E di nuovo scrivo questo post, che quando in casa ci sono due computer accesi il router va in crisi e perde la connessione ad ogni alito di vento. Forse dovrei pensare a comprarmi un'antenna da piantare sopra la porta d'ingresso, così da diffondere il segnale in tutto l'edificio, oppure quattro piccole antennine da piazzare sulla schiena degli animali domestici, così i vicini pensano che ho quattro cyborg e la puzza di merda che sentono è solo frutto della loro immaginazione.

Ciò che mi premeva comunicare al mondo è che ci sono voci che splinder stia chiudendo, o che non indicizzi più i blog sui motori di ricerca, o qualche altra magagna tecnica che non lo so se è vera e se è grave, ma io era da un po' che ne avevo le balle piene di questa piattaforma, e così mi sono aperto un blog su wordpress.
Non ci ho trasferito tutta la roba che ho postato qui, non ne ho voglia, non ne sono capace e neanche mi interessa poi tanto, ne ho fatto una copia su un file word e mi è sufficiente a non perderla, poi quella che rimane qui è giusto che qui stia, di là voglio ricominciare da capo per la terza volta, in preda a quella voglia di cambiamento che mi sta tirando per i piedi da qualche giorno.
Col tempo magari apporterò le varie modifiche che adesso mi sembrano allucinanti, tipo cambiare il font (!!) o comprarmi un dominio, ma non è escluso che finisca per cambiare un'altra volta indirizzo se dovessi scoprire che quello su wordpress fa cagare.

Per il momento me ne sto lì, mi allargo, semino la mia roba in giro, compresi i calzini usati, sbriciolo sul divano, rendo l'ambiente più simile a me e vedo come mi trovo. Se passate da quelle parti il mio indirizzo è 
 

http://lepablog.wordpress.com

 

"Hai un netbook? E perché non ti installi ubuntu, che va troppo più veloce di windows?"
Ammetto che anche prima di sentirmelo ripetere dagli amici ingegneri ci avevo fatto un pensierino, perché xp mi aveva da tempo scassato le balle, si riempiva di virus solo a guardarlo e perché un nuovo sistema operativo fa venir voglia di usarlo, e se è gratuito è ancora più simpatico. Così mi sono messo lì e ho scaricato Ubuntu Netbook Remix, una versione di linux creata apposta per i netbook come il mio.
Da subito ho avuto problemi, non c’era verso di installarlo, mi parlava di un errore che avrei avuto difficoltà a capire già in ambiente windows, per fargli capire cosa volevo fare ho dovuto ripiegare sulla versione base.

Ubuntu si installa da niente, come un programma qualsiasi, e mentre la barra cresce c’è una finestra che ti suggerisce un mucchio di bei programmi uguali uguali a quelli di windows, ma gratuiti. "Che bello, me li uso subito tutti!", mi sono detto, e appena lo schermo è diventato nero ed è comparso nel mezzo quella specie di anello luminoso diviso in tre spicchi mi sono sentito un pioniere alle prese col suo nuovo badile.

E’ passata subito, giusto il tempo di rendermi conto che i caratteri che impiega mi fanno più o meno tutti cagare, e che non riesco a scaricare la posta. E poi è tutto in inglese, santa cacca!
Mettiti lì buono buono, cerca il pacchetto in italiano e spiegagli come aprirlo, togli quelle cacchio di barre gigantesche da sopra e sotto, scegli uno sfondo un po’ più figo della duna beige, è già più accettabile, no?
Le piccole correzioni le ho capite, sono la solita minchiata, ma ho paura che per proseguire avrò bisogno di ben più di una mappa disegnata a pennabic su un foglio.
Mi sento come l’elfo oscuro Pablog alle porte della città imperiale, mentre scruta la sua cartina per capire come raggiungere l’abate Ciarlibraun, o come si chiama, non lo so più. Adesso mi prendo una pausa dai sistemi operativi friuèr e vado a spaccare il culo a qualche goblin.

Stasera sono particolarmente felice, e non è perché la mia fidanzata si è levata dalle balle andando su a vedere chilavisto, nè perché non mi ha mozzato le mani quando ha scoperto che avevo passato il pomeriggio a preparare una cena miserrima dove non ci mangiava neanche lei che mangia come un fringuello morto.

No, stasera sono particolarmente soddisfatto perché una sera di qualche tempo fa, ravattando nel pici, avevo trovato una vecchia cartella documenti risalente a qualche antica ripartizione, e mi ero deciso a fare un po’ di pulizia e l’avevo eliminata senza neanche farla passare dal cestino; il problema si era posto mentre la cartella, che era di notevoli dimensioni, si disfaceva sotto i miei occhi, mostrando una barretta azzurra in crescita e una serie di nomi sopra che mi dicevano ciaociao: parecchi di quei nomi erano uguali precisi ai miei racconti terminati, incompleti o solo abbozzati. Insomma, in poche parole mi ero accorto troppo tardi di avere buttato via il lavoro (via, lavoro..) di una vita.
La mia prima reazione è stata "ops", seguita immediatamente dopo da un bizzarro ripasso dei miei studi di catechismo, in cui ogni nome proprio che riuscivo a ricordare veniva associato alla parola maiale.
Dopo avere aggiornato l’elenco telefonico del paradiso facendo finire ogni inquilino alla lettera p ho cercato di convincermi che in fondo si trattava solo di dati inutili, che tanto i racconti più belli li avevo già pubblicati, che da qualche parte avevo ancora un cidi dove conservavo i più vecchi, che sarebbe stata una bella occasione per rinnovare il mio stile, magari smettendo di scrivere una volta per tutte, non come ora che mi racconto di fare chissà che e invece alla fine non concludo una cippa. Ho fatto spallucce, mi sono voltato di là, ma era solo per non far vedere che stavo piangendo.
Perché io a quei racconti incompleti ci tenevo, cacchio! Era il mio periodo felice e spensierato in cui mangiavo bile a colazione e mi restava l’alito cattivo per il resto della giornata, in cui mi distruggevo di seghe (anche) mentali e scrivere rappresentava l’unico momento in cui riuscivo a far tacere il rumore che avevo nella testa, o perlomeno gli facevo dire quello che volevo io e non quello che piaceva a lui.
Mica come adesso che quando cerco di buttare giù due parole devo starci a pensare, a rileggere, e correggo, limo, riscrivo e alla fine mi scogliono e butto via tutto. Non mi sento spontaneo, probabilmente perché la spontaneità non è più necessaria, e tutto quello che scrivo mi sembra somigliare a un trattato: parole difficili, lunghe, periodi complessi, frasi corte, perfino un uso frequente del puntoevirgola, io che la punteggiatura l’ho sempre considerata un condimento da usare con parsimonia. E poi non so come sia, ma tutto quello che scrivo mi viene fuori allitterato! "Considerata un condimento", "risalente a ripartizione", sembra che lo faccia apposta, e la cosa che mi fa incazzare è che se lo faccio apposta non ci riesco, decido di scrivere allitterato e mi fermo alla terza parola e pianto lì.

Ma non è che volessi mettermi qui a raccontare del perché non so raccontare, tanto ho perso l’uso delle metafore, risulterei noioso, puntoevirgola! Quello che volevo dire stasera è che ho aperto un’altra cartella posteggiata lì senza arte nè parte e ci ho trovato dentro tutto il mio archivio intatto e aggiornato, compreso il vecchio blog che avevo cancellato, cioè questo che (non) state leggendo. Sono di un contento che potrei mettermi a cantare a.. Ecco, un’altra cosa che non mi riesce più di fare è usare i soliti luoghi comuni, mi pesa, mi schifa anche un po’. A squarciagola è un modo di dire che non voglio più usare, piuttosto dico che mi metterei a cantare a un volume che potrebbe risultare sconveniente a quest’ora, ma così si perde il ritmo e la freschezza del racconto, e senza ritmo non c’è più niente, infatti quando la fiat l’ha ritirata dalla produzione ha cominciato a fare la duna, che è una macchina che va bene giusto per i rapimenti.

Mi metterei, dicevo, a cantare come un castrato, elevando il mio tono a frequenze sopportabili solo da un sordo con la testa infilata in un secchio di sabbia..

..a proposito di sabbia, oggi ho visto Tropic Thunder, e una delle battute migliori è di Tom Cruise che al telefono coi terroristi grida "Ti inculo con la sabbia!"..

..chiuso dentro una cassaforte sepolta nella stiva di una nave affondata in mezzo all’oceano, ma il Subcomandante mi griderebbe di smetterla che non riesce a sentire la Sciarelli che intervista la mamma di Denise per sapere cosa ne pensa della scomparsa di Emanuela Orlandi rapita dalla banda della Magliana secondo la ricostruzione di Gianloreto Carbone. Li so tutti!

Perciò taccio e mi rileggo un vecchio pezzo di quando sapevo ancora scrivere come si deve.
Che poi lo so che fra un paio d’anni riaprirò questa pagina e mi divertirò a leggerla e penserò che oggi sapevo ancora scrivere, mentre nel futuro che sarà il mio presente avrò perso ogni velleità artistica e passerò le mie giornate al bar a bere la ceres con quell’ubriacone di Hardla, che da quando si sarà sposato avrà perso ogni voglia di vivere e anche di tornare a casa perché quella strega di sua moglie lo maltratterà costringendolo ad andare all’ikea a vedere se sono arrivate le tende nuove che quelle della camera da letto la faranno sentire costipata nell’animo o qualche altra definizione assurda che saprà inventare lapperlà, e Hardla mi racconterà che si era innamorato di lei proprio per quel suo modo sofisticato di parlare, e che ora (ora di fra due anni, naturalmente) la ammazzerebberà (futuro condizionale continuato) ogni volta che apre bocca, quindi ordinerebbe un’altra camomilla al mirtillo e prugna, perché dal matrimonio sarebbe diventato astemio (parrà che la moglie lo avrà minacciato di scegliere fra astemio e astinente, e lui non vorrà rinunciare a quell’ultimo raro piacere, visto che neanche più allo stadio lo lascerà andare, la vipera), e io per consolarlo gli rivelerò che ho sentito Secchin, e che lui fa una vita ancora peggiore, che a confronto le nostre mogli/conviventi sono Madre Teresa Di Calcutta, e Hardla girerà il coltello nella piaga dicendomi "Beh, la tua ci somiglia un casino a Madre Teresa, è invecchiata veramente malissimo!", e allora sarò io a ordinare un’altra ceres, che a me la ceres mi fa pure cagare oggi come fra due anni, ma a quel bar lì dove ci vedremo io e Hardla non serviranno altro che ceres e camomilla al mirtillo e prugna, infatti saremo gli unici due clienti, tanto che il gestore sarà costretto a chiudere dopo poco e ad ammettere di avere sperperato tutti i miliardi accumulati in una vita di lavoro prestigioso, ma d’altronde si era capito che non ci sapeva fare con gli affari quando aveva comprato cinquemila sottobicchieri dipinti a mano da Picasso e si era fatto ricavare il cesso del locale da uno scarto di lavorazione di Michelangelo. Povero Panchin, si divertiva di più quando stava dalla parte giusta del banco.