Quella volta che senti il bisogno di fare qualcosa di stupido insensato e dannoso, un’espiazione per i peccati commessi, che ti pesano sulla schiena come quando tradisci un amico. Ma i Transformers li hanno già ritirati dalle sale, non ci sono ragazze capricciose di cui innamorarsi, e allora farsi centoventi chilometri in scooter senza parabrezza e neanche una felpa, in una sera che minaccia temporale, ti sembra l’unica scelta disponibile.

A Santo Stefano Belbo, la città natale di Cesare Pavese, si esibiscono Vinicio Capossela e Vincenzo Costantino Cinaski, un reading letterario dedicato a uno dei miei scrittori preferiti. Me la immagino la serata: un viaggio interminabile sotto la pioggia, una cappottata di freddo, e poi starmene lì in piedi a guardare due tizi che tendono un agguato al mio umore zoppo e lo ammazzano nel buio. Una catena di eventi che spingerebbero a prenotare una stanza all’albergo Roma, ma non me ne curo. È una catarsi, non un funerale.

Arrivo che il temporale è appena terminato, ne ho incrociato la coda a Canelli, ho la cerata bagnata e i pantaloncini asciutti. Posteggio secondo le indicazioni e mi pecoro dietro un gruppo di spettatori fin dentro l’area dello spettacolo. C’è un ring da pugilato sul palco, un pianoforte nel mezzo e due microfoni ai lati. Due sgabelli stanno agli opposti angoli, e dentro i secchi degli sparring partners invece della spugna c’è una bottiglia di dolcetto.
L’esiguo spazio davanti al palco è già stato colonizzato, mi siedo sui gradini appena dietro. Ottima visuale, distanza invidiabile, spero solo che non piova, i giardinetti del paese non offrono riparo e la mia cerata non ha il cappuccio.

Dopo un’ora comincia, Mr.Pall legge una sua poesia, Mr.Mall risponde con un brano dal proprio libro, e sono una decina di minuti di vino da contemplazione, te li rigiri in bocca per sentirne tutte le fragranze, poi il cantante si ricorda del proprio mestiere e si accomoda al piano per un Tanco del Murazzo buttato via.

Un altro giro dedicato alla vita sregolata, sono due animali notturni questi, predatori di mignotte e vodka sour. Storie che finiscono male, solitudine che non ti pesa sul cuore ma sul fegato, odore di fumo e di brioches. L’affondamento del Ginastic è il secondo pezzo, e va già meglio, che quella di prima mi piaceva poco.

Arriva la trilogia classica, un omaggio a Pavese: letture da quella meraviglia che è Dialoghi con Leucò, alternate alle composizioni di uno dei miei dischi preferiti, e arrivano Dimmi Tiresia, Nostos e Le Sirene, sulle cui ultime note Cinaski legge una calda dedica alla birra firmata Bukowski.

Mi sento prudere il cervello come una ferita che guarisce, ho voglia di tornare a casa e fare cose.

Riprende a piovere, sono solo due gocce, ma il pubblico si innervosisce e gli artisti tagliano corto, resta il tempo per Le Cento Città e la canzone che ne è sorella, In Clandestinità. Saluti, si va via alla svelta.

Sulla strada del ritorno, perso su provinciali buie che si arrotolano nella campagna e intorno alle chiese dei paesini, non mi faccio intimorire dai lampi, scarto il maltempo sopra la testa come quello dentro di essa. Ho voglia di cambiare delle cose, piccoli spostamenti nel caos su cui nessuno si affaccia, che mi ricordano quello che sovente mi capita di dimenticare, e di cui vengo talvolta accusato: sarò anche pigro, ma in realtà non mi sono fermato mai.

Il nuovo disco di Vinicio Capossela si chiama Marinai, Profeti e Balene, un omaggio alla letteratura di mare, da Omero a Melville, ma c’è anche Celine, che è come incontrare Gargamella in pizzeria, e non è un caso che il tour prenda il via da Genova: il cantautore ha sempre dichiarato il proprio amore verso la città e il teatro Carlo Felice sembra fatto apposta per celebrare la navigazione d’altri tempi, col pubblico seduto sul ponte di una caravella, i suoni che rimbombano dal palco come dentro un secchio, il mal di mare che ti viene se pensi a quanto cazzo hai pagato il biglietto.

Anche il palco è allestito sullo stesso tema, i musicisti sono vestiti da marinai, c’è una prua sul palco (proprio davanti al mio posto, cristodio), il pennone dell’albero maestro fa da sfondo e le ossa della balena si aprono e si chiudono sulla testa di quello strano equipaggio. Il capitano della nave ha il tricorno in testa, è seduto al pianoforte illuminato da una candela, e appena si apre il sipario attacca con le canzoni dell’ultimo disco.

Ecco, Marinai Profeti E Balene non è immediato come Ovunque Proteggi, forse non ne possiede neanche la freschezza, ma non è neanche tetro come Da Solo, e dopo i primi due tre ascolti cominci a sospettare di essere davanti a un prodotto migliore, pieno di riferimenti letterari senza risultare pesante, stratificato come la millefoglie di cipolla, e quando arrivi a sentir suonare le conchiglie, le catene, una sega e il carillon più complicato del mondo il sospetto si tramuta in certezza, quello in copertina col cappello da Napoleone è un genio.

Ma dicevo del concerto, che scorre via come una fregata fra leviatani e sirene. Tutta la prima parte è occupata dalle canzoni nuove, d’altronde è un album doppio, e dai vecchi cappelli di Capossela, cui si aggiunge il tricorno che indossa nelle foto promozionali. Parla col pubblico senza esagerare, presenta il susafonista di altezza variabile, dice due parole sulle canzoni, ma è quasi esclusivamente musica, tanto che quando escono i coristi si limitano a muovere la bocca senza proferire alcun suono, lasciandoci tutti un po’ scossi. Scopriremo poi che c’era un problema fonico.

Solo alla fine della parte “concept” il cantante introduce il gruppo, e scopriamo che dietro le casse che abbiamo di fronte, dietro la prua della barca da cui ogni tanto va a cantare Capossela, ci sono altri due membri dell’orchestra, di cui uno con dei capelli pazzeschi, bianchi e riccioli e sparati in ciuffi che sfidano la gravità.

Comincia la seconda parte, quella dedicata ai “relitti che porta la risacca”. Una versione rallentata di Che Coss’è L’Amor, la sorpresa di Morna, che io e il Subcomandante ci guardiamo a bocca spalancata e poi lei muore di gioia, poi qualche altro pezzo nuovo, poi tutti in piedi per L’Uomo Vivo e Il Ballo Di San Vito, poi Camminante, che non sto neanche a riguardare il Subcom, la raggiungo all’altro mondo con un sorrisone in faccia. Chiude con Le Sirene, che più lo ascolto più credo che sia una perla.

Oggi tutte le mie certezze sulla musica stanno barcollando, non sono più sicuro neanche di chi sia il mio cantante preferito, ho solo voglia di sedermi da qualche parte e mettere su il mio ultimo acquisto. E non ho ancora visto l’altra cosa che mi sono comprato, il dvd del tour precedente, che ho già collocato fra i tre più bei concerti cui abbia mai assistito. Vi saprò dire..