa nuova collocazione ai parchi di Nervi non mi sembra la più adatta: prima la allestivano dentro il palasport, e il suo punto di forza era proprio come riuscivano a trasformare un edificio triste e vecchio e spoglio in una foresta piena di colori, un colpo d’occhio incredibile; ai parchi il massimo che potranno ottenere sarà di migliorare un luogo già bello di suo, capirai che sforzo, e l’effetto dirompente si perderà tutto, la gente tornerà a casa pensando di aver visto qualcosa di carino ma che non valeva i venti euri del biglietto e finirà lì.

Una svolta significativa sarebbe quella di allestire entrambe le manifestazioni a metà strada, tipo a Ronco, che non è a metà strada ma il suo clima tropicale si presta allo scopo: facciamo il salone del mobile nella zona sportiva, che è il punto più umido del paese, poi stiamo a guardare mentre la flora locale prende possesso delle installazioni e crea composizioni naturali che all’euroflora se le sognano; i funghi spuntano dagli sgabelli vintage, le spine si mangiano i lampadari al neon, il muschio e le ortiche coprono il resto. Per dieci euri invece che venti potete aggirarvi liberamente in questi spazi dove natura e design hanno imparato a convivere, e invece della borsetta chic potete portarvi a casa la pleurite.

Frotte di genovesi e milanesi accorrono a visitare il nuovissimo Salone Del Luvego, si accoltellano nel posteggio e alla fine fra morti e ammalati otteniamo un drastico calo del traffico lungo l’autostrada A7 e una vivibilità maggiore nel centro cittadino e nelle spiagge della riviera.

Non so voi, ma per me sarebbe l’estate perfetta.

Pre-mi-tap

Per la seconda volta da quando frequento il Club Dei Sociopatici ho vinto la mia naturale ritrosia e ho partecipato a un mitàp, che sarebbe quella cosa dove gli affiliati si incontrano in una città e si presentano: “ciao a tutti sono Antonio, sto su tumblr da sei anni e questa è la prima volta che esco di casa e parlo con qualcuno”, “mi chiamo Katia, ho una dipendenza da gif di gattini e pornografia”, “sono Rino, suono l’ukulele”.

La volta scorsa sono andato fino a Bergamo per incontrare i miei simili, quest’ultimo era più vicino, ma non si può dire che sia andata meglio, perché la città in cui si svolgeva il mitàp era Milano. Non so se avete presente il rapporto che hanno i genovesi con Milano, la gente di riviera e quella dell’entroterra come me, coi milanesi.

Diciamo una roba così, ma con Casalino (quello al centro) che dice uè figa:

Non mi dilungherò oltre su quest’antica diatriba, non vorrei offendere qualcuno, magari un milanese si incazza e viene a cercarmi e arriva alla prima curva di Serravalle Scrivia e pensa che in fondo la vendetta non è una ragione sufficiente per rischiare la vita sui tornanti micidiali della A7, esce al casello e si fionda all’outlet, come tutte le domeniche.

Io comunque parto con le migliori intenzioni, perdo la mattinata a smadonnare sull’impasto dei biscotti che non vuol saperne di stare attaccato, e alla fine parto con un sacchetto pieno di brasadè alla quellagranputtana, che non è il nome originale della ricetta, ma se l’è guadagnato sul campo.

Il lettore mp3 mi lascia prima di Tortona, ho scordato di caricarlo, e per il resto del viaggio mi sintonizzo su Radio3, che mi offre interessanti aneddoti con cui arricchire le mie conversazioni:

  • l’uso corretto dell’apostrofo;
  • lo sapevate che lo scacciapensieri esiste anche in Russia e si chiama рана языка?
  • tutto quello che avreste sempre voluto sapere su Antonín Dvořák, ma non avete mai osato chiedere.

…………………..

Arrivo a Famagosta, che mi ha suggerito una dei sociopatici di cui sopra, scambio la macchina con un vagone della metro e mi porto in centro, puntuale come la tua ragazza quel giorno in cui le hai detto “credo sia la prima volta che arrivi in orario a un appuntamento” e lei “perché non voglio stare con te un minuto di più, è finita, ciao”.
Davanti alla statua del tizio a cavallo, fuori dal Duomo, non c’è nessuno.
Cioè, c’è un casino di gente, ma nessuno che riesca a identificare come sociopatico.
No, non è corretto neanche così, perché ci sono decine di personaggi che portano addosso i segni di una vita di solitudine, primo fra tutti un turista giapponese armato di cavalletto per farsi le foto da solo.

“Scusa, ma che ne sai? Magari sua moglie era in giro per negozi e lui non aveva voglia di accompagnarla e si è portato dietro il cavalletto e ne ha approfittato per farsi un paio di autoscatti!”
“Cazzo vuoi, la storia è mia e il giapponese lo gestisco io, va bene? Si chiama Masahiro Matsumoto, è l’uomo più solo del Giappone e se ne ho voglia poi ti racconto, ma adesso devo parlare del mitàp.”

Inquadro un gruppetto di diciotto-ventenni e tremo. Avevo letto che l’età media era più bassa che a Bergamo, ma se sono loro me ne vado senza farmi riconoscere!
Un po’ più in là arriva un gruppetto di tizi con delle antenne rosse di carta crespa, e sto per lanciarmi a capofitto giù per le scale della metro.
Aspetto, giusto per sicurezza, ed entrambi i gruppetti si allontanano. Allora chiamo l’organizzatrice, che ha un nickname come tutti i sociopatici di tumblr, ma che per ragioni di privacy chiamerò Irene. O Ilaria, non mi ricordo.

“Ciao, sono Pablo, sono seduto sotto il cavallo, sto gesticolando come un forsennato verso nessuno in particolare e c’è un giapponese col cavalletto che mi si è appena messo accanto per farsi una foto”
“Ciao, sono Irene! O Ilaria, non mi ricordo! Ti sono di fronte a neanche un metro, vieni che ti presento agli altri!”

Mi-tap

Comincia così, con me e il mio sacchetto di brasadè che veniamo introdotti al quartetto già presente, ci stringiamo la mano, parlottiamo del più e del meno e aspettiamo che arrivi altra gente. Quando siamo un numero abbastanza cospicuo ci spostiamo al mi-tap vero e proprio, che si tiene in un posto con delle colonne romane che si chiama, pensa un po’, Colonne Di Un Santo Che Però Adesso Scusa Ma Non Mi Viene. Vista da qui Milano sembra perfino piacevole.

Qualcuno ha i biscotti e li fa girare, qualcuno i biscotti non li ha portati, allora raccoglie della ghiaia e prova a bossarsela, quello che si chiama Tiresia, ma che per questioni di privacy chiamerò Ragazzo In Camicia Nera E Occhiali Con Mosca Sotto Il Labbro estrae da uno zaino d’amianto tre arbanelle: una contiene della roba bianca in un liquido verde, una della roba bianca in un liquido rosso e una della roba bianca in una pasta marroncina. L’ultimo decido subito che si tratta di un feto extraterrestre in formalina, e te lo assaggi te, ma gli altri due mi incuriosiscono proprio. Cosa sarà mai?

Ragazzo In Camicia Nera E Occhiali Con Mosca Sotto Il Labbro apre quello verde e dal tappo si dissolve nell’aria una nuvoletta turchese: “Questi sono zuccherini al mojito!”
“Uuuh! Aaah!”

Straordinari, un concentrato di alcool che ti picchia nel naso come il Frecciarossa, solo più puntuale!

Poi Ragazzo In Camicia Nera E Occhiali Con Mosca Sotto Il Labbro apre quello rosso, e la terra trema, si sente un lamento lontano, le porte della chiesa alle nostre spalle sbattono fortissimo, uno strano bagliore sul suo volto gli dipinge un’espressione luciferina, ma probabilmente è solo suggestione: “questi sono al peperoncino.”

No, illusione stocazzo, quell’uomo è il Male incarnato, dovete fermarlo! Vi rendete conto che mentre noi siamo qui a raccontarci scemenze c’è un criminale che produce zuccherini imbevuti di peperoncino e li offre agli incauti? Lo sapete che dopo il primo avevo la lingua talmente infuocata che ho dovuto infilarla in gola a una ragazza per evitare che si sciogliesse? E la ragazza era un tizio col giubbotto di pelle che si chiama Valarfuckingmorghulis! E gli è pure piacuto, mi ha toccato il culo!

Poi sono arrivate le facce conosciute, che per questioni di privacy chiamerò Marianna, Federica e Ristoratrice Parmense Con L’Hobby Del Parkour In Bici Sennò È Troppo Facile, e la serata si è subito animata, tutti che abbracciavano tutti, tette che abbracciavano tutti, ingegneri aeronautici che offrivano biscotti, zuccherini dati alle fiamme, sesso orale nel senso che se n’è parlato molto.

Vabbè, andiamo a mangiare, e dove, sui Navigli, minchia fin là, ma se è qui dietro, e va ben.
Coda al buffet, saltano fuori gli ukuleles che iniziano a intonare il loro canto di morte, arriva altra gente, provo a spiegare a Irene! O Ilaria, non mi ricordo! che faccio un po’ di fatica a comunicare con le persone, che sai, è un momento che non mi riesce molto di spiegarmi, ma è un momento che non mi riesce molto di spiegarmi, e dopo dieci minuti la ragazza si scogliona e se ne va. Allora mi metto a parlare di fumetti con quello che per ragioni di privacy chiamerò Ragazzo Bergamasco Con Buffe Basette Che Lavora In Fumetteria E Si Chiama Marco e di concerti col suo amico che però scusa ma non mi ricordo più come ti chiami, ma che per ragioni di privacy fingerò di ricordare e nominerò Luca.

C’è anche una ragazza dal sorriso molto dolce che ci troviamo a raccontarci cose senza importanza, ed è lì che cerco di sfruttare gli insegnamenti di Radio3 e per rompere il ghiaccio le racconto che il compositore ceco Antonín Dvořák nutriva una passione sfrenata per le locomotive e i piccioni, ma non riuscì mai a fonderle in un unico hobby perché i suoi adorati pennuti volavano via dai binari quando lo sentivano arrivare.
Ovviamente se ne va senza avermi neanche detto il suo nome, maledizione. Ma tanto per ragioni di privacy non avrei potuto scriverlo, limitandomi a chiamarla Ragazza Dai Capelli Rossi E Dal Cappotto Che Ricorda Un Arredamento Anni 70.

Di nuovo in quel posto con le colonne, e siamo ancora di più, ci sediamo per terra, parapiglia, non scatta il gioco della bottiglia, a mezzanotte scappo sennò mi chiude la metro e a Famagosta ci torno davvero. Vengo a sapere dopo che appena sono andato via si sono spogliati tutti e hanno cominciato un’orgiona generale.

Ringraziamenti in ordine sparso

Irene! O Ilaria, non mi ricordo! che ha organizzato tutta questa roba, e non era facile; Elena, che voglio vedere le sue foto e suoi video. E anche quelli del mitàp; Ilaria, che non è Irene e mi ha spiegato come arrivare e dove lasciare la macchina, ed è una ragazza molto gentile e sul suo tumblr mette le cose di pornografia, che è sempre bello da vedere; Federica, un nome che mi fa sbandare e lo so io perché, e in questo caso appartiene a una ragazza che ha da mostrare più di quel che dice, e mi piacerebbe vederla in un’altra città, magari insieme a Marianna, che parla poco, ma sono sicuro che è una cosa passeggera; Rino e i suoi consigli su un possibile mitàp genovese (magari in primavera però, che adesso piove sempre); Valarfuckingmorghulis che non ha detto neanche a me come si chiama, ma ha apprezzato i miei brasadè; Dettaglio che vive a Genova, e credo sarebbe un ottimo compagno di bevute. Fatti vivo, vecio; chi mi ha parlato e chi mi ha notato senza parlarmi, chi ha cominciato a seguirmi e chi mi ha scritto per dirmi che cazzo avrebbe voluto esserci. A Catastrofe e a Mizaralcor, che non vengono ai mitàp, ma sono i miei tumbleri preferiti; agli altri, che non ricordo, scusate, devo togliere le polpette dal forno.

La prossima volta non so dove sarà, ma sarò fra amici.

 

Forte del detto “scrivi da ubriaco correggi da sobrio, oppure non correggere, sai che cazzo me ne frega, fottiti” ho deciso di impegnare il tempo che mi separa dal risotto ai frutti di mare regalandomi un aperitivo a base di formaggio, vino e focaccia. Il problema è che il formaggio in questione è lo scimudin t.a. della basko, dove t.a. sta probabilmente per topicida appetibile, e nel tempo che ha trascorso nel mio frigo si è formato una muffa solida e parecchio invitante, come la crosta del brie.

Ora, nella mia vita ho fatto anche il salumiere/formaggiaio per un paio d’anni (avevo bisogno di soldi per pagarmi le lezioni di sax tenore con cui volevo fare breccia nel cuore di una ragazza dai capelli rossi di cui ignoravo nome e indirizzo, avendola affiancata per caso in macchina in centro a Genova, ma che ero certo di poter rivedere, prima o poi, il vero amore si ritrova sempre, soprattutto dopo che l’hai seguita e rapita e chiusa nella tua cantina, ma questa è un’altra storia), e quindi so per certo che la crosta del formaggio, quando si forma spontaneamente nel tuo frigo, è buona. Anche l’altra è buona, quella che trovi già formata nella confezione, e pure quella sotto lo strato di cera di certe forme olandesi, e a dirla proprio tutta anche la cera, se la lasci un po’ fuori dal frigo, non è male. La crosta del formaggio non uccide, non sono ancora morto. Ho tre leucemie, ma il dottore ha detto che potrebbero essere state causate da altri fattori, per esempio aver fatto il bagnino in Ucraina, nell’86 (potevo scegliere lì o Varigotti, ma a Varigotti c’è pieno di milanesi), e comunque mi ha dato una pomata che dopo una settimana passa tutto. Peccato solo che secondo i suoi calcoli vivrò ancora fino a dopodomani.

Comunque volevo dire che il formaggio scimudin della basko fa cagare, e anche il risotto ai frutti di mare, ma quello è colpa mia, i frutti di mare dovevo metterceli prima, sennò restano stopposi, e comunque la ricetta si riferisce a un altro tipo di frutti, il cocco comprato in spiaggia non è contemplato.

Ci sono andato sabato in spiaggia, che a casa mi deprimevo, così ho preso la yaris e ho fatto una tirata fino a Kiev (a Varigotti pare siano già arrivati anche quest’anno, i milanesi), che pochi lo sanno, ma ha il grosso vantaggio di poter posteggiare praticamente a due passi, scendi dalla macchina, molli l’asciugamano davanti al paraurti e ti svacchi. E non c’è mai nessuno, è una stazione balneare pochissimo conosciuta, e da quando ci ho fatto il bagnino mi sono fatto amico il gelataio della spiaggia, che mi prepara delle coppe ENORMI e me le fa pagare POCHISSIMO, tipo 750 grivnie, che sono la moneta locale, che quando non ho gli spicci mi dà il resto in camionate di copechi, e io faccio sempre lo spiritoso e gli dico che il diavolo fa le pentole, ma non i copechi, e tutti e due ridiamo e lui si dà delle manate sulla pancia e sputa della saliva rossa rossa che gli va a finire nel secchiello del gelato alla crema, che all’inizio credevo fosse variegato all’amarena e infatti adesso non lo prendo più.

Poi non è che mi deprimo sempre, il più delle volte non ci faccio neanche caso, metto su la musica bella alta, canto, studio la chitarra, oppure gioco ai videogiochi, o leggo, con un bel disco tranquillo in sottofondo, ma certe volte non basta e allora la sento, piano piano, la sua voce lamentosa mi ammazza l’entusiasmo che mi dà il vivere da solo. È la ragazza coi capelli rossi, l’ho chiusa nel contenitore del lettone nuovo ikea, ma a lei non piace. E si che sotto il letto che avevo prima doveva starci anche scomoda, speravo di farla contenta, e invece niente. Guarda che per te ho rinunciato alla camera da letto stilosa, le ho detto ieri. Lo sai quanto mi piaceva quel tatami? Ma niente, ha continuato a piangere. Forse dovrei prenderle un gattino che le faccia compagnia.

E’ quello, c’è poco da aggiungere, domani mattina mi alzo bello presto, che oramai dormire di sabato sta diventando un lusso, e scendo a Bolzaneto, dove mi ricongiungerò con la compagnia dei canoisti per una straordinaria avventura che dovrebbe addirittura superare quella del Verdon.

Cioè? Un addio al celibato in canoa? E le zoccole dove le mettete? Che un addio al celibato senza zoccole non si è mai visto, tranne a quello di Chicchino, dove però siamo stati in una trattoria che quando ci ha presentato il conto abbiamo capito che in realtà c’era anche lì.
Conoscendo i personaggi credo che a un certo punto del weekend salteranno fuori, ma spero di riuscire a schivarle, non tanto per ipocrita perbenismo quanto per una convinta e ben collaudata noia che gli zoccolifici mi provocano.

Riassumendo i compiti ho infilato nello zainetto da concerti un po’ di magliette, il costume e l’asciugamano, qualche pantaloncino da battaglia e le mutande di ordinanza. La macchina fotografica la volta passata me l’hanno inculata, ma alla fine la porterò lo stesso, che Stresa sembra una bella cittadina, sebbene pulluli di milanesi. Quindi ci vorrà anche il ddt.

 

Ero partito per scrivere un pezzo su lastfm, ma la televisione mi ha riversato addosso Cristiano De Andrè che canta A çimma e all’improvviso parlare dei miei problemi coi social networks è diventato secondario, che a me un milanese che canta in genovese fa sempre senso, anche se il milanese in questione è il figlio di colui che la canzone l’ha scritta; e poi c’è una vena di tristezza nel vedere un musicista dover parlare sempre e solo di suo padre e mai del proprio lavoro.

E ora, finalmente, posso dedicarmi a quello che mi premeva, che poi non è molto.

http://www.lastfm.it/user/grugef

Non sono più su facciaabuchi, non ho voglia di tornarci, ma ogni tanto mi fa piacere bazzicare qui sopra, e qualche volta scriverci pure. Di musica, naturalmente, che qui sopra non si diventa fan della cacca, ma di artisti, e si ascolta pure della roba.

Poi vi dirò anche cosa succede a mostrazzi, ma con calma, che tanto vedo che vi siete allineati tutti al ritmo blando con cui scrivo, e se va bene a voi figuriamoci a me.

Quando comincia la bella stagione mi capita di trovarmi in macchina in viaggio verso Genova, e finire improvvisamente imbottigliato in una di quelle code che sai quando ci entri e non sai quando ci esci, e non è mai una bella sensazione. All’inizio magari si, abbassi i finestrini, ascolti l’allegro cinguettio dei gas di scarico del camion alla tua destra, e speri di cavartela con dieci minuti di ritardo, ma ci sono delle volte in cui scopri che ce ne devi aggiungere qualcuno di più prima di arrivare a destinazione.
Io per esempio l’altra sera ce ne ho aggiunti centodieci. Due ore per andare da Ronco a Nervi, e va bene che si chiama Nervi, ma non significa che deve per forza farmici arrivare nevrastenico. Aggiungete poi una buona mezz’ora per arrivare a San Desiderio, che quando comincia a farsi l’ora di cena e sei a stomaco vuoto e sei inscatolato in macchina da ore, è più di un santodesiderio, somiglia a una specie di allucinazione mistica.

Io lo so chi è che provoca le code, ne ho anche già parlato da qualche parte qui sopra, probabilmente in una stagione simile a questa, sono i Milanesi Che Vanno Al Mare. Sono la categoria peggiore che esista, anche più dei famigerati Tedeschi In Gita Sul Lago. Se dovessi stilare una classifica dei mezzi di trasporto più lenti che si possano incontrare per strada questa vedrebbe i Tedeschi In Gita Sul Lago soltanto secondi, e il Carro Dei Monatti addirittura terzo. I primi sono sempre loro, i maledetti Milanesi Che Vanno Al Mare, sfreccianti giù per la A7 nei rettilinei fino a Serravalle, ora ribattezzata Serravalleautlet, cauti nelle prime curve fino a Busalla, paralizzati nel tortuoso tratto appenninico. Non importa che siedano su macchine dotate di ogni sicurezza, dall’abs alle ruote cingolate, ogni volta che incontrano una curva, sebbene di lieve entità, frenano in corsia di sorpasso, scalano quinta seconda, avanzano ai quindici all’ora nonsisamai metti che dietro la curva si apre un baratro pieno di coccodrilli un camion ribaltato in fiamme un chiosco abusivo di gelati o piadine, che quelli delle piadine sono inarrestabili, li aprono ovunque, in continua concorrenza con l’arabo dei kebab. E tu dietro non puoi far altro che assecondarli, maledicendo l’ingegnere della motorizzazione che li ha patentati, e aspettare che si degnino di liberare la corsia e andare a parcheggiare nelle apposite piazzole.
Ma no, loro possiedono auto di cilindrata a sedici zeri e prezzo a ventiquattro, non si abbasserebbero mai a occupare la corsia di destra, non è sufficientemente nobile per i loro lussuosi e potenti veicoli, così mostrano tutta la propria incapacità nella corsia più esterna, impedendo il sorpasso a chi si trova dietro.
Quando dietro ci sono solo io pazienza, mi tolgo la soddisfazione di restituire loro gli abbaglianti con cui mi hanno allietato nel breve rettilineo qualche chilometro prima, e appena possibile mi gonfio come un tacchino facendomi strada con la mia modesta lanciaipsilon; ma quando dietro c’è tutta la Valle Scrivia, il Basso Piemonte e buona parte di Lombardia con qualche accenno di Svizzera, Francia e Germania, allora sono cazzi. Allora basta uno di questi figli di una tangenziale per paralizzare tutto il paralizzabile.

Questa considerazione la posto alla vigilia di un esodo che si prospetta lungo e difficoltoso, fino a Moneglia, in una domenica assolata e trafficata, ma soprattutto di ritorno da Moneglia, quando il uicchend lungo sarà agli sgoccioli, e tutti i Milanesi Che Vanno Al Mare si trasformeranno nei non meno pericolosi Milanesi Che Tornano Dal Mare, e si immetteranno in autostrada tutti insieme con le loro grosse macchine che non sanno stare a destra, e tutti vorranno sorpassare chi gli sta davanti, e si creerà un lunghissimo ingorgo nel quale, ci scommetto, verrà a trovarsi una piccola indifesa lanciaipsilon, che non aveva altra colpa che di essere stata invitata a un matrimonio in Riviera.

Stavolta però mi faccio furbo, mi porto dei fumetti e un panino.